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WhatsApp e SMS come prove nei procedimenti di separazione e divorzio

Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.1254 del 18/01/2025

I messaggi WhatsApp e gli SMS possono essere utilizzati come prove nei procedimenti di separazione e divorzio? La Cassazione ha risposto con l'ordinanza n. 1254 del 18 gennaio 2025, confermando la validità di tali prove documentali, purché ne sia verificata la provenienza e l'affidabilità.

La normativa

I messaggi digitali, inclusi quelli su WhatsApp e SMS, rientrano nella categoria dei documenti elettronici. Ai sensi degli artt. 2712 e 2719 c.c., le riproduzioni informatiche hanno lo stesso valore probatorio dei documenti cartacei, salvo un disconoscimento circostanziato da parte della controparte.

Per la Cassazione, non è sufficiente contestare genericamente la veridicità di una chat: chi intende negarne la validità deve fornire elementi concreti che dimostrino la non corrispondenza alla realtà.

Messaggi WhatsApp e gli SMS come prova documentale

La Cassazione ha stabilito che:

  • I messaggi WhatsApp e gli SMS possono costituire prova documentale e possono essere acquisiti tramite screenshot, purché ne sia garantita l'affidabilità.

  • La semplice trascrizione di un messaggio non è sufficiente per la sua utilizzabilità processuale, se non accompagnata dai supporti informatici originali.

  • In caso di contestazione, il giudice può disporre una consulenza tecnica d'ufficio per verificare la genuinità della prova.

  • Il metodo più sicuro per garantire la validità di una chat WhatsApp è depositare il dispositivo contenente i messaggi insieme a una perizia forense certificata.

  • Possono essere utilizzati testimoni diretti che abbiano letto i messaggi.

Conclusioni

I messaggi digitali sono ormai considerati strumenti probatori validi nei procedimenti di separazione e divorzio, ma devono essere raccolti nel rispetto delle norme di autenticità e affidabilità. Attenzione: accedere al telefono del partner senza il suo consenso o installare software spia può configurare reati come accesso abusivo a un sistema informatico.

Chi vuole utilizzare messaggi WhatsApp come prova deve attenersi alle regole, evitando forzature che potrebbero inficiare la validità della prova o addirittura portare a responsabilità penali.

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Cassazione civile, sez. II, ordinanza 18/01/2025 (ud. 05/12/2024) n. 1254

FATTI DI CAUSA

1.- Con decreto ingiuntivo n. 1916/2019 del 19 agosto 2019, notificato il 2 settembre 2019, il Tribunale di Pavia ingiungeva il pagamento, in favore della F.lli Gi. di Gi.Mi. e Gi.Ti. Snc e a carico di Ma.Ed., della somma di Euro 28.050,00, a titolo di corrispettivo dovuto per la fornitura e installazione di serramenti.

Con atto di citazione notificato il 10 ottobre 2019, proponeva opposizione Ma.Ed., il quale negava di aver mai scelto i beni oggetto delle fatture azionate in sede monitoria e sosteneva di aver concordato con l'ingiungente un prezzo di favore complessivo per il loro acquisto pari ad Euro 8.000,00/10.000,00, poiché i serramenti avrebbero dovuto essere installati presso l'abitazione del Ma.Ed., prossimo a intrattenere un rapporto di convivenza more uxorio con la figlia di uno dei soci della ditta fornitrice, eccependo, in ultimo, di aver corrisposto integralmente le somme dovute per i serramenti forniti mediante un assegno bancario di Euro 10.000,00, tratto da Ma.Ad., padre dell'opponente, in favore di Gi.Ti.

Si costituiva in giudizio la F.lli Gi. di Gi.Mi. e Gi.Ti. Snc, la quale resisteva all'accoglimento dell'opposizione, chiedendo la conferma del provvedimento monitorio opposto.

Nel corso del giudizio era assunta la prova per interpello e testimoniale ammessa.

Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 1126/2021, depositata il 31 agosto 2021, accoglieva l'opposizione e, per l'effetto, revocava il decreto ingiuntivo opposto, escludendo che la pretesa sostanziale azionata avesse fondamento, in mancanza di risultanze istruttorie a supporto del titolo sotteso a tale pretesa.

2.- Con atto di citazione dell'8 ottobre 2021, la F.lli Gi. di Gi.Mi. e Gi.Ti. Snc proponeva appello avverso la pronuncia di primo grado, lamentando: 1) l'erronea valutazione della documentazione prodotta e delle risultanze delle prove orali assunte, da cui sarebbe emerso il titolo della pretesa azionata; 2) l'erronea imputazione del pagamento effettuato con l'assegno del 7 maggio 2018 di Euro 10.000,00, riconducibile ad una pregressa posizione debitoria maturata dal Ma.Ed.; 3) l'utilizzazione di elementi inconferenti per negare l'esistenza del titolo.

Si costituiva nel giudizio di impugnazione Ma.Ed., il quale instava per il rigetto dell'appello proposto e la conferma della sentenza impugnata.

Decidendo sul gravame interposto, la Corte d'Appello di Milano, con la sentenza di cui in epigrafe, accoglieva l'impugnazione e, per l'effetto, in riforma della pronuncia impugnata, rigettava l'opposizione avverso il decreto ingiuntivo e ne statuiva la conferma.

A sostegno dell'adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a) che, a fronte del pacifico adempimento delle prestazioni oggetto delle fatture azionate, il Tribunale aveva revocato il decreto ingiuntivo sulla scorta della mancanza di prova del corrispettivo dovuto per la fornitura e la posa di serramenti; b) che l'assenza di un contratto in forma scritta tra le parti non poteva esimere da una corretta ricostruzione della fattispecie, che - alla luce delle risultanze probatorie acquisite - consentiva di ritenere sussistente un accordo tra le parti in merito all'importo dovuto dal Ma.Ed. per la fornitura in questione; c) che dalle dichiarazioni rese dalla teste Gi.La. era emerso che il Ma.Ed. avrebbe dovuto versare alla F.lli Gi. l'importo di Euro 25.500,00 e, nello specifico, Euro 20.000,00 per la fornitura ed Euro 5.500,00 per la posa in opera, avendo goduto dell'ulteriore beneficio della mancata corresponsione di un acconto al momento dell'ordine; d) che tale ricostruzione era corroborata dalla comunicazione intercorsa tra il Ma.Ed. e Gi.La. in data 30 agosto 2018, con la quale il primo, per iscritto, tramite messaggio whatsapp, confermava la debenza dell'importo portato dalla fattura in questione all'esito dell'ultimazione della installazione; e) che, quand'anche l'accordo sul prezzo fosse stato ritenuto non provato - il che non era -, comunque il compenso avrebbe dovuto essere riconosciuto all'esito della determinazione sulla base della natura, quantità e qualità della prestazione eseguita e del vantaggio ottenuto dal committente, vantaggio che non era stato oggetto di contestazione; f) che, premessa la qualificazione giuridica dell'accordo assunto dalle parti in termini di contratto d'opera ex art. 2222 c.c., il compenso spettante era in ogni modo dovuto in applicazione dell'art. 2225 c.c., stante il risultato ottenuto e il lavoro impiegato per ottenerlo, come si evinceva dalle fatture di acquisto prodotte dall'appellante, che dimostravano i costi sostenuti, con la conseguente congruità degli importi richiesti rispetto ai prezzi di mercato.

3.- Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, Ma.Ed.

Ha resistito, con controricorso, l'intimata F.lli Gi. di Gi.Mi. e Gi.Ti. Snc

4.- All'esito, è stata formulata proposta di definizione del giudizio depositata il 28 maggio 2024, comunicata il 29 maggio 2024, ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., alla stregua della ritenuta manifesta infondatezza del ricorso.

Con atto depositato il 5 luglio 2024, Ma.Ed. ha spiegato opposizione avverso la proposta di definizione anticipata del giudizio.

