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Trasfusioni al figlio con sangue di vaccinati, illegittimo il rifiuto dei genitori no-vax

Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.2549 del 03/02/2025

Può un genitore rifiutare una trasfusione di sangue per il figlio minore condizionandola alla provenienza del sangue da donatori non vaccinati contro il Covid-19?

La Cassazione civile, sez. I, con l’ordinanza n. 2549 del 3 febbraio 2025, ha affrontato la questione, occupandosi di un caso che ha coinvolto un bambino affetto da una grave malformazione cardiaca.

I genitori, contrari per motivi religiosi e sanitari, hanno richiesto che le trasfusioni fossero eseguite esclusivamente con sangue da donatori non vaccinati. La loro opposizione si basava sulla ritenuta pericolosità della proteina spike e su questioni etiche legate all’uso di linee cellulari da feti abortiti nella produzione dei vaccini.

Normativa e principi

La normativa di riferimento principale è la legge n. 219/2017 sulle direttive anticipate di trattamento (legge DAT), la quale stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere eseguito senza il consenso libero e informato del paziente, salvo casi espressamente previsti dalla legge. L’art. 3 di questa legge disciplina il consenso per i minorenni e prevede l’intervento del Giudice tutelare qualora i genitori rifiutino cure che i medici considerano appropriate e necessarie.

Principi costituzionali rilevanti:

  • Art. 32 Cost.: tutela del diritto alla salute.

  • Art. 29 Cost.: protezione della famiglia e del ruolo genitoriale.

  • Art. 2 e 13 Cost.: diritto all’autodeterminazione.

Norme sovranazionali:

  • Art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo: il miglior interesse del minore deve prevalere.

  • Art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE: diritto all’integrità fisica e psichica.

L'esame della vicenda

Nel caso specifico, il Giudice tutelare di Modena, seguito dal Tribunale per i minorenni e confermato dalla Cassazione, ha ritenuto che:

  • Il consenso condizionato è equiparabile a un non-consenso. Esigere trattamenti sanitari non compatibili con le buone pratiche cliniche e deontologiche è irragionevole.

  • La scelta del sangue “non vaccinato” non ha base scientifica solida. Il parere della comunità scientifica prevale sull’opinione dei genitori, secondo cui la proteina spike poteva arrecare danni.

  • Non vi è violazione della libertà religiosa dei genitori. La Cassazione ha rilevato che il diritto alla salute del minore prevale su scelte religiose non strettamente fondate su dogmi vincolanti. Inoltre, è stato sottolineato che l’identità religiosa del minore non può essere imposta dai genitori.

  • Il miglior interesse del minore è prioritario. Imporre una condizione che potrebbe compromettere l’intervento è contrario alla tutela della salute del bambino.

Conclusione

La Cassazione ha respinto il ricorso dei genitori, sottolineando che:

  • La tutela della salute del minore è preminente rispetto a scelte condizionate da convinzioni religiose o dubbi scientifici non validati.

  • La procedura seguita dall’ospedale e l’intervento del Giudice tutelare sono conformi alla legge e garantiscono il diritto del minore a ricevere cure adeguate.

I genitori, quindi, hanno diritto di esprimere il consenso alle cure del figlio, ma tale diritto incontra un limite quando le loro scelte mettono a rischio la salute del minore.

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Cassazione civile, sez. I, ordinanza 03/02/2025 (ud. 03/12/2024) n. 2549

FATTI DI CAUSA

I ricorrenti Ga.Gi. e Ga.El. sono genitori di un bambino, nato il 25 gennaio 2020, affetto da una grave malformazione cardiaca, per il quale era stato programmato, nel mese di gennaio 2022, un intervento chirurgico con elevata probabilità di trasfusione di sangue. I genitori hanno quindi rappresentato ai sanitari che intendevano prestare il consenso alla trasfusione solo a condizione che il sangue provenisse da donatori non vaccinati contro il Covid-19 attivandosi per raccogliere personalmente la disponibilità di donatori rispondenti al suddetto requisito. L'opposizione era motivata sulla ritenuta pericolosità della proteina spike contenuta nel vaccino e per motivi religiosi, in quanto per produrre il vaccino sarebbero state utilizzate linee cellulari provenienti da feti abortiti. L'azienda ospedaliera, dopo avere rappresentato ai genitori che non era possibile garantire che i donatori non avessero ricevuto simili vaccini, né aderire alla richiesta di ricorrere a donatori non vaccinati, proponeva ricorso al Giudice tutelare di Modena ex art. art. 3, comma 5, legge n.219/2017 chiedendo di autorizzare con urgenza la prestazione del consenso all'intervento e all'eventuale trasfusione, proponendo la nomina di un curatore speciale nella persona del Direttore. Il Giudice tutelare, con decreto dell'8 febbraio 2022, rilevando che il consenso condizionato è un "non consenso", e ritenuta sussistente la propria competenza ex art 3 cit., ha nominato il Direttore generale dell'ospedale quale curatore del minore al fine di esprimere il consenso all'intervento, nei modi ordinari. Il provvedimento era reclamato innanzi al Tribunale per i minorenni, che lo respingeva con provvedimento del 13 settembre 2023 pubblicato il 20 settembre 2023, dando atto di essere nelle more intervenuto (21 febbraio 2022), sulla stessa linea, con un provvedimento di sospensione della responsabilità genitoriale, revocato in data 20 maggio 2022.

I ricorrenti hanno proposto ricorso per cassazione avverso il decreto del Tribunale minorile del 13/20 settembre 2023 sul reclamo avverso il provvedimento del giudice tutelare, affidandosi a due motivi. Ha proposto controricorso l'azienda ospedaliera. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Preliminarmente, le parti deducono che l'interesse all'impugnazione del decreto in esame sorge in relazione al fatto che la statuizione ha investito, con valore decisorio, una serie di diritti costituzionalmente garantiti (artt. 29/31 della Costituzione) di massima importanza, facenti capo ai genitori ed al minore. L'azienda ha eccepito la inammissibilità del ricorso per difetto di decisorietà e definitività, nonché per carenza di interesse perché l'intervento è stato eseguito.

