Cosa succede se un conduttore decide di avviare un'attività di Bed & Breakfast (B&B) in un appartamento situato in condominio, nonostante il regolamento condominiale lo vieti? Può il condominio agire direttamente contro di lui?
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 2770 del 4 febbraio 2025, ha dato risposta a queste domande, ribadendo che il condominio può chiedere al conduttore la cessazione dell’attività di B&B, a patto che sia dimostrata l’opponibilità della clausola limitativa contenuta nel regolamento condominiale.
Nel caso di specie, un condominio aveva citato in giudizio la proprietaria e il conduttore dell'appartamento, chiedendo la cessazione dell’attività di B&B in quanto vietata dall'art. 10 del regolamento condominiale, regolarmente trascritto nei registri pubblici.
Le norme e i principi applicabili
La Cassazione richiama le norme rilevanti per la questione in esame:
Art. 1130 c.c.: legittima l’amministratore di condominio ad agire per far cessare gli usi contrari al regolamento.
Art. 1586 c.c.: stabilisce che il conduttore deve rispettare le servitù gravanti sull’immobile locato.
Secondo la giurisprudenza consolidata, inoltre, le limitazioni d'uso imposte dal regolamento condominiale contrattuale costituiscono servitù reciproche e, per essere opponibili ai terzi, devono essere chiare, esplicite e trascritte nei pubblici registri (Cass. n. 24188/2021, Cass. n. 1131/1985).
La Corte ha chiarito che la clausola che vieta la destinazione a "casa di alloggio" include anche i B&B, in quanto quest’ultimi rientrano nella nozione di struttura ricettiva a uso abitativo.
La soluzione del caso
Nel caso esaminato, il conduttore aveva avviato un'attività di B&B nonostante il regolamento condominiale, trascritto dal 1930, ne vietasse la destinazione a casa di alloggio. Il conduttore ha sostenuto che il divieto non gli fosse opponibile per una presunta mancanza di specificità nella trascrizione. Tuttavia, la Corte ha respinto questa tesi, evidenziando che:
La clausola regolamentare era valida e opponibile: essendo stata regolarmente trascritta e contenendo un divieto chiaro ed esplicito.
Il B&B rientra nel concetto di "casa di alloggio": l'attività di B&B fornisce alloggio a terzi, dunque viola la clausola regolamentare.
Legittimazione diretta del condominio: il condominio ha diritto di agire direttamente contro il conduttore, in quanto quest'ultimo, avendo sottoscritto un contratto di locazione, si impegna a rispettare il regolamento condominiale.
Conclusioni
La Cassazione, con la pronuncia in esame, ha confermato che:
il condominio può vietare l’attività di B&B se nel regolamento condominiale contrattuale è prevista una clausola chiara e trascritta che lo vieta.
tale divieto è opponibile anche al conduttore, che non può sottrarsi agli obblighi del regolamento.
Cassazione civile, sez. II, ordinanza 04/02/2025 (ud. 30/01/2025) n. 2770
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Di.Lu. ha proposto ricorso per cassazione articolato in cinque motivi avverso la sentenza n. 677/2021 della Corte d'Appello di Palermo, depositata il 29 aprile 2021.
Resistono con distinti controricorsi il Condominio di via (Omissis), e Rosalia Gu.Ro.
Il ricorrente ha depositato memoria.
2.- Il Condominio di via (Omissis) convenne dinanzi al Tribunale di Palermo Gu.Ro., proprietaria di un appartamento compreso nell'edificio, e Di.Lu., conduttore della medesima unità immobiliare in forza di contratto di locazione ad uso abitativo stipulato il 14 maggio 2015.
Il Condominio chiese la dichiarazione di cessazione dell'attività di "Bed E Breakfast" intrapresa dal citato conduttore nell'appartamento, giacché contrastante con l'art. 10 del regolamento condominiale contrattuale, trascritto nei pubblici registri, che espressamente dispone: "(è) vietato ai condomini di destinare gli appartamenti ed altri locali interni ad uso di qualsiasi industria, casa di alloggio, ambulanza, sanatorio, gabinetti per la cura di malattie infettive contagiose, agenzie di pegni, come è pure vietato di farne uso comunque contrario al decoro, al buon nome ed alla sicurezza del fabbricato, o che turbi comunque il pacifico godimento singolo o collettivo (omissis)".
