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Unioni di fatto, l'obbligo di assistenza cessa dopo la fine della relazione?

Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.28 del 02/01/2025

Nell'ambito di un'unione di fatto, l'obbligo di assistenza materiale continua anche dopo la fine della relazione?

Con la recente ordinanza n. 28 del 2 gennaio 2025, la Prima sezione civile della Cassazione torna ad affrontare il tema della solidarietà tra ex conviventi more uxorio dopo la cessazione della loro relazione.

La vicenda in esame

Nel caso di specie, un fratello unilaterale ha convenuto in giudizio il fratello maggiore, chiedendo il rimborso delle spese sostenute dalla madre per il mantenimento del loro comune padre, dopo la fine dell'unione di fatto tra i genitori. La madre aveva contribuito economicamente al sostentamento e alle necessità di assistenza del padre, mettendogli anche a disposizione la propria casa di campagna. L'attore chiedeva inoltre che fosse accertato l’obbligo di entrambi i figli di contribuire al mantenimento del genitore per il periodo successivo al 2012, con la condanna del fratello maggiore al rimborso del 50% delle spese sostenute.

Il Tribunale di Milano aveva parzialmente accolto le domande, riconoscendo l’obbligo del fratello maggiore di contribuire alle spese di ricovero del padre in una struttura RSA per il 50%. La Corte d’Appello aveva poi ampliato questa decisione includendo anche le spese per altre strutture e confermando che la madre aveva agito adempiendo a un obbligo morale nei confronti dell’ex convivente, senza alcuna richiesta di restituzione fino al proprio decesso.

Unioni di fatto e obbligazioni naturali

Secondo la Corte, le unioni di fatto, riconosciute dall’art. 2 della Costituzione, costituiscono una forma di famiglia tutelata, caratterizzata da doveri morali e sociali tra i conviventi. Questi doveri possono estendersi anche oltre la fine del rapporto, configurandosi come obbligazioni naturali ai sensi dell'art. 2034 c.c., purché rispettino i requisiti di spontaneità, adeguatezza e proporzionalità.

Conseguenze nel caso concreto

Il caso trattava della richiesta di rimborso avanzata da un fratello verso l’altro, relativamente alle spese sostenute dalla loro madre per il mantenimento del padre comune, ex convivente della donna. La Cassazione ha stabilito che:

  • La madre aveva agito in base a un obbligo morale verso l’ex convivente, con cui aveva condiviso una lunga relazione e avuto un figlio.

  • Le spese erano proporzionate e adeguate alla situazione economica della donna e ai bisogni essenziali dell’uomo.

  • Non vi era prova di eccessi o richieste indebite, bensì di un contributo volto a garantire il minimo sostentamento e l’abitazione in una casa di campagna inutilizzata.

Conclusioni della Cassazione

La Corte ha rigettato il ricorso, ribadendo che il contributo economico prestato dalla madre dell’attore non era ripetibile, in quanto configurabile come adempimento di un obbligo morale e sociale. Ha inoltre sottolineato come le unioni di fatto riflettano una concezione pluralistica della famiglia, tutelata dall’art. 2 Cost.. Questo principio valorizza i legami solidaristici anche oltre la fine della convivenza, purché rispettino i requisiti previsti dalla legge.

Unioni di fatto, assistenza materiale e contribuzione economica, cessazione della convivenza, adempimento di obbligazione naturale, configurabilità

Le unioni di fatto sono un diffuso fenomeno sociale, che trova tutela nell'art.2 Cost., e sono caratterizzate da doveri di natura morale e sociale, di ciascun convivente nei confronti dell'altro, che possono concretizzarsi in attività di assistenza materiale e di contribuzione economica prestata non solo nel corso del rapporto di convivenza, ma anche nel periodo successivo alla cessazione dello stesso e che possono configurarsi, avuto riguardo alla specificità del caso concreto, come adempimento di un'obbligazione naturale ai sensi dell'art. 2034 c.c., ove siano ricorrenti pure gli ulteriori requisiti della proporzionalità, spontaneità ed adeguatezza. Il vincolo solidaristico e affettivo che trae origine dalla pregressa unione di fatto trova rispondenza nel mutato contesto valoriale di riferimento e si pone in lineare rapporto con la valutazione corrente nella società, stante l'affermazione, progressivamente sempre più estesa, di una concezione pluralistica della famiglia.