2.- L'eccezione è infondata, e la sua confutazione rende necessario un breve inquadramento di carattere generale della fattispecie, che sarà utile anche nell'esame dei motivi di ricorso.

2.1.- Il Giudice tutelare ha reso una decisione ai sensi dell'art. 3 comma V, della legge n. 219/2017, comunemente nota come legge sulle direttive anticipate di trattamento (legge DAT).

La legge DAT è diretta a tutelare, nel rispetto dei principi di cui agli articoli 2,13 e 32 della Costituzione e degli articoli 1,2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all'autodeterminazione della persona e stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge.

Il consenso informato, secondo anche l'insegnamento della Corte costituzionale (sentenza n. 438 del 2008) deve essere inteso quale espressione della consapevole adesione del paziente al trattamento sanitario proposto dal medico e si configura quale vero e proprio diritto della persona, trovando fondamento nei principi espressi nell'art. 2 della Costituzione, che della persona tutela e promuove i diritti fondamentali, nonché negli artt. 13 e 32 Cost. (Cass. n. 16543/2011; Cass. n. 10423/2019; Cass. 28985/ del 11/11/2019).

All'art. 1 della stessa legge DAT si afferma che "È promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico che si basa sul consenso informato nel quale si incontrano l'autonomia decisionale del paziente e la competenza, l'autonomia professionale e la responsabilità del medico". In tal modo si rende evidente che il consenso informato è un atto complesso che si perfeziona non solo per effetto di una dichiarazione di volontà del paziente, ma in esito ad un procedimento partecipativo che vede impegnata anche la competenza del medico e la sua responsabilità professionale. Nell'ambito di questa responsabilità, propria della relazione di cura e strettamente connessa alla deontologia professionale, rientra il dovere del medico di indirizzare il paziente al trattamento sanitario adeguato alle sue condizioni. Secondo il codice deontologico medico infatti (art. 3) "dovere del medico è la tutela della vita, della salute fisica e psichica dell'Uomo e il sollievo dalla sofferenza nel rispetto della libertà e della dignità della persona umana, senza discriminazioni di età, di sesso, di razza, di religione, di nazionalità, di condizione sociale, di ideologia, in tempo di pace come in tempo di guerra, quali che siano le condizioni istituzionali o sociali nelle quali opera".

2.2.- In tema di trattamenti sanitari della persona minorenne si prevede (art. 3 comma II) che "il consenso informato al trattamento sanitario del minore è espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale o dal tutore tenendo conto della volontà della persona minore, in relazione alla sua età e al suo grado di maturità, e avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità".

Lo stesso art. 3 al comma V prevede che "Nel caso in cui il rappresentante legale della persona interdetta o inabilitata oppure l'amministratore di sostegno, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT) di cui all'articolo 4, o il rappresentante legale della persona minore rifiuti le cure proposte e il medico ritenga invece che queste siano appropriate e necessarie, la decisione è rimessa al giudice tutelare su ricorso del rappresentante legale della persona interessata o dei soggetti di cui agli articoli 406 e seguenti del codice civile o del medico o del rappresentante legale della struttura sanitaria".

Si tratta quindi di una procedura in esito alla quale si adotta un provvedimento che incide sul diritto personalissimo alla scelta dei trattamenti sanitari e sul diritto -dovere dei genitori di rappresentare il minore anche nelle scelte attinenti alle cure.

2.4.- Come si rende evidente dall'incipit della legge DAT, il diritto di scegliere liberamente e previa adeguata informazione i trattamenti sanitari è strettamente collegato non solo alla tutela della salute e della vita ma anche alla libertà di autodeterminarsi e quindi, in definitiva, al rispetto della dignità della persona umana. Esso assolve la funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all'autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se è vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente all'art. 32, secondo comma, della Costituzione (Corte Cost. 438/2008).

Analogamente, la Carta di Nizza considera il rispetto del consenso libero e informato quale aspetto del diritto alla integrità fisica e psichica della persona (art. 3) e negli stessi termini si esprime la Convenzione di Oviedo sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina del 4 aprile 1997 la quale esplicitamente all'art. 1 dichiara la propria finalità di proteggere l'essere umano nella sua dignità e nella sua identità e di garantire ad ogni persona, senza discriminazione, il rispetto della sua integrità e dei suoi altri diritti e libertà fondamentali riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina.

3.- Tali diritti sono assicurati anche alla persona minorenne, la quale nel momento stesso in cui nasce, acquista la capacità giuridica e quindi la titolarità di tutti i diritti della personalità.

Il minore, tuttavia, non ha il libero esercizio dei diritti che gli competono, ed è legalmente rappresentato dai suoi genitori. Il meccanismo della rappresentanza opera in modo chiaro per i diritti patrimoniali, laddove sussistono esigenze di certezza del traffico giuridico ed i vantaggi nel concludere o rifiutare un dato negozio giuridico sono - di regola - misurabili preventivamente in termini oggettivi. Meno chiaro per i diritti personalissimi, poiché essi sono appunto espressione di scelte personali, legati alla identità dell'individuo, e quindi alla sua unicità; viene da chiedersi pertanto come il diritto personalissimo possa essere esercitato da altri in nome e per conto dell'interessato. Nondimeno, poiché in tema di diritti della persona titolarità ed esercizio tendono a coincidere, e quindi privare dell'esercizio del diritto il minore (o l'adulto minus habens) significherebbe privarlo del diritto stesso, così contraddicendo la regola della capacità giuridica, si ammette, in determinati casi, che il diritto personalissimo possa essere esercitato dal legale rappresentante, sempre che sia accertato che l'atto corrisponda all'interesse del rappresentato e volto effettivamente a dare attuazione alle sue esigenze di protezione (si veda Cass. n. 14669 del 2018 in tema di divorzio dell'interdetto). In particolare, per quanto riguarda la condizione del minore e i trattamenti sanitari, la scelta e la attuazione dei trattamenti rientrano in quei doveri di cura del figlio che connotano la responsabilità genitoriale.

