Cancellazione della società, responsabilità dei soci ex art. 2495 Cc, riscossione in base al bilancio di liquidazione, presupposto, conseguenze

Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Sentenza n.3625 del 12/02/2025

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Cancellazione della società, responsabilità dei soci ex art. 2495 Cc, riscossione in base al bilancio di liquidazione, presupposto, conseguenze

Nella fattispecie di responsabilità dei soci limitatamente responsabili per il debito tributario della società estintasi per cancellazione dal registro delle imprese, il presupposto dell’avvenuta riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione, di cui al 3^ (già 2^) co. dell’art. 2495 cod. civ., integra, oltre alla misura massima dell’esposizione debitoria personale dei soci, una condizione dell’azione attinente all’interesse ad agire e non alla legittimazione ad causam dei soci stessi.

Questo presupposto, se contestato, deve conseguentemente essere provato dal Fisco che faccia valere, con la notificazione ai soci ex artt. 36 co. 5^ d.P.R. n. 602/73 e 60 d.P.R. 600/73 di apposito avviso di accertamento, la responsabilità in questione, fermo restando che l’interesse ad agire dell’Amministrazione finanziaria non è escluso per il solo fatto della mancata riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione, potendo tale interesse radicarsi in altre evenienze, quali la sussistenza di beni e diritti che, per quanto non ricompresi in questo bilancio, si siano trasferiti ai soci, ovvero l’escussione di garanzie.

La verifica del presupposto dell’avvenuta riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione, concernendo un elemento che deve essere dedotto nella fase di accertamento da indirizzarsi direttamente nei confronti dei soci ex art. 36 co. 5^ d.P.R. n. 602/73, non può avere ingresso nel giudizio di impugnazione introdotto dalla società avverso l’avviso di accertamento ad essa originariamente notificato, quand’anche questo giudizio venga poi proseguito, a causa dell’estinzione della società per cancellazione dal registro delle imprese, da o nei confronti dei soci quali successori della società stessa.

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Cassazione civile, sez. un., sentenza 12/02/2025 (ud. 12/11/2024) n. 3625

FATTI RILEVANTI DI CAUSA

par. 1.1. I fatti rilevanti di causa possono così riassumersi:

il 12 luglio 2012 l'Agenzia delle Entrate di Treviso notificava a Simpra Srl in liquidazione, società produttrice di marmitte e componenti per auto, avviso di accertamento per l'anno 2006 con il quale, stante la mancata presentazione del Modello Unico 2007 per l'anno in questione, rideterminava induttivamente in Euro 887.332,00 il volume d'affari Iva ed in Euro 200.200,00 il reddito ai fini Ires ed Irap, recuperando le maggiori imposte dovute con relative sanzioni; l'Ufficio procedeva alla ricostruzione del volume d'affari e dei redditi della società, ex artt. 55 D.P.R. 633/72 e 41 D.P.R. 600/73, prendendo a riferimento, per il primo, l'importo delle operazioni Iva dichiarate dalla società con la comunicazione annuale e, per i secondi, l'applicazione a tale volume d'affari di una detrazione per costi d'impresa forfettariamente stabilita con riguardo a campione medio di società del settore;

la società impugnava l'avviso di accertamento avanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Treviso la quale, con sentenza n. 219/03/14 del 12.3.2014, accoglieva in parte il ricorso, ritenendo legittima la sola ripresa Iva, che rideterminava in euro 24.921,40 con applicazione delle sanzioni al minimo di legge;

il 9 giugno 2014 la società veniva cancellata dal Registro delle Imprese di Treviso;

il 29 ottobre 2014 l'Agenzia delle Entrate proponeva appello avverso questa sentenza evocando in giudizio, vista la cancellazione della società, i soci Pierina, Za.Re. ed Za.An.; affermava preliminarmente la responsabilità di costoro per il debito della società, ex artt. 2495, co, 2°, cod. civ. e 36 co. 3° D.P.R. 602/73, allegando a proprio interesse il fatto che, pur in presenza di un bilancio finale di liquidazione che, in quanto negativo, non aveva attribuito alcunchè ai soci, risultasse comunque in bilancio l'appostazione di un credito della società verso il Fisco per annualità pregresse, come tale suscettibile di compensazione con la pretesa qui dedotta;

si costituivano i soci i quali eccepivano preliminarmente che, a seguito della cancellazione della società, il giudizio - inizialmente radicato esclusivamente nei confronti di quest'ultima - non poteva proseguire e che, comunque, facevano difetto sia l'interesse ad agire in capo all'Agenzia delle Entrate (asseritamente basato su una compensazione nei confronti di un soggetto non più esistente), sia la loro legittimazione passiva, in quanto non destinatari di somme o beni in sede di liquidazione ex art. 2495 cod. civ.;

la Commissione Tributaria Regionale del Veneto, respinte le eccezioni preliminari, accoglieva l'appello e, in riforma della prima decisione, affermava la legittimità in toto dell'avviso così come notificato alla società osservando, per quanto qui di interesse, che: - l'Agenzia delle Entrate aveva correttamente chiamato in causa gli ex soci della società medio tempore cancellata posto che, per effetto del fenomeno di tipo successorio che si era così venuto a creare ex art. 110 cod. proc. civ. (come evincibile da Cass. SU n. 6070/2013) essi, anche se rimasti estranei al primo grado di giudizio, avevano acquisito la legittimazione sostanziale e processuale, attiva e passiva, senza che ciò determinasse una lesione dei loro diritti di difesa; - atteso che il giudizio verteva unicamente sull'avviso di accertamento notificato alla società per il 2006, le ulteriori questioni che gli Za.Pi. avevano sollevato circa i limiti della loro responsabilità diretta per il pagamento delle somme derivanti da detto avviso (in quanto non destinatari di beni in sede di liquidazione finale) non potevano avere ingresso, trattandosi di eccezioni che avrebbero potuto essere eventualmente dedotte in un diverso giudizio. Gli Za.Pi. hanno proposto ricorso avverso questa sentenza, di cui chiedono la cassazione sulla base di undici motivi ex art. 360 co. 1° nn. 3, 4 e 5 cod. proc. civ., i primi tre dei quali volti a censurare la su riportata ragione decisoria della Commissione Tributaria Regionale, e qui rilevanti: - con il primo motivo si afferma la nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 100 cod. proc. civ. e 1, comma 2, del decreto legislativo n. 546/1992, in relazione all'art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ..: la Commissione Tributaria Regionale aveva erroneamente omesso di dichiarare l'inammissibilità, per carenza d'interesse ad agire dell'appello proposto dall'Agenzia direttamente nei confronti degli ex soci a seguito dell'estinzione della società, come reso evidente dal fatto che la compensazione tra il credito erariale verso la società (di cui si era chiesto l'accertamento definitivo in appello) ed il controcredito vantato da questa per rimborso IVA, non poteva più realizzarsi per l'inesistenza del soggetto giuridico (la società) titolare sia del credito da compensare sia dell'asserito debito dedotto in avviso; né il credito della società verso il Fisco si trasmetteva agli ex soci a seguito ed in conseguenza dell'estinzione della società stessa, dal momento che a costoro si trasferivano esclusivamente le sopravvenienze attive, ovvero i beni ed i crediti diversi dalle mere pretese non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, laddove il credito di rimborso Iva in questione risultava invece compreso nel bilancio di liquidazione; - con il secondo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 110 cod. proc. civ. e 1, comma 2, del decreto legislativo n. 546/1992 (e dei presupposti artt. 2495, comma 2, cod. civ. e 36, comma 3, del D.P.R. n. 602/1973) in relazione all'art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ.: la Commissione Tributaria Regionale aveva erroneamente omesso di dichiarare (eventualmente anche d'ufficio) l'inammissibilità dell'appello perché proposto dall'Agenzia direttamente nei confronti degli ex soci, senza aver contestualmente dimostrato anche la loro personale responsabilità in relazione ai debiti erariali già facenti capo alla società estinta per effetto e nei limiti della riscossione o assegnazione a loro favore delle somme o dei beni di cui agli artt. 2495, comma 2, cod. civ. e 36, comma 3, del D.P.R. n. 602/1973 (ed, anzi, pur essendo stato in causa positivamente dimostrato il contrario); in quanto tempestivamente dedotta con le controdeduzioni d'appello, e quindi in occasione del loro primo atto difensivo, la questione, contrariamente a quanto affermato in sentenza, non poteva certamente essere considerata estranea al thema decidendum e proponibile solo in altra sede; - con il terzo motivo di ricorso si riformula la stessa doglianza del motivo che precede, ma sotto il profilo, ex art. 360 co. 1 n. 3) cod. proc. civ., della violazione o falsa applicazione degli artt. 2495, comma 2, cod. civ. e 36, comma 3, del D.P.R. n. 602/1973; si osserva inoltre che la violazione di queste norme sostanziali integrava comunque anche un error in procedendo, laddove la loro esatta applicazione costituiva il presupposto per la corretta applicazione di una norma di rito (l'art. 110 cod. proc. civ.) che si assumeva violata proprio in conseguenza della violazione delle prime. L'Agenzia delle Entrate dichiarava di costituirsi al solo fine della eventuale discussione in udienza, ex art.370, primo comma, cod. proc. civ.. par. 1.2 Assegnato il ricorso a decisione, interveniva l'ordinanza n. 7425 del 14 marzo 2023 con la quale la Sezione Tributaria rimetteva gli atti alla Prima Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione così individuata (par. 12): "Le censure proposte con il primo, il secondo e il terzo motivo di ricorso, che assumono rilievo decisivo e assorbente, implicano l'esame della questione controversa, che è stata oggetto di contrasto nella giurisprudenza di questa Corte, se la condizione testualmente fissata dall'art. 2495 cod. civ., al fine di consentire ai creditori sociali di fare valere i loro crediti, dopo la cancellazione della società, nei confronti dei soci, si rifletta sul requisito dell'interesse ad agire in capo all'Amministrazione finanziaria o sulla legittimazione passiva del socio medesimo ai fini della prosecuzione del processo originariamente instaurato contro la società e se la riconducibilità nell'ambito dell'una condizione dell'azione o dell'altra implichi conseguenze specifiche in tema di onere della prova. Ciò tenuto conto anche che il processo tributario è annoverabile tra quelli di "impugnazione-merito" e della affermata natura dinamica dell'interesse ad agire, che come tale può assumere una diversa configurazione, ma fino al momento della decisione".

