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Titoli nobiliari possono essere tutelati solo se trasformati in cognome

Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.8955 del 04/04/2024

È possibile la trasformazione di predicati di titoli nobiliari in cognomi ai fini della loro tutela giuridica?

Torna sulla questione la Prima sezione civile della Cassazione con l'ordinanza n. 8955 del 04 aprile 2024.

La Corte ricorda la Disposizione XIV della Costituzione secondo cui i titoli nobiliari "non sono riconosciuti", ma i predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922 "valgono come parte del nome".

La norma va interpretata alla luce dei principi stabiliti dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 101 del 1967, per cui i predicati di titoli nobiliari possono essere trasformati in cognomi e quindi tutelati come tali, purché i titoli esistano prima del 28 ottobre 1922 e siano stati riconosciuti prima dell'entrata in vigore della Costituzione. Tali principi sono conformi all'articolo 6 del codice civile e dal combinato disposto degli articoli 2 e 7 dello stesso codice, che insieme sottolineano la tutela del diritto al nome.

Nel caso di specie, alcuni membri di una famiglia chiedevano il riconoscimento di un predicato nobiliare come parte del cognome. La domanda, rigettata dal tribunale e dalla Corte d'Appello, è stata accolta dalla Cassazione sulla base dei documenti che attestano il riconoscimento del titolo nobiliare, concesso nel 1703 e successivamente riconosciuto con un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 1941.

La sentenza ha anche ribadito che il diritto al nome è personalissimo e quindi suscettibile di tutela ordinaria individuale, senza che i congiunti debbano partecipare attivamente alla richiesta di tutela. In questo contesto, ogni discendente del titolare originale del titolo ha il diritto di avviare autonomamente un'azione giudiziaria, mantenendo la stessa libertà per coloro che preferiscono rimanere inattivi.

La decisione riafferma inoltre il principio di eguaglianza, sottolineando che il predicato nobiliare, una volta trasformato in cognome, non ha un valore superiore rispetto ad altre parti del nome, in ossequio al principio di eguaglianza stabilito dall'articolo 14 della Costituzione. Questo principio riduce i privilegi basati sulla nascita o l'appartenenza a una classe sociale, sottolineando l'importanza del nome come diritto fondamentale legato all'identità della persona.

In conclusione, la Corte ha ordinato agli Ufficiali dello Stato civile di annotare il predicato nobiliare ai margini degli atti di nascita interessati, confermando che i predicati di titoli nobiliari, una volta cognomizzati, hanno validità nell'ordinamento giuridico italiano solo come parte del nome.

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Cassazione civile, sez. I, ordinanza 04/04/2024 (ud. 21/03/2024) n. 8955

FATTI DI CAUSA

1. Con atto notificato il 22 marzo 2011, Lu.Fa., Lu.Gi., Lu.Lu. e Lu.Be. citarono la Presidenza del Consiglio dei Ministri avanti al Tribunale di Roma chiedendo che questo volesse "riconoscere e pronunciare il diritto dei concludenti ad aggiungere al proprio cognome, come parte inscindibile dello stesso, il predicato "di Aprigliano", ordinando ai competenti Ufficiali dello Stato Civile di Crotone e Roma di procedere alle relative annotazioni a margine dei rispettivi atti di nascita". A sostegno di tali richieste esposero che, con diploma del 24 settembre 1703, reso esecutivo nel regno di Napoli il successivo 24 novembre, il re Filippo V concesse a Lu.Fa. di Crotone il titolo di marchese sul feudo di Aprigliano, di cui questi era stato investito qualche anno prima. In tale titolo e feudo succedettero, quindi, di padre in figlio, i suoi discendenti fino a Sa.Fr. (1758-1843), che era stato, appunto, il quarto marchese di Aprigliano. Da costui nacque Al. (7 novembre 1803), da questi An. (16 gennaio 1830) e da lui Ar. (18 settembre 1855) che, sposata Di.Fr., si rese padre, tra gli altri, di Ar.An., nato a Cr l'11 agosto 1892. A quest'ultimo, con decreto ministeriale del 24 gennaio 1941, registrato alla Corte dei conti il successivo 11 marzo, fu riconosciuto il titolo di nobile dei marchesi di Aprigliano, con il quale lo stesso Ar.An. ed i suoi figli Lu.Ar. (nato a Cr il 23 agosto 1915), Ma. (nato a C il 19 aprile 1927), Ma. (nata a Cr il 10 marzo 1929) e Fr. (nato a Cr il 21 agosto 1934) furono iscritti alla pagina 5 del volume XXVIII del Libro d'oro della nobiltà italiana, custodito presso l'Archivio Centrale dello Stato in Roma. In particolare, e per quel che rileva in questo giudizio, dalle nozze tra il predetto Ar.An. con Ga.Fr. nacquero, come si è già anticipato: 1) Lu.Ar., sposato a Roma, il 22 maggio 1944, con Sc.Ma. e da essi gli attori (odierni ricorrenti) Avv. Lu.Fa., Lu.Gi., Lu.Lu. e Lu.Be.; 2) Lu.Ma., sposato, il 14 aprile 1969, con Lu.Su. da cui nacquero i figli Lu.Ch., Lu.Ot., @10.Lu.Ni. ed Lu.El.; 3) Lu.Fr., padre di Lu.Gi. e Lu.Ma.. Sul pacifico presupposto che, nella specie, si vertesse in ipotesi di un titolo nobiliare concesso (il 24 settembre 1703) precedentemente al 28 ottobre 1922 e riconosciuto (il 24 gennaio 1941) prima dell'entrata in vigore della Costituzione, gli attori conclusero nei termini sopra riportati, in forza del disposto del comma 2 della XIV Disposizione transitoria e finale della Costituzione, per come interpretata dalla Corte Costituzionale con la sentenza dell'8 luglio 1967, n. 101, ed in applicazione dei principi in essa affermati e ribaditi dalla giurisprudenza di legittimità e dalla dottrina successivamente formatasi in materia.

