Il genitore obbligato al mantenimento può scegliere di adempiere all'obbligo mediante accoglimento in casa del figlio?
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 3329 del 10 febbraio 2025, ha stabilito che il genitore obbligato al mantenimento di un figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente non può scegliere unilateralmente di adempiere all'obbligo semplicemente accogliendolo in casa.
Questa soluzione non costituisce una modalità alternativa di adempimento, ma può essere solo un elemento di valutazione nella determinazione dell'assegno di mantenimento.
Il caso di specie
La vicenda riguarda un giovane di 22 anni, studente universitario, che aveva avviato un procedimento per ottenere un contributo al mantenimento dalla madre. Il Tribunale di Torino aveva accolto la richiesta, condannando la donna a versare 900 euro mensili, oltre al 50% delle spese straordinarie.
Tuttavia, la Corte d'Appello ha annullato tale obbligo, ritenendo sufficiente l'offerta di ospitalità da parte della madre.
Il principio stabilito dalla Cassazione
Il giovane ha impugnato la decisione in Cassazione, che ha accolto il ricorso e ha chiarito due principi fondamentali:
Distinzione tra obbligo di mantenimento e obbligo alimentare
L'obbligo di mantenimento e l'obbligo alimentare sono distinti: il primo discende dagli artt. 337-ter e 337-septies c.c. e non può essere adempiuto a discrezione del genitore obbligato con modalità alternative come l'accoglimento in casa.
Principio di proporzionalità
Entrambi i genitori devono contribuire in base alle proprie risorse economiche e il giudice deve tenere conto del tenore di vita del figlio durante la convivenza con i genitori.
Le conseguenze della sentenza
Questa pronuncia ribadisce che il genitore obbligato non può unilateralmente decidere di non versare l'assegno, offrendo in alternativa solo l'ospitalità. Il mantenimento deve essere equo e proporzionale, secondo i criteri stabiliti dalla legge.
Quindi, se un figlio si trasferisce fuori casa per motivi legittimi, come proseguire gli studi o cercare un'indipendenza economica, l'altro genitore non può sottrarsi all'obbligo di versare l'assegno semplicemente offrendo di ospitarlo.
Il mantenimento, quindi, non è un "vitto e alloggio" offerto a discrezione del genitore: la legge lo disciplina chiaramente. Se il figlio ha diritto a un assegno, il genitore obbligato deve rispettare il principio di proporzionalità e non può aggirarlo con soluzioni alternative.
In tema di mantenimento del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente, l'adempimento del relativo obbligo è disciplinato dal combinato disposto degli artt. 337 ter e 337 septies c.c., non potendo applicarsi la disciplina prevista dall'art. 443 c.c. per l'adempimento delle obbligazioni alimentari, diverse per finalità e contenuto, con la conseguenza che la decisione di accogliere e mantenere il figlio in casa non può integrare una modalità alternativa di adempimento dell'obbligazione che può scegliere unilateralmente il genitore obbligato, costituendo, semmai, un elemento da valutare, ove esistente, ai fini della quantificazione dell'assegno ai sensi dell'art. 337 ter, comma 4, c.c.
Ai fini della determinazione del contributo al mantenimento del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente, deve tenersi conto delle condizioni di vita del figlio durante la convivenza dei genitori e deve osservarsi il principio di proporzionalità, che, nei rapporti interni tra i genitori, richiede una valutazione comparata delle consistenze di entrambi.
Cassazione civile, sez. I, ordinanza 10/02/2025 (ud. 07/11/2024) n. 3329
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Torino, con sentenza n. 665/2023, accoglieva integralmente la domanda introdotta nell'aprile 2020 da Tr.Ma. nei confronti della di lui madre, Ch.Ev., estendendo il contraddittorio al padre, Tr.Al., su ordine del Giudice, e per l'effetto condannava quest'ultima a corrispondere al figlio, con decorrenza dal mese di maggio 2020, a titolo di contributo al mantenimento, l'assegno di Euro 900,00 mensili, oltre rivalutazione Istat, e al 50% delle spese mediche non coperte dal S.S.N., scolastiche, sportive e ricreative necessitate o previamente concordate e successivamente documentate, con applicazione in caso di disaccordo del Protocollo in uso. Lo stesso Tribunale disponeva, altresì, che il padre continuasse a versare al figlio l'assegno di Euro 1082,00 mensili oltre rivalutazione Istat e oltre al 50% delle spese straordinarie.