Il convenuto Di.Lu. avanzò domanda nei confronti dell'altra convenuta Gu.Ro., per ottenerne la condanna al risarcimento della complessiva somma di Euro 144.000,00, qualora l'esito del giudizio avesse comportato la chiusura del BEB.
Con sentenza del 15 maggio 2018, n. 2323/2018, l'adito Tribunale dichiarò che l'uso ad attività di "bed and breakfast" dell'appartamento posto al piano IV dell'edificio facente parte del Condominio di via (Omissis), di proprietà Gu.Ro. e condotto in locazione dal Di.Lu., violasse il regolamento condominiale, condannando i convenuti alla chiusura dell'esercizio.
La Corte d'Appello di Palermo - con la suddetta sentenza n. 677/2021 - ha poi respinto gli appelli proposti da Di.Lu. e Gu.Ro. nei confronti del Condominio di via (Omissis).
3. - Va, innanzitutto, disattesa l'eccezione di improcedibilità del ricorso sollevata dal controricorrente Condominio, avendo il ricorrente Di.Lu. ottemperato all'onere di cui all'art. 369, comma 1 e comma 2, n. 2, c.p.c., ovvero al deposito della copia autentica della sentenza impugnata e della relativa relata di notificazione dell'11 maggio 2021, corredata dall'attestazione di conformità, entro il termine fissato.
Devono essere respinte anche le altre eccezioni di inammissibilità del ricorso, essendo stato osservato quanto prescritto dall'art. 366, comma 1, nn. 4) e 6), c.p.c., in termini di sufficiente specificità, completezza e riferibilità dei motivi alla decisione impugnata, nonché di analitica indicazione delle parti rilevanti dei documenti sui quali le censure si fondano.
4. - Il primo motivo del ricorso di Di.Lu. deduce - ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c. - la violazione o falsa applicazione degli artt. 2655-2659 c.c., per la inopponibilità al ricorrente della clausola limitativa del regolamento condominiale.
Ciò perché la nota di trascrizione del 1930 farebbe generico riferimento al regolamento disciplinante il "godimento dei corpi formanti dello stabile al quale dovranno sottostare i singoli acquisitori dei corpi stessi", senza fare espressa menzione del divieto di esercizio dell'attività di "casa alloggio". Inoltre, nella nota di trascrizione mancavano i dati anagrafici dell'ingegnere Ma.Cu.
4.1. - Il motivo è infondato.
4.2. - L'azione intentata dal Condominio di via (Omissis) per l'asserita violazione, in immobile condotto in locazione, di una prescrizione, contenuta nel regolamento condominiale, di non destinare i singoli locali di proprietà esclusiva dell'edificio a determinati usi, recante altresì la domanda di cessazione dell'attività abusiva e di accertamento della illegittimità dell'attività svolta nell'immobile alla stregua del divieto regolamentare, non poteva proporsi nei confronti del solo conduttore Di.Lu., essendo la proprietaria dell'unità immobiliare Gu.Ro., litisconsorte necessaria in un tale giudizio. Ciò si comprende in quanto il giudizio che sia diretto a verificare l'esistenza e l'opponibilità di una siffatta clausola del regolamento, la quale preveda limitazioni all'uso delle unità immobiliari in proprietà esclusiva, accerta la sussistenza di servitù reciproche che riguardano immediatamente la cosa e, perciò, deve coinvolgere anche il proprietario, e non soltanto il conduttore.
4.3. - L'azione del condominio diretta a curare l'osservanza del regolamento ed a far riconoscere in giudizio l'esistenza della servitù che limiti la facoltà del proprietario della singola unità di adibire il suo immobile a determinate destinazioni, si configura, invero, come confessoria servitutis, e perciò vede quale legittimato dal lato passivo in primo luogo colui che, oltre a contestare l'esistenza della servitù, abbia un rapporto attuale con il fondo servente (proprietario, comproprietario, titolare di un diritto reale sul fondo o possessore suo nomine), potendo solo nei confronti di tali soggetti esser fatto valere il giudicato di accertamento, contenente, anche implicitamente, l'ordine di astenersi da qualsiasi turbativa nei confronti del titolare della servitù o di rimessione in pristino, mentre gli autori materiali della lesione del diritto di servitù possono essere eventualmente chiamati in giudizio quali destinatari dell'azione ex art. 1079 c.c., ove la loro condotta si sia posta a titolo di concorso con quella di uno dei predetti soggetti o abbia comunque implicato la contestazione della servitù (Cass. n. 2403 del 2024; n. 15222 del 2023).