1.1. Si costituì in giudizio l'Avvocatura dello Stato, nell'interesse della Presidenza del Consiglio dei Ministri, la quale, dopo avere osservato che, "secondo quanto rappresentato dal Segretariato Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Ufficio Onorificenze e Araldica, hanno pieno diritto di aggiungere al cognome il predicato "di Aprigliano secondo quanto disposto dalla XIV disposizione finale della Costituzione, una volta dimostrata, nella presente sede, la discendenza dal primo titolare del marchesato di Aprigliano", concluse per l'accoglimento della domanda attrice, se fondata e provata.

1.2. Trattenuta la causa in decisione, la stessa, poi, fu rimessa sul ruolo istruttorio, con ordinanza del 15 gennaio 2013, per l'integrazione del contraddittorio, ai sensi dell'art. 102 cod. proc. civ., nei confronti degli altri discendenti di Ar.An. (destinatario del provvedimento di riconoscimento del 1941).

1.3. Si costituivano, allora, i chiamati iussu iudicis, alcuni dei quali aderirono alle domande degli attori, facendole proprie e chiedendo la cognomizzazione del predicato "di Aprigliano" a beneficio di tutti i discendenti di Ar.An. evidenziando la necessità di salvaguardare, anche in tal modo, l'unitarietà della famiglia.

1.4. Con sentenza del 7 dicembre 2015, n. 24448, l'adito tribunale respinse la domanda, invocando i princìpi desumibili dalla sentenza della Corte costituzionale n. 101 del 26 giugno 1967. Ritenne che gli attori non avevano provato l'anteriorità della concessione del titolo rispetto al 28 ottobre 1922, né avevano allegato e dimostrato la specifica funzione di identificazione sociale del proprio ristretto nucleo familiare con il predicato "di Aprigliano" nonché la circostanza che tale predicato fosse proiezione sociale della propria personalità ed identità familiare ed il rischio di confusione che la mancata modifica avrebbe potuto pubblicamente ingenerare.

2. Il gravame promosso contro questa decisione da Lu.Fa., Lu.Gi. Lu.Lu. e Lu.Be. fu rigettato dall'adita Corte di appello di Roma con sentenza del 26 novembre 2021, n. 7879, resa nel contraddittorio con la Presidenza del Consiglio dei Ministri (che chiese nuovamente l'accoglimento delle domande attrici), con i costituitisi Lu.Fr., Lu.Gi., Lu.Ma., Lu.Ch., Lu.Ot., Lu.Ni. ed Lu.El. (che chiesero l'accoglimento dell'impugnazione ed il riconoscimento anche in loro favore del diritto a cognomizzare il predicato "di Aprigliano" ove riconosciuto agli appellanti), nella contumacia di Lu.Ma., Lu.Ma., Sc.Al., Sc.Fr., Sc.Gi., Sc.Ma. e Sc.Ma. (tutti discendenti di Lu.Ma.), nonché con l'intervento del Procuratore Generale della Repubblica presso quella corte (che non sollevò obiezioni alla domanda degli appellanti).

2.1. In particolare, la corte capitolina condivise l'interpretazione della XIV Disposizione transitoria e finale della Costituzione offerta dal tribunale, che, a suo dire, aveva correttamente inteso la sentenza della Corte costituzionale n. 101/1967, della quale, peraltro, riportò ampi stralci della relativa motivazione. Ritenne, inoltre, che la giurisprudenza di legittimità seguita alla decisione della Consulta aveva spiegato che, non avendo alcuna giuridica rilevanza i titoli nobiliari, i predicati nobiliari potevano trovare tutela nell'ordinamento costituzionale italiano soltanto ai sensi dell'art. 2 Cost., ovvero come diritto della personalità e diritto al nome, se il titolo nobiliare fosse già stato riconosciuto prima del 28 ottobre 1922. Secondo la corte distrettuale, "La dizione letterale della norma transitoria, d'altra parte, non è equivoca laddove stabilisce che possano valere come parte del nome soltanto i predicati già esistenti prima del 28 ottobre 1922 ovvero quelli già riconosciuti a tale data. Tale interpretazione della norma costituzionale è coerente con l'art. 6 del codice civile che prevede che "Ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito. Nel nome si comprendono il prenome e il cognome. Non sono ammessi cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome, se non nei casi e con le formalità dalla legge indicati" da cui il conseguente limite costituito dalla Carta Costituzionale. Pertanto, bene ha ritenuto il Tribunale che, nella specie, non possano ritenersi probanti il decreto del Presidente del Consiglio pro tempore del 1941 di riconoscimento del titolo di nobile dei Marchesi Lu. di Aprigliano e lo stralcio dell'Elenco Ufficiale Nobiliare Italiano del 1922, approvato con decreto n. 972 del 3 luglio 1921, che menzionava il titolo nobiliare de quo, in quanto gli stessi non dimostrano la preesistenza - nel senso di riconoscimento - del predicato al nome anteriore al 28 ottobre 1922, così dovendosi intendere la XIV disposizione transitoria e finale".