Tr.Ma., nato il 19/11/1998, alla data della introduzione della domanda (aprile 2020), non aveva ancora 22 anni e frequentava la facoltà di Farmacia presso l'Università di Torino. I suoi genitori erano divorziati. Il giovane era andato a vivere da solo ma, prima, aveva vissuto, insieme ai due fratelli, con la madre e il secondo marito di quest'ultima, dal quale la donna aveva avuto un'altra figlia. A favore della madre era stato previsto un contributo al mantenimento del figlio Tr.Ma., che, poi, il padre aveva corrisposto direttamente a quest'ultimo, con una decisione poi ratificata dal Tribunale.
Avverso la decisione del Tribunale di Torino, Ch.Ev. proponeva appello e la Corte territoriale, nel contraddittorio delle parti, respinte le molteplici eccezioni preliminari, accoglieva in parte l'impugnazione, revocando la condanna di Ch.Ev. a corrispondere a Tr.Ma. a titolo di contributo al mantenimento l'assegno di Euro 900,00 mensili, oltre rivalutazione Istat, confermando solo l'obbligo della stessa di corrispondere al figlio il 50% delle spese mediche non coperte dal SSN, scolastiche, sportive e ricreative, necessitate o previamente concordate e successivamente documentate.
Per quando di rilievo in questa sede, la Corte d'Appello riteneva pacifico che il figlio Tr.Ma. frequentasse regolarmente la facoltà di Farmacia e quindi si stesse attivando per conseguire la laurea. Dopo aver ricondotto l'obbligo di mantenimento del figlio alle obbligazioni "sostanzialmente alimentari", rilevava, tuttavia, che, nel costituirsi, la madre aveva affermato di essere stata contraria all'allontanamento dalla casa familiare del figlio e che era ancora pronta ad accoglierlo nell'abitazione e a mantenerlo.
Secondo la Corte territoriale, il figlio non poteva richiedere alla madre il contributo al mantenimento - tenuto conto che l'obbligazione alimentare assume aspetti di obbligazione alternativa, per cui sussiste la possibilità di scelta dell'obbligato tra la corresponsione di un assegno alimentare, limitato al soddisfacimento delle esigenze di mantenimento dell'avente diritto, e l'accoglimento del medesimo presso la propria casa di abitazione ex art. 443 c.c. – perché, nel caso di specie, la Ch.Ev. aveva dedotto di non avere mai avallato la scelta del figlio di abbandonare la casa familiare materna, per andare a vivere da solo, e che aveva cercato di evitare ogni contenzioso, cercando ripetutamente di convincere il figlio a rivedere le sue scelte, che invece si era allontanato da casa in assenza di gravi ragioni.
La Corte aggiungeva, inoltre, che non poteva imporsi alla madre di corrispondere al figlio un assegno mensile di mantenimento, tenuto anche conto del fatto che il figlio già riceveva un assegno mensile di Euro 1.082,00 corrispostogli dal padre, oltre all'integrale pagamento delle spese straordinarie da parte di entrambi i genitori pro quota.
Avverso tale decisione Tr.Ma. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi di censura.
Tr.Al. ha proposto ricorso incidentale, qualificandolo come adesivo, riproducendo le stesse censure.
Ch.Ev. si è difesa con controricorso.
