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Processo tributario, l'efficacia della sentenza penale di assoluzione

Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.3800 del 15/01/2025

Qual è l'efficacia della sentenza penale di assoluzione nel processo tributario? E in particolare, può determinare l’annullamento dell’accertamento fiscale o riguarda solo le sanzioni tributarie?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3800 del 2025, ha chiarito che l’assoluzione in sede penale ha efficacia nel giudizio tributario solo con riferimento alle sanzioni, ma non si estende automaticamente alla determinazione dell’imposta.

Il principio del doppio binario

Il principio del doppio binario tra processo penale e tributario è sancito dall’articolo 21-bis del D.lgs. n. 74/2000, introdotto dal D.lgs. n. 87/2024 e recepito nell’art. 119 del Testo Unico della giustizia tributaria.

Secondo questo principio:

  • La sentenza penale di assoluzione fa stato nel processo tributario solo per le sanzioni.

  • L’accertamento fiscale segue una propria logica probatoria, distinta da quella penale.

  • Il giudice tributario deve valutare in autonomia le prove, senza considerare l’assoluzione penale come automaticamente vincolante.

La vicenda in esame

Nel caso esaminato, l’Agenzia delle Entrate aveva emesso un avviso di accertamento per il periodo d’imposta 2015 nei confronti di una società, contestando:

  • Fatture per operazioni inesistenti;

  • Deduzione di costi non spettanti.

La Commissione Tributaria Provinciale aveva accolto parzialmente il ricorso della società, mentre la Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado aveva annullato integralmente l’accertamento, basandosi sulla sentenza penale di assoluzione del legale rappresentante della società con la formula “perché il fatto non sussiste”.

L’Agenzia delle Entrate ha impugnato la decisione in Cassazione, sostenendo che il giudice tributario non poteva automaticamente recepire l’esito penale senza un’autonoma valutazione delle prove fiscali.

La Cassazione ha accolto il ricorso, chiarendo che:

  • Il giudice tributario aveva errato nel considerare vincolante la sentenza penale;

  • L’accertamento fiscale doveva essere valutato indipendentemente dal procedimento penale;

  • L’assoluzione penale incide solo sulle sanzioni tributarie, ma non sugli obblighi fiscali della società.

Conclusioni

Nel valutare l'efficacia della sentenza penale di assoluzione nel processo tributario, occorre quindi distinguere due casi:

  • per le sanzioni tributarie, il giudicato penale ha efficacia vincolante;

  • per l’accertamento delle imposte, il giudice tributario deve valutare autonomamente le prove, senza accogliere in modo automatico la decisione penale.

Processo tributario, efficacia delle sentenze penali per i fatti materiali, sanzioni tributarie, applicabilità, accertamento dell'imposta, limiti

L’art. 21-bis d.lgs. n. 74 del 2000, introdotto con l’art. 1, d.lgs. n. 87 del 2024, poi recepito nell’art. 119 T.U. della giustizia tributaria - in base al quale la sentenza penale dibattimentale di assoluzione, con le formule perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto ha, nel processo tributario, efficacia di giudicato quanto ai fatti materiali - si riferisce, alla luce di una interpretazione letterale, sistematica, costituzionalmente orientata e in conformità ai principi unionali, esclusivamente alle sanzioni tributarie e non all’accertamento dell’imposta, rispetto alla quale la sentenza penale assolutoria ha rilievo come elemento di prova, oggetto di autonoma valutazione da parte del giudice tributario unitamente agli altri elementi di prova introdotti nel giudizio.

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Cassazione civile, sez. trib., sentenza 14/02/2025 (ud. 15/01/2025) n. 3800

FATTI DI CAUSA

1. ESPRESSIONE MODA Srl impugnava l'avviso di accertamento emesso dall'Agenzia delle entrate per l'anno d'imposta 2015 per Ires, Iva e Irap in relazione alla contabilizzazione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti per gli acquisti da quattro fornitori - St.Co., Ri.Ma., Pubblicizzando di Pe.To. e Do.Em. - nonché per aver dedotto costi non di competenza in quanto relativi a prestazioni svolte nell'anno 2014.

2. Il ricorso veniva accolto dalla Commissione tributaria (CTP) di Lecce limitatamente alle prestazioni fornite da Ri.Ma. e ai costi indeducibili perché non di competenza e rigettato per il resto.

La Corte di giustizia tributaria di secondo grado (CGT2), con la sentenza in epigrafe, riformava la decisione di primo grado e annullava, nella sua integrità, l'avviso di accertamento, rilevando che il Tribunale di Lecce con sentenza n. 1281/2022 aveva assolto il legale rappresentante della società con la formula "perché il fatto non sussiste", che condivideva "in ogni sua parte, esclusa nessuna e lo accoglie ai fini fiscali".

3. L'Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione con due motivi, cui resiste la società con controricorso.

4. Con ordinanza interlocutoria n. 26212/2024 il ricorso veniva rinviato a nuovo ruolo.

La società ha depositato memoria e la sentenza n. 1374/2024 della Corte d'Appello di Lecce, di conferma della decisione del Tribunale di Lecce, deducendo l'applicabilità dell'art. 21-bis D.Lgs. n. 74 del 2000, introdotto con il D.Lgs. n. 87 del 2024 e chiedendo rinvio per consentirne l'irrevocabilità.

5. Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 20 D.Lgs. n. 74 del 2000, 7, comma 4, D.Lgs. n. 546 del 1992, 115 e 116 cod. proc. civ., nonché degli artt. 409, 652 e 654 cod. proc. pen., per aver la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia annullato l'avviso in base ad un asserito giudicato penale, che aveva ritenuto "di effetto dirimente sull'intera questione", mentre la sentenza del Tribunale di Lecce era stata impugnata e il relativo giudizio pendeva in appello.

Rileva, inoltre, che la CGT2 non ha operato una autonoma e critica valutazione del contenuto della decisione penale, in uno con le altre risultanze probatorie introdotte nel giudizio dall'Ufficio, ma si è limitata a condividere il decisum espresso in sede penale, con la mera testuale riproduzione del contenuto della pronuncia penale.

2. Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., violazione degli artt. 2697 cod. civ., 109 tuir e 19 D.P.R. n. 633 del 1972 per aver la CGT2 valorizzato esclusivamente il contenuto della sentenza penale ai fini della decisione, la quale, tra l'altro, aveva dato particolare rilievo alla consulenza di parte, atto, in sé, neppure di diretta valenza probatoria, omettendo di considerare la pluralità di elementi addotti dall'Ufficio sull'inesistenza oggettiva delle prestazioni.

3. Occorre premettere che nel giudizio si pone la questione, già evidenziata con l'ordinanza interlocutoria, della possibile applicazione dell'art. 21-bis, sollevata dal controricorrente con la memoria in atti, profilo che si interseca con le questioni già in giudizio.

Tale profilo, per ragioni logiche e di ordine espositivo, sarà pertanto oggetto di distinta disamina successivamente all'esame dei motivi di ricorso.

4. Ciò premesso, i motivi, logicamente connessi, sono suscettibili di esame unitario.

4.1. Va disattesa, in primis, l'eccezione di inammissibilità formulata dal controricorrente: le doglianze attengono all'osservanza del principio della circolazione della prova tra giudizio penale e giudizio tributario e alla conseguente disamina di cui è onerato il giudice di merito e, quindi, deducono, correttamente, una violazione di legge.

