In tema di interest rate swap, occorre accertare, ai fini della validità del contratto, se si sia in presenza di un accordo tra intermediario ed investitore sulla misura dell'alea, calcolata secondo criteri scientificamente riconosciuti ed oggettivamente condivisi: accordo che investe il mark to market, ossia il costo, pari al valore effettivo del derivato ad una certa data, al quale una parte può anticipatamente chiudere tale contratto od un terzo estraneo all'operazione è disposto a subentrarvi, ma che deve estendersi agli scenari probabilistici e concernere la misura qualitativa e quantitativa della menzionata alea e dei costi, pur se impliciti, assumendo rilievo i parametri di calcolo delle obbligazioni pecuniarie nascenti dall'intesa, che sono determinati in funzione delle variazioni dei tassi di interesse nel tempo.
Vedi anche:
Cassazione civile, sez. I, ordinanza 19/03/2024 (ud. 30/01/2024) n. 7368
FATTI DI CAUSA
1. - River Hotel di Hu Aigin Sas ha convenuto in giudizio Banco Popolare Società Cooperativa, nella cui posizione è succeduta Banco BPM Spa, per sentir dichiarare la nullità del contratto di swap concluso tra le parti il 22 settembre 2008, oltre che del contratto quadro contestualmente perfezionato; in via subordinata l'attrice ha chiesto si pronunciasse l'annullamento del primo contratto per vizi del consenso e, in via ulteriormente gradata, la risoluzione dello stesso per inadempimento dell'intermediario; ha inoltre domandato che la banca stessa fosse condannata al risarcimento dei danni.
Nella resistenza della convenuta il Tribunale di Torino ha respinto le domande attrici.
2. - River Hotel ha proposto appello e la Corte di Torino ha pronunciato, in data 29 ottobre 2019, sentenza con cui, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato la banca a corrispondere all'appellante, a titolo di risarcimento del danno, la somma di Euro 20.165,93. In sintesi, il Giudice dell'impugnazione ha escluso che il contratto dedotto in lite fosse nullo, annullabile o passibile di una pronuncia di risoluzione per inadempimento; ha tuttavia osservato che, a fronte dell'inadempimento della banca al dovere di una corretta e completa informazione, potesse essere riconosciuto un risarcimento del danno, nella misura sopraindicata, commisurato all'ammontare della "commissione implicita" percepita dall'Istituto di credito: commissione apparentemente esclusa dal contratto, ma di fatto applicata dalla banca.
3. - Avverso detta decisione ricorre per cassazione River Hotel; l'impugnazione è articolata in sei motivi. Resiste con controricorso Banco BPM. Sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. - Il primo motivo oppone la violazione e falsa applicazione dell'art. 21 t.u.f. (D.Lgs. n. 58/1998), nonché degli artt. 27, 28, 29, 31, 32 e 40 reg. Consob n. 16190/2007. La censura investe "l'erronea impostazione generale adottata dalla Corte di merito nel valutare la fattispecie dedotta che è una operazione di investimento in uno strumento finanziario derivato (contratto swap)"; si rileva che una corretta ricostruzione logico-giuridica della fattispecie sulla base della normativa finanziaria applicabile avrebbe condotto il Giudice di appello a un "esito decisionale diametralmente opposto con pieno accoglimento delle domande della società appellante".
1.1. - Il motivo è inammissibile.
Esso risulta essere generico, non correlandosi ad alcuna precisa affermazione della Corte di appello.
L'onere di specificità dei motivi, sancito dall'art. 366, n. 4, c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all'art. 360, n. 3, c.p.c., a pena d'inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare - con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni - la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U. 28 ottobre 2020, n. 23745; Cass. 6 luglio 2021, n. 18998). Ne discende che deve considerarsi inammissibile il motivo di ricorso per cassazione per violazione o falsa applicazione di norme di diritto il quale raccordi l'error iuris in iudicando imputato al giudice del merito non già a specifici dicta della sentenza impugnata, ma a una "impostazione generale" della medesima.