Il ricorrente principale e la controricorrente hanno depositato memorie difensive.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso principale è dedotta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte d'Appello ritenuto l'operatività dell'art. 433 c.c. in luogo degli artt. 147,315 bis, 337 septies c.c., ove ha affermato che l'assegno richiesto avesse natura esclusivamente alimentare e che, avendo la madre proposto invano al figlio una modalità alternativa per porre rimedio al suo stato di bisogno, così come previsto dall'art. 443, comma 1, c.c. (ovvero quello di accoglierlo in casa e mantenerlo in via diretta), quest'ultimo non poteva vantare il diritto all'assegno. Ad opinione del ricorrente principale, invece, il contributo al mantenimento del figlio maggiorenne ma economicamente non autosufficiente era diverso dall'assegno alimentare, per caratteristiche e presupposti, e ad esso non poteva applicarsi la disciplina prevista dall'art. 443 c.c.
Con il secondo motivo di ricorso principale è prospettata la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte d'Appello ritenuto che la contribuzione al mantenimento del figlio da parte del padre fosse sufficiente, senza tenere conto del combinato disposto degli artt. 148,316 bis c.c. e 337 ter c.c., che prevede il concorso dei genitori nel mantenimento dei figli secondo il criterio della proporzionalità e impone di considerare il tenore di vita del figlio durante la convivenza con i genitori.
Con il terzo motivo di ricorso principale è dedotto l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., per avere la Corte d'Appello dichiarato che la madre non avesse mai acconsentito all'allontanamento del figlio da casa sua, laddove, invece, le risultanze istruttorie e, in particolare, il documento 7 prodotto dal figlio stesso dimostrava chiaramente il contrario. Il ricorrente ha dedotto di avere rappresentato ad entrambi i genitori la sua situazione di disagio nel continuare la convivenza nella casa familiare materno e, senza dare colpa ad alcuni di essi, aveva deciso di allontanarsi dalla casa familiare, effettuando una scelta sofferta, comunque accettata da entrambi i genitori.
2. Con il primo motivo di ricorso incidentale, in adesione al primo motivo di ricorso principale, è censurata la violazione e falsa applicazione di legge, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., degli artt. 433,147, 315 bis e 337 septies c.c., per avere la Corte d'Appello erroneamente qualificato la domanda del figlio maggiorenne di vedere accertato e quantificato il suo diritto al mantenimento da parte dei genitori come domanda di alimenti ex art. 433 c.c. e seguenti.
Con il secondo motivo di ricorso incidentale, in adesione al secondo motivo di ricorso principale, è dedotta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte d'Appello ritenuto che la contribuzione al mantenimento del figlio da parte del padre fosse sufficiente, senza tenere conto del combinato disposto degli artt. 148,316 bis c.c. e 337 ter c.c., che prevede il concorso dei genitori nel mantenimento dei figli secondo il criterio della proporzionalità e impone la considerazione del tenore di vita del figlio durante la convivenza dei genitori.
Con il terzo motivo di ricorso incidentale è denunciato, in adesione al terzo motivo di ricorso principale, l'omesso esame su un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte di Appello di Torino l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte d'Appello erroneamente ritenuto che la madre non avesse mai manifestato il consenso acché il figlio andasse a vivere da solo, dopo avere esternato le ragioni di tale scelta, quando invece tale circostanza, era smentita dalla documentazione versata in atti.
Con lo stesso terzo motivo di ricorso incidentale, la parte ha, comunque, denunciato anche la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., degli artt. 147, 315 bis e 337 septies c.c., per avere la Corte d'Appello dato rilievo alle motivazioni che possono indurre un figlio maggiorenne ad allontanarsi dalla casa familiare, mentre, invece, tali motivazioni non costituiscono il presupposto fondante il diritto all'assegno di mantenimento del figlio maggiorenne che non sia economicamente autosufficiente.
3. Il primo motivo di ricorso principale può essere esaminato unitamente al primo motivo di ricorso incidentale, poiché sono perfettamente sovrapponibili, rivelandosi entrambi fondati nei limiti di seguito evidenziati.
