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Assegno di mantenimento, quando il coniuge deve dimostrare di aver cercato lavoro

Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.3354 del 10/02/2025

Il coniuge separato ha sempre diritto all'assegno di mantenimento oppure deve dimostrare di aver cercato attivamente un'occupazione?

A questa domanda risponde l'ordinanza n. 3354 del 10 febbraio 2025 della Prima sezione civile della Corte di Cassazione.

Il caso di specie

Un uomo aveva impugnato la sentenza del Tribunale di Palmi, che riconosceva un assegno di mantenimento alla moglie. La donna sosteneva di aver contribuito alla famiglia gestendo la casa, mentre il marito provvedeva al sostentamento economico.

Tuttavia, la Corte d'Appello ha ribaltato la decisione, negando l'assegno. Secondo i giudiici dell'appello, la moglie non aveva provato di aver cercato lavoro e, anzi, aveva rifiutato un’offerta lavorativa senza fornire spiegazioni.

La Cassazione ha confermato questa decisione.

La norrmativa e la giurisprudenza

Le norme e i principi giurisprudenziali applicabili in materia sono:

  • Art. 156 c.c.: prevede che il coniuge privo di adeguati redditi propri possa ottenere un assegno di mantenimento.

  • Cass. n. 5817/2018: l'attitudine al lavoro dei coniugi è un elemento fondamentale per determinare l'assegno di mantenimento.

  • Cass. n. 20866/2021; n. 24049/2021: l'onere della prova sull’impossibilità di trovare un'occupazione adeguata spetta al coniuge richiedente.

La Suprema Corte sottolinea che la semplice disparità economica tra i coniugi non è sufficiente. È necessario dimostrare l'impossibilità oggettiva di reperire un lavoro e che ogni tentativo di trovarlo sia risultato vano.

La soluzione del caso

Nel caso in esame, la Corte d'Appello ha rilevato:

  • Rifiuto ingiustificato di un’offerta di lavoro da parte della moglie.

  • Assenza di prove circa una ricerca attiva di occupazione: la Ca.Te. ha solo dichiarato di aver inviato un curriculum e di avere difficoltà logistiche.

  • Durata breve del matrimonio (quattro anni) e assenza di prole, elementi che hanno ridotto l'aspettativa di riconoscimento dell’assegno.

La Cassazione ha ritenuto che questi elementi fossero determinanti per escludere il diritto all’assegno di mantenimento. La moglie non ha dimostrato la concreta impossibilità di lavorare e ha rifiutato un’occupazione senza giustificazione.

Conclusioni

Secondo la pronuncia della Cassazione, l’assegno di mantenimentonon è un diritto automatico. Può essere riconosciuto solo se il coniuge economicamente più debole:

  • Dimostra di essere privo di mezzi economici;

  • Prova di aver concretamente cercato un’occupazione adeguata;

  • Attesta l’impossibilità oggettiva di procurarsi un reddito autonomamente.

Se il coniuge richiedente ha capacità lavorative ma non prova di aver fatto tutto il possibile per trovare un lavoro, l’assegno si trasformerebbe in un sostegno ingiustificato, contrario ai principi di diligenza e solidarietà familiare previsti dall'art. 156 c.c.

Separazione dei coniugi, assegno di mantenimento, capacità di lavorare, onere della dimostrazione di essersi attivato per reperire un'occupazione retribuita, sussistenza

In materia di separazione dei coniugi, grava sul richiedente l'assegno di mantenimento, ove risulti accertata in fatto la sua capacità di lavorare, l'onere della dimostrazione di essersi inutilmente attivato e proposto sul mercato per reperire un'occupazione retribuita confacente alle proprie attitudini professionali, poiché il riconoscimento dell'assegno a causa della mancanza di adeguati redditi propri, previsto dall'art. 156 c.c., pur essendo espressione del dovere solidaristico di assistenza materiale, non può estendersi fino a comprendere ciò che, secondo il canone dell'ordinaria diligenza, l'istante sia in grado di procurarsi da solo.

