Patto di quota lite, stipula ante Legge n. 247 del 2012, validità, equità, proporzione alla tariffa di mercato

Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.2135 del 29/01/2025

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Patto di quota lite, stipula ante Legge n. 247 del 2012, validità, equità, proporzione alla tariffa di mercato

Il patto di quota lite, stipulato dopo la riformulazione dell'art. 2233 c.c. (operata dal D.L. n. 223 del 2006, conv. con modif. dalla L. n. 248 del 2006) e prima dell'entrata in vigore dell'art. 13, comma 4, della L. n. 247 del 2012, che non violi il divieto di cessione dei crediti litigiosi di cui all'art. 1261 c.c., è valido a meno che, valutato sotto un profilo causale nonché sotto il profilo dell'equità, alla stregua della regola integrativa di cui all'art. 45 del codice deontologico forense, nel testo deliberato il 18 gennaio 2007, il rapporto tra il compenso pattuito e il risultato conseguito, stabilito dalle parti all'epoca della conclusione del contratto, risulti sproporzionato per eccesso rispetto alla tariffa di mercato.

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Cassazione civile sez. II, ordinanza 29/01/2025 (ud. 19/09/2024) n. 2135

FATTI DI CAUSA


La Corte d'Appello di Firenze, con sentenza del 31.10.2018, ha confermato la sentenza del Tribunale di Firenze, che aveva rigettato l'opposizione proposta da Gi.Ga. avverso il decreto ingiuntivo emesso in favore dell'Avv. Jacopo To.Ja., con il quale gli era stato ingiunto il pagamento della somma di Euro 214.640,62, a titolo di compensi professionali per la difesa svolta in un giudizio civile.

L'Avv. To.Ja. aveva difeso Gi.Ga. in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo che si era concluso in senso a lui favorevole nel giudizio di primo grado ma la sentenza era stata ribaltata in grado d'appello.

L'opponente aveva dedotto che, in relazione a tale giudizio, aveva concluso con l'avvocato un patto di quota lite con scrittura privata del 22.9.2008, secondo cui in caso di vittoria del Gu.Lu. il compenso doveva esser pari al 15% del valore della controversia e, in caso di esito negativo, era dovuta la somma forfettaria Euro 7.500,00.

L'opponente aveva, altresì, chiesto la rescissione del contratto per lesione ultra dimidium, considerato la sua notevole esposizione debitoria, nota al difensore, e la sproporzione dei compensi richiesti rispetto alle prestazioni svolte.

La Corte d'Appello, nel rigettare l'opposizione, ammise la legittimità del patto di quota lite, ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett.a) della Legge del 04/08/2006 n. 248, ratione temporis applicabile, a nulla rilevando che le somme dovute al difensore, applicando la percentuale del 15% sul valore della causa, fossero di importo superiore al massimo del compenso previsto dalle tariffe professionali.

La domanda di rescissione per lesione, secondo la Corte d'Appello, era rimasta sfornita di prova perché il compenso era liberamente determinabile dalle parti, sia in ragione della natura aleatoria del contratto di prestazione professionale.

Gu.Lu., Gu.Fr., in qualità di eredi di Gu.Gi. hanno proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello, sulla base di tre motivi.

L'Avv. To.Ja. ha resistito con controricorso

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell'art. 380-bis.1 cod. proc. civ.

In prossimità della camera di consiglio, il ricorrente ha depositato memorie illustrative.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 2233 c.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la Corte d'Appello ritenuto la validità del patto di quota lite sulla base di un'erronea interpretazione dell'art.2, comma 1, lett. a) della Legge del 04/08/2006. La norma, secondo i ricorrenti, deve essere interpretata nel senso che il patto di quota lite è vietato se esso realizza, direttamente o indirettamente, la cessione di un credito o bene litigioso. Tale interpretazione troverebbe conferma nella previsione della circolare del 4.9.2006 n. 22, adottata dal Consiglio Nazionale Forense, che ravvisa un illecito disciplinare in caso di cessione del credito e bene litigioso. Anche l'art. 45 della Delibera del Consiglio Nazionale Forense del 18.1.2007, nell'ammettere la pattuizione del compenso con il cliente sulla base degli obiettivi raggiunti, fa salvo il divieto previsto dall'art. 1261 c.c. in materia di divieto di cessione dei beni litigiosi e subordina la congruità del compenso ad un giudizio di proporzionalità rispetto all'attività svolta, secondo quanto previsto dall'art.2233 c.c. Il compenso supplementare all'avvocato sarebbe consentito, in virtù degli usi, dal cosiddetto palmario, quale premio o compenso straordinario, in caso di esito favorevole della lite, per l'importanza e la difficoltà della prestazione professionale, da determinarsi in relazione all'attività svolta dall'avvocato. La Corte d'Appello non si sarebbe adeguata a tali principi determinando il compenso sulla base delle somme che erano state ingiunte a Gu.Gi. con decreto ingiuntivo, nonostante la sentenza favorevole nel giudizio di opposizione fosse stata ribaltata in grado d'appello. Un ulteriore profilo di erronea applicazione dell'art. 2223 c.c. sarebbe consistito nell'avere la Corte d'Appello ritenuto legittimo un compenso, determinato sulla base del patto di quota lite, che superava i massimi tariffari, secondo l'art. 64 del R.D.L. 1578/1933 ratione temporis applicabile, sul presupposto che la Legge del 04/08/2006, n. 248 non avrebbe derogato all'obbligo del rispetto dei limiti tariffari, come argine alla libera autodeterminazione dei contraenti.

Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1325,1418 e 1469 c.c., in relazione all'art.360, comma 1, n.3 c.p.c. per avere la Corte d'Appello ritenuto che il patto di quota lite avesse natura intrinsecamente aleatoria mentre, nel caso di specie, non sussisterebbe il requisito dell'aleatorietà perché il patto di quota lite sarebbe stato stipulato in un momento in cui in cui l'esito del giudizio si profilava favorevole per il ricorrente. Al momento dell'accordo, infatti, il Tribunale aveva concesso la sospensione dell'esecutività del decreto ingiuntivo e la causa era stata rinviata per la precisazione delle conclusioni. Inoltre, l'aleatorietà sarebbe esclusa dalla circostanza che l'accordo fosse limitato al primo grado, già prossimo alla conclusione, e non al giudizio d'appello, nel quale Gu.Gi. era risultato soccombente, di modo che la somma richiesta in virtù del patto di quota lite sarebbe del tutto sproporzionata.

I motivi, che per la loro connessione vanno affrontati congiuntamente, sono fondati.

Il patto di quota lite, vietato in modo assoluto dall'art. 2233, terzo comma, c.c., nella sua originaria formulazione, è divenuto lecito in base alla modifica di cui all'art. 2 del D.L. n. 223 del 2006, convertito con modifiche nella legge n. 248 del 2006, che ha stabilito l'abrogazione delle disposizioni legislative che prevedevano, tra l'altro, il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti.

Il successivo comma 2-bis dell'art. 2 cit., introdotto in sede di conversione, ha poi riscritto l'ultimo comma dell'art. 2233 c.c., stabilendo l'obbligo di forma scritta, sotto pena di nullità, per i patti conclusi tra gli avvocati ed i clienti contenenti la regolazione dei compensi professionali.

Nel lasso di tempo intercorso tra il D.L. n. 223 del 2006 e la L. n. 247 del 2012, che ha modificato la previgente disciplina, ratione temporis applicabile, si pose il problema della compatibilità dei contratti che prevedevano un patto di quota lite con il divieto di cessione dei crediti a favore di soggetti esercenti determinate attività, ex art. 1261 c.c., e con l'operatività del requisito di adeguatezza e proporzionalità del compenso rispetto all'opera prestata.

Va aggiunto che l'art. 45 del codice deontologico forense, nel testo modificato con la delibera C.N. F. del 18 gennaio 2007 consentiva all'avvocato di pattuire con il cliente compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti, fermo il divieto dell'art. 1261 c.c., ma sempre che gli stessi compensi fossero "proporzionati

all'attività svolta"; la ratio di tale divieto è di subordinare la congruità del compenso ad un giudizio di proporzionalità rispetto all'attività svolta.

Come sostenuto dalla giurisprudenza di questa Corte (in particolare Cass. sez. II, 06/07/2022, n. 21420 ed i precedenti in essa richiamati), il divieto del cosiddetto "patto di quota lite" tra l'avvocato ed il cliente, trova il suo fondamento nell'esigenza di assoggettare a disciplina il contenuto patrimoniale di un peculiare rapporto di opera intellettuale, al fine di tutelare l'interesse del cliente e la dignità della professione forense, che risulterebbe pregiudicata tutte le volte in cui, nella convenzione concernente il compenso, sia ravvisabile la partecipazione del professionista agli interessi economici finali ed esterni alla prestazione richiestagli.

Le Sezioni Unite di questa Corte, pronunciando in tema di impugnazione delle decisioni disciplinari del Consiglio Nazionale Forense, hanno ritenuto che la prescrizione dell'art. 45 del codice deontologico avesse inteso prevenire il rischio di abusi commessi a danno del cliente e a precludere la conclusione di accordi iniqui, sicchè il giudice deve valutare se la stima effettuata dalle parti, all'epoca della conclusione dell'accordo sia sproporzionata per eccesso rispetto alla tariffa di mercato, tenuto conto di tutti i fattori rilevanti, in particolare del valore e della complessità della lite e della natura del servizio professionale, comprensivo dell'assunzione del rischio (così Cass., Sez. Un., 25/11/2014, n. 25012; conforme Cass. Sez. Un., 04/03/2021, n. 6002).

Il divieto del patto di quota lite è, quindi, integrato non soltanto nell'ipotesi in cui il compenso del legale sia commisurato ad una parte dei beni o crediti litigiosi, ma anche qualora tale compenso sia stato convenzionalmente correlato al risultato pratico dell'attività svolta, realizzandosi, così, quella non consentita partecipazione del professionista agli interessi pratici esterni della prestazione (Cass. n. 11485/1997; Cass. n. 4777/1980).