Osservano i giudici remittenti che:

dal 01 gennaio 2004 (data di entrata in vigore della riforma del diritto societario di cui al D.Lgs. n.6/2003) la cancellazione della società dal registro delle imprese ha effetto costitutivo e ne comporta l'immediata estinzione, con superamento del pregresso indirizzo secondo cui l'estinzione presupponeva invece l'effettivo esaurimento di tutti i rapporti giuridici facenti capo alla società (Cass., Sez. U., 22 febbraio 2010, nn. 4060, 4061 e 4062);

successivamente alle sentenze appena citate, si è poi affermato (Cass., 16 maggio 2012, n. 7676; Cass., 16 maggio 2012, n. 7679; Cass., 16 maggio 2012, n. 19453) che, in base all'art. 2495 cit., nelle società di capitali la riscossione della quota in forza del bilancio finale di liquidazione non costituisce soltanto il limite di responsabilità del socio quanto al debito sociale, ma anche la condizione per la sua successione nel processo già instaurato contro la società; sicché il socio (diversamente dall'erede della persona fisica) non è di per sé successore universale della società, ma lo diviene, ex lege, se ed in quanto vi sia stata questa riscossione (nel qual caso egli risponde intra vires del debito sociale), con la conseguenza che quest'ultimo evento deve essere allegato e dimostrato quale presupposto della condizione dell'azione costituita dall'interesse ad agire, il quale "richiede non solo l'accertamento di una situazione giuridica, ma anche la prospettazione dell'esigenza di ottenere un risultato utile, giuridicamente apprezzabile, conseguente allo specifico intervento giurisdizionale richiesto, giacché il processo non può essere utilizzato in previsione di solo astratte esigenze";

si è così giunti ai noti arresti del 2013 (Cass.Sez.U nn. 6070-6071-6072) con i quali è stato chiarito che, a seguito della cancellazione ed estinzione della società in corso di causa (come nella specie), si determina un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all'ente non si estinguono (cosa che sacrificherebbe ingiustamente i diritti dei creditori sociali), ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione ovvero illimitatamente, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti in vita la società; in modo tale che i soci successori della società subentrano, altresì, nella legittimazione processuale facente capo all'ente - la cui estinzione è in parte equiparabile alla morte della persona fisica, ai sensi dell'art. 110 cod. proc. civ. - in situazione di litisconsorzio necessario per ragioni processuali, ovverosia a prescindere dalla scindibilità o meno del rapporto sostanziale (Cass., Sez. U., 2013 cit.); inoltre, qualora all'estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, l'effetto successorio comporta che i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscano ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un'attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale) e il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo;

sempre secondo le Sezioni Unite del 2013, il socio successore non cessa di essere tale sol perché risponde intra vires, e se il suddetto limite di responsabilità dovesse rendere evidente l'inutilità per il creditore di far valere le proprie ragioni nei suoi confronti, ciò si rifletterebbe sul requisito dell'interesse ad agire e non sulla legittimazione passiva del socio medesimo, con l'ulteriore specificazione che in tal caso il creditore potrebbe avere comunque interesse all'accertamento del proprio diritto, ad esempio in funzione dell'escussione di garanzie;

diversa è la posizione del liquidatore, il quale non succede alla società e può essere raggiunto, ex art. 2495 cit., da un'azione autonoma (di natura risarcitoria) da parte dei creditori sociali insoddisfatti qualora il mancato pagamento sia da lui dipeso (Cass., 30 luglio 2020, n. 16362);

su queste premesse, si osserva ancora nell'ordinanza di rimessione, si sono poi sviluppate nella giurisprudenza linee interpretative non del tutto univoche e collimanti, nel senso che: a) per un primo e maggioritario indirizzo, costituente ormai "diritto vivente" (Cass., 5 novembre 2021, n. 31904), il limite di responsabilità dei soci di cui all'art. 2495 cod. civ. non incide sulla loro legittimazione processuale ma appunto sull'interesse ad agire dei creditori sociali, interesse che, tuttavia, non è di per sé escluso dalla circostanza che i soci non abbiano partecipato utilmente alla ripartizione finale, potendo, ad esempio, sussistere beni e diritti che, sebbene non ricompresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, si siano trasferiti ai soci; dunque, il creditore potrebbe avere interesse al mero accertamento del diritto, e l'eventuale insussistenza di attivo distribuito potrebbe incidere sulla esigibilità del credito in fase esecutiva (Cass. 8 marzo 2017, n. 5988; Cass., 7 aprile 2017, n. 9094; Cass., 24 gennaio 2018, n. 1713; Cass. 19 aprile 2018, n. 9672; Cass., 5 giugno 2018, n. 14446; Cass., 16 giugno 2017, n. 15035; Cass. 16 gennaio 2019, n. 897; Cass., 18 dicembre 2019, n. 33582; Cass., 26 giugno 2020, n. 12758; Cass., 19 novembre 2020, n. 26402; Cass., Sez. Un., 15 gennaio 2021, n. 619; Cass., 4 gennaio 2022, n. 2); pure in ambito tributario la possibilità di sopravvenienze attive, o anche semplicemente la possibile esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio, non consentono di escludere l'interesse dell'Agenzia a procurarsi un titolo nei confronti dei soci, "in considerazione della natura dinamica dell'interesse ad agire, che rifugge da considerazioni statiche allo stato degli atti" (Cass., 7 aprile 2017, n. 9094; Cass., 16 giugno 2017, n. 15035); orientamento, questo, che è stato ribadito anche dalle stesse Sezioni Unite, sebbene in sede di regolamento di giurisdizione (15 gennaio 2021 n. 619 cit.), secondo le quali il fatto che "i soci abbiano goduto, o no, di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione non è dirimente (...) ai fini dell'esclusione dell'interesse ad agire del Fisco creditore"; b) in base ad un secondo orientamento, si afferma che è necessario provare l'effettiva percezione delle somme da parte dell'ex socio a titolo di legittimazione passiva, e questo onere incombe ex art. 2697 cod. civ. (trattandosi di elemento costitutivo della fattispecie di responsabilità) sul creditore che agisce (Cass. 26 giugno 2015, n. 13259; Cass., 23 novembre 2016, n. 23916; Cass. 31 gennaio 2017, n. 2444; Cass., 22 giugno 2017, n. 15474; Cass., 4 dicembre 2019, n. 31933; Cass., 15 gennaio 2020, n. 521), il che deve valere anche per il Fisco (Cass. 19732/ 9005; Cass.11968/2012; Cass. 7676/2012; Cass. 23916/16); c) in base ad un terzo orientamento, si sostiene che nel caso di società di capitali l'accertamento della riscossione della quota di liquidazione si correla alla legittimazione ad causam del socio ai fini della prosecuzione del processo ai sensi dell'art. 110 cod. proc. civ. sicchè, in presenza di contestazione sul punto, questa circostanza va provata dal soggetto che si costituisce in giudizio nella qualità di successore universale della società estinta, dimostrazione da ritenersi ammissibile anche, per la prima volta, nel giudizio di cassazione, ai sensi dell'art. 372 cod. proc. civ., in quanto appunto diretta a comprovare, sotto il detto profilo, l'ammissibilità del ricorso (Cass., 5 novembre 2021, n. 31904; Cass. 31 gennaio 2017, n. 2444), così anche Cass., 16 novembre 2020, n. 25869, secondo cui: "qualora l'estinzione della società a seguito di cancellazione dal registro delle imprese intervenga in pendenza di un giudizio che la veda parte, si determina un evento interruttivo, disciplinato dagli artt. 299 e ss. c.p.c., con eventuale prosecuzione o riassunzione ad opera o nei confronti dei soci, successori della

