Pubblicato il

Lesione di lieve entità, danno morale va provato con maggior rigore

Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.5547 del 01/03/2024

Al riconoscimento di danno biologico di lieve entità corrisponde un maggior rigore nell'allegazione e nella prova delle conseguenze dannose concretamente rivendicate, dovendo ritenersi normalmente assorbite, nel riscontrato danno (salva la rigorosa prova contraria), anche le conseguenze astrattamente considerabili sul piano del c.d. danno morale.

Lo ha precisato la Terza Sezione civile della Cassazione civile con la sentenza n. 5547 depositata il 1° marzo 2024.

La Suprema Corte sottolinea la distinzione tra il danno dinamico-relazionale e il danno morale, come delineato dalle modifiche agli artt. 138 e 139 del Codice delle assicurazioni private. Questa distinzione permette una valutazione separata e congiunta di questi aspetti del danno, mirando ad evitare duplicazioni risarcitorie.

Inoltre, la Corte ricorda l'importanza di un'accertamento concreto del danno, attraverso un'istruttoria compiuta e l'utilizzo di tutti i necessari mezzi di prova, tra cui fatto notorio, massime di esperienza e presunzioni. Questo processo di valutazione deve tenere conto sia delle conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera morale sia di quelle che incidono sul piano dinamico-relazionale della sua vita, entrambi autonomamente risarcibili.

Nel contesto di lesioni di lieve entità, la Cassazione avverte che occorre sottrarsi ad ogni prassi di automaticità nel riconoscimento del danno morale sulla sola base della presenza di un danno biologico, per evitare risarcimenti ingiustificati. Viene quindi stabilito che la possibilità di invocare il valore rappresentativo della lesione come elemento presuntivo del danno morale è "tanto più limitata" quanto minore è l'entità dell'invalidità.


Sul punto vedi anche:

Danno biologico di lieve entità, danno morale, onere di allegazione e prova, maggior rigore

Al riconoscimento di danni biologici di lieve entità, corrisponde un maggior rigore nell'allegazione e nella prova delle conseguenze dannose concretamente rivendicate, dovendo ritenersi normalmente assorbite, nel riscontrato danno biologico di lieve entità (salva la rigorosa prova contraria), anche le conseguenze astrattamente considerabili sul piano del c.d. danno morale.

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

Cassazione civile, sez. III, ordinanza 01/03/2024 (ud. 02/02/2024) n. 5547

FATTI DI CAUSA


1. In parziale riforma della decisione di primo grado la Corte d'appello di Reggio Calabria, per quanto ancora in questa sede interessa, ha condannato l'Ufficio Centrale Italiano e Ar.Ro., in solido, al pagamento in favore di Ci.Er. della somma di Euro 13.000,00, oltre rivalutazione e interessi, a titolo di risarcimento del danno biologico da invalidità permanente (stimata nella percentuale del 7%) e da invalidità temporanea, conseguente a sinistro stradale, importo liquidato sulla base dei criteri di cui all'art. 5 legge n. 57 del 2001 ma lievemente aumentato, rispetto alla quantificazione operata dal primo giudice, per la operata personalizzazione del danno.

Ha invece confermato la sentenza appellata nella parte in cui aveva escluso l'autonoma risarcibilità del danno morale, rilevando al riguardo, secondo l'accolta lettura delle note sentenze gemelle delle Sezioni Unite della S.C. nn. 29672-5 del 2008, che costituisce una non consentita duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del risarcimento sia per il danno biologico sia per il danno morale, atteso che - ha osservato - quest'ultimo costituisce necessariamente una componente del primo.

2. Per la cassazione di tale sentenza Ci.Er. propone ricorso affidato a tre motivi, cui resiste l'Ufficio Centrale Italiano, depositando controricorso.

L'altro intimato non svolge difese in questa sede.

3. È stata fissata per la trattazione l'odierna adunanza camerale ai sensi dell'art. 380-bis.1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata da rituale comunicazione alle parti costituite.

Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.

