I mutamenti giurisprudenziali relativi all'assegno di divorzio non rappresentano, da soli, una causa valida per la revisione delle condizioni di divorzio stabilite.
La ha ribadito la Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 7650 del 21 marzo 2024.
I giudici di legittimità ricordano che affinché si possa procedere a una revisione, è necessario che emergano "giustificati motivi", ovvero circostanze nuove capaci di modificare in modo significativo l'equilibrio economico e patrimoniale definito dalle condizioni di divorzio su cui si è basata la sentenza definitiva.
Tale principio è applicabile specialmente nei casi in cui le condizioni di divorzio derivano da un accordo tra le parti incluso nella sentenza, dopo una domanda di divorzio congiunta. In queste situazioni, le parti avevano precedentemente accettato i termini dell'assegno divorzile ritenendoli adeguati.
La Corte ha sottolineato che, una volta che la sentenza di divorzio diventa definitiva, si forma il giudicato, che non può essere messo in discussione con una nuova valutazione delle condizioni economiche antecedenti delle parti o considerando fatti che erano già noti o avrebbero potuto essere contestati prima della sentenza. Di conseguenza, solo eventi successivi alla definizione del giudicato possono essere presi in considerazione per una possibile revisione delle condizioni di divorzio.
I mutamenti giurisprudenziali, segnatamente quelli in tema di assegno di divorzio, non costituiscono una ragione che di per sé giustifica la revisione delle condizioni di divorzio; occorre infatti che sussistano "giustificati motivi" e cioè circostanze sopravvenute e idonee ad alterare significativamente l'assetto economico patrimoniale dato dalle condizioni di divorzio sulle quali si è formato il giudicato. Il giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o dell'entità dell'assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta, ma, alla luce dei principi affermati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 18287 del 2018 deve verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato gli equilibri sanciti dall'assetto economico patrimoniale dato dalla sentenza di divorzio.
Cassazione civile, sez. I, ordinanza 21/03/2024, (ud. 13/12/2023) n. 7650
RILEVATO CHE
Le parti hanno contratto matrimonio in Roma il (...)1993, e dalla loro unione sono nati Fi.El., il (...), e Fi.Gi., il (...).
Con sentenza n. 24995/13 il Tribunale di Roma, su domanda congiunta, ha dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio e recepito gli accordi delle parti, in base ai quali Fi.Gi. si obbligava a versare un assegno divorzile di 314,00 mensili in favore della (ex) moglie e un contributo di Euro 366,00 mensili per il mantenimento di ciascuno dei figli, oltre al 50% delle spese di istruzione e di quelle mediche non coperte dal SSN.
Con ricorso ex artt. 337 quinquies c.c. e art. 9 l. 898/1970, Fi.Gi. ha chiesto la modifica delle condizioni, in ragione della contrazione dei suoi redditi e della nascita di un altro figlio (da nuova compagna), chiedendo la eliminazione dell'assegno di divorzio, in subordine la sua riduzione. Il Tribunale ha respinto la domanda. L'odierno ricorrente ha proposto reclamo, che la Corte d'appello ha respinto, rilevando che il mutamento giurisprudenziale in materia di attribuzione dell'assegno di divorzio non giustifica la sua revisione, che alcune delle circostanze dedotte sono irrilevanti in quanto già previste in sede di divorzio o comunque immutate rispetto all'epoca, che i redditi di entrambi si sono ridotti, ma i redditi del ricorrente in misura minore rispetto alla riduzione subita dalla ex moglie, che l'impegno economico per il mantenimento del nuovo figlio non appare avere menomato in modo significativo le finanze del ricorrente risultando che la sua compagna ha acquistato un appartamento e quindi gode di risorse, appartamento che secondo le deduzioni della Bo.Va. sarebbe invece stato acquistato con denaro del Fi.Gi.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione Fi.Gi. affidandosi a sei motivi. Si è costituita con controricorso Bo.Va. Il ricorrente ha depositato memoria.
La causa è stata trattata all'udienza camerale non partecipata dal 13 dicembre 2023.