Le norme del regolamento di condominio che impongono divieti di destinazione ed altre limitazioni similari all'uso delle unità immobiliari di proprietà esclusiva concorrono ad integrare la disciplina delle cose comuni dell'edificio, in quanto dirette ad impedire un uso abnorme delle stesse in conseguenza di situazioni e comportamenti che non si esauriscano nello stretto ambito delle proprietà esclusive: di tal che, in caso di violazione di tali prescrizioni, l'amministratore del condominio, indipendentemente dal conferimento di uno specifico incarico con deliberazione della assemblea, ha, a norma dell'art. 1130 c.c., il potere di farne cessare il relativo abuso e, quindi, la relativa legittimazione processuale (Cass. n. 1131 del 1985). La presenza di un diritto di servitù in favore indistintamente delle proprietà esclusive presenti in un edificio condominiale, in sostanza, assoggetta il diritto stesso, sia nelle modalità di esercizio che con riguardo alle spese di gestione del bene, alla disciplina propria del condominio, la quale si estende sia alla gestione dei beni comuni che ai diritti reali su beni di uso comune connessi alla migliore utilizzazione delle proprietà (Cass. n. 12259 del 2023). La legittimazione processuale dell'amministratore si giustifica, quindi, essendo in gioco la salvaguardia dei diritti concernenti l'edificio condominiale unitariamente considerato e l'interesse comune dei partecipanti alla comunione, cioè un interesse che costoro possono vantare solo in quanto tali, in antitesi con l'interesse individuale di un singolo condomino (Cass. n. 30302 del 2022).
Peraltro, il giudicato che va a formarsi sull'azione confessoria intentata dal condominio nei confronti del singolo condomino attiene solo al riconoscimento dell'esistenza della servitù a carico della proprietà esclusiva del convenuto e all'accertamento dell'opponibilità della clausola regolamentare, sicché non sussiste la necessità del litisconsorzio di tutti i partecipanti al condominio "per comunanza dei plurimi rapporti bilaterali" correlati alla reciprocità dell'onere (cfr. Cass. Sez. Unite n. 1900 del 2025; Cass. n. 23224 del 2013).
4.4. - Il condominio, quindi, sempre che sia provata l'operatività della clausola limitativa, ovvero la sua opponibilità al condomino locatore, può chiedere, comunque, anche nei diretti confronti del conduttore di una porzione del fabbricato condominiale, la cessazione della destinazione abusiva e l'osservanza in forma specifica delle istituite limitazioni, giacché il conduttore non può venire a trovarsi, rispetto al condominio, in posizione diversa da quella del condomino suo locatore, il quale, a sua volta, è tenuto ad imporre contrattualmente al conduttore il rispetto degli obblighi e dei divieti previsti dal regolamento, a prevenirne le violazioni e a sanzionarle anche mediante la cessazione del rapporto di locazione (cfr. Cass. n. 24188 del 2021; n. 11383 del 2006; n. 4920 del 2006; n. 16240 del 2003; n. 23 del 2004; n. 15756 del 2001; n. 4963 del 2001; n. 8239 del 1997; n. 825 del 1997; n. 5241 del 1978).
4.5.- Il condominio, che faccia valere nei confronti del conduttore la violazione del divieto contenuto nel regolamento condominiale di destinare i singoli locali di proprietà esclusiva a determinati usi e richieda la cessazione della destinazione abusiva al conduttore, deduce, d'altro canto, l'esistenza di servitù gravanti sulla cosa locata, le quali menomano il diritto del conduttore, e ciò implica l'applicabilità dell'art. 1586 c.c. con riguardo al rapporto locativo. Il conduttore convenuto dal condominio, ove si opponga alla pretesa di quest'ultimo, dimostra comunque di avere interesse a rimanere nella lite, agli effetti del secondo comma del citato art. 1586 c.c.
4.6. - In questa ricostruzione trova risposta il primo motivo di ricorso: il Condominio di via (Omissis) poteva far valere anche rivolgendosi direttamente al conduttore Di.Lu. il rispetto del divieto di destinazione, sempre che fosse provata l'operatività della clausola limitativa regolamentare, ovvero la sua opponibilità alla condomina locatrice.
La Corte d'Appello ha accertato in fatto che il regolamento di condominio, adottato l'11 marzo 1930, era stato trascritto il 18 aprile 1930.