3.1.- A sua volta l'esercizio della responsabilità genitoriale costituisce un aspetto dello status parentale, connotato da diritti e doveri, non arbitrario e svincolato da qualsivoglia controllo, ma governato dalla regola dell'accordo tra i genitori e finalizzato ad attuare il best interest del minore (Corte Cost. 71/2024) nel rispetto, come recita l'art. 315 -bis c.c., delle capacità, inclinazioni naturali ed aspirazioni del minore stesso. Sebbene sia da considerarsi un munus, e cioè una funzione, esercitare la responsabilità genitoriale senza indebite interferenze costituisce anche un diritto dei genitori, ai sensi dell'art. 29 Cost. nonché un aspetto qualificante della relazione familiare tutelata anche dall'art 8 CEDU, da preservare da indebite ingerenze da parte dello Stato, il quale tuttavia ha l'obbligo di porre il miglior interesse del minore, e anche quello dei minori quale gruppo, al centro di tutte le decisioni che incidono sulla loro salute e sul loro sviluppo (Corte EDU, 8 aprile 2021, Vavricka e altri c. Repubblica Ceca 8 aprile 2021, par. 286 e ss.).

3.2.- Il nostro ordinamento conosce ipotesi di controllo e limitazione della responsabilità genitoriale, essenzialmente collegate alla trascuratezza dei doveri o abuso della funzione che comporti un pregiudizio al figlio (artt. 330 e 333 c.c.) e ciò in conformità all'art. 29 della Costituzione che se da un lato enuncia che è dovere, ma anche diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, dall'altro prevede che "nei casi di incapacità dei genitori la legge provvede a che siano assolti i loro compiti".

4.- Sulla base di questi principi, prima della promulgazione della legge DAT, all'eventuale ingiustificato rifiuto da parte dei genitori di trattamenti sanitari ritenuti utili o necessari per i figli minori si poneva rimedio tramite una temporanea limitazione o sospensione della responsabilità genitoriale.

4.1.- Il quadro normativo è però mutato nel 2017, rendendo obsoleto e sproporzionato rispetto allo scopo questo rimedio.

L'art. 3 della legge DAT interviene a chiarare come e con quali limiti si può esercitare il potere di rappresentanza dei genitori in materia di trattamenti sanitari, stabilendo, in armonia con i principi sopra ricordati, una procedimentalizzazione per la formazione e manifestazione del consenso. Esprimere o negare il consenso spetta quindi ai genitori, ma essi devono: a) tenere conto della volontà del minore, tramite il suo ascolto, "in relazione alla sua età e al suo grado di maturità" e cioè anche a prescindere dal fatto che abbia compiuto gli anni dodici; b) avere come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità e quindi dare spazio anche al parere dei medici, e in genere della comunità scientifica poiché questo consente di ancorare la scelta ad un dato oggettivo e di perseguire effettivamente lo scopo.

Correlativamente, la legge prevede il rimedio per l'ipotesi di violazione di queste regole procedimentali, svincolando la fattispecie dalla azione di controllo sul corretto esercizio della responsabilità genitoriale e limitandosi, in armonia con il dettato dell'art 29 Cost., a prevedere un meccanismo che opera solo in relazione ad un determinato compito genitoriale, non adeguatamente assolto. La norma consente al Giudice tutelare, adito dai medici o dagli altri soggetti indicati dalla norma, di decidere se un certo intervento/trattamento possa aver luogo anche senza il consenso dei genitori, così comprimendo il diritto di costoro di autodeterminarsi (di comune accordo) nelle scelte da fare nella cura dei figli minori e direttamente provvedendo in merito, in un settore ove le scelte comportano effetti nella vita del minore, potenzialmente irreversibili. Sottoporre o meno il minore ad un trattamento sanitario, infatti, modifica il corso della sua salute e la qualità della sua vita; e per quanto gli effetti della esecuzione di un intervento dannoso o della mancata esecuzione di un intervento utile possano essere rimediati da successivi trattamenti terapeutici, gli effetti della scelta iniziale si producono comunque e modificano (in meglio o in peggio) le condizioni della persona interessata. Inoltre, la ingiustificata compressione della sfera di autodeterminazione dei genitori, ed eventualmente anche di quella del minore nei limiti in cui si può tenere conto della sua opinione, è un fatto storico che si produce in ogni caso, quale effetto del provvedimento giudiziale, e ha una sua rilevanza a prescindere dalla buona o cattiva riuscita dell'intervento autorizzato (Cass. n. 24471/2020; Cass. n. 16633/2023).

5.- Rese queste permesse, si osserva, quanto alla eccezione preliminare, che non può dirsi quindi che manchi la decisorietà del provvedimento reso ex art. 3 cit., consistente nell'attitudine del provvedimento del giudice non solo ad incidere su diritti soggettivi delle parti, nella specie diritti personalissimi, ma anche ad incidervi con la particolare efficacia del giudicato (Cass. sez. u 22048/2023), che in questo caso deve intendersi nel senso di definitività, poiché la decisione determina un certo assetto degli interessi in gioco non più modificabile.

Questo principio, del resto, è già stato affermato da questa Corte di legittimità con riferimento ai decreti con cui il Giudice tutelare si sia pronunciato sulla domanda proposta dall'amministratore di sostegno di autorizzazione ad esprimere, in nome e per conto dell'amministrato, il consenso o il rifiuto alla sottoposizione a terapie mediche, considerato provvedimento definitivo avente natura decisoria su diritti soggettivi personalissimi (Cass. n. 14158 del 07/06/2017) e a questa giurisprudenza il Collegio ritiene di dare continuità anche con riferimento ai provvedimenti resi ex art. 3 legge DAT.

Né la circostanza che l'intervento sia stato eseguito fa venire meno l'interesse a verificare la legittimità della decisione, dal momento che una eventuale illegittima limitazione dei diritti di cui si è detto, se pur non più rimediabile con la restitutio in integrum, comporterebbe tuttavia conseguenze risarcitorie, che non sono escluse dalla buona riuscita dell'intervento (Cass. n. 10423 del 2019).