RITENUTO CHE
1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta la nullità del decreto impugnato per inesistenza e apparenza della motivazione, in particolare circa la verifica dell'incidenza delle circostanze sopravvenute, in ordine al deterioramento delle capacità economiche del ricorrente, per la nascita di un suo terzo figlio e il sopraggiungere di altri suoi obblighi verso la costituita nuova famiglia. Il ricorrente deduce che, a fronte delle riduzioni della sua capacità economica per fattori causali comuni (aumento del costo della vita, aumento del contributo per le spese straordinarie dei due figli nati in costanza di matrimonio), il decreto impugnato non ha spiegato in alcun modo la affermata equivalenza delle riduzioni in presenza - documentata - di ulteriori sopraggiunte obbligazioni ex lege riguardanti esclusivamente esso ricorrente. Deduce altresì che il decreto impugnato ha omesso di considerare tutti i redditi delle parti così come documentati in atti, limitando la comparazione ai soli redditi da lavoro dipendente. Nella pronuncia oggetto della odierna impugnazione, inoltre, manca qualsivoglia motivazione in ordine all'avvenuta operazione ermeneutica da parte del Giudice del merito, circa la ponderazione e valutazione delle circostanze fattuali sopravvenute e provate dalle parti rispetto ai principi affermati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 18287 del 2018.
2.- Con il secondo motivo del ricorso si lamenta la nullità del decreto impugnato e la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. in relazione all'art. 9 della legge 879/1970 nella parte in cui è stata "compensata" la sopravvenienza rappresentata dalla costituzione di un nuovo nucleo familiare e la riduzione delle risorse del ricorrente per causa dei sopraggiunti obblighi verso il nuovo figlio, con l'aumento del costo della vita e con l'aumento delle necessità dei due figli nati dal matrimonio. Il ricorrente deduce che il decreto impugnato manifesta violazione di legge nella parte in cui non ha riconosciuto la legittimità dell'incidenza, sul quantum dell'assegno divorzile, del presunto incremento dei costi conseguenti alle diverse esigenze dei figli percettori di assegno di mantenimento. I Giudici del merito, pur prendendo atto che il ricorrente versa il mantenimento in favore dei figli di prime nozze, hanno ritenuto che il presunto incremento delle spese per il mantenimento dei figli nati dal matrimonio, in ragione della loro età, fosse circostanza idonea a rigettare la revisione dell'assegno divorzile riconosciuto in favore della madre dei ragazzi.
3. - Con il terzo motivo del ricorso si lamenta la violazione e la falsa applicazione della legge 1 dicembre 1970, n. 898, art. 9, sotto il profilo dell'omessa valutazione comparativa della condizioni economiche delle parti in conseguenza dei fatti sopravvenuti ed in esito ai nuovi assetti familiari e alle nuove esigenze economiche e alla doverosa osservanza degli obblighi di mantenimento nei confronti del nuovo nucleo familiare e del figlio minore. Il ricorrente deduce che ha errato la Corte ad affermare che l'impegno economico per il mantenimento del nuovo figlio non ha menomato in modo significativo le sue risorse. La Corte di merito, secondo il ricorrente, con una frase stereotipata, priva di qualsiasi sostegno argomentativo, e dunque con motivazione meramente apparente, non ha proceduto alla verifica in concreto della sussistenza e della incidenza del fatto sopravvenuto, allegato rispetto alla capacità reddituale esistente al momento del divorzio. La Corte si è limitata a rigettare il reclamo sul presupposto dell'irrilevanza della costituzione del nuovo nucleo familiare sul quantum dell'assegno divorzile, senza tuttavia indicare l'iter logico-giuridico che ha condotto a tale affermazione a fronte di una situazione reddituale sostanzialmente immutata della controparte, mentre egli ha subito un peggioramento reddituale e un incremento degli oneri solo su lui gravanti per il mantenimento del nuovo nucleo familiare. La Corte di merito, invece, ha omesso di motivare per quale ragione ha ritenuto di non ravvisare le conseguenze negative sulla capacità di reddito dell'obbligato, pur essendovi prova del decremento reddituale subito e soprattutto della costituzione del nuovo nucleo familiare e dell'inoccupazione della attuale compagna.
4. - Con il quarto motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell'art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c. la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. di cui all'art. 115 e 116 c.p.c. nella parte in cui il giudicante ha ritenuto non contestata l'avversa asserzione in ordine all'acquisto da parte del ricorrente di un immobile, fittiziamente intestato alla sua compagna. Il ricorrente deduce che erroneamente la Corte di merito ha affermato la mancata contestazione in ordine all'asserita fittizia intestazione, mentre dagli atti processuali emerge la specifica contestazione sul punto e manca ogni motivazione che spieghi perché l'appartamento, documentatamente acquistato dalla sua compagna con propri fondi e con intervento economico di sua madre, è conteggiato dal provvedimento impugnato come patrimonio del ricorrente.