Il ricorrente deduce ora che la nota di trascrizione indicava soltanto il regolamento, e non anche la specifica clausola limitativa dell'attività di "casa alloggio", ai sensi degli artt. 2659, comma 1, n. 2, e 2665 c.c. Inoltre, nella stessa nota mancavano i dati anagrafici di una delle parti.
4.7. - È vero che la questione relativa alla mancata o irregolare trascrizione in un'apposita nota di una clausola del regolamento di condominio contenente limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, ed alla conseguente inopponibilità di tali limiti ai terzi acquirenti, non costituisce oggetto di un'eccezione in senso stretto, quanto di un'eccezione in senso lato, sicché il suo rilievo non è subordinato alla tempestiva allegazione della parte interessata, ma rimane ammissibile indipendentemente dalla maturazione delle preclusioni assertive o istruttorie (Cass. n. 6769 del 2018).
Tuttavia, i rilievi svolti nel primo motivo di ricorso con riguardo al contenuto della nota di trascrizione, ed in particolare quanto alla portata delle servitù e ai dati anagrafici di una delle parti, come cause di invalidità a mente dell'art. 2665 cod. civ., quali erronee indicazioni inducenti incertezza sulle persone, sul bene o sul rapporto giuridico cui l'atto si riferisce, implicando accertamenti di fatto, non possono essere effettuati per la prima volta nel giudizio di cassazione, né il ricorrente adempie all'onere di indicare, agli effetti dell'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., in quale atto la relativa questione fosse stata ritualmente sottoposta al contradditorio fra le parti nel corso dei pregressi gradi di merito.
4.8. - Riveste peraltro una funzione dirimente, al fine di delimitare il programma contrattuale definito dalle parti di una locazione (sia quanto alle obbligazioni del locatore di mantenere la cosa locata in stato da servire all'uso convenuto e di garantirne il pacifico godimento, sia quanto alle obbligazioni del conduttore di osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsi della cosa per l'uso pattiziamente determinato), l'impegno assunto dal conduttore di un immobile sito nel fabbricato condominiale di rispettare il regolamento di condominio esistente (arg. da Cass. n. 10185 del 2012). A ciò portava l'art. 9 del contratto di locazione stipulato tra la Gu.Ro. e il Di.Lu.
4.9 - In tal senso, nella prospettiva del conduttore che assuma un tale impegno a rispettare il regolamento di condominio, non riveste alcuna consistenza la doglianza dello stesso circa le eventuali inesattezze della nota di trascrizione, essendo tale forma di pubblicità finalizzata, piuttosto, a dirimere il possibile conflitto fra più soggetti che abbiano acquistato dal medesimo titolare lo stesso diritto sull'immobile o sul bene mobile registrato.
4.10. - A ciò si aggiunga incidentalmente che la trascrizione dell'atto costitutivo delle servitù reciproche, come accertata dai giudici del merito, risulta eseguita il 18 aprile 1930.
Ne consegue che il contenuto sostanziale della nota di trascrizione andrebbe valutato alla stregua del disposto dell'art. 1940 del codice civile del 1865, vigente all'epoca dell'atto; tale disposizione, a differenza dell'art. 2665 del codice civile vigente, faceva riferimento ai vizi della nota che inducessero in una assoluta incertezza sulle persone, sul bene o sul rapporto.
Nella vigenza dell'art 1940 cod. civ. del 1865 si affermava in giurisprudenza che, perché potesse considerarsi efficacemente trascritto anche il negozio costitutivo di servitù (reciproche, nella specie), bastava che dal contenuto della nota di trascrizione fossero individuabili la natura della servitù stessa ed i fondi cui ineriva (Cass. n. 587 del 1971).
5. - Il secondo motivo del ricorso di Di.Lu. censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 1363,2697 c.c., dell'art. 116c.p.c. e dell'art. 12, comma 3, D.Lgs. n. 79 del 2011.
Viene criticata l'interpretazione prescelta dalla Corte di Palermo quanto alla portata dell'art. 10 del regolamento condominiale, il quale vieta ai condomini "di destinare gli appartamenti ed altri locali interni ad uso di qualsiasi industria, "casa di alloggio"", nel senso che tale divieto potesse comprendere l'attività di BEB, in quanto ontologicamente sovrapponibile a quella di "casa alloggio".
5.1.- Il motivo è infondato.