società, ai sensi dell'art. 110 c.p.c.; ove l'evento non sia stato fatto constare nei modi di legge o si sia verificato quando farlo constare in tali modi non sarebbe più stato possibile, l'impugnazione della sentenza, pronunciata nei riguardi della società, deve provenire o essere indirizzata, a pena d'inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci, purché dei presupposti della "legitimatio ad causam" sia da costoro fornita la prova";

pur dopo le decisioni delle Sezioni Unite del 2013, quindi, permarrebbero varie discrasie nella giurisprudenza: sia là dove si riconduce la condizione di cui all'art. 2495, co. 2°, cod. civ. nell'ambito ora dell'interesse ad agire (salvo poi prescinderne ritenendo che il creditore abbia comunque interesse anche in mancanza di una effettiva riscossione di somme sulla base del bilancio finale di liquidazione), ed ora della legittimazione processuale del socio, sia là dove si adottano sul punto criteri di ripartizione dell'onere probatorio del tutto opposti, a seconda che ci si muova nella prospettiva del creditore o del socio succeduto;

il tutto andrebbe poi specificato con riguardo al contesto tributario ed alle sue peculiarità, quanto a: - natura impugnatoria del giudizio, ex art. 19 D.Lgs. n. 546/92, e divieto di ampliamento del tema decisionale, apparentemente ostativo alla possibilità di sollevare l'eccezione del difetto di responsabilità del socio che sia succeduto in corso del giudizio (Cass., 19 aprile 2018, n. 9672, in motivazione); - natura anche di merito del medesimo, fermo restando che l'art. 35, comma 3, ultimo periodo, del D.Lgs. n. 546 del 1992, come interpretato alla luce degli artt. 111 Cost., 6CEDU e 47 CDFUE, "esclude la pronuncia di condanna indeterminata, rendendo necessario l'esame nel merito della pretesa, entro i limiti posti dalle domande di parte" (Cass., 25 novembre 2022, n. 34723; Cass. 10 settembre 2020, n. 18777); - caratteristiche formali ed amministrative dell'atto impositivo, che presuppone in ogni caso una iscrizione a ruolo nei confronti del socio, succeduto nel corso del processo, per le somme accertate nei confronti della società, e ciò sia che debba essere attivata la speciale procedura prevista dall'art. 36 del D.P.R. n. 602 del 1976, sia che venga attivato il modulo di responsabilità ex art. 2495 cod. civ.; (Cass., 19 aprile 2018, n. 9672, in motivazione); - al fatto che l'iscrizione a ruolo nei confronti del socio, e la stessa notifica della cartella di pagamento (che costituisce, ad un tempo, notifica del titolo esecutivo e del precetto: v. Cass. n. 3021/2018; Cass. n. 6526/2018; Cass., Sez. Un., n. 7822/2020), prescindono del tutto da ogni accertamento sulla avvenuta (o mancata) percezione degli utili, sicché la sede naturale in cui si possa procedere a questo accertamento deve giocoforza individuarsi nel processo tributario, il cui avvio è onere del socio, ex art. 19 D.Lgs. n. 546/1992; in modo tale, si è affermato, che spetta all'ex socio "dimostrare la propria assenza di responsabilità (ossia, il non essere tenuto, in concreto, a rispondere di quel debito sociale), per non aver percepito utili all'esito della liquidazione, anzitutto allegando la circostanza, e quindi offrendo la relativa prova. Né, del resto, su un piano più generale, può così configurarsi alcun vulnus al diritto di difesa del socio, ex art. 24 Cost.

Infatti, con l'impugnazione della cartella, il socio - con riferimento a quel titolo tributario - contesta il diritto di procedere all'esecuzione preannunciatagli dal fisco, allo stesso modo in cui per gli altri debiti sociali egli può contestare la propria responsabilità mediante opposizione all'esecuzione" (Cass. n. 12714/2019; Cass., 5 novembre 2021, n. 31904);

sempre in ambito tributario, poi, si è stabilito, sia pure in tema di impugnazione dell'estratto di ruolo, che l'interesse ad agire è una condizione dell'azione avente natura "dinamica" la quale, come tale, può assumere una diversa configurazione, anche per norma sopravvenuta, ma fino al momento della decisione (Cass., Sez. U., 6 settembre 2022, n. 26283), aggiungendosi poi che "l'accertamento dell'interesse ad agire, inteso quale esigenza di provocare l'intervento degli organi giurisdizionali per conseguire la tutela di un diritto o di una situazione giuridica, deve compiersi con riguardo all'utilità del provvedimento giudiziale richiesto rispetto alla lesione denunziata, prescindendo da ogni indagine sul merito della controversia e dal suo prevedibile esito" (Cass., Sez. U., 22 novembre 2022, n. 34388).

par. 1.3 Assegnato dalla Prima Presidente alle Sezioni Unite, il ricorso è stato chiamato alla pubblica udienza odierna.

Il Procuratore Generale ha concluso per l'inammissibilità, introducendo essi questioni estranee al giudizio, dei primi tre motivi di ricorso (quelli qui di interesse) previa affermazione del seguente principio di diritto: "nel giudizio tributario, la successione dei soci limitatamente responsabili nella posizione processuale di una società estintasi nel corso del giudizio comporta che i soci non possano sollevare questioni inerenti alla loro successione nella posizione sostanziale e processuale della società estinta, né quelle che si riflettono sull'esistenza dell'interesse ad agire dell'amministrazione finanziaria nei loro confronti, in quanto estranee all'ambito della controversia, come delimitato dalla motivazione dell'atto impositivo notificato alla società e dalle ragioni del ricorso introduttivo della causa dalla società stessa formulato".

Sulle questioni di cui all'ordinanza di rimessione, il Procuratore Generale ha in particolare osservato che:

in ragione di quanto già stabilito dalle citate sentenze delle Sezioni Unite del 2013, l'ex socio ha sempre e comunque legittimazione passiva, incidendo il requisito di cui al secondo comma dell'articolo 2495 del cod. civ. (percezione di somme sulla base del bilancio finale di liquidazione) sull'interesse ad agire del creditore, peraltro "non condizionato necessariamente dalla ricezione da parte del socio di somme all'esito del bilancio finale di liquidazione, presupposto che

inerisce strettamente alla sussistenza ed al perimetro della responsabilità patrimoniale del socio medesimo, potendosi ravvisare un diverso interesse all'accertamento del credito, quale quello funzionale all'escussione di garanzie";

come stabilito dalle Sezioni Unite medesime, il fenomeno successorio in questione determina sul piano processuale l'applicabilità degli artt. 299 segg. e 110 cod. proc. civ. e, nel caso in cui l'evento estintivo non sia stato fatto constare ritualmente o si sia verificato in pendenza del termine per l'impugnazione di una sentenza, "il gravame deve promanare o esser indirizzato dai soci o nei confronti dei soci succeduti alla società estinta";

pur in presenza di qualche pronuncia di segno contrario, l'indirizzo tracciato dalle Sezioni Unite del 2013 costituisce ormai 'diritto vivente, generalmente seguito, in ordine al fatto che "il limite di responsabilità di cui all'art. 2495 c.c. attiene all'interesse ad agire del creditore e non già alla legittimazione processuale dei soci, con conseguente divaricazione tra la posizione giuridica soggettiva di debitore di questi ultimi, riconducibile al sol fatto che la società si sia estinta e si sia quindi verificato il fenomeno successorio sui generis di cui s'è detto, e la loro responsabilità patrimoniale, riscontrabile nei limiti di quanto previsto dall'art. 2495, secondo co.";

sempre in considerazione di questo consolidato orientamento (e come anche osservato da Cass.SU n. 619/21) l'assenza nel bilancio di liquidazione della società estinta di ripartizioni agli ex soci non esclude tuttavia "l'interesse dell'Agenzia a procurarsi un titolo nei confronti dei soci, in considerazione della natura dinamica dell'interesse ad agire, che rifugge da considerazioni statiche allo stato degli atti";

su questo presupposto, e venendo con ciò al tema dell'onere della prova, occorre ritenere che "sul creditore gravi un onere di allegare e, in caso di contestazione da parte del preteso debitore, provare, non necessariamente solo la reale percezione delle somme conseguente alla ripartizione dell'attivo sociale successiva all'approvazione del bilancio finale di liquidazione, ma anche, alternativamente, alla luce della "dilatazione" operata dalla giurisprudenza del perimetro del concetto di interesse ad agire in fattispecie quali quella per cui causa, la necessità di accertare il credito nei confronti dei soci per ragioni diverse, quali quelle riconducibili alla possibile escussione di una garanzia o alla eventuale sopravvenienza di attivo, o ancora alla ipotizzabile non inclusione di beni o diritti nel bilancio finale di liquidazione";

per regola generale, vertendosi appunto di interesse ad agire quale condizione di ammissibilità della domanda, questi presupposti sono oggetto "di un onere di allegazione o, in caso di contestazione, di dimostrazione, da parte del creditore";