5.- Nel merito, i ricorrenti si affidano a due motivi.

5.1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell'art. 360, comma I n. 3 c.p.c. la violazione ed errata applicazione di norme di diritto (art.274 c.p.c.; artt. 3,111 Cost; art 3 della legge 219/2017artt. 330 e ss. c.c.). I ricorrenti lamentano l'incerto iter processuale del reclamo avverso il decreto del Giudice tutelare posto che detto reclamo è stato unito (o riunito) al procedimento per la sospensione della responsabilità genitoriale, e deciso dopo che il procedimento sulla sospensione era stato portato a termine. Deducono che il Tribunale minorile avrebbe violato le norme di diritto sopra indicate, avendo inteso riunire due liti che pendevano in gradi differenti ed aventi oggetti altrettanto divergenti. Osservano che le anomalie della presente vicenda non ne hanno interessato soltanto la parte sostanziale ma anche quella rituale; in particolare il provvedimento ultimo 20.09.2023, qui gravato, non è di facile decifrazione e a fronte della lesione di diritti di valenza primaria fatti valere dai genitori, si sono conseguite risposte in sede giurisdizionale totalmente insoddisfacenti e con evidente violazione dei principi che regolamentano l'equo processo. Inoltre lamentano che con tale rinvio alla decisione assunta in sede di sospensione alla responsabilità genitoriale occorsa nel proc. n. 119/2022, il Tribunale minorile di Bologna ha violato la corretta applicazione dell'art. 3. della legge L. 219/2017 in combinato disposto agli artt. 330 e ss. c.c. poiché l'intervento giurisdizionale nella sfera della loro responsabilità genitoriale non può che rimanere confinata all'interno della fattispecie disciplinata dal menzionato art. 3 della legge 219/2017. Ribadiscono che la loro decisione in termini di scelta terapeutica era corretta, in quanto maggiormente cautelante l'identità (quale appartenenza culturale e religiosa del minore al proprio nucleo familiare) e la salute del proprio figlio, tuttavia, anche qualora ciò non fosse, senz'altro, l'intervento giurisdizionale non può che rimanere confinato all'interno della fattispecie disciplinata dal menzionato art. 3 L 219/2017 (sostituzione del consenso non prestato) e non certo espandersi nel campo della violazione delle potestà normate dagli artt. 330 e ss. c.c., soprattutto dal momento in cui gli stessi, oltre ad avere avuto massima cura di Giulio, si sono sempre dichiarati disposti ad ottemperare volontariamente alla decisione del Giudice tutelare, anche qualora contraria ai loro motivati e primari convincimenti, così come avvenuto.

Lamentano inoltre la violazione dell'art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. per erronea applicazione di norme di diritto (artt.2,3,13,19 e 32 Cost; artt. 3, 8 e 9 Cedu; articolo 3 legge 219/2017; L. n. 180 del 1978, art. 1L. n. 833 del 1978, artt. 4 e 33). Deducono che il provvedimento è abnorme poiché, avendo sempre gli stessi dichiarato di acconsentire all'intervento, la sostituzione del consenso ai sensi della L. 219/2017 avrebbe dovuto riguardare, al limite, esclusivamente l'emotrasfusione. Lo è, inoltre, poiché viola ogni principio di diritto nazionale e sovranazionale tutelante la libera scelta terapeutica (secondo i logici criteri della precauzione) e di orientamento religioso (obiezione di coscienza). Rilevano che il provvedimento è basato su una finzione consistente nella equiparazione del rifiuto della trasfusione "anonima" con il rifiuto dell'intervento che invece loro hanno sempre accettato ponendo solo la condizione del donatore controllato e che in caso di urgenza essi avrebbero comunque acconsentito all'intervento e con ciò sono stati privati della loro libertà di scelta in materia terapeutica anche per ragioni religiose (la dottrina cattolica esclude che si possano somministrare farmaci nella cui preparazione siano stati impiegati feti abortiti). Rilevano inoltre la non corretta informazione circa la tempistica degli intervento ha interferito con il loro diritto ad attivarsi per la raccolta del sangue di persone non immunizzate e stigmatizzano la condotta dell'azienda ospedaliera per non avere acconsentito recepire la preferenza terapeutica formulata dai genitori più che tempestivamente cioè nel settembre del 2021 e di avere falsamente rappresentato che i genitori si sarebbero opposti all'intervento così determinando una compressione della sfera della loro libertà. Deducono ancora di aver evidenziato, senza ricevere risposta dal Tribunale, come il Giudice tutelare di Modena avesse errato a negare il diritto all'obiezione di coscienza travisando il significato della nota della Congregazione per la dottrina e la fede laddove si afferma che "coloro che, comunque, per motivi di coscienza, rifiutano i vaccini prodotti con linee cellulari procedenti da feti abortiti, devono adoperarsi per evitare, con altri mezzi profilattici e comportamenti idonei, di divenire veicoli di trasmissione dell'agente infettivo" ricordando che in tema di aborto il diritto all'obiezione di coscienza è sancito nella enciclica Evangelium Vitae. Lamentano che è stato negato il diritto alla libertà religiosa invocato dai genitori per il minore, cattolico che in quanto battezzato fa parte della relativa comunità, costituendo detta appartenenza un tratto significativo della sua stessa identità. Tanto il giudice di prima che di seconda istanza avrebbero dovuto comunque esprimersi non già in termini di contrapposizione e di supremazia del diritto alla vita sul diritto al credo religioso bensì coordinare le due esigenze, coordinamento reso possibile dall'utilizzo del sangue più "tutelante" per l'interesse religioso e terapeutico del minore possibilità sicuramente ammessa nell'organizzazione dell'intervento, ove attuata tempestivamente da settembre 2021. Inoltre avrebbe dovuto osservarsi il criterio prudenziale in tema di scelte terapeutiche con riferimento alle possibili alle complicanze che la proteina spike potrebbe provocare sul sistema cardiocircolatorio, già gravemente minato del minore, secondo studi scientifici loro stessi allegati.