3.1. Occorre subito precisare che dalla lettura della sentenza impugnata si evince chiaramente che la Corte d'Appello non ha qualificato la domanda di Tr.Ma. come domanda di attribuzione degli alimenti ex art. 433 c.c., ma, in ragione dell'affermata natura "sostanzialmente alimentare" dell'assegno di mantenimento, ha ritenuto applicabile il disposto dell'art. 443, comma 1, c.c., ove l'obbligazione alimentare è configurata come obbligazione alternativa, con possibilità di scelta da parte dell'obbligato tra la corresponsione di un assegno alimentare, limitato al soddisfacimento delle esigenze di mantenimento dell'avente diritto, e l'accoglimento e il mantenimento di quest'ultimo nella propria casa, così ritenendo che, a fronte dell'offerta di accoglienza e mantenimento da parte della madre, rifiutata dal figlio senza l'emergenza di gravi ragioni, la prestazione pecuniaria non poteva essere esigibile.
3.4. È vero che, in numerose pronunce, questa Corte ha affermato il carattere "sostanzialmente alimentare" dell'assegno di mantenimento dei figli posto a carico dei genitori separati, divorziati, o comunque non più conviventi, ma solo al fine di escludere la compensazione dei crediti aventi tale titolo con crediti di altra natura (Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 11689 del 14/05/2018; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 23569 del 18/11/2016), ovvero di affermare l'irripetibilità delle somme già erogate (v. da ultimo Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 13609 del 04/07/2016; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 25166 del 24/10/2017).
In tale ottica, si è affermato che la parte che ha già ricevuto, per ogni singolo periodo, le prestazioni previste dalla sentenza di separazione a titolo di contributo al mantenimento del figlio, non può essere costretta a restituirle, né può vedersi opporre in compensazione, per qual si voglia ragione di credito, quanto ricevuto a tale titolo, mentre ove il soggetto obbligato non abbia ancora corrisposto, per tutti i periodi pregressi, tali prestazioni, non più dovute in base alla sentenza di modificazione delle condizioni di separazione, non sarà più tenuto a corrisponderle, con la conseguenza che contro di lui non potrà agirsi esecutivamente (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 28987 del 10/12/2008; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 13609 del 04/07/2016).
È evidente che, in mancanza di una espressa disciplina sul punto, nelle menzionate statuizioni, il giudice di legittimità ha dato rilievo alla circostanza che, per entrambe le tipologie di obbligazioni, si tratta di prestazioni che vengono comunque effettuate per il soddisfacimento di ineliminabili esigenze di vita del beneficiario.
Si deve tenere presente, tuttavia, che questa Corte ha precisato che il principio di irripetibilità delle somme versate, in caso di revoca giudiziale dell'assegno di mantenimento, non trova applicazione quando sia accertato che non vi sia proprio il dovere di mantenimento, come avviene nel caso in cui il beneficiario (minorenne, ovvero maggiorenne non autosufficiente) non risulti essere figlio del soggetto erroneamente obbligato al suo mantenimento (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21675 del 04/12/2012).
Proprio di recente, questa stessa Corte ha ribadito che, in ogni ipotesi di riduzione del contributo al mantenimento del figlio a carico del genitore, sulla base di una diversa valutazione per il passato dei fatti già posti a base dei provvedimenti provvisori adottati, è esclusa la ripetibilità della prestazione economica eseguita, fermo restando che il diritto di ritenere quanto già pagato non opera nell'ipotesi in cui sia accertata l'insussistenza ab origine, quanto al figlio maggiorenne, dei presupposti per il versamento e sia disposta la riduzione o la revoca del contributo, con decorrenza di regola collegata alla domanda di revisione o, motivatamente, da un periodo successivo (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 10974 del 26/04/2023).
In altra occasione, invece, questa Corte ha affermato che occorre, in ogni caso, valutare "in concreto" la funzione alimentare effettivamente svolta dall'assegno di mantenimento, evidenziando, proprio con riguardo al contributo al mantenimento del figlio maggiorenne, che la mancata restituzione delle somme percepite, poi risultate non dovute, non può ritenersi giustificata in base a un'automatica applicazione dei principi in tema di irripetibilità, impignorabilità e non compensabilità delle prestazioni alimentari, posto che tali principi non operano indiscriminatamente, e in virtù di teorica assimilabilità alle prestazioni alimentari dell'assegno di mantenimento, ma implicano che, in concreto, gli importi erogati per questo titolo abbiano assunto o comunque abbiano potuto assumere analoga funzione alimentare (Cass., Sez. 1, n. 11489 del 23/05/2014).