2. - Col secondo motivo sono denunciate la violazione e falsa applicazione degli artt. 21 e 23 t.u.f., 1418, 1325 e 1346 c.c.. Ci si suole che la Corte distrettuale abbia affermato che l'indicazione del mark to market, inteso come valore negativo per il cliente, non era un elemento essenziale del contratto la cui mancata menzione potesse determinare la nullità del negozio per difetto di causa o per indeterminatezza dell'oggetto. Si deduce, altresì che la banca era tenuta a indicare gli elementi causali del contratto al fine di far comprendere all'investitore l'alea contrattuale; infatti, secondo l'istante, il riconoscimento normativo della causa del contratto "risiede nella razionalità dell'alea, cioè nella sua misurabilità e conoscibilità, non essendo meritevole di tutela un negozio in cui vi siano alee ignote ad uno dei contraenti e/o estranee all'oggetto dell'accordo". Viene osservato che il contratto di swap concluso dalla ricorrente mancava non solo dell'indicazione del mark to market, ma, altresì, dell'esplicitazione della "commissione implicita" applicata dalla banca, della rappresentazione del fatto che il contratto non era par, dell'individuazione dei criteri per determinare il "tasso parametro cliente" e i "tassi forward", della determinazione del valore del derivato al momento della stipula (pricing) e della prospettazione degli scenari probabilistici.
2.1. Il motivo appare fondato.
2.2. - La Corte di appello ha respinto il secondo motivo di gravame con cui l'odierna ricorrente aveva lamentato che il Tribunale avesse mancato di indagare l'eccepita nullità del contratto per difetto di causa in astratto e per indeterminatezza dell'oggetto in conseguenza della mancata indicazione in contratto di alcuni elementi essenziali (gli stessi che si sono sopra indicati). Ha escluso, in sintesi, che il mark to market fosse un elemento essenziale del contratto e che la mancanza dello stesso ne determinasse la nullità per difetto di causa. Ha precisato che il valore negativo dello swap non par al momento della stipula, corrispondente a un valore di mercato (mark to market) negativo per il cliente a tale data, senza riconoscimento di un premio corrispondente (upfront), "non è affatto né illegale né idoneo a determinare una nullità per difetto di causa attesa che l'oggetto del contratto non è certo identificato nel fair value iniziale, ma è costituito dallo scambio di differenziali calcolati su un capitale nozionale di riferimento con un'alea che non è alterata nella stipulazione di un contratto IRS non par". Ha aggiunto che l'eventuale squilibrio iniziale del contratto deve essere bensì conosciuto dall'investitore, ma che "la mancata esplicitazione del fair value negativo per il cliente senza riconoscimento di un upfront non attiene al tema della validità del contratto sotto il profilo del difetto di causa o del difetto di esplicitazione".
2.3. -Il dibattito sugli swap si è addensato, negli ultimi decenni, intorno a vari temi, ma quello di maggior rilievo è probabilmente legato ai cosiddetti costi impliciti del derivato (costi che integrano, in buona sintesi, il margine di remunerazione dell'intermediario) e alla conoscenza, da parte dell'investitore, dei predetti costi. Il presupposto è che gli swap, che hanno un contenuto non eteroregolamentato e che non sono standardizzati, siano normalmente caratterizzati da un disallineamento tra il prezzo teorico che lo strumento finanziario ha sul mercato e il prezzo di negoziazione del prodotto finanziario.
Tale disallineamento trova ragione nel fatto che l'intermediario che negozia per conto proprio è in grado di conoscere con maggior precisione le caratteristiche del prodotto (e quindi, essenzialmente, gli scenari probabilistici che sono associati ai flussi monetari che il contratto programma). Il rilievo dei costi impliciti - espressione di conio giurisprudenziale (anche se di "costi (...) che gravano (...) implicitamente sul cliente" parla anche la comunicazione Consob 9019104 del 2 marzo 2009, su cui infra) - non nasce però dall'esigenza che lo swap, al momento della sua stipula, dia origine a prestazioni di contenuto equivalente, giacché come è stato osservato, in dottrina, non vi è necessità che vi sia proporzione (o addirittura piena corrispondenza) tra i flussi di pagamento: il rapporto di valore tra le prestazioni di un negozio patrimoniale oneroso è estraneo alla causa di quel negozio e la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di precisare che nei contratti di scambio lo squilibrio economico originario delle prestazioni delle parti non può comportare la nullità del contratto per mancanza di causa, perché nel nostro ordinamento prevale il principio dell'autonomia negoziale, che opera anche con riferimento alla determinazione delle prestazioni corrispettive (Cass. 4 novembre 2015, n. 22567; in tema di vendita si reputa, così, che solo l'indicazione di un prezzo assolutamente privo di valore, meramente apparente e simbolico, possa determinare la nullità del contratto per difetto di uno dei suoi requisiti essenziali, mentre la pattuizione di un prezzo, notevolmente inferiore al valore di mercato della cosa venduta, ma non del tutto privo di valore, ponga solo un problema concernente l'adeguatezza e la corrispettività delle prestazioni ed afferisca, quindi, all'interpretazione della volontà dei contraenti e all'eventuale configurabilità di una causa diversa del contratto: Cass. 19 aprile 2013, n. 9640).
