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Straining, datore responsabile se mantiene un ambiente stressogeno

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.123 del 04/01/2025

Un ambiente lavorativo stressogeno può configurare una responsabilità del datore?

La Sezione Lavoro della Cassazione, con l'ordinanza n. 123 del 4 gennaio 2025, affronta un caso complesso che ruota attorno al tema dello straining, una forma attenuata di mobbing.

Al centro della vicenda vi è un'avvocatessa impiegata presso l'Azienda Servizi Sociali di Bolzano, che ha denunciato condotte stressogene da parte del direttore generale dell'ente. La lavoratrice ha lamentato comportamenti pretestuosi e pressanti, culminati in un danno biologico riconosciuto dai giudici.

La Suprema Corte, esaminando la vicenda, richiama l'art. 2087 c.c., che impone al datore di lavoro di tutelare l'integrità fisica e psichica del lavoratore. Anche in assenza di mobbing, una situazione lavorativa stressogena, tollerata o causata dal datore, può configurare una violazione di tale norma. La giurisprudenza (Cass. n. 3692/2023, Cass. n. 15957/2024) sottolinea che comportamenti stressogeni isolati o combinati con altre condotte possono ledere la salute del lavoratore, anche senza un intento persecutorio.

Nel caso di specie, la Corte d'Appello di Bolzano ha accertato che il direttore generale aveva adottato condotte provocatorie e pretestuose, quali richieste di documentazione non necessaria e commenti offensivi in note interne. Questi comportamenti, pur non costituendo mobbing, hanno generato uno stato di stress continuo (straining) per la lavoratrice.

La Cassazione ha confermato questa valutazione, sottolineando che:

  • il datore è responsabile se tollera o causa un ambiente stressogeno.

  • anche documenti privi di firma, come agende o email, possono costituire indizi validi nel rito del lavoro, essendo liberamente valutabili dal giudice.

  • l'illegittimità nell'acquisizione della prova non ne impedisce l'utilizzo, salvo responsabilità penali o civili.

L'ordinanza ribadisce l'obbligo del datore di lavoro di prevenire situazioni di disagio e stress, anche attraverso interventi correttivi come l'uso del potere disciplinare. Lo straining, pur non richiedendo una pluralità di azioni vessatorie, può determinare una responsabilità datoriale e un obbligo risarcitorio per il danno subito dal lavoratore.

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Cassazione civile, sez. lav., ordinanza 04/01/2025 (ud. 06/11/2024) n. 123

RITENUTO CHE:


1. Con sentenza del 3.12.19 la corte d'appello di Trento sezione distaccata di Bolzano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha accertato che l'avvocatessa Ga.Sa. aveva subito un danno pari ad euro 12.523 per il quale ha condannato l'Azienda servizi sociali di Bolzano al risarcimento; ha rigettato le domande relative ad accertamento della illegittimità della procedura di individuazione degli obiettivi ai fini del riconoscimento dell'indennità di risultato dirigenziale per gli anni 2013 e 2014; ha per il resto confermato la sentenza di primo grado quanto alla domanda volta ad accertare il mobbing lavorativo asseritamente subito dall'avvocatessa.

2. In particolare, la corte ha rilevato che sin dagli anni 2008 e 2009 il direttore generale della Asl aveva l'intenzione di attuare un progetto di riorganizzazione della sede amministrativa centrale dell'ente che avrebbe comportato la eliminazione dell'ufficio legale diretto dall'avvocatessa Ga.Sa. e la trasformazione in avvocatura non dirigenziale in staff alla direzione generale; erano seguite controversie con l'avvocatessa, sfociate anche in denunce alla procura della Repubblica.

3. Ciò premesso, la corte territoriale ha condiviso la valutazione del giudice di prime cure secondo la quale la scelta riorganizzativa non era irragionevole ed era stata motivata, non era mossa da intento persecutorio ma era coerente e derivante da vari motivi di varia natura, non solo economico finanziari, volti alla soppressione dell'ufficio legale; la corte ha ritenuto però che la conflittualità delle relazioni personali esistenti all'interno dell'ufficio avrebbe imposto al datore di lavoro di adottare misure opportune per ripristinare la serenità necessaria per il corretto espletamento delle prestazioni lavorative, non escluso il ricorso al potere disciplinare; secondo la sentenza, l'amministrazione può essere responsabile di straining quale forma attenuata di mobbing per comportamenti stressogeni, e ciò anche se manca la pluralità di azioni vessatorie, ma si producono comunque effetti dannosi rispetto all'interessato.