4.2. I motivi, oltre che ammissibili, sono fondati.

5. Secondo la consolidata e costante giurisprudenza di questa Corte, la sentenza penale, anche irrevocabile e ancorché con la formula "il fatto non sussiste", non è idonea, in forza del disposto di cui all'art. 654 cod. proc. pen., ad esplicare alcun effetto vincolante nell'alveo del processo tributario, assumendo - per il principio della circolazione dei mezzi di prova - un rilievo solo quale elemento di prova, soggetto all'autonoma valutazione del giudice tributario.

In particolare, in tema di operazioni inesistenti incluse in una frode carosello - com'è quella all'origine della vicenda - si è chiarito che il giudice tributario, nel verificare se il contribuente sia consapevole del coinvolgimento in una operazione finalizzata all'evasione di imposta, non può riferirsi alle sole risultanze del processo penale, ancorché riguardanti i medesimi fatti, ma deve, nell'esercizio dei suoi poteri, valutare tali circostanze sulla base del complessivo materiale probatorio acquisito nel giudizio tributario, non potendo attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile su reati tributari alcuna automatica autorità di cosa giudicata, attesa l'autonomia dei due giudizi e la diversità dei mezzi di prova acquisibili e dei criteri di valutazione (Cass. n. 27814 del 4/12/2020, Cass. n. 6532 del 9/03/2020).

Non solo: anche la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula "perché il fatto non sussiste", non assume efficacia di giudicato nel processo tributario, anche quando i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l'Amministrazione finanziaria ha promosso l'accertamento nei confronti del contribuente, ma può essere presa in considerazione come possibile fonte di prova dal giudice tributario, il quale, nell'esercizio dei propri poteri di valutazione, deve verificarne la rilevanza nell'ambito specifico in cui detta decisione è destinata ad operare (Cass. n. 6918 del 20/03/2013; Cass. n. 2938 del 13/02/2015; Cass. n. 10578 del 22/05/2015; Cass. n. 17258 del 27/06/2019; Cass. n. 4645 del 21/02/2020).

6. Già da quanto sopra emergono, dunque, i plurimi errori in cui è incorsa la CGT2 con la sentenza impugnata.

6.1. In primo luogo, il giudice di merito ha ritenuto la sentenza penale del Tribunale di Lecce irrevocabile, mentre tale non era, tant'è che è intervenuta, nelle more del giudizio di cassazione, la sentenza della Corte d'Appello di Lecce.

6.2. In secondo luogo, la CGT2 ha del tutto pretermesso una autonoma valutazione ma si è integralmente "appiattita" sugli esiti del giudizio penale.

Ciò emerge univocamente da plurimi elementi: a) la motivazione della decisione impugnata costituisce, nella gran parte, mera pedissequa riproduzione della motivazione della sentenza penale di primo grado; b) è omessa ogni valutazione e comparazione con gli elementi probatori già presenti nel giudizio; c) la motivazione si conclude con l'affermazione "la Corte condivide in pieno il giudicato penale ... in ogni sua parte, esclusa nessuna e lo accoglie ai fini fiscali. In buona sostanza, il giudicato penale di cui alla sentenza pronunciata dal Tribunale di Lecce ha effetto dirimente sull'intera questione ed esplica i propri effetti nei confronti del presente processo tributario".

6.3. Tale conclusione risalta ulteriormente ove si consideri - come tertium comparationis - la sentenza d'appello, prodotta dalla società controricorrente, che rispetto ai medesimi elementi considerati dal Tribunale di Lecce formula un (effettivo) autonomo apprezzamento, operando una articolata e specifica valutazione sui singoli elementi, la cui consistenza risulta assai meno "certa" e indefettibile (ad es. sulla carenza di documentazione contrattuale; sulla ben più ridotta rilevanza e incidenza della consulenza di parte che "non coglie nel segno, sul carattere sospetto dell'attività svolta dalla ditta Pe.To."; sull'assenza di rimanenze finali che "desta non poche perplessità tanto più alla luce della (comoda) giustificazione addotta dal Qu."; sull'inattendibilità dell'acquisto di 1500 penne notarili personalizzate, dove evidenzia che "l'assunto è fortemente sospetto (soprattutto se letto con le altre anomalie rilevate) ma è di carattere presuntivo", derivando da ciò la non rilevanza ai fini della responsabilità penale; ...).

6.4. Non rileva, sul punto, che la Corte d'Appello abbia confermato la sentenza del Tribunale, esito che discende dalla natura del giudizio penale come bene rilevato dalla stessa sentenza d'appello ("mentre la condanna presuppone la certezza della colpevolezza, l'assoluzione non presuppone la certezza dell'innocenza ma la mera non certezza della colpevolezza").

Il profilo che assume rilievo nel presente giudizio, difatti, attiene ad un aspetto differente, ossia la necessità che il contenuto della decisione penale sia stato oggetto di una autonoma valutazione da parte del giudice tributario - in uno con le risultanze probatorie già acquisite in atti - ai fini del proprio giudizio, valutazione qui risultata assente.

Né tale mancanza è assimilabile ad un vizio motivazionale poiché investe direttamente l'esatta applicazione del principio di circolazione della prova tra giudizio penale e giudizio tributario, che discende dagli artt. 20 D.Lgs. n. 74 del 2000 e 654 cod. proc. pen.

7. L'accoglimento dei motivi è idoneo a comportare la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio al giudice di merito per un nuovo esame.

Occorre tuttavia valutare la rilevanza e l'incidenza della nuova norma di cui all'art. 21-bis D.Lgs. n. 74 del 2000, la cui applicazione è stata invocata dalla società e assume rilievo sotto un duplice versante.

Da un lato, infatti, la contribuente ha chiesto rinvio dell'udienza per consentire il definitivo consolidamento della statuizione favorevole.

Dall'altro, ove tale istanza vada disattesa, la questione si porrà al giudice del rinvio, cui è necessario fornire i principi di diritto per la sua decisione.

8. L'art. 21-bis D.Lgs. n. 74 del 2000, introdotto dall'art. 1, comma 1, lett. m), D.Lgs. 14 giugno 2024, n. 87, ha disposto:

"Art. 21-bis (Efficacia delle sentenze penali nel processo tributario e nel processo di Cassazione).

1. La sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi.

2. La sentenza penale irrevocabile di cui al comma 1 può essere depositata anche nel giudizio di Cassazione fino a quindici giorni prima dell'udienza o dell'adunanza in camera di consiglio.

3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano, limitatamente alle ipotesi di sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, anche nei confronti della persona fisica nell'interesse della quale ha agito il dipendente, il rappresentante legale o negoziale, ovvero nei confronti dell'ente e società, con o senza personalità giuridica, nell'interesse dei quali ha agito il rappresentante o l'amministratore anche di fatto, nonché nei confronti dei loro soci o associati".

8.1. La norma è già stata oggetto di alcune prime considerazioni da parte della Corte (v. Cass. 31 luglio 2024, n. 21584; Cass. 3 settembre 2024, n. 23570; Cass. 3 settembre 2024, n. 23609; Cass. 11 ottobre 2024, n. 16584; Cass. 2 dicembre 2024, n. 30814; Cass. 3 dicembre 2024, n. 30900; Cass. 16 gennaio 2025, n. 1021), che ne ha valutato l'immediata operatività con riguardo a decisioni penali preesistenti alla novella, ha individuato alcuni limiti alla sua applicazione, in ispecie con riguardo alle decisioni emesse dal giudice dell'udienza preliminare ovvero alla diversità delle statuizioni espresse (improcedibilità) e ciò a prescindere dalla disamina in concreto operata nel giudizio, e ne ha dato una prima applicazione.