3.3. In effetti, l'obbligo di mantenimento dei figli, posto a carico dei genitori, si differenzia dall'obbligo alimentare vero e proprio, per le diverse finalità ed anche per il suo contenuto, pur potendo le due provvidenze in parte coincidere (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 2710 del 29/01/2024).
In particolare, l'obbligo di mantenimento si configura all'interno della famiglia nucleare, mentre l'obbligo alimentare riguarda anche rapporti parentali più estesi e, in determinati casi, si pone anche al di fuori di essi (v. l'obbligo del donatario ai sensi dell'art. 437 c.c.).
Inoltre, l'assegno di mantenimento può comprendere anche la quota alimentare, ma ha un contenuto diverso, normalmente più ampio, e, diversamente dagli alimenti, non presuppone lo stato di bisogno.
In altre parole, l'assegno alimentare costituisce un minus rispetto all'assegno di mantenimento, richiedendo una condizione di bisogno del beneficiario, e il suo contenuto è determinato in base a quanto è necessario per la vita dell'alimentando (avuto riguardo alla sua posizione sociale).
L'assegno di mantenimento del figlio, invece, che deriva direttamente dal rapporto di filiazione, come previsto dall'art. 30 Cost., deve far fronte a una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, essendo estese all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all'assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione, secondo uno standard di soddisfacimento corrispondente al tenore di vita economico e sociale goduto dalla famiglia quando era unita (v. da ultimo Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 19625 dell'11/07/2023).
Il diritto del figlio al mantenimento, al pari degli altri diritti che compongono lo status di figlio, ha un fondamento solidaristico ed è finalizzato a soddisfare interessi anche di carattere non patrimoniale, pur determinando il sorgere di prestazioni dal contenuto economico.
Il contenuto del mantenimento, allora, deve essere definito in ragione della sua funzione, che non si esaurisce nell'apporto economico necessario per il soddisfacimento dei bisogni necessari a vivere, ma include ogni apporto finalizzato ad una crescita e formazione adatta alla sua personalità e alle sue inclinazioni.
L'elasticità e la flessibilità che caratterizza il rapporto intersoggettivo tra genitori e figlio determina una variazione nel tempo del contenuto del dovere di mantenimento, correlata alle mutevoli esigenze e all'età del figlio, la cui crescita comporta, di regola, un incremento delle necessità di spesa per i suoi bisogni e una progressiva riduzione degli impegni legati all'accudimento materiale dello stesso, fino a quando, con la maggiore età, il compito dei genitori diventa essenzialmente un supporto al percorso del figlio verso l'indipendenza anche economica.
D'altronde, una volta raggiunta tale indipendenza, cessa l'obbligo di mantenimento ed esso non è nuovamente esigibile se il figlio perde le sue fonti di reddito, poiché i genitori hanno adempiuto al loro dovere di condurlo verso l'autosufficienza, fermo restando che il figlio, se si trova in stato di bisogno, può sempre chiedere che vengano corrisposti gli alimenti (cfr. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 12477 del 07/07/2004; v. anche la particolare fattispecie esaminata da Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 12123 del 06/05/2024).
3.4. Ai fini della decisione è comunque di fondamentale importanza considerare che, in assenza di una specifica disciplina sul punto, gli orientamenti sopra ricordati hanno attribuito natura "sostanzialmente alimentare" all'assegno di mantenimento del figlio, entro limiti non del tutto concordi, ai soli fini della compensazione e della ripetizione degli importi già corrisposti.
Diverso è il discorso, ove si guardi all'adempimento dell'obbligo di mantenimento del figlio, poiché il legislatore ha operato una chiara ed espressa regolamentazione, diversa da quella prevista in materia di alimenti.