in sede di adattamento di questi principi al processo tributario nel quale gli ex soci succedano alla società estinta, le peculiarità date dalla natura impugnatoria e delimitata ai motivi di opposizione avverso l'atto impositivo tipica del giudizio, induce a rilevare che "i profili riconducibili all'interesse ad agire dell'amministrazione finanziaria nei confronti dei soci, e non più della società, sono estranei alla controversia, né possono essere introdotti ad integrazione della materia del contendere, sinanche fosse già intervenuta la distribuzione di utili ai soci; all'amministrazione finanziaria è infatti preclusa la possibilità di integrare o modificare la motivazione dell'avviso di accertamento nel corso del giudizio (Cass., n. 2382/18)";

ciò posto, il Fisco mantiene interesse al rigetto del ricorso contro l'atto impositivo notificato alla società poi dissoltasi, "al fine di ottenerne il consolidamento, necessario presupposto, quest'ultimo, di una successiva iscrizione a ruolo del credito erariale nei confronti del socio o, più correttamente, dell'emissione di un ulteriore avviso di accertamento, la cui motivazione dovrà inerire, inevitabilmente, anche alla sussistenza dei presupposti di cui all'art. 2495, secondo comma c.c. o di cui all'art. 36, terzo comma del D.P.R. 602/73";

quest'ultimo dato normativo, in particolare, depone nel senso che "sia la responsabilità dei soci ex art. 36, terzo comma, D.P.R. n. 602/73, sia quella ai sensi dell'art. 2495, secondo comma c.c., implicano quindi la necessità di un atto impositivo, distinto e successivo rispetto a quello emesso nei confronti della società estintasi, condizionatamente al fatto che la pretesa tributaria nei confronti della società si sia consolidata".

RAGIONI DELLA DECISIONE

par. 2.1 In base all'art. 2495 cod. civ. (originariamente nel suo 2° co., poi divenuto 3 co. a seguito della modifica apportata dal D.L. n.76/2020 conv. in legge n. 120/20): "Ferma restando l'estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l'ultima sede della società".

La disposizione ricalca l'art. 2456 cod. civ. nella formulazione previgente alla riforma del diritto societario di cui al D.Lgs. n. 6/2003, collocandosi però in un contesto normativo del tutto nuovo, segnato dal definitivo superamento della risalente e consolidata tesi della permanenza in vita della società fino ad avvenuta definizione di ogni rapporto giuridico ad essa riferibile (c.d. 'liquidazione sostanziale), a favore della natura costitutiva, ad effetto immediato, dell'estinzione della società a seguito ed a causa della sua cancellazione dal registro delle imprese (Cass. SSUU n. 4060/10); tanto che la vera innovazione dell'art. 2495 rispetto all'art. 2456 prev. va appunto individuata nella precisazione iniziale, per cui la responsabilità dei soci dopo la cancellazione opera, adesso, ad estinzione sociale avvenuta: "Ferma restando l'estinzione della società (...)".

Orbene, la materia in esame - nella sua disciplina codicistica - ha trovato un assetto interpretativo ed applicativo che giustamente l'ordinanza di rimessione ed il Procuratore Generale definiscono del tutto assodato nei suoi fondamenti, ed anzi integrante (nella condivisione di larga parte della Dottrina e della giurisprudenza successiva) un vero e proprio diritto vivente che - lo si precisa subito - andrà qui ribadito e confermato.

Si tratta, del resto, di una ricostruzione a tal punto nota che ne sarà sufficiente un richiamo essenziale mirato ai temi di causa, con riguardo agli effetti tanto sostanziali quanto processuali della cancellazione-estinzione della società, così come evincibili da Cass. SSUU, 12 marzo 2013, nn. 6070, 6071 e 6072.

Ciò nel senso che, sul piano sostanziale, qualora all'estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, "si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l'obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un'attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo". Mentre, sul piano processuale, la cancellazione della società dal registro delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica l'estinzione della società cancellata, priva la società stessa della capacità di stare in giudizio, in modo tale che qualora l'estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, "si determina un evento interruttivo, disciplinato dagli artt. 299 e ss. cod. proc. civ., con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell'art. 110 cod. proc. civ."

Dunque: - la cancellazione della società ha effetto costitutivo immediato ma non comporta l'estinzione, in danno dei creditori ed in violazione dell'art. 24 Cost., delle obbligazioni sociali; - gli ex soci rispondono (di un debito che non è nuovo, derivando esso non dalla liquidazione ma dal pregresso svolgimento dell'attività societaria in adempimento del contratto sociale, così mantenendo invariata la sua causa e la sua natura giuridica d'origine) quali successori, seppure intra vires ex 2495 co. 2 cod. civ. (ovvero illimitatamente, a seconda del regime di responsabilità attivo in pendenza del rapporto sociale); - i diritti e beni non compresi nel bilancio di liquidazione si trasferiscono ai soci in contitolarità ovvero comunione indivisa, con eccezione delle mere pretese o dei crediti non certi nè liquidi, per i quali la cancellazione fonda una presunzione di abbandono; - sul piano processuale, la cancellazione emersa in corso di giudizio (là dove, in caso di mancata dichiarazione o notificazione dell'evento estintivo deve operare il regime di stabilizzazione ed ultrattività del mandato come successivamente chiarito da Cass. SU n. 15295/2014) non comporta la chiusura anticipata del processo per cessazione della materia del contendere e la necessità di un nuovo giudizio nei confronti del socio, bensì una causa di interruzione del processo ex artt. 299 segg. cod. proc. civ.; - ricorre in proposito l'art. 110 cod. proc. civ. (che richiama il venir meno della parte processuale non solo per morte ma anche per 'altra causa') e non l'art. 111 cod. proc. civ. (non essendoci trasferimento a titolo particolare di un determinato rapporto o diritto).

Precisavano poi le Sezioni Unite che: "Il successore che risponde solo intra vires dei debiti trasmessigli non cessa, per questo, di essere un successore; e se il suaccennato limite di responsabilità dovesse rendere evidente l'inutilità per il creditore di far valere le proprie ragioni nei confronti del socio, ciò si rifletterebbe sul requisito dell'interesse ad agire (ma si tenga presente che il creditore potrebbe avere comunque interesse all'accertamento del proprio diritto, ad esempio in funzione dell'escussione di garanzie) ma non sulla legittimazione passiva del socio medesimo".

Pertanto, quella di cui all'articolo 2495 secondo comma (percezione di somme di liquidazione nelle società di capitali) è condizione dell'azione inerente non alla legittimazione passiva (ad causam) bensì all'interesse ad agire, con la precisazione però che la mancata percezione di somme di per sé non esclude l'interesse ad agire del creditore sociale in vista, ad esempio, dell'escussione di garanzie o della sopravvenienza di beni destinati a confluire in un regime di contitolarità o comunione indivisa. E vertendosi appunto di condizione dell'azione, in caso di contestazione è il creditore sociale che agisce a dover provare tanto la veste di ex socio del convenuto quanto il presupposto di cui all'articolo 2495 secondo comma.

par. 2.2 Come affermato dalla assolutamente prevalente giurisprudenza successiva - con orientamento che va qui ulteriormente ribadito - a seguito dell'estinzione della società, il socio (ex-socio) è successore per il solo fatto di essere tale e non perché abbia ricevuto quote di liquidazione; ed il carattere universale della sua successione non è contraddetto dal fatto che egli risponda solo nei limiti di quanto percepito.

Certo, non si tratta di estendere tout court alla fattispecie della successione alla società estinta i principi propri della successione alla persona fisica defunta, e già le Sezioni Unite del 2013 sentirono la necessità di concettualmente respingere, in materia, "improprie suggestioni antropomorfiche". La radice della responsabilità dell'ex-socio nell'originario contratto sociale, la sussistenza iniziale e statutaria di un regime di responsabilità limitata (come nelle società di capitali), la volontarietà e discrezionalità dell'evento estintivo, rappresentano - tutte - emergenze tipiche del fenomeno societario, tali da giustificare l'adozione di un paradigma di tipo successorio ma, come osservato dalle Sezioni Unite, pur sempre 'sui generis'. In modo tale che, a tacer d'altro, mentre il successore della persona fisica può evitare di esporre il proprio personale patrimonio alla responsabilità per i debiti del de cujus non accettando l'eredità, ovvero accettandola con beneficio d'inventario, non altrettanto può fare l'ex-socio il quale risponderà in ogni caso appunto perché socio, sebbene nei limiti di quanto percepito nella liquidazione.

E ciò si spiega con il fatto che la legittimazione dell'ex socio quale soggetto responsabile per i debiti societari residui discende appunto, se non proprio dall'adempimento, quantomeno in conseguenza del rapporto sociale al quale egli diede volontariamente corso, posto che: "il dissolversi della struttura organizzativa su cui riposa la soggettività giuridica dell'ente collettivo fa naturalmente emergere il sostrato personale che, in qualche misura, ne è comunque alla base e rende perciò del tutto plausibile la ricostruzione del fenomeno in termini successori" (SU cit.).