8.2. A fronte di questi primi interventi, dunque, appare necessario fornire un inquadramento sistematico della nuova disposizione e della sua effettiva valenza e incidenza nel sistema processuale e sostanziale e ciò anche alla luce delle possibili criticità di ordine costituzionale e unionale evidenziate dal Pubblico Ministero alla presente udienza.

9. La cornice oggettiva disegnata dall'art. 21-bis D.Lgs. n. 87 del 2024 è chiaramente definita.

La nuova norma, infatti, si riferisce alle sole sentenze di assoluzione perché "il fatto non sussiste" o "l'imputato non lo ha commesso" emesse a "seguito di dibattimento".

Restano quindi escluse dall'ambito di applicazione dell'art. 21-bis:

- le sentenze di condanna;

- le sentenze di assoluzione e proscioglimento con una diversa formula (il fatto non costituisce reato, il fatto non è più previsto come reato, le formule di improcedibilità, ...);

- i provvedimenti di archiviazione;

- le sentenze di applicazione della pena (444 cod. proc. pen.);

- tutte le sentenze emesse a seguito di giudizio abbreviato.

9.1. Ciò premesso, ritiene il collegio, anticipando l'esito del percorso argomentativo e dell'analisi, che l'art. 21-bis cit. si riferisca esclusivamente al trattamento sanzionatorio e non riguardi l'imposta, né la decisione del giudice tributario sulla pretesa impositiva.

10. Occorre rilevare, in primo luogo, che la recente riforma attuata con il D.Lgs. n. 87 del 2024 trova i suoi capisaldi di riferimento nell'art. 20 della legge delega n. 111 del 2023, recante principi e criteri direttivi per la revisione del sistema sanzionatorio tributario, amministrativo e penale.

In particolare, l'art. 20, comma 1, lett. a), n. 1 e n. 3, ha previsto:

"a) per gli aspetti comuni alle sanzioni amministrative e penali:

1) razionalizzare il sistema sanzionatorio amministrativo e penale, anche attraverso una maggiore integrazione tra i diversi tipi di sanzione, ai fini del completo adeguamento al principio del ne bis in idem;

2) omissis

3) rivedere i rapporti tra il processo penale e il processo tributario prevedendo, in coerenza con i principi generali dell'ordinamento, che, nei casi di sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso, i fatti materiali accertati in sede dibattimentale facciano stato nel processo tributario quanto all'accertamento dei fatti medesimi e adeguando i profili processuali e sostanziali connessi alle ipotesi di non punibilità e di applicazione di circostanze attenuanti all'effettiva durata dei piani di estinzione dei debiti tributari, anche nella fase antecedente all'esercizio dell'azione penale;"

10.1. Ne deriva, quale primo elemento di natura sistematica, che l'art. 21-bis trova la sua fonte primaria nei principi e nelle direttive mirate alla nuova determinazione dell'assetto sanzionatorio tributario e penale.

In altri termini, la ratio della riforma, evincibile dal criterio direttivo della legge delega e resa esplicita dalla relazione illustrativa al decreto legislativo, è quella di rafforzare l'integrazione dei sistemi sanzionatori nella prospettiva del rispetto del principio del ne bis in idem in vista di una razionalizzazione del sistema sanzionatorio tributario e penale.

11. In secondo luogo, l'intervento riformatore si è sviluppato nell'alveo della disciplina sanzionatoria già esistente.

Infatti, il decreto legislativo n. 87 del 2024 è intervenuto sul D.Lgs. n. 74 del 2000, inserendo nuove disposizioni - tra cui l'art. 21-bis - ovvero modificando, in coordinamento con quelle introdotte, quelle preesistenti.

12. È dunque necessario considerare il complessivo contesto normativo su cui è intervenuta la novella.

12.1. Invero, gli artt. 19-21 del D.Lgs. n. 74 del 2000, già nella versione originaria, delineavano una autonoma e specifica composizione dei rapporti tra l'illecito penale e l'illecito tributario ed una concreta articolazione del principio del ne bis in idem, assetto che - come si vedrà - resta confermato e completato dalla riforma.

12.2. L'art. 19, in particolare, ha introdotto nell'ordinamento il principio di specialità tra disposizioni amministrative e penali, stabilendo:

"1. Quando uno stesso fatto è punito da una delle disposizioni del titolo II e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale.

2. Permane, in ogni caso, la responsabilità per la sanzione amministrativa dei soggetti indicati nell'articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, che non siano persone fisiche concorrenti nel reato".

Il secondo comma, nella sua attuale versione, è stato modificato, per esigenze di coordinamento, con l'aggiunta, in fine della frase, "e resta ferma la responsabilità degli enti e società prevista dall'articolo 21, comma 2-bis", ribadendo l'univoco riferimento al trattamento sanzionatorio.

12.3. L'art. 20 esclude ogni rapporto di pregiudizialità tra processo penale e procedimento amministrativo ("Il procedimento amministrativo di accertamento ed il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione").

Con la novella è stato aggiunto un comma 1-bis ("1-bis. Le sentenze rese nel processo tributario, divenute irrevocabili, e gli atti di definitivo accertamento delle imposte in sede amministrativa, anche a seguito di adesione, aventi a oggetto violazioni derivanti dai medesimi fatti per cui è stata esercitata l'azione penale, possono essere acquisiti nel processo penale ai fini della prova del fatto in essi accertato") teso, in evidenza, a consentire la massima circolazione della prova tra processo (e procedimento) tributario e processo penale anche rispetto a quest'ultimo, a conferma dell'insussistenza di qualsiasi rapporto di pregiudizialità.

12.4. Particolarmente rilevante è, poi, l'art. 21 che, nel testo ora vigente, prevede:

"1. L'ufficio competente irroga le sanzioni amministrative relative alle violazioni tributarie fatte oggetto di notizia di reato.

2. Tali sanzioni non sono eseguibili nei confronti dei soggetti diversi da quelli indicali dall'articolo 19, comma 2, salvo che il procedimento penale sia definito con provvedimento di archiviazione, sentenza irrevocabile di assoluzione o di proscioglimento con formula che esclude la rilevanza penale del fatto. Resta fermo quanto previsto dagli articoli 21-bis e 21-ter.

I termini per la riscossione decorrono dalla data in cui il provvedimento di archiviazione o la sentenza sono comunicati all'ufficio competente; alla comunicazione provvede la cancelleria del giudice che li ha emessi.

2-bis. La disciplina del comma 2 si applica anche se la sanzione amministrativa pecuniaria è riferita a un ente o società quando nei confronti di questi può essere disposta la sanzione amministrativa dipendente dal reato ai sensi dell'articolo 25-quinquiesdecies del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231.

3. Nei casi di irrogazione di un'unica sanzione amministrativa pecuniaria per più violazioni tributarie in concorso o continuazione fra loro, a norma dell'articolo 12 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, alcune delle quali soltanto penalmente rilevanti, la disposizione del comma 2 del presente articolo opera solo per la parte della sanzione eccedente quella che sarebbe stata applicabile in relazione alle violazioni non penalmente rilevanti.".