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Cassazione civile sez. I, ordinanza 02/01/2025 (ud. 04/12/2024) n. 28

FATTI DI CAUSA


1. Tr.Al. conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Milano Tr.Fe., suo fratello maggiore unilaterale, ossia generato dallo stesso padre ma da madre diversa, al fine di ottenere il rimborso delle spese sostenute a decorrere dal 2006 dalla madre dell'attore, Li.An. (deceduta prima dell'introduzione del giudizio e della quale il figlio Tr.Al. era unico erede), per i bisogni alimentari e per le necessità di assistenza di Tr.Gi., padre delle parti in lite. Tr.Al. chiedeva, inoltre, al Tribunale di accertare che a partire dal 2012 entrambi i figli di Tr.Gi. erano coobbligati al mantenimento del padre, chiedendo, per il periodo decorrente da tale anno, la condanna del convenuto al rimborso della metà delle spese a tale titolo sostenute, deducendo che le spese stesse erano state pagate fino al dicembre del 2016 dalla madre dell'attore e, successivamente a detto periodo, dall'attore stesso. Il convenuto si costituiva chiedendo il rigetto delle domande attoree. Il Tribunale di Milano, con sentenza emessa in data 9 giugno 2022 ex art. 281-sexies c. p. c., in parziale accoglimento delle domande attoree, accertava l'obbligo in capo a Tr.Fe. di provvedere al pagamento, nella misura del 50%, delle spese sostenute per la retta della Rsa Segesta Heliopolis, dal (Omissis), rigettando ogni altra domanda.

2. La Corte d'Appello di Milano, con sentenza n. 2725/2023 in data 31 luglio 2023 pubblicata in data 21 settembre 2023, accoglieva parzialmente l'appello proposto avverso la citata sentenza da Tr.Al., accertava che per il periodo successivo al 2016 entrambi i figli di Tr.Gi. erano coobbligati al mantenimento del padre e condannava pertanto Tr.Fe. al rimborso del 50% di quanto corrisposto da Tr.Al. dal novembre 2016 fino alla data della sentenza di secondo grado per le spese di degenza in ogni Rsa presso cui era stato ospitato Tr.Gi., e non solo nella Rsa Segesta Heliopolis, e quindi a pagare Euro 31.193,10 oltre le ulteriori mensilità via via dovute, successive alla domanda, e fino all'avvenuto decesso di Tr.Gi.. La Corte d'Appello confermava per il resto la sentenza impugnata e compensava le spese di lite. In particolare la Corte di merito affermava che: a) era insussistente l'obbligo restitutorio azionato dall'appellante quale erede della madre, in relazione alle spese sostenute da quest'ultima per i bisogni alimentari e l'assistenza del padre Tr.Gi. a decorrere dal 2006, sul rilievo che i genitori dell'appellante, benché non coniugati, avevano avuto un lungo percorso di vita insieme, con una convivenza pacificamente durata fino al 2006, caratterizzata dalla nascita del figlio Tr.Al., e che, nonostante la cessazione del convivenza more uxorio, vi era stato comunque, anche dopo il 2006, un legame di affetto tra i due, come dimostrato dalla messa a disposizione della casa di campagna di lei a favore di lui e dalle spese da lei sostenute in favore dell'ex convivente, pure in assenza di un qualsiasi obbligo giuridico; tale comportamento, proprio in assenza di un obbligo giuridico, denotava la volontà e la consapevolezza di voler adempiere ad un obbligo morale verso una persona con cui vi era stata condivisione di anni di vita comune, cementata dalla nascita di un figlio; detto comportamento si era protratto fino a quando la Li.An. aveva potuto, ovvero fino al 2016, data in cui, per suoi problemi anche di salute, non era stata più in grado di sostenere economicamente l'ex compagno, che versava in stato di bisogno ed aveva difficoltà di salute; b) il contributo dato dalla Li.An. in favore del padre di suo figlio si configurava come un adempimento di un obbligo morale verso una persona che aveva avuto sicuramente un ruolo importante nella sua vita e tale contributo era stato caratterizzato altresì da adeguatezza e proporzionalita, perché limitato a quanto necessario per il sostentamento dell'ex convivente e per avergli consentito di abitare nella sua casa di campagna, evidentemente disponibile e non utilizzata, in una situazione di precarietà economica e di salute del beneficiario, in difetto di allegazione o prova di eccessi o richieste esulanti dalla mera sussistenza alimentare; c) il Tribunale correttamente aveva qualificato, solo in via incidentale stante l'assenza di domanda, come donazione la compravendita dell'immobile di Via (Omissis) avvenuta in data 19 luglio 2001, dato che non vi era prova di dazione di denaro, nè di indicazione di come il pagamento fosse stato effettuato, mentre vi era la dichiarazione di gratuità resa da Tr.Gi., parte del contratto; d) era infondato anche il terzo motivo d'appello, perché non vi era prova, circa le spese sostenute a beneficio del padre, dell'avvenuto pagamento di esse da parte dell'appellante, in assenza di quietanza in suo favore, ne era stata data prova in altro modo che fosse stato effettivamente Tr.Al. a sostenere le spese del padre; e) il quarto e ultimo motivo d'appello era fondato, perché Tr.Gi. era stato ricoverato/ospitato presso una pluralità di Rsa, e non solo in quella indicata dal Tribunale, ed inoltre il Giudice di primo grado erroneamente aveva emesso sentenza di mero accertamento sul punto e non anche di condanna, come domandato, invece, dalla parte appellante.