Si condivide e riafferma, dunque, quanto osservato da Cass.n. 9672 del 19 aprile 2018 (in fattispecie tributaria, ma sulla base di

considerazioni di valenza generale) la quale, dichiaratamente discostandosi da alcune pronunce di segno contrario (Cass., 23 novembre 2016, n. 23916; Cass., 26 giugno 2015, n. 13259; Cass. 31 gennaio 2017, n. 2444) e ponendosi invece in linea con altre statuizioni più aderenti alle Sezioni Unite del 2013 (tra cui Cass. 7 aprile 2017, n. 9094; Cass. 16 giugno 2017, n. 15035) ha escluso che gli ex soci possano ritenersi subentrati nella posizione debitoria solo se abbiano riscosso quote di liquidazione e, inoltre, che l'accertamento di tale circostanza costituisca presupposto della assunzione, in capo al socio, della qualità di successore e, correlativamente, della sua legittimazione ad causam ai fini della prosecuzione del processo.

Sempre nel solco tracciato nel 2013, va poi qui ancora ribadito che il fatto consistente nella percezione di somme rinvenienti dal bilancio finale di liquidazione non funge soltanto da misura o tetto massimo dell'esposizione debitoria del socio ("fino alla concorrenza", come si legge nell'art. 2495 cod. civ.), ma attiene, in effetti, anche ed in primo luogo ad una condizione dell'azione, come tale demandata alla prova della parte attrice: quella però non della legittimazione ma dell'interesse ad agire.

Neppure la Dottrina ha mancato di porre in luce come attribuire la percezione di somme liquidatorie alla sfera della legittimazione dell'ex socio finirebbe anzi con contraddire lo stesso assunto di universalità della successione, atteso che il successore che sia tale solo se qualcosa effettivamente acquista è il successore a titolo particolare, non quello a titolo universale, il quale succede nel patrimonio dismesso quand'anche questo sia formato da soli debiti; e ciò indipendentemente dal fatto che la sua responsabilità patrimoniale possa poi farsi valere solo entro un determinato ammontare. Il risultato è che l'ex socio è sempre successore della società estinta, in quanto tale e non in quanto percettore di somme.

Si è detto come le Sezioni Unite abbiano tuttavia ricordato che il creditore potrebbe avere comunque interesse all'accertamento del proprio diritto nei confronti del socio pur in assenza di riparto di liquidazione a favore di questi, come nel caso, che le stesse Sezioni Unite hanno considerato, di escussione di garanzie di terzi, ovvero di diritti e beni che, per quanto non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, siano ad esso attribuiti in regime di contitolarità o comunione indivisa.

E questa impostazione ha trovato anch'essa plurime conferme successive (v. Cass.n.9094 del 7 aprile 2017 cit.; Cass.n. 2 del 4 gennaio 2022; Cass.n.22692 del 26 luglio 2023; Cass.n. 8633 del 2 aprile 2024 ed altre), in base alle quali il limite di responsabilità dei soci di cui all'art. 2495 cod. civ. non incide sulla loro legittimazione processuale ma, al più, sull'interesse ad agire dei creditori sociali: "interesse che, tuttavia, non è di per sé escluso dalla circostanza che i soci non abbiano partecipato utilmente alla ripartizione finale, potendo, ad esempio, sussistere beni e diritti che, sebbene non ricompresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, si sono trasferiti ad essi".

Così Cass.n.15035 del 16 giugno 2017 cit., secondo cui: "La possibilità di sopravvenienze attive o anche semplicemente la possibile esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio non consentono, dunque, di escludere l'interesse dell'Agenzia a procurarsi un titolo nei confronti dei soci, in considerazione della natura dinamica dell'interesse ad agire, che rifugge da considerazioni statiche allo stato degli atti"; affermazione, quest'ultima, ripresa anche da Cass. SSUU n.26283 del 6 settembre 2022 in tema di impugnazione di estratto di ruolo e già ribadita, in sede di riparto di giurisdizione, anche da Cass. SSUU n.619 del 15 gennaio 2021.

Le conclusioni sul punto appaiono dunque consolidate.

par. 3.1 Il sistema fin qui delineato non è perfettamente trasponibile nell'ambito dell'accertamento della responsabilità per debiti di imposta.

Talune deviazioni rispetto a quanto sin qui osservato sono necessitate dalla struttura stessa dell'obbligo tributario come riscontrabile in fattispecie tipiche, così nel caso delle imposte sui redditi nelle società personali, in cui non si pone tanto un problema di successione del socio alla società estinta, quanto di imputazione diretta ad esso, per trasparenza, dell'obbligo tributario (art. 5 D.P.R. 917/86); ma al di là di regimi particolari, il fulcro dell'autonomia del sistema tributario rispetto all'impianto codicistico si individua in via generale nell'art. 36 D.P.R. n. 602/73 (disciplina della riscossione delle imposte sul reddito, ma poi estesa anche all'Iva ed alle altre imposte indirette), cosa di cui parvero del resto consapevoli già le Sezioni Unite del 2013 allorquando richiamarono espressamente, esse stesse, la specialità, rispetto al ragionamento che andavano svolgendo, del settore tributario.

Ebbene, l'art. 36 cit., intitolato alla responsabilità ed agli obblighi degli amministratori, dei liquidatori e dei soci, stabilisce che: "1. I liquidatori dei soggetti all'imposta sul reddito delle persone giuridiche che non adempiono all'obbligo di pagare, con le attività della liquidazione, le imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori rispondono in proprio del pagamento delle imposte se non provano di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all'assegnazione di beni ai soci o associati, ovvero di avere soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari. Tale responsabilità è commisurata all'importo dei crediti d'imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti. 2. La disposizione contenuta nel precedente comma si applica agli amministratori in carica all'atto dello scioglimento della società o dell'ente se non si sia provveduto alla nomina dei liquidatori. 3. I soci o associati, che hanno ricevuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione danaro o altri beni sociali in assegnazione dagli amministratori o hanno avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione, sono responsabili del pagamento delle imposte dovute dai soggetti di cui al primo comma nei limiti del valore dei beni stessi, salvo le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile. Il valore del denaro e dei beni sociali ricevuti in assegnazione si presume proporzionalmente equivalente alla quota di capitale detenuta dal socio od associato, salva la prova contraria. 4. Le responsabilità previste dai commi precedenti sono estese agli amministratori che hanno compiuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione operazioni di liquidazione ovvero hanno occultato attività sociali anche mediante omissioni nelle scritture contabili. 5. La responsabilità di cui ai commi precedenti è accertata dall'ufficio delle imposte con atto motivato da notificare ai sensi dell'art. 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600. 6. Avverso l'atto di accertamento è ammesso ricorso secondo le disposizioni relative al contenzioso tributario di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 636. Si applica il primo comma dell'articolo 39".

La norma delinea due diverse ipotesi di responsabilità per debiti di imposta della società.

La prima (già prevista dall'art. 265 del previgente TU Imposte Dirette di cui al D.P.R. n.645 del 1958) concerne i liquidatori che non abbiano pagato le imposte del periodo della liquidazione o dei periodi antecedenti (salva la prova del pagamento, con le attività di liquidazione, di crediti di rango superiore), e gli amministratori (tanto quelli in carica al momento dello scioglimento della società, avvenuto senza nomina dei liquidatori, quanto quelli che abbiano compiuto, nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione, operazioni di liquidazione ovvero abbiano occultato attività sociali). Questa Corte ha già avuto modo di evidenziare come la fattispecie si ponga al di fuori di qualsiasi fenomeno di successione, continuità o co-obbligazione con la società, vertendosi piuttosto di responsabilità ex lege, risarcitoria ed illimitata, per fatto proprio ex artt. 1176 e 1218 cod. civ., con la conseguenza (v. Cass. n. 11968 del 13 luglio 2012) che, estinta la società contribuente, il processo tributario nel quale questa risulti coinvolta non può proseguire ad opera o nei confronti dell'ex liquidatore o dell'ex amministratore. Si è poi aggiunto che il fatto per cui la responsabilità di questi organi debba essere accertata dall'Ufficio con atto motivato da notificarsi ai sensi del D.P.R. n.600 del 1973, art. 60, avverso il quale è ammesso ricorso secondo le disposizioni relative al contenzioso tributario (art. 36 cit., penult. e ult. co.) non esclude che il credito dell'Amministrazione finanziaria (soggetto all'ordinaria prescrizione decennale) abbia comunque natura non tributaria ma civilistica, con riguardo alla quale l'obbligazione d'imposta funge da mero presupposto della responsabilità stessa (Cass. SSUU n.2767 del 7 giugno 1989). Negli stessi termini si è pronunciata Cass. n. 7676 del 16 maggio 2012, secondo la quale il liquidatore di una società estinta per cancellazione dal registro delle imprese ben può essere destinatario di una autonoma azione risarcitoria, non già della pretesa attinente al debito sociale, ragion per cui "è inammissibile l'impugnazione proposta nei confronti del medesimo con riguardo alla sentenza relativa a quel debito, atteso che la posizione del liquidatore non è quella di successore processuale dell'ente estinto".