Rispetto al testo originario, oltre all'inserimento del comma 1-bis, è stata soppressa la parola "comunque" al comma 1, mentre con riguardo al comma 2 è significativa l'aggiunta della locuzione "Resta fermo quanto previsto dagli articoli 21-bis e 21-ter".

La disposizione ha natura strumentale e delinea lo stesso contenuto del principio di specialità introdotto con l'art. 19, poiché stabilisce, in termini univoci, che la sanzione tributaria deve essere irrogata anche se il medesimo fatto sia di rilievo penale e costituisca oggetto di notizia di reato.

Il principio di specialità, infatti, in coerenza alla direttiva enunciata dall'art. 9, lett. 1), della legge delega n. 205 del 1999 in forza della quale è stato emanato il D.Lgs. n. 74 del 2000 (che dispone: "prevedere l'applicazione della sola disposizione speciale quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa"), va riferito, con chiarezza, alla fase della materiale applicazione della sanzione, senza incidere sulle fasi - anteriori - dell'accertamento, della contestazione e dell'irrogazione, le quali procedono in autonomia e, anzi, devono necessariamente essere realizzate.

Ne deriva che la norma, anche dopo la recente modifica operata con il D.Lgs. n. 87 del 2024, ribadisce e legittima a livello di disciplina positiva l'esistenza di un doppio binario procedimentale e processuale: non solo deve ritenersi consentito ma diviene doveroso per l'Amministrazione avviare il procedimento di irrogazione della sanzione ancorché il medesimo fatto sia, al contempo, oggetto di rilievo penale.

13. Come già rilevato da questa Corte (Cass. n. 21694 del 08/10/2020), il legislatore, sin dal 2000, ha ritenuto necessario un riequilibrio: la pluralità di procedimenti destinati ciascuno ad un autonomo esito è idonea a generare criticità vuoi in caso di differente esito, vuoi in caso di esito negativo per il contribuente in entrambe le sedi (penale e amministrativa-tributaria).

Il necessario avvio del procedimento sanzionatorio trovava il suo bilanciamento nella previsione del comma 2, in forza del quale è escluso che la sanzione possa essere posta in esecuzione (salvo che per i soggetti solidalmente responsabili non concorrenti nel reato) fino a che il giudizio penale è pendente.

La definizione del giudizio penale costituiva la condizione per poter attivare la procedura di esecuzione; tuttavia, ciò può avvenire in termini selettivi, ossia:

a) se la sentenza è di condanna la sanzione amministrativa resta definitivamente ineseguibile;

b) se invece la sentenza penale è favorevole al contribuente la sanzione diviene eseguibile solamente se il procedimento penale è definito "con provvedimento di archiviazione, sentenza irrevocabile di assoluzione o di proscioglimento con formula che esclude la rilevanza penale del fatto".

14. Occorre sottolineare che la norma, nella previsione originaria, anteriore agli interventi attuati con il D.Lgs. n. 87 del 2024, ha un ambito di applicazione limitato alla fase dell'esecuzione della sanzione, senza estendersi al giudizio di cognizione.

Il capoverso e ultimo periodo del comma 2, infatti, è esplicito nel riferirsi, per l'applicazione della norma, ai "termini della riscossione", che decorrono dalla comunicazione all'ufficio competente.

Questa conclusione è però superata dall'avvenuta introduzione dell'art. 21-bis cit., che ha esteso alla fase della cognizione - ed anche nel giudizio di cassazione - la deducibilità della pronuncia penale di assoluzione per le formule "il fatto non sussiste" e "l'imputato non lo ha commesso", sicché la relativa valutazione non è più limitata alla sola fase riscossiva ma è suscettibile di essere dedotta anche in sede di cognizione.

L'attuale testo dell'art. 20, comma 2, prima parte, è stato infatti integrato con l'ulteriore locuzione con cui è stabilito che "Resta fermo quanto previsto dai successivi art. 21-bis e 21-ter".

14.1. Emerge con evidenza, pertanto, che l'esigenza tutelata dal legislatore - ma già presente nelle originarie previsioni - è quella di trattare in termini unitari, per evitare criticità o incongruenze, gli esiti finali sanzionatori derivanti dalla necessaria separatezza dei giudizi, penale e tributario, e del procedimento amministrativo tributario.

E, del resto, il rapporto di imposta che intercorre tra il contribuente e l'erario - incardinato tra dovere contributivo e capacità contributiva in funzione della giusta imposizione - non partecipa, in quanto tale, al rapporto penale, che attiene, invece, all'aspetto sanzionatorio, per il quale si pone, differentemente, l'esigenza di una valutazione unitaria e contemperata del complessivo trattamento afflittivo.

Non a caso, lungo la medesima prospettiva - e in funzione della medesima esigenza - il legislatore ha introdotto, con la novella, anche l'art. 21-ter D.Lgs. n. 74 del 2000 per il diverso versante del cumulo sanzionatorio nel caso di riconosciuta responsabilità sì da evitare che il trattamento risulti eccessivamente gravoso, prevedendo che "il giudice o l'autorità amministrativa, al momento della determinazione delle sanzioni di propria competenza e al fine di ridurne la relativa misura, tiene conto di quelle già irrogate con provvedimento o con sentenza assunti in via definitiva".

15. In terzo luogo, sul piano strettamente letterale, viene in rilievo il dettato del comma 3 dell'art. 21-bis.

La norma prevede: "3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano, limitatamente alle ipotesi di sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, anche nei confronti della persona fisica nell'interesse della quale ha agito il dipendente, il rappresentante legale o negoziale, ovvero nei confronti dell'ente e società, con o senza personalità giuridica, nell'interesse dei quali ha agito il rappresentante o l'amministratore anche di fatto, nonché nei confronti dei loro soci o associati", conferma la conclusione esposta.

Orbene, l'utilizzo della congiunzione "anche", riferita alla persona fisica o alla società nonché ai soci o associati si spiega soltanto in chiave sanzionatoria, poiché l'accertamento del tributo è naturalmente riferito al soggetto passivo, che è l'imprenditore individuale o la società, non certo alla persona che abbia agito per loro, né ai soci e agli associati, che rispondono ad altro titolo.

16. In conclusione, l'art. 21-bis D.Lgs. n. 87 del 2024, secondo una interpretazione letterale e sistematica, è suscettibile di esplicare i suoi effetti in termini diretti esclusivamente con riguardo alla sanzione irrogata, mentre con riguardo all'imposta la valutazione della sentenza penale di assoluzione resta tuttora ancorata ai principi, prima illustrati, afferenti alla circolazione della prova, esclusa ogni automatica estensione al giudizio tributario.

17. Non modifica tale conclusione la circostanza dell'avvenuta trasposizione dell'art. 21-bis D.Lgs. n. 74 del 2000 all'art. 119 del Testo Unico della giustizia tributaria (D.Lgs. n. 175 del 2024), mentre l'art. 21 del medesimo D.Lgs. n. 74 è stato inserito all'art. 98 del Testo Unico delle sanzioni tributarie amministrative e penali (D.Lgs. n. 173 del 2024), vigenti dal 01 gennaio 2026.