5. Con il quinto motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115-116 c.p.c., ai sensi dell'art. 360 n. 4 cpc. sotto il profilo della immotivata esclusione, dal complesso probatorio scaturito dalla documentazione offerta dalle parti, degli elementi di reddito diversi dal reddito di lavoro dipendente. Il ricorrente deduce che ha errato la Corte di merito perché ha raffrontato il solo reddito da lavoro dipendente della controparte con il "reddito complessivo lordo" percepito da esso ricorrente. Inoltre, deduce che la Corte di merito ha omesso di considerare che non è stata allegata la dichiarazione dei redditi della controparte per gli anni 2019 e 2020, e che non è stata valutata una autocertificazione (tardivamente depositata) con la quale la controparte ha dichiarato di essere titolare di buoni postali e di un libretto postale, così travisando la prova.
6.- Con il sesto motivo del ricorso si lamenta, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 112 c.p.c. Il ricorrente lamenta la nullità della sentenza per omessa o apparente motivazione circa la verifica, alla luce dei principi affermati dalle sezioni unite nella sentenza n. 18287 del 2018, dell'incidenza delle circostanze sopravvenute e provate dalle parti, sugli equilibri sanciti dall'assetto economico patrimoniale dato dalla sentenza di divorzio. Deduce che ha errato la Corte d'appello a ritenere che il reclamante abbia erroneamente assimilato i "nuovi" criteri interpretativi giurisprudenziali, inidonei ad incidere sul giudicato formatosi in virtù della sentenza attributiva dell'assegno divorzile, ai "giustificati motivi sopraggiunti", circostanze di fatto idonee a mutare l'assetto patrimoniale e quindi a incidere sul giudicato". Rileva che egli non ha mai posto a fondamento della richiesta di revisione dell'assegno divorzile i "nuovi" criteri interpretativi giurisprudenziali ma, ben diversamente, ha richiesto che il Tribunale prima e la Corte di Appello dopo, in ragione delle circostanze fattuali sopravvenute e documentate (nascita nuovo figlio, nuovo nucleo familiare, decremento reddituale), procedessero al giudizio di revisione dell'assegno divorzile, da rendersi, poi, in applicazione dei principi giurisprudenziali attuali
7. I motivi possono esaminarsi congiuntamente.
Le censure, che in più punti ripetono le stesse argomentazioni, hanno una configurazione unitaria, posto che il ricorrente lamenta che la Corte di merito non abbia correttamente valutato, alla luce dei principi attualmente applicabili in tema di assegno di divorzio, la rilevanza dei fatti sopravvenuti e tra questi la nascita di un nuovo figlio dalla sua attuale compagna, erroneamente stimando le condizioni economiche delle parti e che sia incorsa in un errore di percezione del contenuto oggettivo della prova documentale, tale da consentire l'affermazione che il giudice non ha deciso in base alle prove prodotte dalle parti.
Le censure scontano plurimi profili di inammissibilità, nella parte in cui travisano la ratio decidendi del provvedimento o non si confrontano adeguatamente con essa, e sollecitano una inammissibile revisione del giudizio di fatto operato dalla Corte di merito.
7.1. - Si deve qui ribadire, preliminarmente, che i mutamenti giurisprudenziali, segnatamente quelli in tema di assegno di divorzio, non costituiscono una ragione che di per sé giustifica la revisione delle condizioni di divorzio; occorre infatti che sussistano "giustificati motivi" e cioè circostanze sopravvenute e idonee ad alterare significativamente l'assetto economico patrimoniale dato dalle condizioni di divorzio sulle quali si è formato il giudicato. Il giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o dell'entità dell'assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta, ma, alla luce dei principi affermati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 18287 del 2018 deve verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato gli equilibri sanciti dall'assetto economico patrimoniale dato dalla sentenza di divorzio (Cass. n. 1645 del 19/01/2023; Cass. n. 7666 del 09/03/2022 v. anche Cass. n. 1119 del 20/01/2020). A maggior ragione questi principi valgono nel caso di specie, ove le condizioni di divorzio derivano da un accordo delle parti recepito nella sentenza emessa a seguito di ricorso congiunto; vale a dire che liberamente le parti a suo tempo hanno ritenuto sussistenti i presupposti per la spettanza dell'assegno divorzile.
Sulle statuizioni della sentenza di divorzio si forma il giudicato, sia pure rebus sic stantibus, per cui il giudice, in sede di procedimento avente a oggetto la loro revisione, non può procedere a una diversa ponderazione delle pregresse condizioni economiche delle parti, né può prendere in esame fatti anteriori alla definitività del titolo stesso o che comunque avrebbero potuto essere fatti valere con gli strumenti concessi per impedire tale definitività, potendo considerare solo fatti successivi alla formazione del predetto giudicato (Cass. n. 6639 del 06/03/2023).