3. Avverso la suddetta sentenza, Tr.Al. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, nei confronti di Tr.Fe., che ha resistito con controricorso.

4. Il ricorso è stato fissato per la trattazione in camera di consiglio. Le parti hanno depositato memorie illustrative.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente denuncia: i) con il primo motivo, ex art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. e 2697 c.c. in relazione all 'art. 437 c.c., per avere la Corte di merito ritenuto di qualificare donazione la compravendita stipulata nel 2001 tra il padre e la madre del ricorrente, in assenza di domanda della parte interessata e senza osservare l'onere della prova in ordine alla gratuità dell'atto; ii) con il secondo motivo, ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la falsa applicazione dell'art. 769 c.c., per avere la Corte d'Appello qualificato un atto come donazione in presenza della (presunta) gratuità e senza alcuna valutazione degli ulteriori elementi propri della donazione; iii) con il terzo motivo, ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell'art. 214, comma 2, c.p.c., per avere la Corte d'Appello utilizzato come mezzo di prova la dichiarazione unilaterale di Tr.Gi. senza considerare la contestazione dell'odierno ricorrente circa l'autenticità del documento; iv) con il quarto motivo, ex art. 360 comma 1 n.4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 c.p.c., in particolare per avere la Corte di merito totalmente ignorato il motivo di impugnazione attinente l'utilizzabilità e la validità della dichiarazione prodotta dall'appellato; v) con il quinto motivo, ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell'art. 2034 c.c., per avere la Corte di merito erroneamente ritenuto sussistenti i requisiti di cui all'art. 2034 c.c. e la sussistenza di un'obbligazione naturale; vi) con il sesto motivo, ex art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte d'Appello erroneamente ritenuto che l'attore non avesse fornito la dimostrazione dei pagamenti di cui era richiesto il rimborso, mentre era in atti la prova di detti pagamenti, tramite documentazione prodotta dall'appellante.

2. I motivi primo, secondo, terzo e quarto possono esaminarsi congiuntamente per la loro stretta connessione e sono inammissibili per carenza di interesse ad impugnare, come eccepito anche dal controricorrente.

2.1. Tutte le suddette censure riguardano la questione della qualificazione della compravendita di un immobile avvenuta nel 2001 tra Tr.Gi. e la convivente more uxorio dell'epoca, madre del ricorrente. Secondo la prospettazione di quest'ultimo, erroneamente la Corte d'Appello e prima ancora e soprattutto il Tribunale avevano qualificato come donazione quella compravendita, facendone discendere, a dire del ricorrente, l'insussistenza dell'obbligo di restituzione di quanto versato o comunque corrisposto dalla donataria, madre del ricorrente, al donante, Tr.Gi., stante l'obbligo di legge della prima a prestare gli alimenti al secondo, donante, ai sensi dell'art.437 c.c..