17.1. Sotto un primo profilo, occorre osservare che la predisposizione dei testi unici non ha valenza innovativa, né un tale valore è desumibile dall'art. 21 della legge delega n. 111 del 2023, i cui criteri direttivi sono i seguenti:

"a) puntuale individuazione delle norme vigenti, organizzandole per settori omogenei, anche mediante l'aggiornamento dei testi unici di settore in vigore;

b) coordinamento, sotto il profilo formale e sostanziale, delle norme vigenti, anche di recepimento e attuazione della normativa dell'Unione europea, apportando le necessarie modifiche, garantendone e migliorandone la coerenza giuridica, logica e sistematica, tenendo anche conto delle disposizioni recate dai decreti legislativi eventualmente adottati ai sensi dell'articolo 1;

c) abrogazione espressa delle disposizioni incompatibili ovvero non più attuali".

La stessa Relazione illustrativa, del resto, ha esplicitamente premesso che "Il presente testo unico ha carattere compilativo" ed è "di mero riordino".

Con il recepimento nei Testi unici, infatti, è stato attuato un coordinamento delle disposizioni vigenti, ivi comprese quelle introdotte con gli altri decreti attuativi della legge delega, che sono state accorpate per ambiti omogenei, sicché l'art. 21-bis - per l'esplicito riferimento contenuto nel comma 2 della norma - è confluito nella "Sezione III - Il ricorso per cassazione", assieme agli altri eventi che, esplicitamente, sono pertinenti al giudizio di cassazione (ricorso per cassazione, esecuzione provvisoria in pendenza del ricorso per cassazione, giudizio di rinvio), così da fornire una coerenza specifica al nuovo impianto normativo.

17.2. Occorre osservare, in secondo luogo, che pure l'art. 21-ter, relativo alla rideterminazione del cumulo sanzionatorio in fase esecutiva, ha trovato collocazione nell'art. 124 del Testo Unico della giustizia tributaria, ossia nel "Capo IV - L'esecuzione delle sentenze delle corti di giustizia tributaria", e, dunque, in relazione ad un ambito omogeneo, senza che da ciò se ne possa derivare una variazione dei contenuti precettivi e della riferibilità al trattamento sanzionatorio.

17.3. Infine, l'art. 21 D.Lgs. n. 74 del 2000 è stato sì inserito all'art. 98 del Testo unico delle sanzioni ma, in ossequio ai criteri direttivi, con le "necessarie modifiche", ossia con un esplicito rinvio alle nuove disposizioni (119 e 124 del TU n. 175 del 2024) in cui sono confluiti gli artt. 21-bis e 21-ter D.Lgs. n. 74 del 2000, sì da lasciare inalterato il collegamento sistematico e letterale tra le diverse previsioni.

18. Per completare l'inquadramento sulla portata e incidenza della nuova previsione appare necessario esaminare, anche alla luce dei

principi costituzionali e del diritto unionale, le questioni sostanziali e processuali poste dalla norma.

19. A) L'applicabilità temporale dell'art. 21-bis.

19.1. L'art. 21-bis cit. è di immediata applicazione a tutte le controversie pendenti innanzi al giudice tributario e alla Corte di cassazione e rileva non solo per le violazioni realizzate dopo il 1 settembre 2024 ma anche per quelle precedenti all'entrata in vigore della norma.

19.2. Militano a favore di questa conclusione una pluralità di ragioni, mentre resta privo di concreto rilievo la qualificazione della norma come sostanziale o processuale.

19.3. In primo luogo, sul piano letterale, l'art 5 del D.Lgs. n. 87 del 2024 ("Disposizioni transitorie e finali") ha regolato la disciplina temporale delle modifiche di cui al decreto legislativo, stabilendo esplicitamente l'irretroattività degli interventi innovatori solo per le altre modifiche normative ("Le disposizioni di cui agli articoli 2, 3, e 4 si applicano alle violazioni commesse a partire dal 1 settembre 2024").

19.4. In secondo luogo, dalla stessa relazione di accompagnamento emerge con chiarezza l'intento del legislatore.

Il mancato inserimento dell'art. 1 tra le ipotesi di irretroattività di cui all'art. 5, invero, non può ritenersi casuale: al di là delle previsioni ivi contenute e relative alle fattispecie di rilievo strettamente penale (per cui assume rilievo il principio dell'applicazione della lex mitior), per gli interventi sui rapporti tra sanzione penale e tributaria (ossia, in ispecie, gli artt. 21-bis e 21-ter) la scelta di far entrare in vigore immediatamente le norme è derivata proprio dalle criticità del sistema nazionale in materia sanzionatoria rispetto agli orientamenti della Corte EDU e della stessa Corte costituzionale (v. Relazione illustrativa:

"introduce, dunque, nel sistema punitivo tributario il divieto del bis in idem sostanziale inteso in senso proprio ed è formulata in stretta aderenza alle sentenze della Corte EDU - in particolare a quelle del 15 novembre 2016 (AeB c. Norvegia) e del 18 maggio 2017 (J c. Islanda) e in quelle successive - nonché alla sentenza n. 149 del 2022 della Corte costituzionale").

Ciò, oltre a confermare ulteriormente l'incidenza dell'art. 21-bis sul solo piano sanzionatorio, rivela che il primario obbiettivo è stato quello di allineare la disciplina interna ai principi europei.

19.5. In terzo luogo, va sottolineato che con l'art. 21-bis - come sopra evidenziato - è stata estesa alla fase del giudizio di cognizione e integrata la regolamentazione già prevista dall'art. 21 D.Lgs. n. 74 del 2000, ma suscettibile di essere attivata solo nella fase riscossiva.

L'intervento, dunque, nell'anticipare la valutazione della congruità e correttezza del regime sanzionatorio alla cognizione, non può che riguardare, in assenza di un limite normativo espresso, gli stessi ambiti già suscettibili di disamina.

20. B) L'accertamento dei fatti materiali nei due giudizi.

20.1. Il giudicato penale di assoluzione esplica i suoi effetti in quanto "pronunciata ... sugli stessi fatti materiali" oggetto del giudizio tributario.

È richiesto, quindi, un accertamento sull'identità dei fatti materiali tra i due giudizi.

20.2. La norma presuppone un accertamento di fatto, come tale rimesso fisiologicamente al giudice del merito ma specificamente declinato dall'art. 21-bis anche con riguardo al giudizio di cassazione.

Tale ambito di valutazione, pur non astrattamente incompatibile con la funzione della Corte di cassazione (v. Cass. n. 21200 del 05/10/2009; Cass. n. 30780 del 30/12/2011), presuppone, tuttavia, una compiuta analisi di fatto, anche estesa, ove necessario, agli atti impositivi, ed un apprezzamento - di merito - sulle indicazioni emergenti dalla sentenza penale, sicché, in tale evenienza (ossia, quando vi sia necessità di ulteriori accertamenti in fatto in assenza di una macroscopica evidenza) diviene ineludibile la cassazione con rinvio della sentenza impugnata per rimettere al giudice di merito la relativa valutazione.

20.3. La deduzione nel giudizio di cassazione, peraltro, deve tenere conto dei principi che regolano il processo di legittimità, in primo luogo il principio di chiarezza e specificità.