3. Per la cassazione di questa sentenza hanno proposto ricorso Lu.Fa., Lu.Gi., Lu.Lu. e Lu.Be., affidandosi a due motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ.. La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha depositato un controricorso nel quale ha concluso per l'accoglimento dell'avverso ricorso e, per l'effetto, dell'originaria domanda degli attori. Lu.Fr., Lu.Gi., Lu.Ma., Lu.Ch., Lu.Ot., Lu.Ni. ed Lu.El. hanno depositato un proprio controricorso, corredato pure da memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ., condividendo quello principale e promuovendo ricorso incidentale recante due motivi. Sono rimasti solo intimati, invece, Lu.Ma., Sc.Al., Sc.Fr., Sc.Ma., Sc.Gi. e Sc.Ma., in proprio e quali eredi di Lu.Ma., nonché la Procura Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Roma.

3.1. La Prima Sezione civile di questa Corte, assegnataria del procedimento, con ordinanza interlocutoria del 6/10 ottobre 2023, n. 28313, ha osservato che: i) a seguito di ordinanza interlocutoria n. 20588 del 2023, è stata rimessa alle Sezioni Unite di questa Corte, tra le altre, la questione se l'impugnazione incidentale tardiva sia ammissibile anche quando rivesta le forme dell'impugnazione adesiva rivolta contro la parte investita dell'impugnazione principale, in ragione del fatto che l'interesse alla sua proposizione sorge dall'impugnazione principale, oppure se la stessa possa essere esperita soltanto dalla parte "contro" la quale è stata proposta l'impugnazione principale, o da quella chiamata ad integrare il contraddittorio a norma dell'art. 331 cod. proc. civ.; ii) la soluzione di tale questione  sebbene prospettata dall'ordinanza interlocutoria suddetta con riguardo all'appello, si riflette, ovviamente, anche sulla sorte dell'impugnazione tardiva concretizzata mediante il ricorso adesivo in cassazione.

Pertanto, ha ritenuto necessario attendere la pronuncia delle Sezioni Unite, che avrebbero trattato il ricorso culminato nella descritta ordinanza interlocutoria nel corso della pubblica udienza (allora) già fissata per il giorno 13 febbraio 2024 ed ha rinviato l'odierno procedimento all'adunanza camerale del 21 marzo 2024.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I formulati motivi del ricorso principale denunciano, rispettivamente:

I) "Violazione e falsa applicazione del comma 2° della XIV Disposizione transitoria della Costituzione in collegamento con l'art. 6 cod. civ.. Violazione e falsa applicazione dell'art. 132 c.p.c., comma 4, con riferimento all'art. 360, comma 1, 3, c.p.c.". Si ascrive alla corte distrettuale di avere ritenuto necessario, ai fini della cognomizzazione del predicato nobiliare, che anche il decreto di riconoscimento del titolo nobiliare, su esso infisso, dovesse risalire ad epoca anteriore al 28 ottobre 1922; finendo, così, con l'equiparare due atti, autonomi, di contenuto completamente diverso: la concessione (avente ovvia natura costitutiva) ed il riconoscimento (di valore ricognitivo). Tanto per effetto di una "lettura sconnessa, illogica e parziale della decisione della Corte costituzionale n. 101 del 1967, nonché dei successivi arrêts della Suprema Corte del 1991 e 1997, in termini, richiamati dagli appellanti nelle loro difese, per trarne conclusioni del tutto opposte a quelle adottate dal Giudice delle leggi e dalla Cassazione. E invero sarebbe stato sufficiente che la Corte territoriale avesse esteso la sua lettura anche al Par. 5 della sentenza n. 101 del 1967 della Corte costituzionale ed al testo del suo dispositivo per constatare le specifiche conclusioni da essa enunciate per le quali, ai fini della cognomizzazione, - da effettuarsi secondo le norme che disciplinano i modi di acquisto del nome - i predicati dei titoli nobiliari devono certo esistere (rectius : essere stati concessi) anteriormente al 28 ottobre 1922, ed essere stati riconosciuti prima dell'entrata in vigore della Costituzione (non potendo ovviamente a tanto provvedere l'attuale ordinamento, che li ritiene giuridicamente irrilevanti ex comma 1 della predetta disposizione XIV)";