2.2. Occorre rilevare che la statuizione della Corte d'Appello in ordine all'insussistenza del suddetto obbligo di restituzione è fondata su una precisa e ben argomentata ratio decidendi, secondo la quale l'irripetibilità derivava dalla natura dell'obbligazione, ricondotta al paradigma legale dell'art.2034 c.c.. È ben vero che la Corte di merito ha esaminato anche la questione della vendita simulata ed ha affermato che si era trattato di un "accertamento incidentale" effettuato dal Tribunale, stante l'assenza di una specifica domanda al riguardo. Tuttavia, la Corte d'Appello non ha tratto conseguenze giuridiche da quest'ultima affermazione, non avendole in alcun modo esplicitate, sicché il percorso argomentativo della sentenza impugnata deve ritenersi basato unicamente sulla ratio della qualificazione dell'obbligazione ex art.2034 c.c., che è indubbiamente autonoma e idonea, da sola, a sorreggere la decisione.

Dalle suesposte considerazioni consegue che, in ordine alle questioni oggetto dei motivi di cui trattasi, difetta l'interesse ad impugnare del ricorrente, che non potrebbe conseguire alcun utile e concreto risultato dall'accoglimento di dette doglianze (tra le tante Cass. 12733/2024). Con la memoria illustrativa il ricorrente replica all'eccezione di inammissibilità per carenza di interesse sollevata dal controricorrente affermando che il Tribunale aveva basato la propria decisione sulla questione della donazione. All'evidenza la deduzione non coglie nel segno, poiché ora lo scrutinio di questa Corte riguarda, e non può che riguardare, la sentenza d'appello. Il ricorrente aggiunge, sempre nella memoria, che la questione della donazione, nell'iter motivazionale della sentenza impugnata, non si configura come un obiter e che egli "ha certamente interesse all'annullamento della sentenza sul profilo in esame in quanto condizionante la decisione della Corte d'Appello nella parte non favorevole al Ricorrente stesso". Anche detta deduzione difensiva non coglie affatto nel segno, poiché, come già evidenziato, la Corte d'Appello non solo non ha menzionato, né tantomeno applicato l'art. 437 c.c., ma neppure ha dato conto, esplicitandola, di alcuna conseguenza giuridica derivante dalla qualificazione della compravendita come donazione, in ordine all'insussistenza dell'obbligo di restituzione.

3. Il quinto motivo è infondato e in parte inammissibile.

3.1. Per chiarezza espositiva occorre premettere che, in base alla ricostruzione della Corte di merito, peraltro corrispondente a quella del ricorso, la madre del ricorrente Li.An. era deceduta nel mese di luglio 2018, e l'odierno ricorrente, in qualità di erede della madre, aveva agito nei confronti del fratello maggiore, odierno controricorrente, anche per ottenere il rimborso di quanto pagato o corrisposto dalla sua dante causa al padre Tr.Gi. fino al momento in cui egli era stato ricoverato in RSA (a dicembre 2016; a partire da questo periodo l'odierno ricorrente aveva iniziato a corrispondere in proprio la retta e le anticipazioni per il mantenimento del padre). Il ricorrente deduce che la relazione tra i due conviventi era pacificamente cessata nel 2006, e che "la natura di obbligazione naturale è tutt'altro che pacifica, atteso che possono facilmente essere così qualificati - a certe condizioni - gli esborsi in costanza della convivenza di fatto, non i pagamenti successivi'. Inoltre contesta la proporzionalità e adeguatezza degli esborsi, che dipendono dalla condizione economica del solvens, e rimarca che la madre aveva mantenuto per dieci anni Tr.Gi., mettendogli a disposizione una casa di campagna e sostenendo in favore dello stesso esborsi considerevoli, pari all'importo complessivo di decine di migliaia di Euro (quasi Euro 100.000,00).