L'importanza dei costi impliciti nasce, piuttosto, dal fatto che l'occultamento del reale valore dello strumento finanziario è stato alternativamente considerato, nelle diverse prospettive ricostruttive che hanno trovato espressione in dottrina e in giurisprudenza, ora come un risultato non coerente con la causa del contratto, ora, come una condizione che rende indeterminabile l'oggetto di questo, ora come un inadempimento dell'intermediario agli obblighi informativi nei confronti dell'investitore: sicché la presenza dei detti costi potrebbe alternativamente rilevare sul piano genetico, determinando la nullità del contratto, oppure sulla dinamica attuativa del rapporto obbligatorio, traducendosi nella mancata osservanza, da parte dell'intermediario, dell'obbligo, posto dall'art. 23, lett. a), t.u.f., di "comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza per servire al meglio l'interesse del cliente": con conseguente applicazione dell'apparato rimediale operante per il caso di inadempimento.
2.4. - Una risposta, quanto al rimedio approntato dall'ordinamento a fronte del deficit informativo quanto ai costi impliciti e, più in generale, quanto ai contorni dell'alea che si correla ai flussi di pagamento propri dello swap, è stata in tempi relativamente recenti fornita, come è noto, dalle Sezioni Unite di questa Corte.
Queste hanno precisato che, in tema di interest rate swap, occorre accertare, ai fini della validità del contratto, se si sia in presenza di un accordo tra intermediario ed investitore sulla misura dell'alea, calcolata secondo criteri scientificamente riconosciuti ed oggettivamente condivisi: accordo che investe il mark to market, ossia il costo, pari al valore effettivo del derivato ad una certa data, al quale una parte può anticipatamente chiudere tale contratto od un terzo estraneo all'operazione è disposto a subentrarvi, ma che deve estendersi agli scenari probabilistici e concernere la misura qualitativa e quantitativa della menzionata alea e dei costi, pur se impliciti, assumendo rilievo i parametri di calcolo delle obbligazioni pecuniarie nascenti dall'intesa, che sono determinati in funzione delle variazioni dei tassi di interesse nel tempo (così Cass. Sez. U. 12 maggio 2020, n. 8770). Si ricava dalla lettura del testo completo della sentenza che il richiamato principio non è affatto circoscritto all'area dei contratti derivati conclusi dagli intermediari con le pubbliche amministrazioni: in tal senso deve smentirsi l'opinione espressa, sul punto, dalla ricorrente.
2.5. - Come è stato rilevato in altra occasione da questa Corte, la nullità che viene qui in discorso non è quella, virtuale (art. 1418, comma 1, c.c.), di cui si sono occupate in passato due ben note pronunce delle Sezioni Unite (Cass. Sez. U. 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725) per escludere che essa abbia a prospettarsi in caso di inosservanza degli obblighi informativi da parte dell'intermediario; la nullità in esame è, invece, una nullità strutturale (art. 1418, comma 2, c.c.) inerente ad elementi essenziali del contratto (Cass. 10 agosto 2022, n. 24654, in motivazione, punto 5).
In proposito, mette conto di rilevare che per la pronuncia delle Sezioni Unite del 2020 la nullità del contratto mancante delle richiamate indicazioni è una nullità per indeterminabilità dell'oggetto; le Sezioni Unite non escludono, tuttavia, che quella carenza ridondi anche sul piano della causa del contratto (cfr., segnatamente, oltre al punto 9.3, il punto 9.7 della sentenza, ove si esprime consenso nei confronti della pronuncia impugnata, la quale aveva precisato che il valore del derivato al momento della stipula costituiva elemento essenziale del contratto e integrativo della sua causa tipica: un'alea razionale e quindi misurabile, da esplicitare necessariamente ed indipendentemente dalla sua finalità di copertura - hedging - o speculativa).
Nella giurisprudenza di legittimità si è del resto già rilevato, in una pronuncia successiva a quella delle Sezioni Unite, come indipendentemente dalla sua finalità di copertura o speculativa del contratto di swap, la preventiva conoscibilità, ai fini della formazione dell'accordo in ordine alla misura dell'alea, gli elementi ed i criteri utilizzati per la determinazione del mark to market rilevi proprio sul piano causale (Cass. 7 novembre 2022, n. 32705).
2.6. - Quel che conta, nella presente sede, è che il contratto per cui è lite non recasse menzione del mark to market e dei costi impliciti (pag. 13 della sentenza impugnata) e mancasse in conseguenza di esplicitare il fair value (e cioè il valore) negativo del derivato (ivi, pag. 14). La Corte di appello avrebbe dovuto considerare che le richiamate carenze erano incidenti sulla validità del contratto e tali da determinarne la nullità.