II) "Violazione dei princìpi in tema di disponibilità e di valutazione delle prove ex artt. 115 e 116 c.p.c., dell'art. 132, n. 4, c.p.c., con riferimento all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.". Si assume che la laconicità del dictum della corte territoriale "è pari alla sua equivocità, che lo rende pressoché incomprensibile sul piano logico-giuridico". Alla stessa, inoltre, viene contestato di non aver considerato probanti del diritto dei ricorrenti alla invocata cognomizzazione del predicato nobiliare il decreto del Presidente del Consiglio pro tempore del 1941 di riconoscimento del titolo e lo stralcio dell'Elenco Ufficiale Nobiliare Italiano del 1922, approvato con decreto n. 972 del 3 luglio 1921, perché non dimostrerebbero la preesistenza del titolo prima del 28 ottobre 1922: ciò malgrado la Presidenza del Consiglio dei Ministri - di cui fa parte il Segretario Generale per l'Ufficio per le Onorificenze ed Araldico, organo istituzionale preposto alla materia di cui si discute - aveva espressamente riconosciuto nella sua comparsa di costituzione, e sulla base della documentazione dalla stessa prodotta, che gli attori, una volta dimostrata la discendenza diretta da Ar.An., avevano pieno diritto ad aggiungere al cognome il predicato "di Aprigliano". Gli attori, peraltro, avevano prodotto, in copia autentica rilasciata dall'Archivio di Stato, il decreto del Presidente del Consiglio pro tempore del 1941, di riconoscimento del titolo di nobile dei Marchesi Lu. di Aprigliano ad Ar.An. ed ai suoi discendenti in linea diretta, nonché uno stralcio dell'Elenco Ufficiale Nobiliare Italiano del 1922, approvato con decreto n. 972 del 3 luglio 1921, che menzionava il titolo nobiliare de quo in favore della famiglia Lu., con la dicitura "Marchese di Aprigliano" ed il riferimento alle discendenze da Lu.Gi., intestatario del feudo di Aprigliano nel Cedolario di Calabria ultra del 1752. Tali documenti, non contestati, dimostravano che la concessione e, quindi, l'esistenza del titolo e del relativo predicato, era largamente antecedente al 28 ottobre 1922, così dovendo ritenersi integrati i presupposti di fatto, indicati dalla Corte costituzionale nella sentenza del 1967, per la cognomizzazione del predicato nobiliare e, nel caso, di quello "di Aprigliano", da effettuarsi secondo le norme che disciplinano i modi di acquisto del nome. "In un tale contesto di fatti e di atti, condivisi da tutte le parti in causa, appare perciò incomprensibile, e non corretta sul piano processuale, proprio ai sensi dell'art 115 c.p.c., la statuizione del Giudice a quo secondo la quale tali documenti non sarebbero "probanti" della preesistenza al 28.10.1922 del titolo nobiliare, cui accede il predicato di cui è causa".

2. I formulati motivi del ricorso incidentale si rivelano del tutto analoghi, per rubrica e contenuto delle corrispondenti doglianze, a quelli del ricorso principale, sicché non è necessario aggiungere altro sul punto.

2.1. Va osservato, peraltro, fin da ora, che il suddetto ricorso incidentale, chiaramente adesivo a quello principale: i) deve considerarsi promosso ex art. 334 comma 1, cod. proc. civ., posto che la sentenza impugnata è stata pronunciata il 26 novembre 2021 (pacificamente non notificata), mentre il controricorso con ricorso incidentale de quo è stato passato alla notifica successivamente al 4 luglio 2022 (questa la data del ricorso incidentale rinvenibile alla sua ultima pagina), quando il termine di cui all'articolo 327 cod. proc. civ. era ormai spirato (il precedente 26 maggio 2022); ii) è rivolto "contro" la parte destinataria dell'impugnazione principale (cioè la Presidenza del Consiglio dei Ministri) e non contro i ricorrenti principali.

2.2. È doveroso ricordare, allora, quanto al tema dei limiti oggettivi dell'impugnazione incidentale tardiva, che la giurisprudenza di questa Corte - dopo un lungo periodo in cui aveva imposto rigorosi confini oggettivi alla possibilità di esperire detta impugnazione, ritenendola ammissibile solo in quanto rimanesse nell'ambito del capo della sentenza investita dall'impugnazione principale o riguardasse un capo connesso con quest'ultimo o da questo dipendente - a partire dagli anni ottanta del secolo scorso avviò un percorso di ripensamento, consacrato dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 4640 del 1989, con la quale venne affermato il seguente principio di diritto: "L'art. 334 cod. proc. civ., che consente alla parte, contro cui è stata proposta impugnazione (o chiamata ad integrare il contraddittorio a norma dell'art. 331 cod. proc. civ.), di esperire impugnazione incidentale tardiva, senza subire gli effetti dello spirare del termine ordinario o della propria acquiescenza, è rivolto a rendere possibile l'accettazione della sentenza, in situazione di reciproca soccombenza, solo quando anche l'avversario tenga analogo comportamento, e, pertanto, in difetto di limitazioni oggettive, trova applicazione con riguardo a qualsiasi capo della sentenza medesima, ancorché autonomo rispetto a quello investito dall'impugnazione principale".