4. La corte territoriale fa riferimento alla condotta del direttore generale che, aldilà del riferimento inopportuno in una propria nota con appellativo volgare all'avvocatessa, aveva previsto "azioni di disturbo da compiere in via immediata", così adottando iniziative provocatorie in replica a quelle altrettanto provocatorie della lavoratrice, in un circolo vizioso senza termine, laddove invece avrebbe dovuto ristabilire l'ordine; ha ritenuto che le richieste del direttore di invio di tutta la documentazione inviata al Comune ad altri enti fossero connotate da pretestuosità e sorrette dalla volontà di far sentire sotto pressione e sotto controllo l'avvocatessa, imponendole un sovraccarico di lavoro all'evidenza non utile. La corte invece ha escluso che la valutazione di professionalità della ricorrente fosse stata viziata, ritenendo assenti nella valutazione illogicità macroscopiche rispetto ai parametri di riferimento, con conseguente esclusione di sindacato giurisdizionale; la corte ha altresì escluso l'evidenza di situazioni di estromissione dell'avvocatessa Ga.Sa. dalla trattazione degli affari dell'ufficio legale e dalla partecipazione alle riunioni di coordinamento.

5. Conclusivamente, la corte ha quindi ritenuto smentito il preteso svuotamento di mansioni; ha riconosciuto solo il 5% di danno biologico da straining nonché operato un riconoscimento solo parziale dell'inabilità temporanea sofferta; ha escluso la prova del danno alla professionalità non risultando un progressivo impoverimento della capacità professionale acquisita dalla dipendente. La corte ha complessivamente quantificato il danno in euro 12.679 per danno non patrimoniale ed euro 4.152 per danno patrimoniale, ed ha considerato, detraendolo dall'ammontare dovuto dal datore, che è stato riconosciuto un indennizzo di euro 4.307 dall'INAIL alla lavoratrice per i fatti in discorso, sicché ha ritenuto responsabile il datore del risarcimento della differenza tra il danno quantificato in sede civilistica e l'ammontare della prestazioni INAIL corrisposta alla lavoratrice.

6. La sentenza è gravata da ricorso principale della Azienda e da ricorso incidentale della lavoratrice, per cinque motivi ciascuno. Entrambe le parti hanno depositato memoria

7. Il Collegio, all'esito della camera di consiglio, si è riservato il termine di giorni sessanta per il deposito del provvedimento.

CONSIDERATO CHE:

8. La sentenza impugnata è da confermare integralmente.

9. Iniziando dal ricorso principale dell'azienda, il primo motivo deduce violazione dell'articolo 2087 c.c. in relazione al cosiddetto straining.

10. Il motivo è infondato, avendo la corte territoriale ben valutato, con accertamento di fatto non sindacabile in questa sede d legittimità, la ricorrenza nel caso di specie di una situazione stressogena, in relazione a tutti i fatti specificamente ed analiticamente dettagliati in sentenza.

11. In diritto, questa Corte ha già affermato che (Sez. L -, Ordinanza n. 3692 del 07/02/2023, Rv. 666621-01), in tema di responsabilità del datore di lavoro per danni alla salute del dipendente, anche ove non sia configurabile una condotta di "mobbing", per l'insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare la pluralità continuata di comportamenti pregiudizievoli, è ravvisabile la violazione dell'art. 2087 c.c. nel caso in cui il datore di lavoro consenta, anche colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori ovvero ponga in essere comportamenti, anche in sé non illegittimi, ma tali da poter indurre disagi o stress, che si manifestino isolatamente o invece si connettano ad altri comportamenti inadempienti, contribuendo ad inasprirne gli effetti e la gravità del pregiudizio per la personalità e la salute latamente intesi, e che (da ultimo, Cass. n. 15957 del 7.6.2024; Cass. n. 3822 del 12.2.2024; n. 4664 del 21.2.2024) un ambiente lavorativo stressogeno è configurabile come fatto ingiusto, suscettibile di condurre anche al riesame di tutte le altre condotti13 datoriali allegate come vessatorie, ancorché apparentemente lecite o solo episodiche, in quanto la tutela del diritto fondamentale della persona del lavoratore trova fonte direttamente nella lettura, costituzionalmente orientata, dell'art. 2087 c.c.