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Cassazione civile, sez. I, ordinanza 10/02/2025 (ud. 21/01/2025) n. 3354

IN FATTO

RILEVATO CHE

Con ricorso depositato il 4.03.2019 Na.Ra. impugnava la sentenza con la quale il Tribunale di Palmi aveva pronunciato la separazione personale da Ca.Te., chiedendo che, in riforma della stessa sentenza, la separazione personale dei coniugi fosse addebitata alla moglie, rigettando la domanda della Ca.Te. di riconoscimento del diritto al mantenimento a carico del ricorrente, stante l'addebito alla stessa della separazione, e la circostanza che ella non aveva provato la sussistenza delle condizioni previste dall'art. 156 c.c. per tale riconoscimento; in subordine, veniva chiesto che fosse ridotto l'importo dell'assegno di mantenimento.

Si costituiva in giudizio Ca.Te. chiedendo il rigetto dell'appello principale, e che fosse ordinato al soggetto, individuato quale terzo, tenuto a corrispondere anche periodicamente somme di danaro al Na.Ra., di versare direttamente all'appellata la somma stabilita a titolo di assegno mantenimento, ai sensi dell'art. 156,6 comma, cod. civ.

Con sentenza del 31.10.23 la Corte territoriale, in parziale accoglimento dell'appello proposto da Na.Ra., ed in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda di assegno di mantenimento a favore di Ca.Te., confermandola nel resto.

Al riguardo, la Corte d'Appello osservava che: l'appellante attribuiva alla controparte la responsabilità della intollerabilità della convivenza come conseguenza dell'avvenuta violazione, da parte di quest'ultima, dei dovere coniugali per avere ella trascurato il marito, dedicandosi spesso ai social network, pur in presenza del marito, o per avere eluso i compiti di assistenza di quest'ultimo, come quando non aveva partecipato ai funerali del padre, nonché per avere abbandonato il domicilio domestico, senza però aver provato che gli episodi descritti fossero stati la causa dell'intollerabilità della convivenza; infatti, secondo un principio consolidato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione "il volontario abbandono del domicilio familiare da parte di uno dei coniugi, costituendo violazione del dovere di convivenza, è di per sé sufficiente a giustificare l'addebito della separazione personale, a meno che non risulti provato che esso è stato determinato dal comportamento dell'altro coniuge o sia intervenuto in un momento in cui la prosecuzione della convivenza era già divenuta intollerabile ed in conseguenza di tale fatto" (Cass. Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 648 del 15/01/2020); nella specie, il materiale probatorio acquisito non consentiva di affermare che il comportamento di uno od entrambi i coniugi fosse stata la causa del fallimento della convivenza; non era ravvisabile il diritto al mantenimento dell'appellata, in quanto l'istruttoria espletata in primo grado consentiva di accertare che ella avesse rifiutato un'offerta di lavoro (entrambi i testi escussi avevano confermato tale circostanza) e che non avesse mai fornito, nelle difese successive alle dichiarazioni dei testi, le ragioni di tale rifiuto, né provato di aver ricercato un'occupazione, poiché aveva solo dedotto di avere inviato un curriculum in banca e di avere difficoltà a trovare un lavoro perché priva di autovettura; sulla scorta di tali elementi, della durata del matrimonio, dell'assenza di prole, dell'età della moglie al momento della separazione, non era condivisibile la decisione del Tribunale di primo grado e la conseguente attribuzione di un assegno di mantenimento dell'importo di Euro 250; la Ca.Te. non aveva in alcun modo provato - ma neppure dedotto - quale fosse il tenore di vita tenuto durante il matrimonio, peraltro durato appena quattro anni (dal 2006 al 2010, anno in cui si era trasferita presso i genitori), e che risultava pacifico non solo che ella fosse disoccupata e che al suo sostentamento provvedeva il marito, ma anche che tra i due coniugi vi fosse una rilevante disparità economica (come confermato dalle indagini patrimoniali disposte nel corso della causa di primo grado); la domanda riconvenzionale, di ordinare al terzo tenuto a corrispondere anche periodicamente somme di danaro al Na.Ra., ai sensi dell'art. 156,6 comma, c.c., di versare direttamente alla Ca.Te. la somma stabilita a titolo di assegno mantenimento in suo favore, era inammissibile perché nuova.