5.- Le parti hanno depositato memorie illustrative.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Anzitutto devono essere affrontate le eccezioni preliminari sollevate dalla controricorrente.

1.1.- È infondata l'eccezione con cui si contesta il difetto di ius postulandi del difensore del ricorrente, alla stregua del mancato specifico riferimento della procura in calce all'impugnazione della sentenza d'appello e alla proposizione del ricorso per cassazione.

Ora, il requisito della "specialità" della procura necessaria per la proposizione del ricorso in cassazione è soddisfatto dalla congiunzione (c.d. "collocazione topografica") tra la procura rilasciata con firma autenticata dall'avvocato e l'atto a cui si riferisce ex art. 83, terzo comma, c.p.c., non risultando, per un verso, la non riferibilità all'attività professionale tipica del giudizio di legittimità e, per altro verso, il suo conferimento in data antecedente alla pubblicazione del provvedimento impugnato o successivo alla notificazione del ricorso (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 8334 del 27/03/2024; Sez. U, Sentenza n. 2077 del 19/01/2024; Sez. U, Sentenza n. 2075 del 19/01/2024; Sez. U, Sentenza n. 36057 del 09/12/2022).

1.2.- Anche il requisito dell'autosufficienza risulta soddisfatto, poiché nel corpo del ricorso è dato ravvisare l'iter attraverso cui si è snodato il processo nei suoi vari gradi e vi è un'adeguata esplicitazione delle ragioni della decisione impugnata, in relazione ai motivi di ricorso in cassazione proposti.

2.- Tanto premesso, con il primo motivo articolato (suddiviso in tre sub-motivi) il ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., la violazione e/o errata applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonché, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 20 e 23-quater del D.Lgs. n. 82/2005 (Codice dell'amministrazione digitale), per avere la Corte di merito valutato erroneamente le prove documentali e testimoniali in ordine all'accordo raggiunto per la fornitura e l'installazione dei serramenti, anche con riferimento alla misura del corrispettivo, e per aver utilizzato a fini probatori la copia fotografica del messaggio whatsapp senza alcuna certezza sulla riconduzione al suo apparente autore.

2.1.- Il motivo è infondato.

In tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest'ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d'ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6774 del 01/03/2022; Sez. 6-2, Ordinanza n. 27847 del 12/10/2021; Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020; Sez. 6-1, Ordinanza n. 1229 del 17/01/2019).

2.2.- Orbene, la prova della pattuizione del quantum preteso in sede monitoria per la fornitura e la posa dei serramenti è stata desunta dalla testimonianza resa da Gi.La., che ha specificato i prezzi pattuiti per tale commissione, testimonianza come corroborata dal contenuto adesivo del whatsapp inviato dal committente, in cui si subordinava il pagamento secondo la fattura inviata all'ultimazione dell'installazione.

Inoltre, si è ritenuto che il corrispettivo preteso, a fronte della pacifica esecuzione della prestazione, fosse congruo rispetto al risultato ottenuto e al lavoro impiegato per ottenerlo, come si evinceva dalle fatture di acquisto prodotte dall'appellante, che dimostravano i costi sostenuti, con la conseguente congruità degli importi richiesti rispetto ai prezzi di mercato, ai sensi dell'art. 2225 c.c. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10057 del 24/04/2018; Sez. 2, Sentenza n. 7510 del 31/03/2014; Sez. 3, Sentenza n. 9829 del 18/09/1995).

2.3.- Il fatto che sia stata attribuita prevalenza alle deposizioni testimoniali di Gi.La., anziché dell'ulteriore teste Ma.Ad., non può costituire oggetto di censura in questa sede, poiché il giudizio di attendibilità, sufficienza e congruenza delle testimonianze (con la ponderazione del loro "peso probatorio"), che si colloca interamente nell'ambito della valutazione delle prove, è estraneo al sindacato di legittimità (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 25166 del 08/10/2019; Sez. 2, Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019; Sez. L, Sentenza n. 15205 del 03/07/2014; Sez. L, Sentenza n. 13054 del 10/06/2014; Sez. 3, Sentenza n. 117 del 05/01/1966).