Accentuando il distacco dell'avvocato dagli esiti della lite, diminuisce la portata dell'eventuale commistione di interessi tra il cliente e l'avvocato (Cass., Sez. Un., n. 25012/2014).

Alla luce dell'orientamento tracciato da questa Corte, (da ultimo Cassazione sez. II, 04/09/2024, n. 23738), il compenso supplementare è riconosciuto all'avvocato sulla base del cosiddetto palmario, quale componente aggiuntiva riconosciuta dal cliente all'avvocato in caso di esito favorevole della lite, a titolo di premio o di compenso straordinario per l'importanza e la difficoltà della prestazione professionale (Cass., sez. un., 08/06/2023, n. 16252; Cass. sez. II, 26/04/2012, n. 6519).

Nel caso di specie, il compenso dell'avvocato era stato parametrato ad una percentuale dell'importo determinato sulla base delle somme ingiunte al medesimo con decreto ingiuntivo, pari ad Euro 1.355.188,97, avverso il quale Gi.Ga. aveva proposto con successo opposizione con il patrocinio dell'Avv. To.Ja.

La Corte d'Appello ha omesso ogni valutazione sulla congruità del compenso, sostenendo che esso fosse liberamente valutabile tra le parti mentre, al contrario, si imponeva un giudizio di proporzionalità rispetto alla tariffa di mercato, tenuto conto di tutti i fattori rilevanti, con particolare riferimento al valore ed alla complessità della lite.

L'aleatorietà legata all'esito del giudizio non esclude la possibilità di valutare l'equità del patto di quota lite, alla stregua del caso concreto, così verificando se la stima effettuata dalle parti fosse, all'epoca della conclusione dell'accordo, ragionevole o, al contrario, sproporzionata per eccesso rispetto alla tariffa di mercato (Cass. sez. II, 30/09/2021, n. 26568 non massimata in tema di illecito disciplinare; Cass., sez. un., n. 25012 del 2014, cit.; Cass. n. 6519 del 2012).

Un parametro che il giudice deve tenere in considerazione nel valutare l'adeguatezza della prestazione è, altresì, il riferimento alle tariffe professionali, che stabiliscono una forbice per la determinazione del compenso e costituiscono una fonte integrativa del contratto nell'ipotesi in cui la misura del compenso non sia stata concordata dalle parti.

Non è condivisibile il precedente, come affermato nella motivazione della sentenza della Terza sezione civile 6 luglio 2018, n. 17726, secondo cui il patto di quota lite stipulato durante la vigenza del D.L. n. 223 del 2006, art. 2, comma 1, lett. a), conv., con modif., in L. n. 248 del 2006, e prima dell'entrata in vigore della L. n. 247 del 2012, art. 13, comma 4, può, ex se, validamente prevedere compensi maggiori rispetto ai massimi tariffari; si tratta di un precedente isolato, superato dalla giurisprudenza formatasi successivamente, che ha valorizzato i principi di adeguatezza e proporzionalità del compenso pattuito rispetto alla prestazione professionale resa dall'avvocato.

La nullità del patto di quota lite non pregiudica, in ogni caso, la validità dell'intero contratto di patrocinio (Cass. Sez. II, 30.7.2018, n. 20069), e, conseguentemente l'avvocato conserva il diritto al compenso per le sue prestazioni sulla base delle tariffe professionali (Cass. sez. II, 10/03/2023, n.7180, non massimata).

I primi due motivi devono, pertanto, essere accolti, mentre è assorbito il terzo mezzo, con il quale si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1448 c.c. e dell'art. 64RDL n. 1578/1933, in relazione all'art. 360, comma 1, n.3 c.p.c., con riferimento all'azione di rescissione per lesione.

La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d'Appello di Firenze, in diversa composizione, che farà applicazione del seguente principio di diritto:

"Il patto di quota lite, stipulato dopo la riformulazione dell'art. 2233 c.c. (operata dal D.L. n. 223 del 2006, conv. con modif. dalla L. n. 248 del 2006) e prima dell'entrata in vigore dell'art. 13, comma 4, della L. n. 247 del 2012, che non violi il divieto di cessione dei crediti litigiosi di cui all'art. 1261 c.c., è valido a meno che, valutato sotto un profilo causale nonché sotto il profilo dell'equità, alla stregua della regola integrativa di cui all'art. 45 del codice deontologico forense, nel testo deliberato il 18 gennaio 2007, il rapporto tra il compenso pattuito e il risultato conseguito, stabilito dalle parti all'epoca della conclusione del contratto, risulti sproporzionato per eccesso rispetto alla tariffa di mercato".

Il giudice di rinvio regolerà le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, assorbito il restante;

cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, innanzi alla Corte d'Appello di Firenze, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte Suprema di cassazione, in data 19 settembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2025.

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