Il ricorrente e la controricorrente hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all'art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., "violazione degli artt. 1226,2056,2059 cod. civ., art. 185 c.p., artt. 2,3,32 Cost., artt. 115 e 116 c.p.c. e artt. 138 e 139 D.Lgs. n. 209 del 2005", in relazione alla negata autonoma risarcibilità del danno morale.

2. Con il secondo motivo egli denuncia, con riferimento all'art. 360, primo comma, nn. 4 e 5, cod. proc. civ., "violazione dell'art. 112 c.p.c. e degli artt. 4d.l. 23 dicembre 1976, n. 857, come modificato dalla legge di conversione 26 febbraio 1977, n. 77, 137, comma 3°, D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, artt. 1226 e 2056 cod. civ., artt. 115 e 116 c.p.c. ...; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti", per avere la Corte d'appello omesso di pronunciare sul motivo di gravame con il quale si era doluto che il primo giudice, a sua volta, nulla aveva statuito sulla domanda di risarcimento del danno alla capacità di guadagno.

Per le stesse ragioni deduce contestualmente anche vizio di omesso esame di fatto decisivo ex art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, infine, con riferimento all'art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., "violazione del d.m. 8 aprile 2004, n. 127 sulle tariffe forensi, nonché degli artt. 91 e 92 c.p.c. ...; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti", per avere la Corte d'appello rigettato il quarto motivo di gravame con il quale si era denunciata l'illegittima riduttiva liquidazione delle spese processuali.

RILEVA INFATTI CHE

- in violazione dei minimi tariffari previsti dal citato d.m. il Tribunale aveva liquidato in Euro 900,00 gli onorari di avvocato ed in Euro 700,00 i diritti di procuratore, svilendo così la complessa attività svolta dal difensore del ricorrente durante 8 anni di causa;

- avendo, però, detto giudice quantificato la domanda in complessivi Euro 18.000 e dovendo pertanto farsi riferimento allo scaglione da Euro 5.000,00 ad Euro 25.000,00, gli onorari di avvocato non potevano essere inferiori ad Euro 2.500,00 e i diritti di procuratore inferiori ad Euro 2.000,00;

- di ciò egli si era doluto con il quarto motivo d'appello, rigettato dalla Corte d'appello sul rilievo -censurato con il motivo in esame-che "le somme riconosciute a detto titolo corrispondono ai minimi previsti dalla tariffa professionale vigente all'epoca della decisione in relazione al valore della controversia".

4. Il primo motivo è fondato.

4.1. La più recente ed ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte (tra le altre, Cass. 17/01/2018, n. 901; 27/03/2018, n. 7513; 28/09/2018, n. 23469; 4/02/2020, n. 2461; v. anche da ultimo Cass. 3/03/2023, n. 6444), in tema di risarcimento del danno alla persona ha fissato i seguenti principi, che è utile ribadire in questa sede in quanto direttamente rilevanti rispetto alla questione posta:

- sul piano del diritto positivo, l'ordinamento riconosce e disciplina (soltanto) le fattispecie del danno patrimoniale (nelle due forme del danno emergente e del lucro cessante: art. 1223 c.c.) e del danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.; art. 185 c.p.);

- la natura unitaria ed onnicomprensiva del danno non patrimoniale, secondo l'insegnamento della Corte costituzionale e delle Sezioni Unite della Suprema Corte (Corte cost. n. 233 del 2003;

Cass. Sez. U. 11/11/2008, nn. 26972-26975) deve essere interpretata, sul piano delle categorie giuridiche (anche se non sotto quello fenomenologico) rispettivamente nel senso:

a. di unitarietà rispetto a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto e non suscettibile di valutazione economica;

b. di onnicomprensività intesa come obbligo, per il giudice di merito, di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze (modificative in pejus della precedente situazione del danneggiato) derivanti dall'evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, e procedendo, a seguito di articolata, compiuta ed esaustiva istruttoria, ad un accertamento concreto e non astratto del danno, all'uopo dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni;