La seconda ipotesi di responsabilità prevista dall'art. 36 D.P.R. n. 602/73 (co. 3°) concerne invece proprio i soci della società estinta, così da evocare assai più da vicino la tematica di causa. La responsabilità concerne i debiti di imposta della società, colpisce i soci che abbiano ricevuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione danaro o altri beni sociali ovvero abbiano avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione, e trova limite quantitativo nel valore dei beni loro assegnati. Pur non trattandosi né di una responsabilità ex lege per inadempimento o fatto illecito (diversamente quindi da quella, su base organica, che si è visto attingere i liquidatori e gli amministratori), né di una responsabilità di tipo successorio ex art. 2495 cod. civ., al pari di quest'ultima la responsabilità in esame ingenera in capo al socio l'obbligo di pagamento di un debito della società sul solo presupposto obiettivo, e nei limiti, della percezione di attività sociali in fase di liquidazione (o anche, con previsione ampliativa rispetto alla disciplina civilistica, nelle due annualità d'imposta antecedenti). Va inoltre considerato che lo stesso art. 36, co. 3° fa espressamente salve "le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile", con ciò implicitamente ma univocamente richiamandosi alla portata generale dell'attuale art. 2495 cod. civ., e che in entrambi i casi in cui il socio venga richiesto dal Fisco del pagamento delle imposte già gravanti sulla società cessata ("La responsabilità di cui ai commi precedenti (...)") è necessaria la notificazione nei suoi confronti di avviso di accertamento, con possibilità di impugnazione, secondo le regole generali, ex artt.19 e 21 D.Lgs. 546/92.

par. 3.2. Orbene, è proprio la necessità - in ogni caso in cui venga invocata, a titolo vuoi successorio vuoi sussidiario, la responsabilità dell' ex socio per il debito d'imposta della società - di attivazione nei suoi confronti di un autonomo ed originario procedimento amministrativo di accertamento (necessità, del resto, che non costituisce una stravaganza di sistema, discendendo piuttosto essa, de plano, dalla natura pubblicistica dell'obbligazione tributaria e dal carattere autoritativo del relativo accertamento) che impedisce il pieno e totale dispiegarsi di quella successione nel processo di cui danno conto le Sezioni Unite del 2013.

Una volta escluso che, per effetto della cancellazione, si verifichi tanto l'estinzione (espropriativa) del debito sociale quanto l'estinzione del processo pendente, il ricorso alla soluzione successoria ex art. 110 cod. proc. civ. risponde a ragioni di economia processuale e di tutela del creditore sociale, così da risparmiargli la necessità "di dover riprendere il giudizio da capo con maggiori oneri e col rischio di non riuscire a reiterare le prove già espletate" (SU cit.).

Ora, è vero che un'esigenza del tutto analoga si pone anche nel caso di cancellazione della società in pendenza del giudizio tributario, ipotesi nella quale parimenti può soccorrere tanto la disciplina dell'interruzione del processo per venir meno, per morte o altra causa, della parte contribuente ex art. 40 D.Lgs. 546/92, quanto quella della sua prosecuzione da parte o nei confronti dei soci-successori ex art. 110 cod. proc. civ.

Tuttavia, plurimi elementi escludono che in questa fase di prosecuzione si possano introdurre questioni diverse, oltre che dalla effettiva sussistenza del debito tributario della società, dalla legittimazione dei soci; quest'ultima a sua volta articolata soltanto intorno alla avvenuta cancellazione della società ed alla effettiva veste di soci dei soggetti subentrati.

Quindi, nel giudizio già pendente nei confronti della società non potrà trovare ingresso - in particolare - la questione della avvenuta percezione di attività sociali o quote di liquidazione da parte dei soci, tema, come detto, estraneo alla legittimazione ed invece suscettibile di essere dedotto nel (diverso) giudizio che potrà originarsi a seguito della notificazione ai soci stessi di autonomo e distinto atto impositivo ex art. 36 co. 5° cit. (la cui motivazione dovrà evidentemente farsi carico di questo aspetto quale ragione giuridica e presupposto fattuale della pretesa così ad essi per la prima volta indirizzata). Per regola generale, oggi anche sancita dall'art. 7 co. 5 bis D.Lgs. 546/92, è pertanto in questa sede che il Fisco - attore in senso sostanziale - dovrà allegare e provare la responsabilità dei soci nei limiti di quanto da costoro percepito.

D'altra parte, già Cass. SSUU n. 619/21 cit. ha precisato che la controversia sorta dall'impugnazione di un avviso di accertamento notificato agli ex soci di una società cancellata dal registro delle imprese, con cui sia stata dedotta l'insussistenza, nel caso concreto, della responsabilità dei soci per i debiti tributari della società sul presupposto della mancata riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione, ai sensi dell'art. 2495 c.c., è devoluta alla giurisdizione tributaria, atteso che un simile motivo di impugnazione ruota pur sempre "intorno alla postulata illegittimità o inesistenza della pretesa fiscale azionata dall'ufficio nei confronti dei soci della società estinta, che deve formare oggetto di esame da parte del giudice naturale di quel rapporto, costituito dal giudice tributario".

Una diversa soluzione, oltre a porsi in contrasto con il chiaro dettato dell'art. 36 D.P.R. n. 602/73 che richiede in ogni caso l'instaurazione di un nuovo procedimento amministrativo di imposizione nei riguardi dei soci, verrebbe a collidere sia con la struttura (anche e principalmente) impugnatoria - non di mero accertamento - del processo tributario ex art. 19 e 21 D.Lgs. 546/92, sia con il, correlato, divieto di ampliarne il petitum e la causa petendi, come resi intangibili (salva l'ipotesi dei motivi aggiunti ex art. 24 D.Lgs.cit., peraltro giustificata dalla sola sopravvenienza documentale e comunque anch'essa vincolata alla specifica pretesa inizialmente dedotta in giudizio, e non ad altra) dal compendio costituito dall'atto impositivo e dalle ragioni di opposizione contro di esso inizialmente mosse.

Né sarebbe utilmente invocabile la natura non esclusivamente impugnatoria del processo tributario, ma anche di definizione nel merito del rapporto dedotto. Sul punto, si è innumerevoli volte affermato che il processo tributario è annoverabile tra quelli di impugnazione-merito, in quanto diretto ad una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente, sia dell'accertamento dell'Ufficio, con la conseguenza che qualora il giudice tributario ritenga invalido l'avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi ad annullare l'atto impositivo, ma deve esaminare nel merito la pretesa tributaria e, operando una motivata valutazione sostitutiva, eventualmente ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte (v., tra le molte, Cass.18 ottobre 2024 n.27098; Cass., 30 ottobre 2018, n. 27574; Cass., 19 novembre 2014, n. 24611; Cass., 21 novembre 2013, n. 26157).

E tuttavia, la delimitazione del tema decisionale e probatorio appunto in ragione delle domande di parte dà conto del fatto che la valutazione di merito sul rapporto, che pure compete al giudice tributario, non può spingersi oltre i presupposti dell'atto impugnato ed i motivi di opposizione contro di esso inizialmente proposti.

Nel caso di specie non vi è dubbio che il giudizio di opposizione introdotto dalla società e proseguito dai o contro i soci che ad essa siano succeduti scaturisca da un atto impositivo e da correlati motivi di contestazione del tutto avulsi dalla tematica della responsabilità patrimoniale personale dei soci ex art. 2495 cod. civ.

Ne deriva che l'oggetto del giudizio stesso, per quanto lo si voglia estendere al merito, non può traslare dal rapporto originario (debito della società) a quello sopravvenuto e mutato per effetto della cancellazione (debito dei soci nei limiti di quanto percepito), per quanto ad esso connesso o da esso derivato.

Va dunque condiviso e qui ribadito il già affermato orientamento di legittimità (v. Cass.n. 9672/18 cit.) in ordine al fatto che: - l'eccezione di difetto di responsabilità per mancato ricevimento di somme in sede di distribuzione non può essere introdotta nel giudizio relativo alla pretesa erariale nei confronti della società quale fatto impeditivo della pretesa avanzabile nei confronti del socio, tenuto conto delle caratteristiche formali ed amministrative dell'atto impositivo, nonché della natura impugnatoria del processo; - ciò vale sia che venga attivata la speciale procedura prevista dall'art. 36 D.P.R. n. 602 del 1973 sia, per evidenti ragioni di omogeneità e di compiutezza dell'accertamento tributario e comunque per l'indistinto richiamo di cui al co. 5 dell'art. 36 alle varie forme di responsabilità in questo contemplate, che venga attivato l'art. 2495, secondo comma, cod. civ.

Le richiamate peculiarità del processo tributario, a loro volta radicate in quelle dell'obbligo tributario e del suo accertamento, sono ampiamente tali da giustificare una disciplina normativa, quella di cui all'art. 36, che appare per certi versi deteriore per il Fisco rispetto a quella applicabile al creditore, per così dire, di diritto comune, venendo alla fine solo ad esso imposto di far valere ex novo, e non già immediatamente e direttamente nel processo interrotto e riassunto, la responsabilità degli ex soci.