3.5. Com'è noto, il comma 1 dell'art. 443 c.c. prevede che "Chi deve somministrare gli alimenti ha la scelta di adempiere questa obbligazione o mediante un assegno alimentare corrisposto in periodi anticipati, o accogliendo e mantenendo nella propria casa colui che vi ha diritto".
La somministrazione degli alimenti è, dunque, una obbligazione che nasce come obbligazione alternativa, ove la scelta è rimessa all'obbligato.
Tuttavia, come rilevato da attenta dottrina, nell'ambito della tutela alimentare vi sono alcune peculiarità che impongono specifici limiti all'applicazione in toto della disciplina propria delle obbligazioni alternative.
In particolare, lo stesso art. 443 c.c., al comma 2, stabilisce che "L'autorità giudiziaria può, però, secondo le circostanze, determinare il modo di somministrazione".
La facoltà di determinare le modalità di adempimento delle obbligazioni alimentari consente al giudice di discostarsi dalla scelta eventualmente operata dal debitore (cfr. in motivazione Cass., Sez. 3, Sentenza n. 4539 del 14/07/1986 e Cass., Sez. 2, Sentenza n. 1683 del 15/03/1982).
A differenza delle obbligazioni alternative vere e proprie, dunque, l'esercizio del diritto di scelta da parte dell'obbligato non dà luogo necessariamente alla concentrazione o ovvero alla riduzione delle prestazioni, con la trasformazione dell'obbligazione alternativa in obbligazione semplice, secondo la scelta operata dal debitore (art. 1286 e ss. c.c.), poiché le modalità di somministrazione degli alimenti non sono rimesse alla mera volontà del soggetto passivo del rapporto, ma sono sottoposte a una valutazione da parte del giudice, che nel determinare il modo di somministrazione non è vincolato dalla scelta operata dall'obbligato.
Ovviamente, la determinazione è sempre modificabile in conformità della natura rebus sic stantibus che connota le statuizioni adottate in tale materia.
3.6. Per quanto riguarda il contributo al mantenimento dei figli, invece, sia esso destinato ai figli minori di età o ai figli maggiorenni (ma non ancora autosufficienti economicamente), occorre guardare al disposto dell'art. 337 ter, comma 4, c.c. (così da ultimo Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 2536 del 26/01/2024; v. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 4145 del 10/02/2023; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 2020 del 28/01/2021; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 19299 del 16/09/2020).
La menzionata disposizione normativa, per la parte di interesse, prevede che "Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando 1) le attuali esigenze del figlio. 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori. 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore. 4) le risorse economiche di entrambi i genitori. 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore..."
In tale quadro, si inserisce la disciplina specifica del mantenimento dei figli maggiorenni, contenuta nell'art. 337 septies c.c., ove è previsto che "il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico."
La stessa norma stabilisce, poi, che "Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all'avente diritto" (nel rispetto del principio della domanda, come più volte precisato da questa Corte v. da ultimo Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 34100 del 12/11/2021).
La giurisprudenza di legittimità, a seguito di un elaborato percorso interpretativo, è arrivata a specificare le "circostanze" da valutare ai fini della decisione sulla spettanza dell'assegno in questione, date, in sintesi, dalla incolpevole non indipendenza economica del figlio maggiorenne, da provarsi a cura di colui che richiede l'assegno con prova sempre più rigorosa con l'aumentare dell'età del figlio stesso (v. in particolare Cass., Sez. 1, Sentenza n. 26875 del 20/09/2023; v. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 12123 del 06/05/2024)..
Come sopra evidenziato, la determinazione nel quantum del contributo al mantenimento, per il figlio maggiorenne, così come avviene per il figlio minore di età, è regolata dall'art. 337 ter, comma 4, c.c., con la sola differenza che, in base al disposto dell'art. 337 septies c.c., il figlio può chiedere che l'assegno venga corrisposto direttamente a lui stesso.
Non è, dunque, previsto che il genitore obbligato al mantenimento possa scegliere unilateralmente di adempiere all'obbligo mediante accoglimento in casa del figlio da parte di uno gei genitori.