5.2.- Con il secondo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell'art. 360 comma I n. 5 c.p.c. la nullità decreto per omessa ovvero perplessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, e che avrebbe costituito statuizione implicita in merito ai motivi di reclamo relativi al proc. n. 346/2022, poi divenuto n. 135/2023; per mero rinvio alla fonte di riferimento con impossibilità di individuare le ragioni della decisione provvedimento. I ricorrenti deducono che il Tribunale non ha svolto alcun ragionamento a confutazione dei vari motivi su cui fondava il reclamo ma si è limitato al mero richiamo, a più riprese svolto alle statuizioni dallo stesso Tribunale minorile assunte nel procedimento instaurato riguardo alla sospensione della potestà genitoriale (n.119/2022). La decisione è, inoltre, nulla poiché si limita al mero rinvio ad altre decisioni (quelle assunte nel proc. n. 119 RGVG 2022), che, oltre ad essere tra loro contraddittorie, non sono passate in giudicato e, infine, non connotata dalle motivazioni minimali che soddisfino il principio di autosufficienza del provvedimento giurisdizionale.

Infine, si deve dare atto che i ricorrenti nelle loro conclusioni chiedono non soltanto di cassare il provvedimento impugnato, ma anche di ordinare alla struttura sanitaria di procedere alla raccolta di sangue da loro direttamente prelevato da soggetti che siano esenti da vaccinazione antiSars-Cov2, e/o privo di proteina Spike indotta da vaccinazione anti Sars-Cov2 o da virus contratto naturalmente, anche per possibili futuri trattamenti del decorso post- operatorio.

6.- I motivi possono esaminarsi congiuntamente poiché sono collegati, pur dovendosi distinguere il profilo relativo alle censure processuali e di nullità da quello relativo alle violazioni di norme di diritto.

6.1.- In primo luogo i ricorrenti lamentano un percorso processuale "anomalo" dal momento che il reclamo da loro presentato avverso il provvedimento del giudice tutelare reso ai sensi dell'art. 3 della legge DAT è stato unito agli atti del procedimento di limitazione della responsabilità genitoriale aperto dal Tribunale per i minorenni, e deciso mesi dopo la conclusione del procedimento de potestate, con un provvedimento privo di motivazione.

7.- Il provvedimento oggi impugnato così si esprime:

"Visto il reclamo proposto dai genitori avverso il provvedimento del giudice tutelare di Modena in data 8/2/22, reclamo che era stato inserito per unione agli atti nel procedimento 119/22 vol. portato a definizione senza che il Tribunale si pronunciasse specificamente sul medesimo; visti gli esiti dell'istruttoria svolta e i provvedimenti provvisori e definitivi emessi; rilevato che il reclamo deve essere rigettato alla luce dei suddetti provvedimenti in quanto il Tribunale, successivamente all'emissione del decreto del Giudice Tutelare, è in seguito intervenuto nella stessa linea a tutela del minore, al fine di consentire il particolare intervento che allora si era reso necessario; il decreto del Giudice tutelare, pertanto, il quale, si ribadisce, si riferiva solo ed esclusivamente all'intervento chirurgico al quale il minore fu poi sottoposto, deve essere confermato, ora per allora, e il reclamo rigettato; resta sulla situazione la vigenza del decreto definitivo emesso nell'ambito del procedimento per intervento sulla responsabilità genitoriale instaurato dal PM e iscritto al 119/22".

7.1.- Come si rende evidente dal testo del provvedimento impugnato, non è avvenuta una riunione in senso tecnico di due procedimenti, quanto piuttosto una "unione agli atti", poiché il reclamo avverso il provvedimento reso dal Giudice tutelare è stato inserito nel fascicolo del procedimento inerente la responsabilità genitoriale ed è stato deciso dopo conclusione (con la revoca della sospensione) di quest'ultimo.

7.2.- L'art. 3 della legge DAT regolamenta, come sopra si diceva, il conflitto tra il rappresentante legale dell'incapace ed il medico, in relazione alle cure da quest'ultimo proposte.

Nel consenso informato, come recita l'art. 1 della legge DAT "si incontrano l'autonomia decisionale del paziente e la competenza, l'autonomia professionale e la responsabilità del medico"; se il paziente è pienamente compos sui la decisione finale non può che essere rimessa a quest'ultimo e salvo che non siano in gioco anche interessi superindividuali (Corte Cost. 14 /2023); se il paziente ha un legale rappresentante, la legge, pur disponendo che sia quest'ultimo a esprimere (o negare) il consenso, impone una procedimentalizzazione nella formazione del consenso stesso, in cui largo spazio è dato al parere dei sanitari, e rimette alla coscienza e responsabilità del medico che ritenga le cure appropriate e necessarie la scelta di sollecitare la verifica giudiziale in merito; altresì la legge prevede che nell'interesse dell'incapace possano ricorrere al Giudice tutelare gli stessi rappresentanti legali o anche i soggetti di cui all'art 406 c.c. e cioè non solo il coniuge il convivente i parenti entro il quarto grado e gli affini entro il secondo, ma anche il Pubblico Ministero.

7.3.- Come sopra si diceva, l'art. 3 cit. disegna un meccanismo di rappresentanza per la manifestazione del consenso che deve rispettare un iter prestabilito, nell'ottica di assicurare che la soluzione scelta sia quella che realizza il miglior interesse dell'incapace. Vi sono dunque dei limiti, in questa materia, al potere di rappresentanza dei genitori, identici a quelli imposti al rappresentante dell'incapace adulto (tutore o amministratore di sostegno). Ciò rende evidente che il rimedio giudiziale costruito dalla norma (il ricorso al giudice tutelare) non ha nulla a che vedere con il controllo sul corretto esercizio della responsabilità genitoriale. Si tratta piuttosto di valutare, nel conflitto tra il parere medico e la volontà dei genitori, quale sia la soluzione che meglio tutela la persona interessata.