E tuttavia, visto dal lato del contribuente, ciò appare conforme alla tutela accordatagli dall'ordinamento in ragione delle già menzionate caratteristiche pubblicistiche ed autoritative proprie dell'obbligo tributario e della relativa fase dell'accertamento, non senza osservare come, ad ogni buon conto, la notificazione di un nuovo atto di imposizione all'ex socio (sia questo un avviso di accertamento ovvero anche un atto impo-esattivo ex art. 29 D.L. n.78/2010 conv. legge 122/10) non implica propriamente un 'ripartire da zero', ben potendo l'Ufficio con esso spendere il giudicato di effettiva sussistenza del debito tributario della società estinta formatosi, nel contraddittorio con i soci, nel giudizio ad esso relativo.

E tutto questo vale anche nell'ipotesi, come quella qui riscontrabile, in cui l'estinzione della società di capitali, all'esito della cancellazione dal registro delle imprese, intervenga in pendenza del termine per impugnare, nel qual caso l'impugnazione della sentenza (resa nei riguardi della società) deve rispettivamente provenire o essere indirizzata, a pena d'inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci succeduti alla società estinta, individuati come giusta parte dell'impugnazione stessa (Cass. n. 9094/17 cit; Cass. n. 15035/17; n. 14446/18; n. 897/19).

Piuttosto, va ancora osservato come non convinca l'orientamento, ben evincibile da Cass. n. 31904 del 5 novembre 2021, secondo cui,

una volta resosi definitivo il titolo nei confronti della società (per mancata opposizione, estinzione del processo ovvero giudicato) il Fisco potrebbe senz'altro procedere "all'iscrizione a ruolo dei tributi non versati sia a nome della società estinta, sia a nome dei soci (pro quota, in relazione ai relativi titoli di partecipazione), e ciò ai sensi degli artt. 12, comma 3, e 14, lett. b), del D.P.R. n. 602 del 1973, nonché azionare comunque il credito tributario nei confronti dei soci stessi, non occorrendo procedere all'emissione di autonomo avviso di accertamento, ai sensi dell'art. 36, comma 5, D.P.R. cit., relativo al diverso titolo di responsabilità di cui al precedente comma 3 (nel testo antecedente alla modifica apportata dall'art. 28, comma 5, del D.Lgs. n. 175 del 2014), di natura civilistica e sussidiaria"; in modo tale che i soci escussi potrebbero "con l'impugnazione della cartella di pagamento" così loro notificata lamentare l'inesistenza originaria o sopravvenuta del titolo formatosi nei confronti della società, oppure contestare il fondamento della propria responsabilità, dimostrando di non aver conseguito utili dalla liquidazione.

Si tratta di soluzione che estende all'ambito di specie la regola generale di cui all'art.477 co. 1 cod. proc. civ. sull'efficacia nei confronti degli eredi del titolo esecutivo formatosi nei confronti del defunto.

Sennonché, ed a parte i già richiamati limiti della meccanica trasposizione in materia dei principi e delle regole proprie della successione mortis causa, va osservato come non sia qui in discussione né l'effettiva diversità delle due ipotesi di responsabilità degli ex soci di cui, rispettivamente, agli artt. 36 co. 3° D.P.R. n. 602/73 e 2495 cod. civ., né l'opponibilità agli ex soci della definitività dell'accertamento tributario maturatosi sul debito della società contribuente (tanto più se costoro divengano parte del relativo eventuale giudizio di opposizione, nel qual caso neppure sarebbe necessario invocare nei loro riguardi l'estensione soggettiva del giudicato quali 'eredi' o 'aventi causa' ex art. 2909 cod. civ.). Rilevano piuttosto, in segno contrario, sia il dato normativo di cui all'art. 36 co. 5° cit. che mostra (peraltro, si è detto, in accordo con principi di ordine generale) di accomunare le due ipotesi di responsabilità nella necessità di notificazione all'ex socio di un nuovo e distinto atto di accertamento, sia la sostanziale 'novità', che certo forma materia a se stante di accertamento pur dopo l'iscrizione a ruolo del debito nei confronti della società, rappresentata dalla condizione dell'avvenuta percezione di quote o attività liquidatorie, sia - ancora - il fatto che quest'ultima condizione opera, oltre che come dimensione economica dell'esposizione personale, quale elemento costitutivo, non impeditivo, della fattispecie di loro responsabilità ex art. 2495 cod. civ., così da dover essere provata dal creditore-Fisco e non (la sua assenza) dall'ex socio in fase riscossiva.

È vero che si tratta, quello notificato all'ex socio, di un atto di accertamento che già contiene l'indicazione di un credito non più contestabile nella sua oggettività, ma l'esigenza che tale credito venga legittimamente imputato ad un soggetto pur sempre diverso (appunto l'ex socio) rispetto al contribuente che ad esso ha dato origine (la società) dimostra comunque la permanenza in esso di un sostrato prettamente pretensivo che si palesa per la prima volta, seppure limitatamente al risvolto soggettivo di responsabilità; non sarebbe dunque del tutto esatto ravvisare nella specie un accertamento senza imposizione, come tale surrogabile dalla cartella.

par. 3.3 Certamente rilevante a fini ricostruttivi, ma non dirimente, pare poi il riferimento, pure contenuto nell'ordinanza di rimessione, all'art. 28 D.Lgs. n. 175/14 (Semplificazione fiscale e dichiarazione dei redditi precompilata), il cui co. 4° stabilisce: (...) "Ai soli fini della validità e dell'efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l'estinzione della società di cui all'articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese".

Questa previsione, da un lato, legittima espressamente, a sua volta, l'innesto in ambito tributario della disciplina codicistica generale di cui all'art. 2495 ma, dall'altro, ne opera una evidente forzatura instaurando una finzione legale di mantenimento in vita della società (evocatrice di quella posta dall'art. 10 legge fall.) seppure ai soli fini della definizione dei rapporti fiscali pendenti, in sede non solo amministrativa ma anche contenziosa.

Essa è stata vagliata da questa Corte - ed anche dalla Corte Costituzionale che ha affermato la sua legittimità ex artt. 3 e 76 Cost.: sent. n. 142/20 - la quale ne ha rimarcato la natura sostanziale e non interpretativa, così da escluderne l'efficacia retroattiva, cioè la sua applicabilità nei confronti di società estintesi prima del 13.12.2014, data di sua entrata in vigore (nella specie la norma non è dunque applicabile, posto che tanto la cancellazione di Simpra Srl dal registro delle imprese, quanto la proposizione dell'appello dell'Agenzia delle Entrate sono antecedenti a questa data).

La previsione deroga - nei soli riguardi delle posizioni debitorie indicate e delle relative Amministrazioni creditrici - al principio per cui la società cancellata dal registro delle imprese non può agire né essere convenuta in giudizio, in quanto priva della relativa capacità (Cass. 9/10/2018, n. 24853; Cass. 19/12/2016, n. 26196); né, pertanto, può sussistere in questi casi la legittimazione dell'ex liquidatore a rappresentarla (Cass. 11/06/2011, n. 5637; Cass. 23/03/2016, n. 5736).

Sul tema si riscontra un fermo indirizzo interpretativo, secondo cui la norma non si limita a prevedere una posticipazione degli effetti dell'estinzione al solo fine di consentire e facilitare all'Ufficio la notificazione dell'atto impositivo (altrimenti giuridicamente inesistente, se eseguita nei confronti di società già cancellata: Cass. n. 6743/15; n. 20961/21 ed altre), ma permette all'ex liquidatore di "conservare tutti i poteri di rappresentanza della società, sul piano sostanziale e processuale, nella misura in cui questi rispondano ai fini indicati dall'art. 28, comma 4, che, altrimenti opinando, non potrebbe operare". Con la conseguenza che il liquidatore, oltre a ricevere le notifiche degli atti dagli enti creditori, può anche opporsi agli stessi e conferire mandato alle liti, dovendosi la dizione legislativa 'atti del contenzioso' riferirsi in senso stretto e tecnico proprio agli atti del processo e della tutela giurisdizionale. Pertanto, nei casi in cui si renda applicabile l'art. 28 in esame, in deroga all'art. 2495 cod. civ.: "la società conserva la legittimazione attiva; il liquidatore è legittimato e gli ex soci devono considerarsi privi di legittimazione" (Cass. n. 36892 del 16 dicembre 2022; nello stesso senso, Cass. n. 6743/15; n. 4536/20; n. 18310/23).

Ora, il richiamo all'art. 28, pur assunto nella sua portata anche sostanziale - volta ad attribuire all'ex liquidatore il potere di compiere ogni attività, appunto anche sostanziale, finalizzata e strumentale alla definizione della pendenza fiscale - non può tuttavia spingersi fino ad incidere sul regime della responsabilità patrimoniale del socio per il debito fiscale della società estinta.