2.7. - Nella propria memoria ex art. 380-bis.1 l'odierna controricorrente ha obiettato che, sul piano del diritto unionale, è fatto divieto assoluto agli Stati membri di introdurre requisiti informativi non previsti dalla normativa europea, onde, in sintesi, l'ordinamento italiano non potrebbe prevedere, nella materia che qui rileva, regole vincolanti supplementari rispetto a quelle poste delle direttive comunitarie che disciplinano i mercati degli strumenti finanziari.
Ora, per quanto interessa, l'art. 19 dir. 2004/39/CE (c.d. MIFID 1) prevede che tutte le informazioni, comprese le comunicazioni di marketing, indirizzate dalle imprese di investimento a clienti o potenziali clienti siano corrette, chiare e non fuorvianti, richiedendo, poi, che ai clienti o potenziali clienti vengano fornite in una forma comprensibile informazioni appropriate, sull'impresa di investimento e i relativi servizi, sugli strumenti finanziari e sulle strategie di investimento proposte il che dovrebbe comprendere opportuni orientamenti e avvertenze relativi, tra l'altro ai "rischi associati agli investimenti relativi a tali strumenti o a determinate strategie di investimento" e ai "costi e gli oneri connessi", in modo che "essi possano ragionevolmente comprendere la natura del servizio di investimento e del tipo specifico di strumenti finanziari che vengono loro proposti nonché i rischi ad essi connessi e, di conseguenza, possano prendere le decisioni in materia di investimenti con cognizione di causa".
La successiva dir. 2006/73/CE, che mira a fissare un quadro di regole atte ad assicurare l'applicazione uniforme delle disposizioni rilevanti della direttiva 2004/39/CE ha effettivamente chiarito, al considerando 7, che gli Stati membri e le autorità competenti "non devono aggiungere regole vincolanti supplementari all'atto del recepimento e dell'applicazione delle disposizioni" in essa contenute.
L'art. 31 di questa seconda direttiva prevede, inoltre, che gli Stati membri prescrivano alle imprese di investimento di fornire ai clienti o potenziali clienti una descrizione generale della natura e dei rischi degli strumenti finanziari, tenendo conto in particolare della classificazione del cliente. Tale descrizione "deve spiegare le caratteristiche del tipo specifico di strumento interessato, nonché i rischi propri a tale tipo di strumento, in modo sufficientemente dettagliato da consentire al cliente di adottare decisioni di investimento informate".
L'art. 33 della stessa direttiva, con riguardo alle informazioni sui costi e sugli oneri dello strumento finanziario, impone, tra l'altro, di rappresentare, se pertinente, "il prezzo totale che il cliente deve pagare in relazione allo strumento finanziario o al servizio di investimento o accessorio, comprese tutte le competenze, le commissioni, gli oneri e le spese connesse, e tutte le imposte che verranno pagate tramite l'impresa di investimento o, se non può essere indicato un prezzo esatto, la base per il calcolo del prezzo totale cosicché il cliente possa verificarla".
Quanto disposto nell'art. 19 della dir. 2004/39/CE e nell'art. 33 della dir. 2006/73/CE esclude che la necessità di dare evidenza, nel contratto, al mark to market e ai costi impliciti - necessità postulata dalle Sezioni Unite, e su cui ci si è in precedenza soffermati - si ponga in conflitto con la disciplina euro-unitaria: le indicazioni relative a tali elementi sono piuttosto coerenti con la necessità di specificare i rischi associati all'investimento, le caratteristiche dello strumento finanziario e il prezzo che il cliente deve pagare in relazione allo strumento finanziario e ai servizi ad esso correlati. E del resto, pure la Consob, con la richiamata comunicazione n. 9019104 del 2 marzo 2009, si pone in linea di continuità con tali prescrizioni. Essa, infatti, nel definire i doveri di correttezza e trasparenza in sede di distribuzione di prodotti finanziari illiquidi, ha espressamente raccomandato agli intermediari "di effettuare la scomposizione (c.d. unbundling) delle diverse componenti che concorrono al complessivo esborso finanziario sostenuto dal cliente per l'assunzione della posizione nel prodotto illiquido, distinguendo fair value (con separata indicazione per l'eventuale componente derivativa) e costi - anche a manifestazione differita - che gravano, implicitamente o esplicitamente, sul cliente", chiarendo che a quest'ultimo deve essere "fornita indicazione del valore di smobilizzo dell'investimento nell'istante immediatamente successivo alla transazione, ipotizzando una situazione di invarianza delle condizioni di mercato".