12. La sentenza impugnata è del tutto in linea con i detti principi ed è immune dalle censure prospettate dal datore.

13. Il secondo motivo deduce un vizio di motivazione ex art. 360 numero 5 c.p.c.

14. Il motivo è inammissibile in quanto non è dedotto un fatto, con la conseguenza che l'impugnazione esorbita dai limiti del sindacato di legittimità consentito a questa corte.

15. Il terzo motivo deduce violazione degli articoli 2702 c.c. e 214, 215 e 216 c.p.c., in relazione ai documenti prodotti dalla parte (la fotocopia di una pagina di un'agenda privata recante un epiteto offensivo in relazione alla ricorrente ed una mail inviata dall'avvocato Bertoldi al direttore), trattandosi di documenti acquisiti illegittimamente dalla parte e comunque irrilevanti perché privi di sottoscrizione).

16. Entrambi i profili del motivo sono infondati.

17. Da un lato, infatti, anche i documenti senza firma possono avere rilevanza, essendosi precisato (tra la altre, Cass. n. 9329 del 8.4.2024; Sez. 3 -, Ordinanza n. 6650 del 09/03/2020, Rv. 657468-01) che nel processo civile le scritture private provenienti da terzi

estranei alla lite costituiscono indizi, liberamente valutabili dal giudice e contestabili dalle parti senza necessità di ricorrere alla disciplina prevista in tema di querela di falso o disconoscimento di scrittura privata autenticata.

18. Dall'altro lato, nel processo civile ed in particolare nel rito del lavoro l'illiceità dell'acquisizione della prova (anche quando di carattere penale) non ridonda, a differenza di quanto espressamente previsto nel processo penale (peraltro solo nel nuovo rito accusatorio), in inutilizzabilità della stessa, restando la prova utilizzabile, salve le responsabilità civili penali ed amministrative legate all'illegittimità dell'acquisizione della prova.

19. In ogni caso, va evidenziato che non è dimostrata la decisività dei documenti in questione ai fini di una diversa valutazione della situazione complessiva, sicché, anche non considerando gli stessi, la situazione lavorativa pregiudizievole per la lavoratrice rimarrebbe immutata.

20. Il quarto motivo deduce violazione dell'art. 2087 c.c. per l'applicazione dei principi in materia di straining, trascurando che la consulenza ha accertato che la lavoratrice reagiva in modo eccessivo a situazioni di stress.

21. Il motivo è inammissibile lì ove, pur lamentando apparentemente violazioni di legge e l'omesso esame di fatti decisivi, integra nella sostanza la prospettazione di un apprezzamento del materiale probatorio diverso da quello operato dal giudice di merito, e si traduce quindi nella richiesta di una nuova valutazione di quel materiale, inammissibile in sede di legittimità.

22. Il motivo è comunque infondato posto che l'art. 2087 c.c. trova applicazione a protezione dei lavoratori in ogni caso, e ciò anche verso i lavoratori più deboli, sicché la maggiore fragilità del lavoratore incrementa e non attenua gli obblighi datoriale di protezione da fattori morbigeni o stressogeni dell'ambiente lavorativo.

23. Il quinto motivo, che impugna il regolamento delle spese di lite, non avendo tenuto conto la corte dell'accoglimento in minima parte della domanda, non è censurabile, posto che il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, totalmente o anche parzialmente nei limiti di cui a Sez. U -, Sentenza n. 32061 del 31/10/2022 (Rv. 666063-01), restando del tutto discrezionale - e insindacabile - la valutazione di totale o parziale compensazione per giusti motivi, la cui insussistenza il giudice del merito non è tenuto a motivare (Sez. 6-3, Ordinanza n. 26912 del 26/11/2020, Rv. 659925-01).

24. Venendo ai cinque motivi del ricorso incidentale, il primo motivo deduce la violazione degli articoli 40 e 41 c.p., 2087, 1218, 1227, 2049 e 2059 c.c., per il riconoscimento parziale del danno psichico permanente sofferto dall'avvocatessa a causa delle condotte datoriali di straining per ritenuta concausalità dei tratti di personalità predisponenti.