2.2.1. Con questa pronuncia si ritenne che: a) la ratio dell'art. 334 cod. proc. civ. è una finalità "transattivo-ritorsiva": la norma, infatti, ha lo scopo di indurre la parte parzialmente vittoriosa a rinunciare all'impugnazione, per non correre il rischio che l'appellato, attraverso l'impugnazione tardiva, possa rimettere in discussione anche le parti della sentenza favorevoli all'appellante principale; b) se questa è la ratio della norma, essa sarebbe frustrata se si impedisse all'appellato di impugnare tardivamente anche capi di sentenza diversi da quelli impugnati in via principale, perché l'esigenza di favorire la definitiva composizione della lite, dissuadendo le parti dall'impugnazione, sussiste anche in questa ipotesi; c) pertanto, l'interesse a proporre l'impugnazione tardiva non coincide con quello che sorge dalla mera soccombenza, ma è un interesse diverso e sorge dall'impugnazione altrui, "che tende a modificare l'assetto di interessi che l'impugnato, in mancanza dell'altrui impugnazione principale, avrebbe accettato". Per effetto della sentenza appena ricordata, cadde il limite all'impugnazione incidentale tardiva rappresentato dalla medesimezza o dipendenza tra il capo di sentenza impugnato dall'impugnante principale e quello impugnato dall'impugnante incidentale. A quest'ultimo, di conseguenza, si è consentito impugnare qualsiasi capo della sentenza, anche se diverso da quello investito dall'impugnazione principale (cfr., ad es., Cass., Sez. 3, n. 14596 del 9/07/2020) e anche se autonomo rispetto a questo (cfr. Cass., Sez. 3, n. 26139 del 5/09/2022).

2.2.2. È importante rimarcare che questo principio, riaffermato, da ultimo, nella recentissima pronuncia resa da Cass., SU, 28 marzo 2024, n. 8486, è stato recepito nell'art. 96 del D.Lgs. n. 104 del 2010 - che reca la nuova disciplina sul processo amministrativo - prevedendosi proprio, al comma 4, che "Con l'impugnazione incidentale proposta ai sensi dell'art. 334 del codice di procedura civile possono essere impugnati anche capi autonomi della sentenza; tuttavia, se l'impugnazione principale è dichiarata inammissibile, l'impugnazione incidentale perde ogni efficacia", impugnazione che la giurisprudenza amministrativa ha denominato come impugnazione incidentale tardiva cd. "impropria".

2.2.3. Su questo aspetto, comunque, non è necessario indugiare ulteriormente posto che l'impugnazione incidentale tardiva oggi proposta da Lu.Fr., Lu.Gi., Lu.Ma., Lu.Ch., Lu.Ot., Lu.Ni. ed Lu.El. Lu. investe gli stessi capi della sentenza della corte capitolina n. 7879/2021 già censurati dal ricorso principale.

2.3. Maggiore interesse, invece, suscita il tema della legittimazione attiva e passiva all'impugnazione incidentale tardiva, qui peraltro totalmente adesiva a quella principale.

2.3.1. Esso è stato affrontato e risolto dalla già menzionata Cass., SU, n. 8486 del 2024, i cui principi (benché resi con specifico riferimento alla peculiare fattispecie delle obbligazioni solidali cd. "paritarie" o "a interesse comune" ), nella parte in cui riguardano aspetti di carattere generale dell'impugnazione de qua, possono trovare applicazione, affatto agevolmente, anche in questa sede, nella quale l'impugnazione incidentale tardiva cd. adesiva di Lu.Fr., Lu.Gi., Lu.Ma., Lu.Ch., Lu.Ot., Lu.Ni. ed Lu.El.: i) proviene da soggetti diversi da quello (la Presidenza del Consiglio dei Ministri) "contro" il quale è rivolta l'impugnazione principale, e coinvolge, pertanto, il tema della legittimazione attiva all'impugnazione incidentale tardiva; ii) è rivolta "contro" una parte diversa (la Presidenza del Consiglio dei Ministri, appunto) da quella (Lu.Fa., Lu.Gi., Lu.Lu. e Lu.Be.) che ha proposto l'impugnazione principale, ed investe, quindi, anche sotto questo profilo, il problema della legittimazione passiva all'impugnazione incidentale tardiva;