È noto, in particolare, che le restrizioni alle facoltà inerenti al godimento della proprietà esclusiva contenute nel regolamento di condominio, volte a vietare lo svolgimento di determinate attività all'interno delle unità immobiliari esclusive, poiché costituiscono
servitù reciproche, devono perciò essere approvate o modificate mediante espressione di una volontà contrattuale, e quindi con il consenso di tutti i condomini, mentre la loro opponibilità ai terzi acquirenti, che non vi abbiano espressamente e consapevolmente aderito, rimane subordinata all'adempimento dell'onere di trascrizione del relativo peso (Cass. n. 23 del 2004; n. 5626 del 2002; Cass. n. 4693 del 2001; Cass. n. 49 del 1992; n. 6769 del 2018; n. 3852 del 2020; n. 24526 del 2022; n. 21024 del 2016).
Configurandosi, appunto, tali restrizioni di godimento delle proprietà esclusive come servitù reciproche, intanto può allora ritenersi che un regolamento condominiale ponga limitazioni ai poteri ed alle facoltà spettanti ai condomini sulle unità immobiliari di loro esclusiva proprietà, in quanto le medesime limitazioni siano enunciate nel regolamento in modo chiaro ed esplicito, dovendosi desumere inequivocamente dall'atto scritto, ai fini della costituzione convenzionale delle reciproche servitù, la volontà delle parti di costituire un vantaggio a favore di un fondo mediante l'imposizione di un peso o di una limitazione su un altro fondo appartenente a diverso proprietario. Il contenuto di tale diritto di servitù si concreta nel corrispondente dovere di ciascun condomino di astenersi dalle attività vietate, quale che sia, in concreto, l'entità della compressione o della riduzione delle condizioni di vantaggio derivanti - come qualitas fundi, cioè con carattere di realità - ai reciproci fondi dominanti, e perciò indipendentemente dalla misura dell'interesse del titolare del Condominio o degli altri condomini a far cessare impedimenti e turbative.
Non appaga, pertanto, l'esigenza di inequivoca individuazione del peso e dell'utilità costituenti il contenuto della servitù costituita per negozio la formulazione di divieti e limitazioni nel regolamento di condominio operata non mediante elencazione delle attività vietate, ma mediante generico riferimento ai pregiudizi che si ha intenzione di evitare (quali, ad esempio, l'uso contrario al decoro, alla tranquillità o alla decenza del fabbricato), da verificare di volta in volta in concreto, sulla base della idoneità della destinazione, semmai altresì saltuaria o sporadica, a produrre gli inconvenienti che si vollero, appunto, scongiurare (Cass. n. 15222 del 2023; n. 38639 del 2021; n. 33104 del 2021; n. 24188 del 2021; n. 21307 del 2016; n. 23 del 2004).
La condivisa esigenza di chiarezza e di univocità che devono rivelare i divieti ed i limiti regolamentari di destinazione alle facoltà di godimento dei condomini sulle unità immobiliari in proprietà esclusiva, coerente con la loro natura di servitù reciproche, comporta che il contenuto e la portata di detti divieti e limiti vengano determinati fondandosi in primo luogo sulle espressioni letterali usate. L'art. 1362 c.c., del resto, allorché nel primo comma prescrive all'interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, non svaluta l'elemento letterale del contratto, anzi intende ribadire che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni usate, riveli con chiarezza ed univocità la volontà dei contraenti e non vi sia divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non è ammissibile.
È infatti da ribadire che l'interpretazione delle clausole di un regolamento condominiale contrattuale, contenenti il divieto di destinare gli immobili a determinati usi, è sindacabile in sede di legittimità solo per violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, ovvero per l'omesso esame di fatto storico ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Cass. n. 16384 del 2018; n. 14460 del 2011; n. 17893 del 2009).
Nella specie, l'interpretazione prescelta dalla Corte di Palermo in ordine al divieto, dettato dall'art. 10 del regolamento condominiale, di destinare le unità immobiliari a "casa di alloggio", come preclusivo anche dell'attività di BEB, non risulta né contrastante con il significato lessicale delle espressioni adoperate nel testo negoziale, né confliggente con l'intenzione comune dei condomini ricostruita dai giudici del merito, né contraria a logica o incongrua, rimanendo comunque sottratta al sindacato di legittimità l'interpretazione degli atti di autonomia privata quando il ricorrente si limiti a lamentare che quella prescelta nella sentenza impugnata non sia l'unica possibile, né la migliore in astratto. I bed and breakfast sono, secondo comune accezione, strutture ricettive a conduzione ed organizzazione familiare, gestite da privati in forma non imprenditoriale, che forniscono, per l'appunto "alloggio" (e prima colazione) utilizzando parti della stessa unità immobiliare.
