Se un bambino nasce con gravi disabilità a causa di un errore medico, può chiedere un risarcimento per la sua condizione? Può considerare la sua stessa esistenza un danno giuridicamente rilevante?
La Cassazione ha risposto negativamente con l'ordinanza n. 3502 del 13 febbraio 2025.
Il nostro ordinamento non riconosce un "diritto a non nascere se non sani", escludendo così la possibilità di ottenere un risarcimento per danno da nascita indesiderata.
I genitori di un bambino nato con gravi malformazioni congenite hanno citato in giudizio l'Azienda Sanitaria Locale, il medico che aveva seguito la gravidanza e i suoi eredi, nonché la compagnia assicurativa, contestando la condotta negligente del sanitario. Secondo i ricorrenti, l'omessa diagnosi delle anomalie fetali aveva privato la madre della possibilità di interrompere la gravidanza.
Oltre al risarcimento richiesto dai genitori, il figlio stesso ha avanzato una domanda di risarcimento per il pregiudizio subito a causa della sua stessa nascita in condizioni di disabilità.
Dopo il rigetto della domanda in primo grado e in appello, il caso è arrivato in Cassazione.
La Suprema Corte ha confermato il principio già espresso dalle Sezioni Unite (Cass. n. 25767/2015), secondo cui il nato disabile non può agire per il risarcimento del danno derivante dalla sua stessa esistenza. La Corte ha ribadito che non esiste un "diritto a non nascere se non sani" e che la sola alternativa alla nascita sarebbe stata l'interruzione di gravidanza, la quale non configura un diritto soggettivo.
La giurisprudenza di riferimento include anche Cass. n. 26426/2020, che ha escluso la possibilità di riconoscere un danno biologico e relazionale al figlio, in quanto il confronto tra la vita con disabilità e la "non esistenza" è giuridicamente inammissibile.
Secondo la Cassazione:
Non esiste un nesso causale tra l'errore medico e la condizione del nato, poiché il danno non può consistere nella stessa vita del bambino.
Il pregiudizio biologico e relazionale non può essere riconosciuto, perché in diritto non si può paragonare la condizione di vita attuale alla "non esistenza".
Riconoscere un simile diritto potrebbe portare a derive eugenetiche, attribuendo persino alla madre una responsabilità per aver scelto di non interrompere la gravidanza.
L'eventuale risarcimento rischierebbe di trasformarsi in una forma di assistenza sociale surrogata.
La Cassazione ha confermato l'inammissibilità del ricorso, escludendo il diritto del nato a richiedere il risarcimento invocando il "diritto a non nascere se non sani".
Il risarcimento per errore medico può essere riconosciuto solo ai genitori, ma non al figlio.
Documenti correlati:
Cassazione civile, sez. III, ordinanza 11/02/2025 (ud. 12/12/2024) n. 3502
FATTI DI CAUSA
1. Ga.Fr. e Lo.An., in rappresentanza di Ga.Em., all'epoca minorenne, avevano convenuto in giudizio l'Azienda Sanitaria Locale di Brindisi e le eredi del medico Di.Fr., Ma.Ma. e Di.Ma., nonché UNIPOLSAI ASSICURAZIONI Spa, evocata in giudizio con funzioni di manleva, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni derivati da inadeguata e negligente prestazione professionale del medico durante la gravidanza della madre, il quale, non avvedendosi delle gravi malformazioni congenite che il nascituro presentava, non consentì alla stessa, ove opportunamente informata, di valutare se procedere o meno, alla interruzione della gravidanza, cagionando al nato quindi il danno per la sua nascita indesiderata e del diritto a nascere sano. Si costituiva la Azienda Sanitaria Locale di Brindisi che eccepiva preliminarmente la prescrizione del diritto azionato; contestava poi la fondatezza della domanda, di cui chiedeva il rigetto; allo stesso modo resistevano in giudizio le predette convenute nella qualità di eredi e la citata Compagnia assicurativa.
Il Tribunale di Brindisi con sentenza n. 1928/2017, pur riconoscendo la censurabilità dell'operato del sanitario e la sua responsabilità nei confronti dei genitori del nato, già affermata con altra sentenza in precedente giudizio instaurato dinanzi lo stesso Tribunale, rigettava la domanda ravvisando un difetto di legittimazione dell'attore ad agire, non potendosi configurare in capo al figlio un danno da nascita indesiderata sulla scorta della sentenza di questa Corte, a Sezioni unite, 22/12/2015, n. 25767, cui aderiva.