Il legislatore ha quindi svincolato la fattispecie dalla azione di controllo sul corretto esercizio della responsabilità genitoriale e reso obsoleto, nonché sproporzionato rispetto al fine, il ricorso al diverso rimedio della limitazione o sospensione della responsabilità genitoriale.

7.4.- Pertanto, a far data dalla entrata in vigore della legge n. 219/2017 in tutti casi in cui i genitori o il tutore di un minore rifiuti le cure proposte e il medico ritenga invece che queste siano appropriate e necessarie, deve ricorrersi al Giudice tutelare con la procedura disegnata dall'art 3 della stessa legge 219/2017, e non già al Tribunale minorile con una istanza di sospensione o limitazione della responsabilità genitoriale; la regola vale anche per il Pubblico Ministero che è soggetto legittimato ad adire il Giudice tutelare ai sensi del combinato disposto degli art. 3 della legge DAT e degli artt. 406 e 417 c.c.

8.- Nondimeno il fatto che il genitore rifiuti le cure appropriate potrebbe essere indice, nell'ambito di un più generale quadro di trascuratezza o abuso della responsabilità genitoriale, della non idoneità di uno o di entrambi i genitori al ruolo, ed in tal caso resta fermo il dovere del Pubblico Ministero o degli altri soggetti legittimati di adire il Tribunale per i minorenni con una istanza ex art. 330 o 333 c.c. È quindi possibile che, in casi determinati, vi sia una contemporanea pendenza dei due procedimenti, ma l'intervento del giudice minorile è legittimo solo se ed in quanto si fondi non (soltanto) sulla ritenuta necessità di intervenire per autorizzare il trattamento sanitario proposto, poiché per questa evenienza vi è già uno specifico diverso rimedio, ma sul rilievo di altre condotte pregiudizievoli per il minore.

9.- Venendo quindi al caso di specie, risulta dagli atti richiamati in ricorso e depositati telematicamente che il Tribunale per i minorenni di Bologna ha sospeso in data 8.2.2022 gli odierni ricorrenti dalla responsabilità genitoriale unicamente sul rilievo della necessità dell'intervento cui i genitori non avevano prestato consenso (o meglio avevano prestato consenso condizionato) e pur nella consapevolezza che in pari data il Giudice tutelare di Modena aveva già provveduto con la nomina di un curatore. Successivamente, in data 20 maggio 2002, detta sospensione è stata revocata sulla considerazione che i genitori "abbiano acquisto consapevolezza in merito alle problematiche che hanno portato all'intervento dei servizi e del Tribunale; che non si ravvisano più i presupposti per mantenere la tutela in capo al minore". È quindi evidente che il Tribunale minorile ha creato un (inutile) duplicato del procedimento di competenza del Giudice tutelare, sulla (erronea) considerazione che la situazione "imporrà verosimilmente ulteriori interventi per tutelarne la salute anche oltre quanto autorizzato dal giudice tutelare". L'intervento del giudice minorile è stato un duplicato inutile del procedimento ex art 3 cit. perché sulle attuali necessità del minore si era già provveduto e sugli ulteriori interventi "verosimilmente" necessari a tutela della sua salute avrebbe dovuto provvedere, ricorrendone i presupposti, sempre lo stesso Giudice tutelare.

10.- Nondimeno, oggetto dell'odierno ricorso per cassazione non sono i due provvedimenti de potestate dell'8 febbraio e del 20 maggio 2022, bensì il provvedimento di rigetto del reclamo proposto dai genitori avverso il provvedimento del Giudice tutelare di Modena. I suddetti provvedimenti de potestate rilevano tuttavia in quanto il loro contenuto è richiamato all'interno del provvedimento oggi impugnato e ne costituisce la motivazione; a loro volta i provvedimenti de potestate richiamano il provvedimento del giudice tutelare di Modena, che il Tribunale minorile fa proprio, dichiarando di essere intervenuto "sulla stessa linea".

In definitiva, non può dirsi che il provvedimento oggi impugnato sia privo di motivazione per quanto espressa attraverso un complicato sistema di richiami ad attività istruttoria e provvedimenti precedenti, né che la "unione agli atti" abbia comportato per parti un pregiudizio difensivo; anzi, creando un unico fascicolo si è reso ancora più evidente che le ragioni del rigetto del reclamo erano le stesse che avevano determinato la apertura del procedimento de potestate.

11.- Ciò detto e posto che questa Corte non deve giudicare sulla legittimità dei due provvedimenti de potestate deve valutarsi la conformità a norme di diritto delle ragioni esposte dal Giudice tutelare di Modena in quanto recepite e fatte proprie (con il complicato meccanismo di cui sopra) dal Tribunale minorile, nonché gli ulteriori argomenti esposti nei provvedimenti suddetti, in quanto richiamate nel provvedimento impugnato.

12.- Le ragioni di opposizione al decreto emesso dal Giudice tutelare di Modena in estrema sintesi, possono così riassumersi: a) non risponde a verità che i genitori hanno rifiutato il consenso all'intervento avendo posto soltanto la condizione che la eventuale (e probabile) trasfusione ad esso connessa avvenisse con sangue di donatori non vaccinati contro il covid-19: b) le ragioni di tale condizione non erano pretestuose ma legate, da un lato, ad un principio religioso in quanto i ricorrenti sono cattolici, contrari all'aborto e quindi alla utilizzazione anche indiretta di prodotti (il vaccino) per cui fosse stati utilizzate linee cellulare derivate da feti abortiti; dall'altro ad un principio di cautela posto che la proteina spike avrebbe potuto, sia pure in estrema ipotesi, causare danni al minore; c) che essi avrebbero potuto fornire sangue proveniente da donatori non vaccinati.

Controparte oppone che la normativa in materia non permette la selezione dei donatori in base al dato vaccinale e il presunto diritto all'obiezione di coscienza non si fonda sui documenti vaticani; che la soluzione alternativa offerta dai genitori non garantisce i principi a cui si ispira la donazione volontaria e anonima comunque sicura; che non vi sono prove della pericolosità della proteina spike e anzi gli effetti a lungo termine sono smentite dalla letteratura scientifica anche recente.