Come ripetutamente affermato da questa Corte, il mancato rispetto del dovere di chiarezza e sinteticità esprime un principio generale del diritto processuale, oggi espressamente recepito nell'art. 366 n. 3 e 4 cod. proc. civ., restandone pregiudicata l'adeguata intellegibilità delle questioni ove renda oscura l'esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata, con conseguente inammissibilità della doglianza (v. Cass. n. 8009 del 21/03/2019, Sez. U, n. 37552 del 30/11/2021; Cass. n. 4300 del 13/02/2023).

Ne consegue che la mera allegazione che la sentenza penale ha assolto la parte (con una delle formule rilevanti) e che essa riguardava i medesimi fatti oggetto del giudizio tributario non può considerarsi sufficiente, essendo necessario che siano indicati gli specifici fatti ed elementi - oggetto di puntuale accertamento nella sentenza penale - rispetto ai quali viene ravvisata l'identità e per i quali, dunque, viene invocato il giudicato.

20.4. Quanto al contenuto dell'accertamento di fatto, seppure assuma anche rilievo il fatto-reato per come contestato in sede penale, va rilevato che il giudicato attiene ai fatti materiali e non alla astratta contestazione.

Occorre osservare, sul punto, che l'oggetto del processo penale è diverso da quello della violazione tributaria, per cui occorre: a) valutare la coincidenza o meno del fatto in relazione al capo d'imputazione; b) riferire la formula assolutoria (il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso) alla contestazione.

A maggior chiarimento e in via solo esemplificativa, si può rilevare che l'orientamento prevalente della Cassazione penale, con riguardo al reato di omesso versamento dell'Iva, previsto dall'art. 10-ter D.Lgs. n. 74 del 2000, reputa che la soglia di punibilità configuri "un elemento costitutivo del reato, con la conseguenza che la sua mancata integrazione comporta l'assoluzione con la formula "il fatto non sussiste"" (v. Cass. pen. n. 35611 del 16/06/2016), sicché, in questo caso, i fatti accertati ai fini penali sono diversi da quelli rilevanti in sede civile.

Il "fatto", dunque, va necessariamente riguardato sotto il versante naturalistico in relazione agli elementi costitutivi vuoi dell'illecito amministrativo vuoi di quello penale.

Su tale aspetto, invero, la Corte, nell'ambito dei giudizi civili, ha chiarito, con indicazioni validamente riferibili anche all'art. 21-bis, che "per "fatto" accertato dal giudice penale deve intendersi il nucleo oggettivo del reato nella sua materialità fenomenica, costituita dall'accadimento oggettivo, accertato dal giudice penale, configurato dalla condotta, evento e nesso di causalità materiale tra l'una e l'altro (fatto principale) e le circostanze di tempo, luogo e modi di svolgimento di esso" (v. ex multis Cass. n. 19863/2013, Cass. n. 15392/2018, Cass. n. 26811/2022), sottolineando anche che "al giudice civile è precluso procedere ad una diversa ed autonoma ricostruzione dell'episodio, ma non di indagare, ai fini della cognizione ad esso rimessa, su altre modalità del fatto non considerate dal giudice penale".

Né è vincolante la qualificazione giuridica dei fatti data dal giudice penale ove non sia rimessa in discussione la "materialità fenomenica" dell'accertamento del giudice penale (ad es. Cass. n. 4929/2015): in sintesi, il vincolo sul giudice civile si traduce nella "impossibilità per il giudice civile di ritenere inesistenti i fatti accertati dal giudice penale, ovvero di ritenere esistenti fatti dei quali sia stata esclusa la verità in sede penale".

21. C) La rilevanza della sentenza penale pronunciata ai sensi dell'art. 530, comma 2, cod. proc. pen.

21.1. Il profilo da ultimo vagliato impone di valutare quale sia la rilevanza della formula assolutoria quando la sentenza penale sia stata pronunciata ai sensi dell'art. 530, comma 2, cod. proc. pen.

21.2. Occorre partire dalla preliminare considerazione che nel giudizio penale la prova positiva dell'innocenza dell'imputato (art. 530, comma 1) e la prova negativa della sua responsabilità (art. 530, comma 2) hanno pari valore.

Tuttavia, la giurisprudenza civile, nell'interpretare gli artt. 651-654 cod. proc. pen., ha distinto le due situazioni, attribuendo differente valore alle ipotesi di assoluzione pronunciate a norma del primo comma rispetto a quelle pronunciate a norma del secondo comma.

Si tratta di orientamento che è consolidato da oltre trent'anni e che ha trovato il suo riconoscimento anche da parte delle Sezioni Unite (v. Sez. U, n. 1768 del 26/01/2011, che, con riguardo all'art. 652, ma anche rispetto agli artt. 651,653 e 654 cod. proc. pen., ha affermato che "la sentenza di assoluzione è idonea a produrre gli effetti di giudicato ivi indicati non in relazione alla formula utilizzata, bensì solo in quanto contenga, in termini categorici, un effettivo e positivo accertamento circa l'insussistenza del fatto").

In particolare, si è rilevato che il principio generale è quello "dell'autonomia e della separazione dei giudizi penale e civile, sicché il carattere di eccezione a tale principio che si rinviene in quanto previsto dalla norma dell'art. 652 c.p.p. (e analogamente è da dirsi per le ipotesi contemplate dagli artt. 651, 653 e 654 dello stesso codice) impedisce non solo di poter fare applicazione analogica della citata disposizione oltre i casi espressamente previsti, ma impone di perimetrarne anche in senso restrittivo l'operatività, tenuto conto dei limiti costituzionali del rispetto del diritto di difesa e del contraddittorio, richiamati dalla stessa legge delega (tra le altre, Cass., 2 agosto 2004, n. 14770; Cass., 8 marzo 2013, n. 5898; Cass., 29 agosto 2013, n. 19863; Cass., 18 novembre 2014, n. 24475; Cass., 5 aprile 2016, n. 6541; Cass., 22 giugno 2017, n. 15470; Cass., 13 giugno 2018, n. 15392; Cass., 3 luglio 2018, n. 17316)".

Inoltre, si è evidenziato che "l'efficacia preclusiva del giudicato di assoluzione è tale, però, soltanto se il giudicato stesso contenga un effettivo e specifico accertamento circa l'insussistenza o del fatto o della partecipazione dell'imputato e non anche nell'ipotesi in cui l'assoluzione sia determinata dall'accertamento dell'insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l'attribuibilità di esso all'imputato e cioè quando l'assoluzione sia stata pronunziata a norma dell'art. 530, comma 2, c.p.p." (v. tra le molte, Cass. n. 19863/2013; Cass., 25 settembre 2014, n. 20252 e Cass., 11 marzo 2016, n. 4764; Cass. 12 settembre 2022, n. 26811; da ultimo v. anche Cass. n. 4201/2024, secondo cui "in tema di rapporti tra giudizio penale e giudizio civile, la sentenza di assoluzione ha effetto preclusivo nel processo civile (sia ex. art. 652 c.p.p. che ex art. 654 c.p.p.) solo nel caso in cui contenga un effettivo e specifico accertamento circa l'insussistenza o del fatto o della partecipazione dell'imputato, e non anche nell'ipotesi in cui sia stata pronunciata a norma dell'art. 530, comma 2, c.p.p., per inesistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o la sua attribuibilità all'imputato").