3.2. Tanto precisato, secondo l'orientamento consolidato di questa Corte che il Collegio intende qui ribadire, la sussistenza dell'obbligazione naturale ex art. 2034, comma 1, c.c., postula una duplice indagine, finalizzata ad accertare se ricorra un dovere morale o sociale, in rapporto alla valutazione corrente nella società, e se tale dovere sia stato spontaneamente adempiuto con una prestazione avente carattere di proporzionalità ed adeguatezza in relazione a tutte le circostanze del caso (tra le altre Cass. 19578/2016).

Inoltre questa Corte ha avuto modo di chiarire (cfr. da ultimo Cass. 16864/2023) che le unioni di fatto, quali formazioni sociali che presentano significative analogie con la famiglia formatasi nell'ambito di un legame matrimoniale e assumono rilievo ai sensi dell'art. 2 Cost., sono caratterizzate da doveri di natura morale e sociale di ciascun convivente nei confronti dell'altro, doveri che si esprimono anche nei rapporti di natura patrimoniale, sicché le attribuzioni finanziarie a favore del convivente more uxorio, effettuate nel corso del rapporto per far fronte alle esigenze della famiglia (nella specie, versamenti di denaro sul conto corrente del convivente con quindici bonifici per un importo complessivo di Euro 74.000), configurano l'adempimento di un' obbligazione naturale ex art. 2034 c.c., a condizione che siano rispettati i principi di proporzionalità e di adeguatezza, per la cui valutazione occorre tener conto di tutte le circostanze fattuali, oltre che dell'entità del patrimonio e delle condizioni sociali del solvens.

3.3. La questione oggetto del contendere e oggetto della specifica censura di cui si sta trattando concerne la configurabilità dei doveri di natura morale e sociale di ciascun convivente nei confronti dell'altro in relazione ad attribuzioni economiche o patrimoniali effettuate non nel corso del rapporto di convivenza more uxorio, ma dopo la cessazione dello stesso, e su detto specifico profilo non constano pronunce di questa Corte.

Ritiene il Collegio che sia corretta la soluzione adottata dalla Corte territoriale, che ha ritenuto di poter ricondurre nell'alveo dei doveri sociali e morali, in rapporto alla valutazione corrente nella società, quello solidaristico nei confronti dell'ex-convivente more uxorio, ravvisato, cioè, sussistente e meritevole di tutela anche nel periodo successivo alla cessazione del rapporto, avuto riguardo alla specificità del caso concreto.

Occorre osservare che le convivenze di fatto sono un diffuso fenomeno sociale, anche se di origine relativamente recente, poiché dai dati statistici risulta la "moltiplicazione delle unioni libere", che ormai sopravanzano, in numero, le famiglie fondate sul matrimonio, come affermato anche dalla Corte costituzionale, da ultimo con la pronuncia n. 148/2024, che ha ricostruito in dettaglio l'evoluzione del quadro normativo e tratteggiato le caratteristiche salienti dell'ampliamento progressivo del rilievo dato dal legislatore alle unioni di fatto.

L'affermarsi di una concezione pluralistica della famiglia, dapprima nella società e quindi nella giurisprudenza, grazie anche all'impulso dato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (sentenza 21 luglio 2015, Oliari e altri contro Italia), ha trovato un approdo legislativo nella legge n. 76 del 2016, che in un unico e lungo articolo, suddiviso in 69 commi, contempla due modelli distinti: il primo, quello dell'unione civile, cui sono dedicati i primi 35 commi, è riservato alle coppie formate da persone dello stesso sesso; il secondo, quello della convivenza di fatto, è aperto a tutte le coppie, eterosessuali e omosessuali. Quanto al secondo modello (la convivenza di fatto), la legge n. 76 del 2016 abbandona la rigida alternativa tra tutela, o no, parametrata a quella riservata alla famiglia fondata sul matrimonio e valorizza l'esigenza di speciale regolamentazione dei singoli rapporti, siano essi quelli che vedono coinvolti i conviventi tra di loro, ovvero quelli tra genitori e figli o che si sviluppano con i terzi (così la sentenza citata n.148/2024). La convivenza di fatto, trovando copertura di rango costituzionale nell'art. 2, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo nelle "formazioni sociali" ove si svolge la sua personalità, esige una tutela che si affianca a quella che l'art. 29, primo comma, Cost. riserva alla "famiglia come società naturale fondata sul matrimonio" (sentenze n. 269 del 2022, n. 170 del 2014 e n. 138 del 2010 della Corte Cost.).