13. In primo luogo sul consenso.

Esprimere il consenso ad un trattamento sanitario ponendo una condizione non attuabile equivale a non esprimerlo. Il paziente non può infatti esigere trattamenti sanitari contrari alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali, incidendo sulla sfera di autodeterminazione del medico che in questo caso può rifiutare l'intervento (Cass n. 26209/2022).

Dagli atti e dalle difese delle parti emerge che per quanto fosse (verosimilmente) possibile entrare in possesso di una certa quantità di sangue da donatori non vaccinati, l'azienda ospedaliera si atteneva a protocolli che impedivano il ricorso a questa soluzione, sia per adeguarsi alle linee guida e alla Raccomandazione del Consiglio d'Europa sulla donazione periodica ed anonima, richiamate anche dal Giudice tutelare, sia per tutelare la autodeterminazione dei medici, sia per ragioni economiche. L'azienda evidenza anche che i genitori, pur prospettando che il Policlinico di Modena si attenesse a protocolli diversi e che fosse disponibile alla raccolta del sangue coi requisiti domandati, hanno però confermato la scelta di tenere il figlio in carico al S. Orsola di Bologna, nonostante il rifiuto alla trasfusione con sangue "dedicato". Di conseguenza, la condizione posta dai genitori, non attuabile per la struttura da loro scelta, viziava l'intero consenso che doveva ritenersi non prestato, come correttamente ritenuto dal Giudice tutelare.

14.- Sulla obiezione di natura religiosa.

Non spetta a questo giudice entrare nell'ambito della dottrina religiosa, tuttavia è noto che la Chiesa Cattolica condanna l'aborto volontario e di conseguenza anche la "cooperazione materiale passiva" in questo caso individuabile, secondo la prospettazione dei ricorrenti, nel fatto che per produzione di alcuni vaccini si sarebbe fatto ricorso, nel processo di ricerca e produzione, a linee cellulari che provengono da tessuti ottenuti da feti abortiti; pertanto il cristiano cattolico non dovrebbe farne uso.

Qui si può osservare che la Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla moralità dell'uso di alcuni vaccini anti-Covid-19, del 21.12.2020 (e non del 2021) invocata di ricorrenti, non contiene solo il passaggio da essi menzionato, ma chiarisce che "quando non sono disponibili vaccini contro il Covid-19 eticamente ineccepibili è moralmente accettabile utilizzare i vaccini anti-Covid-19 che hanno usato linee cellulari provenienti da feti abortiti nel loro processo di ricerca e produzione" ed ancora che "la ragione fondamentale per considerare moralmente lecito l'uso di questi vaccini è che il tipo di cooperazione al male (cooperazione materiale passiva) dell'aborto procurato da cui provengono le medesime linee cellulari, da parte di chi utilizza i vaccini che ne derivano, è remota. Il dovere morale di evitare tale cooperazione materiale passiva non è vincolante se vi è un grave pericolo, come la diffusione, altrimenti incontenibile, di un agente patogeno grave". Ciò basta ad osservare che se la Chiesa considera "remota" la cooperazione consistente nel fatto di vaccinarsi - ed invero è fatto noto che anche Papa Francesco ha invitato i fedeli a vaccinarsi contro il Covid - ancora più remota deve considerarsi la cooperazione consistente nel sottoporsi a trasfusione di sangue senza sapere se il donatore sia o meno vaccinato contro il Covid e con quale vaccino.

14.1.- Ma in ogni caso, deve osservarsi che i ricorrenti incorrono in un errore di diritto laddove parlano della identità religiosa del figlio che deve essere preservata. Incorrono in errore perché essi sovrappongo totalmente la propria identità religiosa a quella del minore.

L'identità della persona è l'insieme delle caratteristiche che rappresentano l'uomo nel suo progressivo divenire. Essa presenta profili genetici, giuridici, sociali e tutti concorrono nella costruzione progressiva e costante della personalità. I genitori, trasmettendo il patrimonio genetico se sono anche genitori biologici, ed in ogni caso esercitando la loro funzione di cura ed educazione, sono i primi a costruire l'identità del minore; tuttavia devono farlo, come dispone l'art 315-bisc.c. nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. Anche un bambino in tenera età ha inclinazioni naturali e aspirazioni, ma soprattutto ha capacità, intese come potenzialità del divenire; e si tratta di un divenire che nel progressivo entrare in contatto con persone diverse dai genitori e comunità diverse dalla famiglia può anche evolversi verso scelte diverse, che i genitori sono tenuti a rispettare.

Così, se pure è compito e prerogativa dei genitori dare al figlio una educazione anche sotto il profilo religioso, non può non considerarsi che le scelte religiose future del minore potrebbero essere diverse e pertanto non è accettabile che i genitori adottino decisioni per il minore in cui la loro fede religiosa sia assolutamente condizionante e prevalga in ogni caso sempre e comunque sugli altri interessi del minore. Ciò è stato ripetutamente affermato da questa Corte, la quale ha rimarcato che in tema di scelte religiose resta comunque preminente la considerazione del miglior interesse del minore, e del suo diritto ad una crescita sana ed equilibrata (Cass. n. 21916/2019; Cass. n. 12954/2018).

Non incorre quindi in errore di diritto il giudice che bilanci le scelte religiose dei genitori con altri diritti ed interessi del minore, quali il diritto alla salute psico-fisica e ad una armoniosa crescita e decida, in questa operazione di bilanciamento, quale scelta attui il miglior interesse del minore; a questi criteri si è attenuto il Giudice tutelare di Modena ed anche, nella sostanza, il giudice minorile, che ha ritenuto di doversi muovere "sulla stessa linea".

15.- Sul principio di cautela per la pericolosità della proteina spike.