2.8. - Non coglie nel segno nemmeno l'ulteriore deduzione della controricorrente, secondo cui all'ordinamento italiano sarebbe precluso qualificare come regole di validità quelle attinenti alle indicazioni di cui il contratto in contestazione era mancante.
Infatti, la Corte di giustizia, pronunciandosi sugli obblighi previsti dall'art. 19, paragrafi 4 e 5, dir. 2004/39/CE ha affermato che spetta all'ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro disciplinare le conseguenze contrattuali del mancato rispetto degli obblighi in materia di valutazione ivi previsti da parte di un'impresa di investimento che propone un servizio di investimento, fermo restando il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività (Corte giust. UE 30 maggio 2013, Genil 48 SL, C-604/11, 57): val la pena qui di precisare che in base alle regole di equivalenza ed effettività i richiamati requisiti non devono essere meno favorevoli di quelli che riguardano reclami analoghi di natura interna, né essere congegnati in modo tale da rendere praticamente impossibile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico dell'Unione. L'enunciato di cui alla citata sentenza è conforme a un principio di carattere generale (si vedano, ad esempio: Corte giust. UE 19 luglio 2012, Littlewoods Retail, C-591/10, 27; Corte giust. CE 6 ottobre 2005, MyTravel, C-291/03, 17) che deve trovare pertanto applicazione anche con riguardo alla fattispecie di cui all'art. 19.3 della nominata direttiva.
3. - Il terzo motivo prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 21 t.u.f., 39, 30 e 42 reg. Consob n. 16190/2007. Viene osservato che la Corte di appello, pur muovendo dal corretto assunto per cui la valutazione della convenienza del derivato debba essere operata ex ante e non ex post, aveva mancato di valorizzare, in concreto, la circostanza per cui lo swap non era par e di correlare la stessa al tema della adeguatezza dello strumento finanziario, verificando se il prodotto in questione effettivamente si attagliasse al profilo dell'investitore.
Col quarto motivo si lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 21 e 23 t.u.f., nonché degli artt. 1427 ss. c.c.. La sentenza impugnata è qui censurata nella parte in cui è stata rigettata la domanda di annullamento del contratto per vizio del consenso. Ad avviso della ricorrente il deficit informativo determinato dalla reticenza dell'intermediario dimostrerebbe, per presunzione, l'errore essenziale in cui era incorsa la stessa istante quanto alla natura e alla qualità dell'oggetto del contratto.
Col quinto motivo si denuncia per cassazione la violazione e falsa applicazione degli artt. 27, 28, 29, 31, 32, 39, 40, 42 reg. Consob n. 16190/2007, nonché degli artt. 1176 e 1453 ss. c.c.. Ci si duole che l'inadempimento ascrivibile alla banca non sia stato ritenuto idoneo a giustificare la risoluzione del contratto. Viene rilevato, in particolare, che l'investitore deve essere reso edotto dell'equilibrio esistente tra le obbligazioni contrattuali (quindi del fair value) e che, in difetto, viene a delinearsi "un grave inadempimento informativo contrattuale di correttezza, trasparenza e diligenza che non può che portare alla risoluzione del contratto swap".
Il sesto motivo reca una censura di violazione e falsa applicazione degli artt. 21 e 23 t.u.f., nonché degli artt. 1223,1224 e 1226 c.c.. La doglianza afferisce alla misura del risarcimento che la Corte di appello ha disposto: viene dedotto che tale risarcimento non poteva essere limitato alla misura della commissione sottaciuta, dal momento che il materia di investimenti il danno subito dall'investitore, in caso di adempimento da parte degli intermediari agli obblighi comportamentali nella prestazione di un servizio di investimento, deve essere individuato nelle perdite subite: perdite che, nel caso di specie, erano costituite dalla sommatoria dei flussi di pagamento corrisposti da River Hotel è pari ad oltre Euro 148.000,00 alla data del 31 dicembre 2013.
3.1. - I detti motivi sono da considerarsi assorbiti, in quanto ineriscono a profili (vizio del consenso, inadempimento) fatti valere in via subordinata nel giudizio di merito.
4. - La sentenza è cassata in accoglimento del secondo mezzo di censura. La causa è rinviata alla Corte di appello di Torino che giudicherà in diversa composizione e statuirà pure sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte
accoglie il secondo motivo, dichiara inammissibile il primo e assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Torino in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1 Sezione Civile, in data 30 gennaio 2024.
Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2024.
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