2. Avverso la sentenza di prime cure, Ga.Em., per il tramite dei suoi genitori, Ga.Fr. e Lo.An., ha proposto gravame dinanzi alla Corte d'Appello di Lecce. Si sono costituite l'Azienda Sanitaria Locale di Brindisi, nonché le eredi del medico Di.Fr. e la UNIPOLSAI ASSICURAZIONI Spa
La Corte d'Appello di Lecce ha rigettato l'appello, confermato integralmente la sentenza di prime cure, compensato in parte le spese del doppio grado e condannato Ga.Em., costituitosi nelle more in proprio perché divenuto maggiorenne, alle spese processuali in favore delle controparti.
3. Avverso la sentenza d'appello, ha proposto ricorso per cassazione Ga.Em. sorretto da due motivi di impugnazione. Hanno resistito con distinti atti di controricorso sia l'Azienda Sanitaria Locale di Brindisi sia le eredi del medico Di.Fr., Ma.Ma. e Di.Ma.
Sebbene intimata, la Compagnia di assicurazione non ha ritenuto di svolgere difese nel giudizio di legittimità.
Il ricorso è stato fissato e trattato in camera di consiglio ai sensi dell'art.380 bis.1 c.p.c.
La parte ricorrente ha depositato memoria.
All'esito della camera di consiglio del 10 maggio 2024, con ordinanza interlocutoria n. 18815/2024 questa Corte ha rinviato a nuovo ruolo, disponendo la rinnovazione dell'avviso della udienza di trattazione in camera di consiglio al difensore costituito di parte ricorrente tramite Ufficiale giudiziario.
All'esito dell'incombente, il ricorso è stato nuovamente fissato e trattato in camera di consiglio ai sensi dell'art. 380 bis.1 c.p.c.
La parte ricorrente ha nuovamente depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta "In riferimento alle previsioni di cui all'art. 360/3 c.p.c." la "non adeguata considerazione per le finalità e le previsioni della legge 194 del 1978 e non adeguata considerazione anche per le previsioni di cui all'art. 2043 c.c. e dell'art. 1223 c.c."; in particolare, osserva che la Corte d'Appello ha riconosciuto, non condivisibilmente, soltanto nei confronti dei propri genitori il diritto al risarcimento dei danni per il danno da mancato rilievo delle gravi malformazioni del feto, escludendolo nei confronti del figlio; tale affermazione sarebbe erronea sulla base delle seguenti svariate ragioni: - il nascituro nato non è estraneo al contatto sociale relativo alla gestante e alla struttura sanitaria; la struttura non ha il dovere di provvedere all'assistenza alla madre, ma deve adoperarsi alla necessaria alla cura nei confronti del nascituro (ad esempio, nel trasferire immediatamente il nato presso altro centro medico specializzato); l'intervenuta violazione del consenso informato per omessa comunicazione delle condizioni del feto in danno dei genitori si riverbera anche sul figlio nascituro, terzo, rispetto al rapporto intercorso tra la gestante e la struttura e ne giustificherebbe la reazione; ingiustamente quindi è stato escluso il concepito, poi nascituro, da ogni azione risarcitoria, riconosciuta invece ai genitori con precedente sentenza; difatti, il nascituro - pur non godendo al momento di piena capacità giuridica - sarebbe da ritenere tuttavia "a tutti gli effetti soggetto di diritto ed inoltre, come detto, terzo protetto rispetto al rapporto in corso" e che quanto dedotto in proposito dalla Corte d'Appello sarebbe superato da quanto affermato da due arresti di legittimità che pure richiama (Cass. nn. 16574/2021 e 25767/2015); sostiene che il grave inadempimento del medico per aver ritenuto esente da alcuna anomalia il feto non è stato trattato dalla sentenza impugnata in relazione alle indicate norme che si riferiscono all'ingiustizia del danno nei confronti del nato e che da tale omessa indicazione su qualsiasi sussistente anomalia del feto durante la gestazione deriva, non soltanto il diritto al ristoro dei genitori, già riconosciuto, ma anche quello del nato per le sue precarie condizioni di vita determinate anche dalla impossibilità dei propri genitori di esprimere ogni determinazione; non condivide inoltre quanto affermato dalla Corte d'Appello che, con riferimento alla sofferenza della gestante per non aver potuto esperire l'interruzione di gravidanza, non avrebbe considerato il diritto al ristoro dei danni anche per il nascituro in relazione alle sue future condizioni di vita.