A questi principi si è correttamente attenuta la Corte di merito, con giudizio conforme a quello già reso in primo grado, rilevando che talune delle circostanze prospettate dalla parte non costituivano fatti nuovi ed altre circostanze erano irrilevanti o non significativamente incidenti sugli equilibri economico patrimoniali dati dagli accordi divorzio. Diversamente da quanto dedotto dal ricorrente, il giudice d'appello non ha "compensato" le diverse poste economiche.
7.2. - Quanto al fatto nuovo saliente che la parte evidenzia, e cioè la costituzione di un nuovo nucleo familiare e la nascita di un altro figlio, con i conseguenti oneri di mantenimento, si tratta di circostanza che la Corte di merito ha esaminato, alla luce dei principi già affermati in materia da questa Corte, e cioè valutando se questa circostanza fosse idonea a incidere in maniera significativa sulle risorse del soggetto obbligato.
Costituisce invero principio consolidato, cui la Corte di merito si è attenuta, che in tema di assegno divorzile, qualora a supporto della richiesta di sua diminuzione siano allegati sopravvenuti oneri familiari dell'obbligato, e segnatamente la nascita di un altro figlio, il giudice deve verificare se si gli stessi abbiano determinato un effettivo depauperamento delle sostanze dell'obbligato medesimo, tale da postulare una rinnovata valutazione comparativa della situazione economico-patrimoniale delle parti o se, viceversa, la complessiva, mutata condizione dell'obbligato non sia comunque di consistenza tale da rendere irrilevanti i nuovi oneri (Cass. n. 21818 del 29/07/2021; Cass. n. 6289 del 19/03/2014).
Il dovere di mantenere i figli e di assicurare loro assistenza morale e materiale grava infatti su entrambi i genitori, in proporzione alle loro capacità e risorse. Pertanto, correttamente la Corte d'appello ha considerato anche la condizione economico patrimoniale della compagna del ricorrente, dando rilievo alla circostanza che costei sia proprietaria di un immobile; ed è questa la circostanza non contestata che la Corte ha valorizzato, rilevando che in ogni caso essa è indice di disponibilità economica del nuovo nucleo familiare, tanto nel caso in cui sia stata acquistata con denaro della donna, tanto nel caso in cui sia stata acquistata con denaro del ricorrente.
Non può dirsi quindi sia stato erroneamente applicato il principio della non contestazione o che vi sia stato travisamento della prova. Il travisamento della prova, per essere censurabile in Cassazione ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per violazione dell'art. 115 c.p.c., postula: a) che l'errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova ("demonstrandum"), ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima ("demonstratum"), con conseguente, assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre; b) che tale contenuto abbia formato oggetto di discussione nel giudizio; c) che l'errore sia decisivo, in quanto la motivazione sarebbe stata necessariamente diversa se fosse stata correttamente fondata sui contenuti informativi che risultano oggettivamente dal materiale probatorio e che sono inequivocabilmente difformi da quelli erroneamente desunti dal giudice di merito; d) che il giudizio sulla diversità della decisione sia espresso non già in termini di possibilità, ma di assoluta certezza (Cass. n. 9507 del 06/04/2023).
In questo caso non si apprezza la sussistenza di alcuno di questi presupposti e in particolare non si apprezza la sussistenza del presupposto sub. a), essendo stata censurata la valutazione e non la ricognizione del contenuto oggettivo degli elementi di prova documentale, nel contesto di una valutazione complessiva di quelle che sono le sopravvenienze e la loro incidenza sulle condizioni economiche delle parti, nei termini sopra esposti. Il che comporta che la relativa censura ricade nell'ambito della doglianza meritale.
Deve qui peraltro anche ricordarsi che, per costante principio affermato nella giurisprudenza di questa Corte, al fine di adempiere all'obbligo della motivazione, il giudice del merito non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali ed a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo aver vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n. 8767 del 15/04/2011; Cass. n. 12123 del 17/05/2013; Cass. n. 29730 del 29/12/2020; Cass. n. 10525 del 31/03/2022).
Si tratta, in definitiva, di censure di merito e deve qui ricordarsi che il vizio di insufficienza della motivazione non è più deducibile a seguito della novella apportata all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. dalla l. n. 134 del 2012.
Ne consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso; le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000,00 per compensi, euro 200,00 per spese non documentabili, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto. Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti ivi riportati.
Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2024.