2.3.2. Orbene, con riferimento a tali profili, la suddetta Cass., SU, n. 8486 del 2024, decidendo le questioni sottopostele dalla ordinanza interlocutoria n. 20588 del 2023: i) ha ricordato, innanzitutto, la pronuncia resa da Cass., SU, n. 24627 del 2007, il cui principio fu definitivamente condensato nella massima ufficiale di seguito riportata: "Sulla base del principio dell'interesse all'impugnazione, l'impugnazione incidentale tardiva è sempre ammissibile, a tutela della reale utilità della parte, tutte le volte che l'impugnazione principale metta in discussione l'assetto di interessi derivante dalla sentenza alla quale il coobbligato solidale aveva prestato acquiescenza; conseguentemente, è ammissibile, sia quando rivesta la forma della controimpugnazione rivolta contro il ricorrente principale, sia quando rivesta le forme della impugnazione adesiva rivolta contro la parte investita dell'impugnazione principale, anche se fondata sugli stessi motivi fatti valere dal ricorrente principale, atteso che, anche nelle cause scindibili, il suddetto interesse sorge dall'impugnazione principale, la quale, se accolta, comporterebbe una modifica dell'assetto delle situazioni giuridiche originariamente accettate dal coobbligato solidale"; ii) ha ricostruito, poi, lo sviluppo successivo della giurisprudenza di questa Corte, constatando, in particolare, che, mentre un orientamento ha continuato a fare applicazione dei principi espressi dalle citate Sezioni Unite del 2007 - e, quindi a ritenere ammissibile, sotto il profilo della legittimazione attiva, l'impugnazione incidentale tardiva anche proveniente da parte diversa da quella contro la quale è rivolta l'impugnazione principale o chiamata ad integrare il contraddittorio ex art. 331 cod. proc. civ. -, un diverso indirizzo ermeneutico ha negato che l'art. 334 cod. proc. civ. sia applicabile al di fuori delle ipotesi ivi espressamente previste e, quindi, che sia ammissibile, in ipotesi di cause scindibili, l'impugnazione incidentale tardiva di un soggetto diverso da quelli indicati da tale norma; iii) è giunta alla conclusione (all'esito di un elaborato iter motivazionale, qui condiviso ed al quale, dunque, può farsi rinvio in questa sede, ex art. 118, coma 1, disp. att. cod. proc. civ.) che "L'impugnazione incidentale tardiva è ammissibile anche quando rivesta le forme dell'impugnazione adesiva rivolta contro la parte destinataria dell'impugnazione principale, in ragione del fatto che l'interesse alla sua proposizione può sorgere dall'impugnazione principale".

2.3.3. È innegabile, allora, che applicandosi il principio da ultimo riportato all'odierna fattispecie - nella quale è intuitivo che l'interesse dei ricorrenti incidentali ad impugnare la sentenza già oggetto dell'impugnazione principale è sorto, concretamente se non altro, per il fatto che, evidentemente, i primi intendevano mantenere la medesima situazione, quanto al comune cognome familiare, di quella dei ricorrenti principali, sicché, impugnata da questi ultimi la decisione sfavorevole della corte distrettuale quanto alla possibilità di aggiungere al loro cognome il predicato nobiliare "di Aprigliano", hanno inteso utilizzare lo strumento della impugnazione incidentale tardiva cd. adesiva allo scopo di beneficiare anch'essi (diversamente dagli altri soggetti rimasti oggi solo intimati) della possibilità di utilizzare il medesimo predicato nobiliare.

3. Tanto premesso, le descritte doglianze di entrambi i ricorsi, principale ed incidentale, suddetti, scrutinabili congiuntamente perché Lu.Ch. mente connesse, si rivelano fondate alla stregua delle considerazioni tutte di cui appresso.

3.1. Invero, appare utile evidenziare che, come ricordato da Cass. n. 32155 del 2023 (cfr. in motivazione), "secondo l'insegnamento della Corte Costituzionale, "accanto alla tradizionale funzione del cognome quale segno identificativo della discendenza familiare, con le tutele conseguenti a tale funzione, occorre riconoscere che il cognome stesso in alcune ipotesi già gode di una distinta tutela anche nella sua funzione di strumento identificativo della persona" (Corte cost. n.13 del 1994). Fra queste ipotesi è stata ammessa anche quella che suole definirsi, con un neologismo, cognomizzazione del predicato nobiliare (Cass. n. 2426/1999). Si tratta dei casi in cui una specifica denominazione (di varia origine: geografica, fisica, storica, caratteriale, etc.) acquista la particolare forza individualizzante di uno specifico casato o di una stirpe, dalla cui appartenenza un soggetto intenda ricavare e far derivare un diritto soggettivo al nome perché "I predicati di titoli nobiliari (purché esistenti prima del 28 ottobre 1922 e riconosciuti prima dell'entrata in vigore della Costituzione, ed, in quanto costituenti veri e propri elementi di individuazione e di identità della persona, a queste condizioni cognomizzati) fanno parte del nome, e, soltanto come parte (il cognome appunto) di esso valgono (sono cioè validi ed efficaci) nell'ordinamento. Tale incorporazione del predicato di titolo nobiliare cognomizzato nel nome, essendo stata costituzionalmente sancita (anche, ma soprattutto) in ossequio al principio di eguaglianza, comporta d'altro canto, che il predicato medesimo, nell'ordinamento giuridico italiano, non può valere di più, in quanto tale, di quel che valgono le ordinarie parti del nome e, più specificamente, del cognome ordinario (art. 6, comma 2, c.c.); e ciò in quanto, altrimenti opinando, resterebbe frustrata la equilibrata ratio emergente dal combinato disposto dei commi 1 e 2 dell'art. 14 Cost.: da un lato, l'abolizione giuridica - mediante il non riconoscimento dei titoli nobiliari - di privilegi derivanti dalla nascita o dall'appartenenza ad una determinata classe sociale; dall'altro, la riaffermazione del valore del nome come fondamentale diritto inerente alla identità della persona in quanto tale, con la conseguente assimilazione, quanto a valore giuridico, del predicato di titolo nobiliare cognomizzato al nome, e, quindi, di entrambi sul piano della tutela giurisdizionale (Cass. n.10936/1997). Il tema è stato affrontato soprattutto con riferimento ai titoli nobiliari italiani, in relazione ai quali, questa Corte ha avuto occasione di precisare più volte (Cass. n. 2361/1978; Cass. n. 2426/1991) che l'azione diretta ad acquisire come parte del cognome il predicato di un titolo nobiliare ai sensi della XIV disposizione transitoria della Costituzione va proposta in via contenziosa ordinaria nei confronti del Pubblico Ministero e di eventuali privati controinteressati e che la specifica tutela prevista dall'art. 7 cod. civ. non riguarda solo la facoltà di interdire fatti di usurpazione o spossessamento o abuso di titolo, ma anche atti di rivendicazione, in senso proprio, di cognomi connessi a titoli o denominazioni di casato (cfr. anche Consiglio di Stato n. 668/2009). La cd. cognomizzazione dei predicati di titoli nobiliari è quindi possibile, nei limiti fissati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 101 del 1967 e nei limiti della tutela giurisdizionale che nell'ordinamento riceve il diritto al nome (art. 2 Cost.; art. 7 cod. civ.)".