Il legislatore, per il mantenimento di figli, investe il giudice della verifica della sussistenza o meno dei presupposti per l'attribuzione di un assegno e, in presenza degli stessi, stabilisce che lo stesso giudice preveda l'erogazione di un assegno periodico, in base ai criteri sopra ricordati, ove l'accoglimento o meno del figlio in casa, con contribuzione diretta al suo mantenimento, non è una modalità alternativa di adempimento dell'obbligo di mantenimento, costituendo, semmai, un elemento da valutare ai fini della quantificazione dell'assegno ai sensi dell'art. 337 ter, comma 4, c.c.
3.7. Non vi è, pertanto, ragione per estendere all'adempimento dell'obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne non indipendente economicamente, la disciplina prevista per la somministrazione degli alimenti, tenuto conto che l'obbligo di mantenimento dei figli, che ha diverse finalità e un diverso contenuto, reca una specifica disciplina, ove il giudice è chiamato a determinare la spettanza e l'entità del contributo economico spettante al figlio anche maggiorenne ma non economicamente autosufficiente.
4. Anche il secondo motivo di ricorso principale e il secondo motivo di ricorso incidentale possono essere esaminati congiuntamente, essendo tra loro del tutto sovrapponibili.
I motivi sono fondati nei termini di seguito evidenziati.
4.1. Quale ulteriore ratio posta a fondamento della decisione, la Corte d'Appello ha dato rilievo al fatto che Tr.Ma. già riceveva dal padre un contributo al mantenimento mensile di Euro 1.082,00 e che comunque entrambi i genitori provvedevano al pagamento delle spese straordinarie nella misura del 50% ciascuno.
4.2. Come sopra evidenziato, la misura del contributo al mantenimento, sia esso destinato ai figli minori di età o ai figli maggiorenni ma non ancora dipendenti economicamente, è regolata dall'art. 337 ter, comma 4, c.c.
La norma, che si riporta nuovamente per comodità di lettura, prevede che "Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando 1) le attuali esigenze del figlio; 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori; 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore; 4) le risorse economiche di entrambi i genitori; 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore."
Come più volte spiegato da questa Corte, l'obbligo di mantenimento dei figli ha due dimensioni (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 2536 del 26/01/2024).
Da una parte vi è il rapporto tra genitori e figlio e da un'altra vi è il rapporto tra genitori obbligati.
Il principio di uguaglianza che accumuna i figli di genitori coniugati ai figli di genitori separati o divorziati, come pure a quelli nati da persone non unite in matrimonio (che continuano a vivere insieme o che hanno cessato la convivenza), impone di tenere a mente che tutti i figli hanno uguale diritto di essere mantenuti, istruiti, educati e assistiti moralmente, nel rispetto delle loro capacità delle loro inclinazioni naturali e delle loro aspirazioni (art. 315 bis, comma 1, c.c.).
È per questo che l'art. 337 ter c.c., nel disciplinare la misura del contributo al mantenimento del figlio, nel corso dei giudizi disciplinati dall'art. 337 bis c.c., pone subito, come parametri da tenere in considerazione, le attuali esigenze dei figli e il tenore di vita goduto da questi ultimi durante la convivenza con entrambi i genitori (art. 337 ter, comma 4, nn. 1) e 2), c.c.).
I diritti dei figli di genitori che non vivono insieme, infatti, non possono essere diversi da quelli dei figli di genitori che stanno ancora insieme, né i genitori possono imporre delle privazioni ai figli per il solo fatto che abbiano deciso di non vivere insieme.
Nei rapporti interni tra genitori vige, poi, il principio di proporzionalità rispetto al reddito di ciascuno.
Per i genitori sposati, il dovere di contribuire al mantenimento del figlio è regolato dall'art. 143, comma 3, c.c. che sancisce il dovere di entrambi i coniugi di contribuire ai bisogni della famiglia, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alle capacità di lavoro professionale e casalingo.