2. Con il secondo motivo di ricorso, lamenta "L'inadeguato riferimento e omessa considerazione per i principi di diritto in relazione alle previsioni di cui agli artt. 2,3,29,30 e 32 della Costituzione" e ribadisce che l'impugnata sentenza ha attribuito il "diritto al ristoro soltanto a favore dei genitori" a fronte di quanto impongono, viceversa, le previsioni costituzionali richiamate in rubrica. Ribadisce che nella vicenda in esame, non viene in rilievo soltanto la questione in ordine al diritto preteso a non nascere sano, quanto piuttosto la diversa questione attinente al diritto del nascituro a godere della propria vita senza pregiudizievoli limitazioni; richiama le massime espresse dalla Corte di cassazione nelle rilevanti pronunce Sez. 3, 12/10/2012 n. 16754 e Sez. U, 22/12/2015 n. 25767) e conclude per ritenere "sussistente il proprio diritto di chiedere e ottenere l'invocato ristoro in considerazione delle precarie condizioni di vita che è costretto a vivere e tanto, non solo in riferimento alla situazione lavorativa, ma anche in riferimento al normale andamento dei rapporti familiari e sociali" (così in ricorso pag. 15).
3. I motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente, stante l'evidente vincolo di connessione, si rivelano inammissibili ai sensi dell'art. 360-bis c.p.c. n. 1.
La Corte di merito ha infatti deciso le questioni rimesse al suo esame in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte e l'esame dei motivi non offre elementi per mutare orientamento.
Le pretese violazioni di norme costituzionali e sostanziali, nella specie, oltre che risultare insussistenti, sono sostanzialmente inammissibili in quanto il rinvio formulato da parte ricorrente ai richiamati arresti di legittimità, non spiega in particolare come "le successive determinazioni del 2015 e del 2017" (citate in ricorso, v. pag. 15) possano, come pure il ricorrente adombra, "far ritenere effettiva la sussistenza del diritto" in suo favore "di richiedere ed ottenere l'invocato ristoro in considerazione delle precarie condizioni di vita che è costretto a vivere..." e non riescono a scalfire quanto argomentato in proposito già dai giudici di merito in conformità agli orientamenti di questa Corte, invocati a supporto della propria tesi anche dallo stesso ricorrente.
Alla luce di tali orientamenti è stata esclusa in via generale la possibilità di riconoscere un pregiudizio biologico e relazionale in capo al figlio, essendo per lui l'alternativa quella di non nascere, inconfigurabile come diritto in sé, neppure sotto il profilo dell'interesse ad avere un ambiente familiare preparato ad accoglierlo (Cass. Sez. U, 22/12/2015 n. 25767).
È stato inoltre chiarito che il nato disabile non può agire per il risarcimento del danno consistente nella sua stessa condizione, giacché l'ordinamento non conosce il "diritto a non nascere se non sano", né la vita del nato può integrare un danno-conseguenza dell'illecito del medico (Cass., Sez. 3, n. 26426 del 2020).
L'orientamento è stato ribadito anche di recente con l'osservare che "come dalle Sezioni Unite di questa Corte precisato non ne è invero in radice data la stessa configurabilità in quanto "la ragione di danno da valutare sotto il profilo dell'inserimento del nato in un ambiente familiare nella migliore delle ipotesi non preparato ad accoglierlo" rivela sostanzialmente quale mero "mimetismo verbale del c.d. diritto a non nascere se non sani", andando pertanto "incontro alla... obiezione dell'incomparabilità della sofferenza, anche da mancanza di amore familiare, con l'unica alternativa ipotizzabile, rappresentata dall'interruzione della gravidanza" non essendo d'altro canto possibile stabilire un "nesso causale" tra la condotta colposa del medico e le "sofferenze psicofisiche cui il figlio è destinato nel corso della sua vita" (Cass. n. 25767/2015 cit.)" (così testual. Cass. Sez. 3, 11/04/2017 n. 9251).
Nell'appena richiamato orientamento, anche con riferimento al giudizio instaurato dai genitori e già definito in precedente giudizio, come avvenuto nel caso in esame, si è infine precisato "che il danno del nato disabile risulta nella specie dai genitori invero prospettato come conseguenza del danno da essi asseritamente subito, laddove, stante la suindicata ravvisata relativa insussistenza, a fortiori difetta lo stesso presupposto per la configurabilità di un pregiudizio che si assume esserne conseguentemente derivato in capo al nato" (così testual. ancora, Cass. n. 9251/2017 cit.).
4. Il ricorso è inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente in favore delle parti controricorrenti secondo il principio di soccombenza, così come liquidate in dispositivo.
Dispone che, ai sensi dell'art. 52 del D.Lgs. n. 196 del 2003, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi del ricorrente e dei genitori dello stesso.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, ove dovuto (Cass. Sez. U. 20/02/2020 n. 4315).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore di ciascuna delle parti controricorrenti che si liquidano in complessivi Euro 2700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie al 15% ed accessori di legge.
Dispone che, ai sensi dell'art. 52 del D.Lgs. n. 196 del 2003, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi del ricorrente e dei genitori dello stesso.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2024.
Depositato in Cancelleria l'11 febbraio 2025.