25. Il motivo è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi: la corte territoriale ha riconosciuto una lesione dell'integrità psicofisica della lavoratrice nella misura del 4,5%, sulla base della c.t.u. senza considerare gli eventi precedenti, ovvero le importanti lesioni riportate dalla lavoratrice in seguito ad un incidente stradale e i tratti di personalità (v. pag. 58, e ss. della sentenza); ha cioè fatto proprie le conclusioni del c.t.u. che ha determinato la percentuale di invalidità facendo applicazione del coefficiente di rilevanza dei soli eventi per cui è causa; si tratta di un apprezzamento fattuale che resiste alle critiche, ponendosi in linea con i precedenti di questa Corte, secondo cui " In tema di responsabilità civile, qualora la produzione di un evento dannoso possa apparire riconducibile alla concomitanza di più fattori causali, ognuno di questi deve essere autonomamente apprezzato per determinare in che misura abbia contribuito al verificarsi del danno, sia che abbia operato come concausa, sia che abbia dato luogo ad un autonomo segmento causale provocando soltanto un aggravamento delle conseguenze pregiudizievoli" (Cass. n. 22801 del 29/09/2017).

26. Il secondo motivo di ricorso deduce violazione delle medesime norme per il riconoscimento parziale del danno psichico temporaneo sofferto a causa delle condotte datoriali di straining e soprattutto per l'esclusione di risarcimento per il periodo di sottoposizione dell'avvocatessa a terapia psicologica di supporto.

27. Il motivo è inammissibile, essendo espressione di mero dissenso diagnostico. Invero, come precisato tra le altre da Sez. 3, Ordinanza n. 34395 del 11/12/2023 (Rv. 669576-01), in caso di recepimento delle conclusioni del consulente tecnico da parte del giudice di merito, gli errori e le lacune della consulenza possono essere denunciati in sede di legittimità, come vizio della sentenza, solo in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o di omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi (Nella specie, la S.C. ha confermato, sul punto, la sentenza impugnata che aveva ritenuto irrilevante il mero dissenso diagnostico, espresso attraverso una consulenza di parte, che si traduceva in una inammissibile critica del convincimento del giudice).

28. Si è anche precisato (Cass. 22801/17 ed altre) che, qualora il giudice del merito aderisca al parere del consulente tecnico d'ufficio, non è tenuto ad esporne in modo specifico le ragioni poiché l'accettazione del parere, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce adeguata motivazione, non suscettibile di censure in sede di legittimità, ben potendo il richiamo, anche "per relationem" dell'elaborato, implicare una compiuta positiva valutazione del percorso argomentativo e dei principi e metodi scientifici seguiti dal consulente (Cass. Civ., 4.11.2021, n. 31591, che richiama 11.6.2018, n. 15147; Cass. Civ., 29.1.2018, n.2061).

29. Il terzo motivo lamenta ex art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c. omessa motivazione per riconoscimento parziale del danno patrimoniale per spese mediche e sanitarie (Euro 394 quali spese aggiuntive) e per il mancato riconoscimento dei danni sopravvenuti nel corso del processo.

30. Il motivo è inammissibile per come proposto, non deducendosi un fatto; né la parte indica e prova quando è stato depositato il documento in questione, che peraltro non trascrive.

31. Il quarto motivo fa riferimento al mancato riconoscimento del danno morale ed esistenziale e lamenta violazione degli articoli 2087,1218,2049 e 2059 c.c.

32. Il motivo è infondato in quanto sono danni non provati. Invero, la corte ha esaminato le condotte ed ha valutato i danni in relazione alle condotte ritenute rilevanti nella specie, operando un giudizio corretto e qui non censurabile in sede di legittimità.

33. Il quinto motivo lamenta la violazione degli articoli 2087,1218,2043 e 2049 c.c. per la decurtazione dell'importo risarcitorio a titolo di danno biologico permanente a seguito di emolumento erogato dall'INAIL.

34. Il motivo è infondato in quanto l'intervento INAIL è proprio per la menomazione per cui è causa e il danno risarcibile dal datore di lavoro è solo quello differenziale (secondo i criteri precisati da Sez. L -, Sentenza n. 9112 del 02/04/2019, Rv. 653452-01).

35. Da ultimo, va ricordato che la parte, che aveva chiesto la cancellazione di alcune frasi ritenute offensive, ha rinunciato alla richiesta nella memoria finale, riservando ogni iniziativa in differente sede di competenza.

36. A tutto quanto detto consegue il rigetto di entrambi i ricorsi.

37. Spese del giudizio di legittimità compensate in ragione della soccombenza reciproca.

38. Sussistono i presupposti per il raddoppiagli contributo unificato, se dovuto, in relazione ad entrami i ricorrenti.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e compensa le spese.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto. La Corte dispone che, in caso di diffusione della presente sentenza, siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati, a norma dell'art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003.

Così deciso in Roma il 6 novembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2025.

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