Non può non osservarsi, in proposito, come l'artificiosità della permanenza in vita di un ente collettivo che in realtà non esiste più ad ogni altro effetto se, da un lato, agevola l'Ufficio nella notificazione degli atti (facilitando il raggiungimento del soggetto debitore ed il rispetto dei termini di decadenza e prescrizione) affida, dall'altro, le sorti del vaglio giurisdizionale sul debito fiscale all'iniziativa ed alla solerzia di un soggetto tendenzialmente ad esso indifferente perché ormai per definizione privo - a liquidazione esaurita - di patrimonio, e come tale certamente fin dall'inizio inidoneo a soddisfare il credito, con ciò determinandosi, in pratica, una situazione di debito senza responsabilità.

L'inopponibilità per legge al Fisco degli effetti della cancellazione societaria non è quindi in grado di risolvere le questioni di causa: non solo perché comunque temporanea (dovendo, allo scadere del quinquennio, riprendere pieno vigore la disciplina anche processuale come detto rinveniente dall'art. 2495 cod. civ.), ma anche e soprattutto perché intatta resta, per il creditore pubblico, l'esigenza di far valere, con l'avvio di nuovo e diverso procedimento amministrativo di accertamento ex art. 36 cit., la responsabilità patrimoniale degli ex soci nei limiti delle attività sociali da costoro riscosse.

Per il che vale quanto poc'anzi argomentato.

par. 4. Tirando le fila del discorso, a fronte dei dubbi sollevati dall'ordinanza di rimessione - per vero ingenerati non tanto da un conclamato contrasto di orientamenti quanto da talune incertezze insite nell'adattamento all'ambito tributario di un assetto ricostruttivo già consolidatosi in quello civilistico - va stabilito che:

nella fattispecie di responsabilità dei soci limitatamente responsabili per il debito tributario della società estintasi per cancellazione dal registro delle imprese, il presupposto dell'avvenuta riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione, di cui al 3° (già 2°) co. dell'art. 2495 cod. civ., integra, oltre alla misura massima dell'esposizione debitoria personale dei soci, una condizione dell'azione attinente all'interesse ad agire e non alla legittimazione ad causam dei soci stessi;

questo presupposto, se contestato, deve conseguentemente essere provato dal Fisco che faccia valere, con la notificazione ai soci ex artt. 36 co. 5 D.P.R. n. 602/73 e 60 D.P.R. 600/73 di apposito avviso di accertamento, la responsabilità in questione, fermo restando che l'interesse ad agire dell'Amministrazione finanziaria non è escluso per il solo fatto della mancata riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione, potendo tale interesse radicarsi in altre evenienze, quali la sussistenza di beni e diritti che, per quanto non ricompresi in questo bilancio, si siano trasferiti ai soci, ovvero l'escussione di garanzie;

la verifica del presupposto dell'avvenuta riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione, concernendo un elemento che deve essere dedotto nella fase di accertamento da indirizzarsi direttamente nei confronti dei soci ex art. 36 co. 5° D.P.R. n. 602/73, non può avere ingresso nel giudizio di impugnazione introdotto dalla società avverso l'avviso di accertamento ad essa originariamente notificato, quand'anche questo giudizio venga poi proseguito, a causa dell'estinzione della società per cancellazione dal registro delle imprese, da o nei confronti dei soci quali successori della società stessa.

par. 5. Da quanto così affermato discende l'infondatezza dei primi tre motivi del ricorso per cassazione.

La Commissione Tributaria Regionale, riformando la prima decisione, ha affermato che: - correttamente l'Agenzia delle Entrate aveva chiamato in giudizio gli ex soci della società nelle more cancellata dal registro delle imprese e nei confronti della quale, soltanto, era stato emesso l'atto impositivo impugnato; - la qualità di parte assunta dai soci nel procedimento discendeva dal fenomeno di tipo successorio derivante dall'estinzione della società, con conseguente loro legittimazione attiva e passiva ex articolo 110 cod. proc. civ.; - tutte le questioni diverse dalle contestazioni mosse contro l'avviso di accertamento notificato a Simpra Srl liq. per l'anno 2006 (quali, segnatamente, il limite della responsabilità personale dei soci per le somme portate dall'avviso in esame) esulavano dalla materia del contendere, trattandosi di problematiche destinate ad essere eventualmente dedotte in un diverso procedimento amministrativo o giurisdizionale di accertamento, direttamente ad essi relativo.

È quindi di tutta evidenza come si tratti di una decisione pienamente in linea con l'indirizzo tracciato, e non scalfita dalle doglianze mosse dagli Za.Pi.

Con il primo motivo di ricorso si lamenta, ex art. 360 co. 1 n. 4) cod. proc. civ., il mancato rilievo del fatto che l'Agenzia del Territorio non avesse allegato (come rilevabile anche d'ufficio, e pure nel giudizio di legittimità) alcun valido profilo di interesse concreto ed attuale ad agire nei confronti dei soci ex art. 100 cod. proc. civ.; tale in particolare non essendo quello riferito all'asserita esistenza di un credito sociale per rimborso Iva in ipotesi opponibile in compensazione al controcredito qui dedotto dall'Amministrazione. Credito sociale che farebbe capo ad un soggetto ormai estinto e che, ad ogni buon conto, non era stato pretermesso, ma debitamente inserito nel bilancio finale di liquidazione.

Valgono per questa doglianza gli argomenti più volti spesi, nel senso che l'esistenza di utilità e residui liquidatori idonei ad integrare l'interesse ad agire del Fisco costituisce elemento della fattispecie di responsabilità dei soci e non della società, così da non poter aver ingresso, come esattamente argomentato dalla Commissione Tributaria Regionale, nel presente giudizio.

Il secondo ed il terzo motivo di ricorso - suscettibili di trattazione unitaria perché entrambi concernenti, ex art.360 co. 1° nn.3) e 4) cod. proc. civ., il mancato rilievo da parte della Commissione Tributaria Regionale della radicale inammissibilità dell'appello siccome dall'Agenzia proposto nei confronti dei soci in difetto dei requisiti di legge (percezione di somme liquidatorie) - lamentano la violazione e falsa applicazione delle medesime norme (artt. 110 cod. proc. civ. e 1, comma 2, decreto legislativo n. 546/1992 con riferimento agli artt. 2495, comma 2, cod. civ. e 36, comma 3, del D.P.R. n. 602/1973), considerate nei loro effetti, rispettivamente, processuali (secondo motivo, con affermazione di nullità della sentenza e dell'intero procedimento) e sostanziali (terzo motivo).

Contrariamente a quanto sostenuto con le censure in esame, la decisione della Commissione Tributaria Regionale di ritenere correttamente instaurato l'appello nei confronti direttamente dei soci, pur non essendo essi parte del primo grado, risulta conforme a diritto, vertendosi di una fattispecie di tipo successorio ex art. 110 cod. proc. civ. nella quale i soci erano stati evocati in giudizio dall'Agenzia in quanto a ciò doppiamente legittimati - in un contesto di pacifica inapplicabilità, ratione temporis, dell'art. 28, co. 4 D.Lgs.175/14 - sia ex art. 24952 co. cod. civ. sia ex art. 36 co. 3 D.P.R. n. 602/73.

Quanto poi alla specifica contestazione per cui l'Agenzia appellante non aveva contestualmente dimostrato anche la personale responsabilità dei soci in relazione ai debiti erariali già facenti capo alla società estinta per effetto e nei limiti della riscossione o assegnazione a loro favore delle somme o dei beni, sarà sufficiente rinviare a quanto finora osservato in ordine al fatto che nel giudizio di appello in esame: - rilevava unicamente la legittimazione degli Za.Pi. quali soci di Simpra Srl estinta (circostanze fattuali, queste, incontestate); - non contava, per contro, la circostanza dell'effettiva percezione di somme dalla liquidazione, perché estranea tanto all'oggetto del contendere come definitivamente consolidato sulla base dell'atto impositivo e del ricorso originario (debito Ires ed Iva di Simpra Srl per l'anno 2006), quanto alla legittimazione passiva dei soci che di Simpra Srl erano successori pur nell'eventuale difetto di qualsivoglia riscossione o riparto. Del resto, il fatto che gli Za.Pi. siano tuttora ammessi, in diversa sede, a lamentare la mancata percezione di somme, se e quando verranno attinti da avviso di accertamento ad essi partitamente rivolto ex art. 36 co. 5 cit., esclude il maturare di qualsivoglia preclusione o menomazione del loro diritto di difesa, e ciò quand'anche essi nulla avessero eccepito, sul punto, nel presente procedimento, dedicato in via esclusiva all'accertamento del debito della società contribuente.

Ne segue, in definitiva, il rigetto di questi primi tre motivi, con restituzione degli atti alla Sezione Tributaria per il vaglio delle ulteriori doglianze relative alla fondatezza dell'avviso, e per la liquidazione delle spese di lite tenuto conto anche della presente fase processuale.

P.Q.M.

La Corte

- rigetta il primo, secondo e terzo motivo di ricorso;

- restituisce gli atti alla Sezione Tributaria per la decisione sui restanti motivi e la liquidazione delle spese di lite.

Così deciso nella camera di consiglio delle Sezioni Unite civili in data 12 novembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2025.

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