Ca.Te. ricorre in cassazione avverso la suddetta sentenza, con unico motivo. Na.Ra. resiste con controricorso, illustrato da memoria.

IN DIRITTO

RITENUTO CHE

L'unico motivo denunzia violazione o falsa applicazione degli artt. 156 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., ed omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. (art.360 comma 1, n.ri 3 e 5 c.p.c.), per aver la Corte d'Appello rigettato la domanda di assegno di mantenimento in favore della ricorrente.

Al riguardo, la Ca.Te. lamenta che: nel corso del giudizio era risultato come fosse il marito a provvedere al sostentamento della famiglia, nel mentre la moglie si occupava della gestione della casa familiare, apportando alla famiglia il suo lavoro domestico, e come il primo fosse titolare di un ingente patrimonio immobiliare e di un reddito adeguato (in media uno specializzando in medicina percepisce uno stipendio che ammonta a circa 1.700 Euro mensili e la somma percepita, quindi, è pari a circa 22.700 Euro lordi all'anno); la Corte territoriale non si era attenuta ai principi di diritto desumibili dalla giurisprudenza di questa Corte, senza considerare da un lato, circa il tenore della vita matrimoniale, che tra i due coniugi vi fosse una rilevante disparità economica (come confermato dalle indagini patrimoniali disposte nel corso della causa di primo grado), e dall'altro l'effettiva possibilità di reperire un lavoro adeguato in una Regione come la Calabria che conosce notoriamente tali problemi; la Corte di merito, pur citando gli elementi di fatto che avevano portato il Tribunale di Palmi a riconoscere l'assegno di mantenimento in favore della ricorrente (lo stato di disoccupazione della Ca.Te.; la circostanza che al suo mantenimento provvedesse il marito; la rilevante disparità economica e i fatti che ne avevano determinato l'importo: rifiuto dell'offerta di lavoro, mancata prova di averlo cercato, durata del matrimonio, assenza di prole ed età della moglie al momento della separazione), non aveva fornito una logica e precisa motivazione sulle circostanze che l'avevano indotta a non condividere la decisione del Tribunale in merito a tali elementi di fatto, fondando il rigetto della domanda di assegno esclusivamente sulla circostanza secondo la quale la ricorrente non avesse fornito la prova di essersi efficacemente adoperata nella ricerca di un lavoro, così facendo cattivo uso del potere discrezionale di valutazione della prova ex artt. 115 e 116 c.p.c.

Il motivo è inammissibile.

In tema di separazione personale dei coniugi, l'attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell'assegno di mantenimento da parte del giudice, qualora venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche (Cass., n. 5817/2018: in applicazione di tale principio la S.C. ha rigettato il ricorso avverso la sentenza del giudice di merito, che aveva escluso il diritto al mantenimento del coniuge, in ragione della pacifica esistenza di proposte di lavoro immotivatamente non accettate).

In materia di separazione dei coniugi, grava sul richiedente l'assegno di mantenimento, ove risulti accertata in fatto la sua capacità di lavorare, l'onere della dimostrazione di essersi inutilmente attivato e proposto sul mercato per reperire un'occupazione retribuita confacente alle proprie attitudini professionali, poiché il riconoscimento dell'assegno a causa della mancanza di adeguati redditi propri, previsto dall'art. 156 c.c., pur essendo espressione del dovere solidaristico di assistenza materiale, non può estendersi fino a comprendere ciò che, secondo il canone dell'ordinaria diligenza, l'istante sia in grado di procurarsi da solo (Cass., n. 20866/2021; n. 24049/21; n. 234/20215).

Nella specie, in applicazione del citato consolidato orientamento di questa Corte, la doglianza in esame è dunque inammissibile, poiché la questione della rilevante disparità delle condizioni reddituali tra i coniugi è da ritenere preclusa dall'accertamento preliminare della mancata prova dell'adeguata ricerca di lavoro, tanto più che è emersa la mancata accettazione di un'offerta di lavoro e la mancata allegazione dei motivi del rifiuto.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida nella somma di Euro 2.700,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali, iva ed accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a

quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.

Così deciso nella camera di consiglio della prima sezione civile del 21 gennaio 2025.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2025.

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