In generale, l'art. 316 bis, comma 1, c.c. prevede, poi, che i genitori (anche quelli non sposati) devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo.
Lo stesso criterio di proporzionalità deve essere seguito dal giudice, quando, finita la comunione di vita tra i genitori (siano essi sposati oppure no) è chiamato a determinare la misura del contributo al mantenimento da porre a carico di uno di essi, dovendo considerare le risorse economiche di ciascuno (art. 337 ter, comma 4, n. 4), c.c.), valutando anche i tempi di permanenza del figlio presso l'uno o l'altro genitore e la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascuno (art. 337 ter, comma 4, nn. 3) e 5), c.c.), quali modalità di adempimento in via diretta dell'obbligo di mantenimento che, pertanto, incidono sulla necessità e sull'entità del contributo al mantenimento in termini monetari.
È evidente che gli elementi di giudizio appena elencati costituiscono aspetti in cui il principio di proporzionalità si declina, ove le esigenze del figlio e il tenore tenuto durante la convivenza dei genitori indirizzano il contributo che ciascuno dei genitori è chiamato a dare, oltre che la misura dell'assegno periodico da porre eventualmente a carico di uno di essi.
In tale quadro si colloca la più recente giurisprudenza di legittimità, condivisa da questo Collegio, la quale ha più volte evidenziato che, nel quantificare l'ammontare del contributo dovuto dal genitore non convivente per il mantenimento del figlio, anche se maggiorenne e non autosufficiente, deve osservarsi il principio di proporzionalità, che, nei rapporti interni tra i genitori, richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 4145 del 10/02/2023; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 19299 del 16/09/2020).
4.3. Come rilevato dal ricorrente principale e dal ricorrente incidentale, nella sentenza impugnata non risulta effettuata nessuna valutazione in ordine al rapporto tra le consistenze dei genitori né si legge alcuna considerazione in ordine al tenore di vita familiare, essendosi la Corte limitata a dare rilievo al fatto che il padre già corrispondeva un assegno di mantenimento e che entrambi i genitori provvedevano al pagamento delle spese straordinarie.
5. L'accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso principale, come pure del primo e del secondo motivo di ricorso incidentale, rende superfluo l'esame del terzo motivo di ricorso principale e del terzo motivo di ricorso incidentale, che devono ritenersi assorbiti.
6. In conclusione, deve essere accolto il primo e il secondo motivo di ricorso principale e il primo e il secondo motivo di ricorso incidentale, in applicazione dei seguenti principi "In tema di mantenimento del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente, l'adempimento del relativo obbligo è disciplinato dal combinato disposto degli artt. 337 ter e 337 septies c.c., non potendo applicarsi la disciplina prevista dall'art. 443 c.c. per l'adempimento delle obbligazioni alimentari, diverse per finalità e contenuto, con la conseguenza che la decisione di accogliere e mantenere il figlio in casa non può integrare una modalità alternativa di adempimento dell'obbligazione che può scegliere unilateralmente il genitore obbligato, costituendo, semmai, un elemento da valutare, ove esistente, ai fini della quantificazione dell'assegno ai sensi dell'art. 337 ter, comma 4, c.c."
"Ai fini della determinazione del contributo al mantenimento del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente, deve tenersi conto delle condizioni di vita del figlio durante la convivenza dei genitori e deve osservarsi il principio di proporzionalità, che, nei rapporti interni tra i genitori, richiede una valutazione comparata delle consistenze di entrambi."
Gli altri motivi devono essere dichiarati assorbiti e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d'Appello di Torino, in diversa composizione, anche per la statuizione sulle spese del presente giudizio di legittimità.
7. In caso di diffusione, devono essere omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati nella decisione, a norma dell'art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003.
P.Q.M.
La Corte
accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso principale e il primo e il secondo motivo di ricorso incidentale e, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'Appello di Torino, in diversa composizione, anche per la statuizione sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Dispone che, in caso di diffusione, siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati nella decisione, a norma dell'art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003.
Così deciso in Roma il 7 novembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2025.