3.2. Fermo quanto precede, rileva il Collegio che la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nell'ambito delle sue funzioni istituzionali che concernono la materia di cui è causa, costituendosi anche innanzi a questa Corte, ha descritto gli esiti degli accertamenti effettuati nell'Archivio di Stato da suoi funzionari, in relazione agli atti, ivi custoditi, riguardanti la famiglia Lu., ed ha concluso (come, per la verità, aveva già fatto nei precedenti gradi di merito) per l'accoglimento della pretesa delle parti oggi impugnanti.

3.2.1. In particolare, la controricorrente ha nuovamente richiamato le note del Segretariato Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 4 luglio e del 13 settembre 2011, da essa depositate (ed allegate anche dalla difesa dei ricorrenti), che contengono in fotocopia: i) la pag. 516 dell'Elenco Ufficiale Nobiliare Italiano, Torino 1922, approvato con decreto Reale 3 luglio 1921, n. 972, dove v'è menzione che il titolo di Aprigliano risulta iscritto nel Cedolario di Calabria Ultra nel 1752, al nominativo di Giuseppe; ii) le pagine 248 e 249, 391 e 392 del Vol. VII, relative alle trascrizioni presso l'Archivio Centrale dello Stato dei DD. CC. GG. 26 novembre 1940 e 24 gennaio 1941 dei decreti di riconoscimento firmati dal Presidente del Consiglio dei Ministri e riferiti, uno, ai fratelli Lu.Fr., Fa., e Lu.An. e, l'altro ad Ar.An., con i quali appunto viene loro riconosciuto il titolo di Nobili dei Marchesi di Aprigliano, con trasmissibilità per maschi e femmine (nobiltà e predicato). La stessa nota del 13 settembre 2011, in conclusione, ribadisce: "Con riferimento a quanto sopra si riafferma che, ove i ricorrenti Lu.Fa. e altri dimostrino la loro parentela con i soggetti, che nei citati anni 1940 e 1941, conseguirono i precitati decreti, hanno pieno diritto all'aggiunta al cognome Lu. del predicato di Aprigliano".

3.2.2. Dal contesto dei documenti e degli atti testé menzionati, prodotti dalla Presidenza del Consiglio (oltre che dai ricorrenti), si desume agevolmente, allora, la prova che il titolo nobiliare de quo agitur, con il predicato collegato, era stato concesso nel 1703 da Filippo V e che esso era stato poi riconosciuto, per quanto qui interessa, in favore di Ar.An. con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 24 gennaio 1941.

3.2.3. È assolutamente incontroversa, inoltre, la comune discendenza sia dei ricorrenti principali che di quelli incidentali da Ar.An.(cfr., sul punto, il Par. 1. dei "Fatti di causa" da intendersi qui riprodotto per intuibili ragioni di sintesi).