I ricorrenti lamentano che il giudice si sia fondato su informazioni scientifiche non riferite al caso di specie e che cade in errore a ritenere che la proteina spike non entri nel circolo sanguigno se non accidentalmente e in concentrazioni irrilevanti; di contro essi hanno prodotto perizia dalla quale risulta che detta proteina è presente nei tessuti a distanza di svariati mesi. Pertanto, concludono, non è stato adeguatamente valutato il rischio al quale è stato esposto il minore, già gravato da una patologia cardiovascolare.

15.1.- Occorre qui preliminarmente ricordare che nelle conclusioni i ricorrenti chiedono di non soltanto di cassare il provvedimento impugnato ma anche di ordinare alla struttura sanitaria di procedere alla raccolta di sangue da loro direttamente prelevato da soggetti che siano esenti da vaccinazione antiSars-Cov2, e/o privo di proteina spike indotta da vaccinazione anti Sars-Cov2 o da virus contratto naturalmente, anche per possibili futuri trattamenti del decorso post- operatorio.

Introducono così una domanda inammissibile nel giudizio di legittimità, che non è giudice del merito ed è chiamato soltanto a valutare la legittimità del provvedimento impugnato; al tempo stesso introducono un argomento che la parte controricorrente contesta essere nuovo, introdotto solo in sede di reclamo e qui ribadito, e cioè la condizione che il sangue non soltanto provenisse da donatori non vaccinati, ma anche da donatori che non avevano contratto il covid-19. Ed in effetti se il rischio paventato è quello legato alla proteina spike i ricorrenti avrebbero dovuto sin dal primo momento considerare che la proteina spike entra anche e in primo luogo nel sangue di coloro che contraggono l'infezione, trattandosi del principale meccanismo che il virus utilizza per infettare le cellule bersaglio; il vaccino replica questo meccanismo immettendola non nel sangue ma per via muscolare, per suscitare la risposta immunitaria.

La richiesta inziale avanzata nei confronti dell'ospedale, tuttavia, era quella di controllare che il sangue provenisse da donatori non vaccinati (pag. 4 del ricorso, con riferimento al dc. 10) e tale è la questione esaminata dal Giudice tutelare di Modena, il quale valuta se fosse ragionevole la richiesta di condizionare il consenso alla circostanza che il sangue fosse proveniente da donatori non vaccinati per evitare qualsivoglia (anche minimo) rischio di trasmissione della proteina spike.

15.2.- Il Giudice tutelare di Modena ha ritenuto la richiesta irragionevole, ritenendo attendibile l'opinione espressa dalla comunità scientifica maggioritaria secondo la quale non vi sarebbe alcuna differenza tra il sangue dei vaccinati e dei non vaccinati e quindi fosse da evitare al minore il rischio, grande o piccolo, "derivante da trasfusioni al di fuori di protocolli e scelta dell'ospedale in contrasto alla direzione dell'ordinamento e con il solo fine di evitare un pericolo che non appare inesistente".

Così operando il giudice del merito non ha commesso alcun errore di diritto, poiché nel contrasto tra l'opinione dei genitori e quella dei medici ha individuato il miglior interesse del minore, in conformità all'art 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, nella soluzione che secondo una determinata letteratura scientifica e i protocolli dalla struttura sanitaria scelta dai genitori garantiva meglio la salute del minore, in conformità all'art 3 cit. secondo il quale lo scopo da perseguire è "la tutela della salute psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità".

È poi evidente che quando il giudice deve fondare la propria scelta su una opinione scientifica tiene conto indubbiamente del fatto che gli studi scientifici hanno sempre un margine di fallibilità e possono essere nel futuro smentiti, e che nessun trattamento medico è assolutamente sicuro, comportando sempre un margine di rischio più o meno rilevante. Il giudizio è stato tuttavia espresso allo stato degli atti e delle conoscenze disponibili e nel momento in cui doveva eseguirsi l'intervento. La scelta tra più teorie scientifiche è un aspetto del libero convincimento del giudice del merito (Cass. n. 43786/2010) al quale è rimesso il prudente apprezzamento delle prove (Cass. n. 28453/2024) e di cui si deve dare conto in motivazione, come qui ha fatto il Giudice tutelare e per relationem il giudice del reclamo.

Inoltre, appare corretto il rilievo che la scelta fatta dai genitori aggravasse inutilmente i protocolli dell'ospedale incidendo sulla sfera di autodeterminazione dei medici. E tanto più inutile appare questo aggravamento in relazione al ripensamento dei ricorrenti, i quali si sono resi conto -posto che in sede di reclamo hanno introdotto il relativo argomento- che controllare se i donatori erano vaccinati o meno non avrebbe garantito il figlio dalla trasmissione della proteina spike anzi probabilmente lo avrebbe ancora più esposto a questo rischio. Durante la pandemia infatti i "non vaccinati" erano in parte soggetti che rifiutavano il vaccino per convinzioni personali, ma anche persone che avevano già contratto la malattia e quindi per certo tempo non si sottoponevano a vaccinazione; sicché la richiesta di controllare se il donatore fosse vaccinato o meno (perché tale è la questione sottoposta al Giudice tutelare) non può giustificarsi prospettando il rischio della trasmissione della proteina spike, poiché il tipo di controllo proposto, oltre che essere inattuabile per i protocolli della struttura, non avrebbe evitato il rischio.

16.- Nell'insieme pertanto, la richiesta di trasfusioni da donatori non vaccinati appare essenzialmente una scelta di coscienza religiosa, sulla base della interpretazione individuale di un testo di dottrina, ma che in ogni caso non può essere imposta al minore se non all'esito di una adeguata valutazione e ponderazione dei suoi diritti ed interessi, che sono suoi e non del nucleo familiare di cui fa parte; in alcuni casi possono identificarsi con quelli del nucleo familiare, ma in altri divergere e del rispetto di questi diritti ed interessi il giudice deve farsi garante.

Ne consegue il rigetto del ricorso.

In ragione della novità della questione si compensano tra le parti le spese del procedimento.

In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri titoli identificativi a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/2003.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese processuali.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/2003.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2025.

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