Il principio è stato affermato anche dal giudice amministrativo (v. Consiglio di Stato, sez. 2, n. 2509 del 2014), che ha precisato che "l'efficacia vincolante del giudicato penale è configurabile solo allorché la sussistenza dei reati contestati sia stata esclusa ai sensi dell'art. 530, comma 1, c.p.p."

21.3. Per completezza, occorre evidenziare che la dottrina e la giurisprudenza penale esprimono il diverso orientamento della piena equiparazione tra le pronunce assolutorie pronunciate ai sensi del primo e del secondo comma dell'art. 530 cod. proc. pen., da intendersi estesa anche agli effetti extra-penali, posto che non sussisterebbe un interesse dell'imputato a proporre ricorso nei confronti di una sentenza di assoluzione pronunciata ex art. 530, comma 2, cod. proc. pen. in quanto questa formula non dispiega minore valenza (rispetto alla formula ex art. 530, comma 1, cod. proc. pen.) nei giudizi civili.

In realtà, la giustificazione logica e giuridica dell'orientamento che distingue la rilevanza ai fini civili tra i due commi si coglie nel fatto che il fondamento sostanziale della scelta di attribuire efficacia di giudicato alla sentenza penale di assoluzione (per le formule assolutorie di insussistenza del fatto e per non aver commesso il fatto, qui in rilievo) deriva dal maggior approfondimento istruttorio che caratterizza il processo penale rispetto a quello civile (e tributario) e dalla possibilità, propria del processo penale, di ricostruire la situazione fattuale con estrema certezza.

Tuttavia, tale condizione - ossia la ricostruzione della situazione fattuale con estrema certezza - si ha solamente nei casi in cui la pronuncia di assoluzione sia resa ex art. 530, comma 1, cod. proc. pen. (prova positiva che superi ogni ragionevole dubbio) e non nei casi in cui la pronuncia di assoluzione sia resa ex art. 530, comma 2, cod. proc. pen. (prova mancante, insufficiente o carente).

Ne deriva che, ai fini della disciplina in esame, non è suscettibile di rilievo, con valenza di giudicato, l'assoluzione pronunciata ai sensi del secondo comma dell'art. 530 cod. proc. pen., che determinerebbe un mero automatismo a fronte della necessità di verificare che la decisione penale abbia operato un concreto ed effettivo accertamento dei fatti.

22. D) Rapporti tra accertamento sulla sanzione e accertamento sull'imposta.

22.1. L'incidenza del giudicato assolutorio penale sulla sola sanzione lascia inalterato il regime probatorio e la rilevanza della decisione penale sul rapporto d'imposta.

22.2. Più specificamente, l'art. 21-bis ha anticipato alla fase di cognizione il sistema del "doppio binario" penale-tributario, ossia:

- per i profili sanzionatori occorre valutare se i fatti siano i medesimi e, quindi, in applicazione dell'art. 21-bis, riconoscere efficacia di giudicato alla sentenza penale di assoluzione;

- per l'accertamento dell'imposta, il giudizio, i criteri di ripartizione dell'onere della prova e la valutazione da parte del giudice restano soggetti agli ordinari criteri e principi che disciplinano il giudizio civile e tributario: la sentenza penale di assoluzione conserva la sua rilevanza nell'alveo dei principi della circolazione della prova ai sensi dell'art. 654 cod. proc. pen. e 20 D.Lgs. n. 74 del 2000, dunque quale prova, soggetta all'autonoma valutazione del giudice, da apprezzare insieme alle altre prove acquisite nel giudizio.

22.3. Tale esito, del resto, è conforme alla struttura del rapporto tra giudizio tributario e giudizio penale, già a fondamento degli artt. 19 e 21 D.Lgs. n. 74 del 2000, improntato a criteri di reciproca autonomia, salva la previsione di un (reciproco) collegamento probatorio ai fini accertativi e di una valutazione unitaria ai fini sanzionatori.

Differenti, del resto, sono le esigenze e gli obbiettivi che presiedono i due ambiti.

Sulla sanzione (penale e amministrativa-tributaria) è preminente la necessità che il regime sanzionatorio, in applicazione del principio del ne bis in idem, sia unitario, non contraddittorio e proporzionato.

Sull'imposta, invece, l'accertamento mira ad assicurare l'attuazione delle norme impositive in funzione dell'obbiettivo di attuare la "giusta imposizione", nell'equilibrio tra dovere contributivo e principio della capacità contributiva, che viene realizzato con gli strumenti previsti dall'ordinamento tributario e secondo i criteri di riparto della prova tra il contribuente e il fisco.

Si tratta, in evidenza, di oggetti radicalmente differenti, il primo dei quali, inoltre, è solo eventuale e occasionale.

22.4. La questione è di particolare rilievo ove, in ragione della sentenza penale assolutoria, la sentenza sia stata annullata con rinvio al giudice del merito per le ulteriori valutazioni.

In tale evenienza, il giudice del rinvio - a fronte della sentenza penale dibattimentale di assoluzione ex art. 530, comma 1, cod. proc. pen. perché il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso - sarà tenuto ad operare una duplice operazione: a) quanto alla ripresa impositiva dovrà apprezzare, con valutazione autonoma, la suddetta decisione come elemento di prova unitamente agli altri elementi introdotti nel giudizio ai sensi degli artt. 654 cod. proc. pen. e 20 D.Lgs. n. 74 del 2000, con un giudizio di sintesi che non è condizionato dal passaggio in giudicato della decisione penale; b) quanto alla sanzione tributaria, ove accerti la medesimezza dei fatti, dovrà applicare il 21-bis, annullando la sanzione irrogata.

23. E) Il tempestivo deposito della sentenza penale in Cassazione.

23.1. L'art. 21-bis, comma 2, D.Lgs. n. 74 del 2000 stabilisce che "La sentenza penale irrevocabile di cui al comma 1 può essere depositata anche nel giudizio di Cassazione fino a quindici giorni prima dell'udienza o dell'adunanza in camera di consiglio."

La norma, nel porre il termine di 15 giorni prima dell'udienza e/o adunanza, non ne stabilisce espressamente la perentorietà.

Peraltro, neppure gli artt. 372,378 e 380.bis.1 cod. proc. civ. qualificano il termine ivi previsto per il deposito della memoria come perentorio ancorché ciò non sia discusso.

I termini del giudizio di cassazione sono preordinati all'esigenza di garantire il contraddittorio e consentire al collegio di prendere preventiva e adeguata conoscenza della documentazione prodotta, sicché hanno necessariamente natura perentoria (v. Cass. n. 29933 del 27/10/2023 con riguardo al termine ex art. 372 cod. proc. civ.; Cass. n. 30592 del 27/11/2018 con riguardo alla memoria ex art. 378 cod. proc. civ.).

23.2. Occorre comunque evidenziare che, alla luce del complessivo assetto normativo sopra delineato, l'eventuale preclusione che si sia verificata nel giudizio di cognizione non impedisce alla parte di far valere in un momento successivo - innanzi alla stessa Amministrazione finanziaria o in sede riscossiva ai sensi dell'art. 20 D.Lgs. n. 74 del 2000 - gli effetti derivanti dal giudicato penale ai fini della caducazione della sanzione che nel giudizio sia stata irrogata.

Ciò vale, a maggior ragione, nel caso in cui il giudizio penale sia tuttora pendente e la parte auspichi o ritenga che le statuizioni in sede penale si consolideranno in senso a lei favorevole, sicché non sussistono ragioni per un rinvio dell'udienza, che, oltre tutto, si porrebbe in contrasto con le esigenze di economia processuale e di celere definizione dei giudizi.