3.2.4. Pertanto, devono trovare applicazione, nella specie, i principi sanciti dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 101 del 196, richiamati, successivamente, dalla giurisprudenza di legittimità con tre specifiche pronunce (il cui contenuto, peraltro, è stato sostanzialmente ribadito, in motivazione, dalla recente, già menzionata Cass. n. 32155 del 2023) secondo cui: i) "I predicati dei titoli nobiliari possono essere cognomizzati solo se esistenti prima del 28 ottobre 1922 e già riconosciuti prima dell'entrata in vigore della Costituzione" (cfr. Cass. n. 2361 del 1978); ii)"La cognomizzazione dei predicati di titoli nobiliari è quindi possibile, secondo la menzionata sentenza della Corte costituzionale, sempre che si tratti di predicati di titoli nobiliari anteriori al 28 ottobre 1922, riconosciuti prima dell'entrata in vigore della Costituzione e nei limiti della tutela giurisdizionale che nell'ordinamento riceve il diritto al nome" (cfr. Cass. n. 2426 del 1991); iii) "(Fanno parte del nome. Ndr) i "predicati" di titoli nobiliari (purché "esistenti" prima del 28 ottobre 1922 e riconosciuti prima dell'entrata in vigore della Costituzione; e in quanto veri e propri elementi d'individuazione e d'identità della persona)" (cfr. Cass. n. 10936 del 1997). Alla stregua di tali principi, dunque, è innegabile, nella vicenda in esame, il diritto dei soggetti costituenti la parte ricorrente principale e quella ricorrente incidentale ad integrare il proprio cognome con il predicato "di Aprigliano", a fronte della verifica dei due soli presupposti - fissati dal Giudice delle leggi e poi confermati dalle successive pronunce della Suprema Corte - consistenti: a) nell'esistenza del titolo nobiliare ante 28 ottobre 1922; b) nel riconoscimento del medesimo titolo prima dell'entrata in vigore della Costituzione.

3.2.5. Pertanto, laddove la corte territoriale ha opinato che, in ogni caso, i due presupposti, (esistenza del titolo con il predicato ed il suo riconoscimento), dovessero sussistere entrambi prima del 28 ottobre 1922 (ragione per cui ha respinto i gravami, principale ed incidentale, innanzi ad essa formulati), la sua pronuncia si rivela non coerente con le norme in precedenza richiamate (vale a dire la disposizione transitoria XIV della Costituzione in collegamento con l'art. 6 cod. civ.) come interpretate dalla Corte Costituzionale e dalla Cassazione, come pacificamente riconosciuto anche dall'Avvocatura Generale dello Stato, costituitasi per la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che, giova ribadirlo, ha riconoscendo la fondatezza della domanda dei ricorrenti principali ed incidentali.

3.4. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ex art. 384, comma 2, cod. proc. civ..

3.4.1. Va puntualizzato, a tal fine, che il diritto al nome è, per definizione, personalissimo, sicché il singolo può ben chiederne tutela, in via ordinaria, senza che debbano, coevamente, chiedere la medesima tutela i suoi congiunti, portatori del medesimo cognome. Come tale, il diritto alla cognomizzazione e la tutela di questo diritto sono riservati a tutti coloro che discendono dal comune avo, cui è stato riconosciuto il titolo nobiliare e ciascuno di loro può Lu.Ch. mente agire singolarmente con un giudizio ordinario di cognizione. Ciascuno di loro, se lo desidera e se ve ne sono i presupposti, di cui al comma 2 della XIV disposizione transitoria e finale della nostra Carta costituzionale, è libero di agire in giudizio, come, d'altronde, altri, nelle medesime condizioni e con le stesse prerogative, sono liberi di rimanere inerti. Né, questi altri, possono avere alcuna "voce in capitolo" nel giudizio promosso dal loro congiunto).

3.4.2. In quest'ottica, dunque, e tenendo conto delle preclusioni da giudicato interno formatosi per la mancata costituzione, già in appello, degli odierni intimati, il predicato nobiliare di cui si discute va oggi riconosciuto, esclusivamente, ai ricorrenti principali ed a quelli incidentali.

3.5. In definitiva quindi, il ricorso principale e quello incidentale devono essere accolti, la sentenza impugnata deve essere cassata e, decidendosi il merito della lite, va diLu.Ch.to il diritto di Lu.Fa., Lu.Gi., Lu.Lu. e Lu.Be., nonché di Lu.Fr., Lu.Gi., Lu.Ma., Lu.Ch., Lu.Ot., Lu.Ni. ed Lu.El. Lu., di aggiungere ciascuno al proprio cognome "Lu." il predicato nobiliare "di Aprigliano", contestualmente ordinandosi ai competenti Ufficiali dello Stato civile di Crotone, Roma e Firenze di procedere alle relative annotazioni a margine dei rispettivi atti di nascita.

3.6. Le spese di questo giudizio di legittimità e quelle di entrambi i gradi di merito possono essere interamente compensate tra le parti costituitesi, tenuto conto della condotta processuale fin dall'inizio tenuta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

4. Va, disposta, infine, per l'ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del D.Lgs. n. 196/2003.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale e quello incidentale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo il merito della lite, dichiara il diritto di Lu.Fa., Lu.Gi., Lu.Lu. e Lu.Be., nonché di Lu.Fr., Lu.Gi., Lu.Ma., Lu.Ch., Lu.Ot., Lu.Ni. ed Lu.El., di aggiungere ciascuno al proprio cognome "Lu." il predicato nobiliare "di Aprigliano".

Ordina ai competenti Ufficiali dello Stato civile di Crotone, Roma e Firenze di procedere alle relative annotazioni, a margine dei rispettivi atti di nascita.

Compensa interamente tra le parti le spese di questo giudizio di legittimità e quelle di entrambi i gradi di merito.

Dispone per l'ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del D.Lgs. n. 196/2003.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 21 marzo 2024.

Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2024.

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