La Corte di Palermo ha, peraltro, premesso che l'appellante avesse fondato le sue critiche sugli elementi che caratterizzano di norma l'attività dei BEB, senza allegare e provare nulla in ordine a quella nella specie da lui effettivamente esercitata.
6. - Il terzo motivo di ricorso denuncia l'omesso esame fatto circa un fatto storico decisivo e la manifesta contraddittorietà per contrasto irriducibile di affermazioni inconciliabili, quanto ad analoghe attività svolte nelle unità immobiliari comprese nell'edificio condominiale.
6.1. - Il terzo motivo è inammissibile quanto alla impugnazione ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., operando la previsione di cui all'art. 348-ter, comma 5, c.p.c. (applicabile ratione temporis), che esclude che possa essere così censurata la sentenza di appello "che conferma la decisione di primo grado" e che risulti fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della sentenza di primo grado (cd. doppia conforme).
Lo stesso motivo è manifestamente infondato quanto alla denuncia del contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, giacché la sentenza impugnata contiene le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione, e non è perciò affatto "apparente", consentendo un "effettivo controllo sull'esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice" (cfr. Cass. Sezioni Unite n. 8053 del 2014; n. 22232 del 2016; n. 2767 del 2023).
Il motivo è parimenti privo di fondamento nella sostanza.
Si è detto che i divieti di destinazione o di attività contenuti nei regolamenti condominiali danno luogo a servitù, la cui realità sussiste indipendentemente dalla misura dell'interesse dei condomini a far cessare impedimenti e turbative.
Poiché tali divieti equivalgono, in particolare, a servitù negative, nelle quali l'esercizio del diritto non si esplica mediante un comportamento positivo sul fondo servente, il non uso si identifica nella mancata osservanza dell'onere di riattivazione del diritto successivamente ad un evento che lo abbia violato e assume rilievo soltanto ove perduri per un periodo di oltre venti anni, comportando l'estinzione della servitù per prescrizione ex art. 1073 c.c.
7. - Il quarto ed il quinto motivo di ricorso lamentano, infine, la nullità della sentenza impugnata, nella parte in cui ha rigettato la domanda di risarcimento spiegata contro la locatrice, in violazione del principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c., del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ex art. 112 c.p.c. con riferimento alle deduzioni istruttorie formulate, nonché del principio di cui all'art. 111 Cost. e dell'art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c.
Viene, quindi, dedotta dal Di.Lu. la simulazione del contratto di locazione intercorso con la Gu.Ro., alla luce della scrittura privata del 7 agosto 2015, con la quale il conduttore si assumeva ogni responsabilità derivante dall'esercizio dell'attività di Bed and Breakfast.
7.1. - In proposito, la controricorrente Gu.Ro. ha dedotto e provato, mediante produzione documentale avvenuta all'atto della costituzione nel giudizio di cassazione, la stipula, avvenuta il 22 ottobre 2020, di una transazione in forza della quale la medesima locatrice accettava la riduzione del canone e il conduttore Di.Lu. rinunciava ad ogni domanda risarcitoria spiegata contro la locatrice nel presente giudizio (punto 5 dell'accordo).
Il ricorrente Di.Lu., nella memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c. depositata il 18 gennaio 2025, ha eccepito l'inammissibilità e la novità della produzione dell'accordo transattivo.
La produzione dell'atto di transazione è consentita dall'art 372 c.p.c., trattandosi di documento che comporta l'inammissibilità parziale del ricorso, in particolare del quarto e del quinto motivo, per sopravvenuto difetto d'interesse (Cass. Sez. Un. n. 4186 del 1981; Cass. n. 11324 del 2004).
8. Il ricorso va, perciò, rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento, in favore di ciascuna parte controricorrente, delle spese del presente giudizio negli importi rispettivamente liquidati in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento - ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l'impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore di ciascuna parte controricorrente, delle spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida per il Condominio di via (Omissis), Palermo, in complessivi Euro 4.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali ed accessori di legge, e per Rosalia Gu.Ro. in complessivi Euro 4.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 30 gennaio 2025.
Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2025.