- nel procedere all'accertamento ed alla quantificazione del danno risarcibile, il giudice di merito, alla luce dell'insegnamento della Corte costituzionale (sentenza n. 235 del 2014, punto 10.1 e ss.) e delle modifiche degli artt. 138 e 139 del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private), introdotte dall'art. 1, comma 17, della legge 4 agosto 2017, n. 124 - la cui nuova rubrica ("danno non patrimoniale", sostitutiva della precedente "danno biologico"), ed il cui contenuto consentono di distinguere definitivamente il danno dinamico-relazionale causato dalle lesioni da quello morale - deve congiuntamente, ma distintamente, valutare la reale fenomenologia della lesione non patrimoniale e, cioè, tanto l'aspetto interiore del danno sofferto (c.d. danno morale, sub specie del dolore, della vergogna, della disistima di sé, della paura, della disperazione), quanto quello dinamico-relazionale (destinato ad incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto);

- nella valutazione del danno alla salute, in particolare - ma non diversamente che in quella di tutti gli altri danni alla persona conseguenti alla lesione di un valore/interesse costituzionalmente protetto (Cass. nn. 8827-8828 del 2003; Cass. Sez. U. n. 6572 del 2006; Corte cost. n. 233 del 2003) - il giudice dovrà, pertanto, valutare tanto le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera morale - che si collocano nella dimensione del rapporto del soggetto con sé stesso - quanto quelle incidenti sul piano dinamico-relazionale della sua vita (che si dipanano nell'ambito della relazione del soggetto con la realtà esterna, con tutto ciò che, in altri termini, costituisce "altro da sé");

- nel caso di lesione della salute, costituisce, pertanto, duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico - inteso, secondo la stessa definizione legislativa, come danno che esplica incidenza sulla vita quotidiana del soggetto e sulle sue attività dinamico relazionali - e del danno c.d. esistenziale, appartenendo tali c.d. "categorie" o "voci" di danno alla stessa area protetta dalla norma costituzionale (l'art. 32 Cost.);

- non costituisce, invece, duplicazione risarcitoria la differente ed autonoma valutazione compiuta con riferimento alla sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute, come stabilito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 235 del 2014, punto 10.1 e ss. (ove si legge che la norma di cui all'art. 139 cod. ass. "non è chiusa anche al risarcimento del danno morale"), e come oggi normativamente confermato dalla nuova formulazione dell'art. 138 lett. e), cod. ass., introdotta - con valenza evidentemente interpretativa - dalla legge di stabilità del 2016;

4.2. Deriva da tali enunciati che, a fini liquidatori, si deve procedere a una compiuta istruttoria finalizzata all'accertamento concreto e non astratto del danno, dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, valutando distintamente, in sede di quantificazione del danno non patrimoniale alla salute, le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera interiore (c.d. danno morale, sub specie del dolore, della vergogna, della disistima di sé, della paura, della disperazione) rispetto agli effetti incidenti sul piano dinamico-relazionale (che si dipanano nell'ambito delle relazioni di vita esterne), autonomamente risarcibili (v. Cass. n. 23469 del 2018, cit.).

4.3. Con particolare riferimento all'uso delle presunzioni in materia di danno morale, occorrerà sottrarsi ad ogni prassi di automaticità nel riconoscimento di tale danno in corrispondenza al contestuale riscontro di un danno biologico, attesa l'esigenza di evitare duplicazioni risarcitorie destinate a tradursi in un'ingiusta locupletazione del danneggiato, laddove quest'ultimo si sia sottratto a una rigorosa allegazione e prova di fatti secondari idonei a supportare, sul piano rappresentativo, la prospettata sofferenza di conseguenze dell'illecito rilevabili sul piano del proprio equilibrio affettivo-emotivo.