2.4.- Ancora, quanto alla contestazione del messaggio whatsapp prodotto, si rileva che i messaggi "whatsapp" e gli "sms" conservati nella memoria di un telefono cellulare sono utilizzabili quale prova documentale e, dunque, possono essere legittimamente acquisiti mediante la mera riproduzione fotografica, con la conseguente piena utilizzabilità dei messaggi estrapolati da una "chat" di "whatsapp" mediante copia dei relativi "screenshot", tenuto conto del riscontro della provenienza e attendibilità degli stessi (Cass. Sez. U, Sentenza n. 11197 del 27/04/2023).

Ora, in tema di efficacia probatoria dei documenti informatici, il messaggio di posta elettronica (c.d. e-mail) - e così i messaggi whatsapp - costituisce un documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privo di firma, rientra tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all'art. 2712 c.c. e, pertanto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 19622 del 16/07/2024; Sez. 2, Sentenza n. 11584 del 30/04/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 30186 del 27/10/2021; Sez. 6-2, Ordinanza n. 11606 del 14/05/2018).

E ciò pur non avendo l'efficacia della scrittura privata prevista dall'art. 2702 c.c. (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 22012 del 24/07/2023).

Nel caso in disputa, l'odierno ricorrente ha contestato precipuamente l'utilizzabilità processuale del "documento" in sé, piuttosto che la natura artefatta del suo contenuto.

In ogni caso, alla luce dei principi espressi, occorre evidenziare che, nella fattispecie, per le argomentazioni innanzi esposte, il messaggio utilizzato non ha avuto una rilevanza decisiva al fine di ritenere provato il quantum della fornitura e della posa in opera dei serramenti (che, contrariamente all'assunto del ricorrente, non è stato basato sul riconoscimento di debito desumibile da tale messaggio), bensì - ben più limitatamente - tale "documento" ha costituito un elemento indiziario utilizzato per suffragare l'attendibilità della testimonianza resa da Gi.La.

3.- Con il secondo motivo svolto il ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., l'errata e/o falsa applicazione dell'art. 2225 c.c. e la violazione dell'art. 1657 c.c., per avere la Corte territoriale determinato il prezzo sulla scorta del riferimento al contratto d'opera anziché all'appalto e senza alcun elemento probatorio di supporto del quantum.

3.1.- Il motivo è inammissibile.

E ciò perché la misura del corrispettivo riconosciuta è stata ritenuta provata, indipendentemente dalla qualificazione giuridica attribuita al negozio, sulla scorta della conferma dell'importo riportato nelle fatture a cura della teste Gi.La., come suffragata dal tenore della prodotta copia fotografica del messaggio whatsapp (con l'impegno a corrispondere quanto dovuto in base alla fattura inviata, una volta che l'opera fosse stata ultimata), oltre che della congruità rispetto ai risultati ottenuti e al lavoro impiegato, in ragione della corrispondenza dei costi sostenuti ai prezzi di mercato.

Conclusione che non sarebbe mutata qualora il contratto fosse stato qualificato come appalto.

4.- In definitiva, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese e compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Poiché, all'esito dell'opposizione alla proposta di definizione anticipata del giudizio, ai sensi dell'art. 380-bis, ultimo comma, c.p.c., il giudizio è stato definito in conformità alla proposta, deve essere applicato l'art. 96, terzo e quarto comma, c.p.c., con la conseguente condanna ulteriore del ricorrente soccombente al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata nonché, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro non inferiore ad Euro 500,00 e non superiore ad Euro 5.000,00, somme che si liquidano come da dispositivo.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento - ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l'impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla refusione, in favore della controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge; condanna altresì il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, della somma equitativamente determinata in Euro 1.500,00 e al pagamento, in favore della cassa delle ammende, della somma di Euro 1.000,00.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 5 dicembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2025.

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