Dunque, la convivenza di fatto implica un "legame affettivo di coppia" e plurime disposizioni di legge, nel tempo, ne hanno sancito il rilievo sotto molteplici e disparati profili (per una puntuale elencazione cfr. la citata sentenza n.148/2024; tra le più recenti cfr. la legge 27 dicembre 2017, n. 205 in tema di caregiver familiare; il decreto legislativo 30 giugno 2022, n. 105, che richiama la figura del convivente di fatto come possibile beneficiario dei permessi per assistere persone disabili; il decreto legislativo n. 105 del 2022, nella parte in cui prevede che al coniuge convivente sono equiparati, ai fini dei riposi e permessi per assistere i figli con handicap grave, sia la parte di un'unione civile, sia il convivente di fatto). Resta da aggiungere che, come rimarcato dal Giudice delle leggi, pure nell'ambito della cornice normativa dettata dalla legge n. 76 del 2016 e dai provvedimenti legislativi settoriali successivi, restano ancora affidati alla spontaneità dei comportamenti tutti quegli aspetti che caratterizzano la gestione delle esigenze della coppia, quali coabitazione, collaborazione, contribuzione ai bisogni comuni, assistenza morale e materiale, determinazione dell'indirizzo familiare e fedeltà, durata della relazione.

3.4. Dalle considerazioni che precedono e dal contesto valoriale che ne risulta deve trarsi la conclusione che il dovere morale e sociale di assistenza materiale nei confronti dell'ex convivente more uxorio, anche dopo la cessazione del rapporto, si ponga in linea coerente e conforme "alla valutazione corrente nella società" (cfr. Cass. 19578/2016 citata), stante l'affermarsi di una concezione pluralistica della famiglia, e sia pertanto idoneo a configurarsi come obbligazione naturale, nella ricorrenza anche degli altri requisiti previsti dall'art.2034 c.c. (spontaneità, adeguatezza e proporzionalità) e avuto riguardo alla specificità del caso concreto. Nella specie la Corte di merito ha accertato che: a) Tr.Gi. e Li.An. avevano avuto un lungo percorso di vita insieme, con una convivenza pacificamente durata fino al 2006, caratterizzata dalla nascita di un figlio (Tr.Al., l'odierno appellante, nel 1988); b) nonostante la cessazione della convivenza more uxorio, vi era, comunque, anche dopo il 2006, un legame di affetto tra i due, come dimostrato dalla messa a disposizione della casa di compagna di lei a favore di lui e dalle spese da lei sostenute in favore dell'ex compagno, che si trovava in stato di bisogno e con difficoltà di salute, pure in assenza di un qualsiasi obbligo giuridico; c) tale comportamento, proprio in assenza di un obbligo giuridico, denotava la volontà e la consapevolezza di adempiere ad un obbligo morale verso una persona con cui vi era stata condivisione di anni di vita comune, cementata dalla nascita di un figlio, fino a quando la Li.An. aveva potuto, ovvero fino al 2016; d) mai, non essendovene nè allegazione nè traccia documentale, la Li.An. aveva pensato di richiedere il rimborso delle somme spese per l'assistenza economica prestata al Tr.Gi., e nessuna richiesta in tale senso era mai stata formulata, né all'ex compagno, né ai suoi figli.

Alla luce di tali risultanze, la Corte di merito ha ritenuto che il contributo dato dalla Li.An. al padre di suo figlio fosse stato da lei considerato un adempimento di un obbligo morale "verso una persona che ha avuto sicuramente un ruolo importante nella sua vita".