4.4. A tal fine, la possibilità di invocare il valore rappresentativo della lesione psico-fisica (in sé considerata come danno biologico) alla stregua di un elemento presuntivo suscettibile di (concorrere a) legittimare, in termini inferenziali, l'eventuale riconoscimento di un coesistente danno morale (v. Cass. 10/11/2020, n. 25164), dovrà ritenersi tanto più limitata quanto più ridotta, in termini quantitativi, si sia manifestata l'entità dell'invalidità riscontrata, attesa la ragionevole e intuibile idoneità di fatti lesivi di significativa ed elevata gravità a provocare forme di sconvolgimento o di debordante devastazione della vita psicologica individuale (ragionevolmente tali da legittimare il riconoscimento dalla compresenza di un danno morale accanto a un danno biologico), rispetto alla corrispettiva idoneità delle conseguenze limitate a un danno biologico di modesta entità ad assorbire, secondo un criterio di normalità (e sempre salva la prova contraria), tutte le conseguenze riscontrabili sul piano psicologico, ivi comprese quelle misurabili sul terreno del c.d. danno morale (così, del tutto condivisibilmente, in motivazione, Cass. n. 6444 del 2023, cit.).

Da tanto segue la ragionevole affermazione del principio declinabile sul piano probatorio secondo cui, al riconoscimento di danni biologici di lieve entità (come avvenuto nel caso di specie), corrisponderà un maggior rigore nell'allegazione e nella prova delle conseguenze dannose concretamente rivendicate, dovendo ritenersi normalmente assorbite, nel riscontrato danno biologico di lieve entità (salva la rigorosa prova contraria), anche le conseguenze astrattamente considerabili sul piano del c.d. danno morale (Cass. n. 6444 del 2023, cit.).

4.5. Nel caso di specie, la sentenza impugnata non ha posto a base del confermato rigetto una valutazione di merito condotta secondo i rigorosi criteri indicati, ma ha piuttosto negato già in astratto e a priori l'autonoma risarcibilità del danno morale, così dunque facendo applicazione di una regola di giudizio in contrasto con i principi enunciati.

Il giudice di rinvio dovrà pertanto riesaminare la fattispecie, alla luce delle allegazioni e degli elementi di prova già ritualmente offerti, valutando nel merito e in concreto, secondo la più rigorosa graduazione del ragionamento presuntivo operabile in presenza di lesioni di lieve entità, la loro idoneità a supportare la pretesa risarcitoria riferita al danno morale.

5. Il secondo motivo è inammissibile alla luce del principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui "la parte che, in sede di ricorso per cassazione, deduce che il giudice di appello sarebbe incorso nella violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. per non essersi pronunciato su un motivo di appello o, comunque, su una conclusione formulata nell'atto di appello, è tenuta, ai fini dell'astratta idoneità del motivo ad individuare tale violazione, a precisare - a pena di inammissibilità - che il motivo o la conclusione sono stati mantenuti nel giudizio di appello fino al momento della precisazione delle conclusioni" (Cass. n. 5087 del 3/03/2010, Rv. 611679 - 01; n. 41205 del 22/12/2021, Rv. 663494 - 01): onere nella specie non assolto.

È poi certamente un fuor d'opera la prospettazione del vizio come discendente da omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, atteso che: a) il vizio di cui al n. 5 dell'art. 360 cod. proc. civ. si colloca sul piano della ricognizione del fatto e presuppone pertanto una pronuncia - in tesi viziata dall'omesso esame - nella specie mancata; b) riguarda l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, decisivo ai fini della ricostruzione della vicenda sostanziale, e non di una argomentazione difensiva, né di una domanda o eccezione.

6. Il terzo motivo è inammissibile per manifesta genericità e, a fortiori, per inosservanza degli oneri di specifica indicazione degli atti richiamati, in violazione dell'art. 366 n 6 cod. proc. civ.

Non vengono infatti esposti i dati, tanto meno nel rispetto degli oneri predetti, relativi allo svolgimento del giudizio di primo grado in base ai quali poter compiere il richiesto vaglio sul rispetto dei minimi tariffari, dovendosi comunque escludere che gli importi liquidati possano ritenersi a priori e in astratto al di sotto di essi.

7. In accoglimento, dunque, del primo motivo di ricorso, dichiarati inammissibili il secondo e il terzo, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio al giudice a quo, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione; dichiara inammissibili il secondo e il terzo; rinvia la causa alla Corte d'appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche al regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 2 febbraio 2024.

Depositato in Cancelleria il 01 marzo 2024.

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472