La connotazione concreta dell'atteggiarsi del rapporto affettivo descritta nella sentenza impugnata risulta pienamente corrispondente al contesto valoriale di cui si è detto, poiché è espressione di un vincolo solidaristico derivante dalla pregressa unione di fatto, "formazione sociale" tutelata dall'art. 2 Cost., e ciò in conformità anche "alla valutazione corrente nella società", stante l'affermarsi, in misura progressivamente sempre più estesa, di una concezione pluralistica della famiglia.

Pertanto, sotto tale profilo ed anche in ordine al requisito della spontaneità, pure adeguatamente motivato dalla Corte territoriale, è infondata la censura, che è incentrata, in punto di diritto, sulla deduzione che non potrebbe configurarsi alcun obbligo morale di un convivente nei confronti dell'altro, una volta cessata l'unione di fatto.

3.5. La doglianza è inammissibile nella parte in cui si contesta la sussistenza dei requisiti dell'adeguatezza e proporzionalità. La Corte di merito ha accertato che non vi era stata allegazione né prova di eccessi o richieste esulanti dalla mera sussistenza alimentare dell'ex compagno, a cui la madre del ricorrente aveva anche dato un alloggio dove abitare (casa di campagna inutilizzata), a fronte dell'incontroversa situazione di precarietà economica e di salute in cui egli versava. Per contro la censura sul punto è generica, poiché nel ricorso non risultano minimamente precisate le condizioni economiche e sociali della madre (solvens), non si confronta con il percorso argomentativo della sentenza impugnata e si risolve impropriamente in una critica alla valutazione fattuale.

4. La Corte ritiene di dover enunciare il seguente principio di diritto ex art.384 cod. proc. civ.:

"Le unioni di fatto sono un diffuso fenomeno sociale, che trova tutela nell'art.2 Cost., e sono caratterizzate da doveri di natura morale e sociale, di ciascun convivente nei confronti dell'altro, che possono concretizzarsi in attività di assistenza materiale e di contribuzione economica prestata non solo nel corso del rapporto di convivenza, ma anche nel periodo successivo alla cessazione dello stesso e che possono configurarsi, avuto riguardo alla specificità del caso concreto, come adempimento di un'obbligazione naturale ai sensi dell'art. 2034 c.c., ove siano ricorrenti pure gli ulteriori requisiti della proporzionalità, spontaneità ed adeguatezza. Il vincolo solidaristico e affettivo che trae origine dalla pregressa unione di fatto trova rispondenza nel mutato contesto valoriale di riferimento e si pone in lineare rapporto con la valutazione corrente nella società, stante l'affermazione, progressivamente sempre più estesa, di una concezione pluralistica della famiglia".

5. Il sesto motivo è inammissibile.

Il ricorrente denuncia, peraltro genericamente, la violazione degli artt. 115 e 116, deduce di aver "depositato in primo grado 164 documenti che dal n. 18 al n. 158 riguardano i pagamenti effettuati da Annamaria Li.An. o da Tr.Al.. I pagamenti effettuati da Annamaria Li.An. (doc. da 18 a 72) recano in calce la ricevuta di pagamento dell'ente percettore (Utenze e imposte). Affermare che manca la prova del pagamento non corrisponde alla risultanza documentale".

La censura per un verso impropriamente sollecita il riesame di risultanze probatorie e per altro verso e soprattutto, ancora una volta, non si confronta compiutamente con il percorso argomentativo della sentenza impugnata, dal momento che la Corte d'Appello ha ritenuto mancante non la prova dei pagamenti, ma la prova che fosse stato l'odierno ricorrente ad effettuarli.

6. In conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato.

Stante la novità della principale questione di diritto trattata, ricorre un grave ed eccezionale motivo di compensazione delle spese di lite del presente giudizio, ai sensi dell'art. 92, comma 2, c.p.c., nel testo risultante dalle modifiche introdotte dal D.L. n. 132 del 2014 e dalla sentenza della Corte costituzionalen. 77 del 2018. Ai sensi dell'art.13, comma 1-quater del D.P.R. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, ove dovuto (Cass. S.U. n.5314/2020).

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; compensa interamente tra le parti le spese di lite del presente giudizio.

Ai sensi dell'art.13, comma 1-quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, ove dovuto.

Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 2 gennaio 2025.

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