24. F) Profili di compatibilità unionale.

24.1. Con riguardo ai profili di compatibilità unionale, assume rilievo l'incidenza dell'estensione del giudicato penale favorevole al giudizio tributario.

In realtà, non sussiste una contrarietà, in via generale, a tali effetti rispetto al diritto dell'Unione.

La questione è stata oggetto di specifica disamina da parte della Corte di giustizia su rinvio disposto dalla Corte di cassazione in materia di sanzioni CONSOB (CGUE 20 marzo 2018, nelle cause riunite C-596/16 e C-597/16, Di Puma) e, in termini ancora più puntuali, si è espressa CGUE 2 aprile 2020, cause riunite C-370/17 e C-37/18, Vueling.

Centrale è l'importanza del principio dell'autorità di cosa giudicata poiché "al fine di garantire tanto la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici quanto una buona amministrazione della giustizia, è importante che le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l'esaurimento dei mezzi di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per tali ricorsi non possano più essere rimesse in discussione".

La CGUE, inoltre, ha statuito che il diritto dell'Unione non impone di disapplicare le norme procedurali interne che attribuiscono forza di giudicato a una pronuncia giurisdizionale e ciò "neanche quando ciò permetterebbe di porre rimedio a una situazione nazionale contrastante con" il diritto dell'Unione.

Tuttavia, la Corte si è espressa in termini parzialmente diversi nel caso dell'estensione di una sentenza (penale) passata in giudicato - e lesiva dei principi unionali - ad un giudizio civile, ritenendo che la possibilità dell'estensione dovesse essere oggetto di disamina da parte del giudice civile.

È utile riportare i parr. 94-96 della sentenza Vueling:

"94 - Nelle presenti cause si deve constatare che l'interpretazione del principio dell'autorità di cosa giudicata menzionato al punto 92 della presente sentenza impedisce di rimettere in discussione non solo una decisione giudiziaria di natura penale avente autorità di cosa giudicata, anche se tale decisione comporta una violazione del diritto dell'Unione, ma anche, in occasione di un procedimento giurisdizionale di natura civile relativo ai medesimi fatti, qualsiasi accertamento vertente su un punto fondamentale comune contenuto in una decisione giudiziaria avente autorità di cosa giudicata (v., per analogia, sentenza del 3 settembre 2009, Fallimento Olimpiclub, C-2/08, EU:C:2009:506, punto 29).

95 - Una siffatta interpretazione del principio dell'autorità di cosa giudicata ha quindi come conseguenza che, qualora la decisione di un giudice penale divenuta definitiva si fondi su un accertamento di frode compiuto da tale giudice non tenendo conto del procedimento di dialogo di cui all'articolo 84 bis, paragrafo 3, del regolamento n. 1408/71 nonché su un'interpretazione delle disposizioni relative all'effetto vincolante dei certificati E 101 contraria al diritto dell'Unione, la non corretta applicazione di tale diritto si riprodurrebbe in ogni decisione adottata da giudici civili riguardanti i medesimi fatti, senza che sia possibile correggere tale accertamento e tale interpretazione effettuati in violazione di detto diritto (v., per analogia, sentenza del 3 settembre 2009, Fallimento Olimpiclub, C-2/08, EU:C:2009:506, punto 30).

96 - In tali circostanze, si deve concludere che simili ostacoli all'applicazione effettiva delle norme del diritto dell'Unione riguardanti detta procedura nonché l'effetto vincolante dei certificati E 101 non possono ragionevolmente essere giustificati dal principio della certezza del diritto, e devono quindi essere considerati contrari al principio di effettività (v., per analogia, sentenza del 3 settembre 2009, Fallimento Olimpiclub, C-2/08, EU:C:2009:506, punto 31)."

Da ciò ha escluso che fosse opponibile la vincolatività del giudicato penale, pur prevista dal diritto nazionale, ai fini della decisione del giudice civile.

24.2. Una potenziale criticità di sistema dei nuovi meccanismi, invero, potrebbe porsi rispetto ai principi affermati dalla Corte di giustizia in tema di operazioni fraudolente (ma anche abusive ovvero in relazione all'applicazione di specifici istituti), dove è richiesta, da parte del contribuente, una diligenza oggettiva, ossia che egli sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l'ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l'operazione si inseriva in una evasione fiscale. In caso di operazioni oggettivamente inesistenti, poi, le questioni sono scevre da componenti soggettive, sicché, a maggior ragione, possono porsi profili di criticità.

24.3. Tuttavia, tali criticità presuppongono che il giudicato refluisca anche sull'imposta.

Ben diversa, infatti, è la situazione tra l'ipotesi in cui la decisione penale sia idonea a produrre effetti di giudicato ai fini sanzionatori rispetto a quella in cui tali effetti incidano anche sulla situazione impositiva sostanziale.

Solo in questo secondo caso, infatti, assumono rilievo i presupposti sostanziali individuati dalla decisione Vueling ove la decisione in sede penale finisca per risolversi in una violazione del diritto unionale, mentre l'ambito delle sanzioni esula dalle materie di rilievo unionale ed è governato, anche nella sede unionale, dal principio di proporzionalità (oltre che di effettività ed equivalenza), di cui il nuovo impianto normativo è in realtà portatore.

24.4. In questa prospettiva, pertanto, la riconduzione dell'art. 21-bis cit. alla sola materia delle sanzioni, oltre a rispondere a criteri di

interpretazione sistematica e letterale e di coerenza con il complessivo sistema ordinamentale tributario, risponde ai principi unionali ed elide ogni possibile frizione con essi.

25. G) Profili di legittimità costituzionale.

25.1. Come evidenziato anche dal Procuratore Generale nella requisitoria scritta, l'art. 21-bis cit. e l'estensione del giudicato penale al giudizio tributario è suscettibile di porre plurime perplessità di rilievo costituzionale.

La prima attiene, in sostanza, all'impatto sul complessivo regime probatorio dell'ordinamento tributario, con profonde divaricazioni tra le categorie di utenti e contribuenti, allorché la valenza di giudicato della sentenza assolutoria per le formule indicate dall'art. 21-bis refluisca sull'accertamento dell'imposta.

La seconda discende dalla mancata partecipazione dell'Agenzia delle entrate al giudizio penale, che deve essere effettiva non potendosi ritenere sufficiente la mera indicazione come parte offesa dal reato tributario.

25.2. Quanto al primo profilo, come già su evidenziato, il sistema tributario è caratterizzato da oneri ripartiti tra contribuente e Ufficio, mentre nel sistema penale l'onere è integralmente a carico della parte pubblica, essendo sufficiente, per la parte privata, un atteggiamento anche solo silente per ottenere un esito positivo del processo penale se la prova piena non sia stata raggiunta.

In via esemplificativa, in caso di indagini bancarie il regime probatorio che assiste i prelievi e i versamenti non giustificati previsto dall'art. 32 D.P.R. n. 600 del 1973 non assume rilievo nel giudizio penale, dove incombe al P.M. provare che quelle somme sono riconducibili ad una evasione, prova che se non fornita è suscettibile di determinare una assoluzione per insussistenza del fatto.

Il profilo risulta ulteriormente rilevante per le ipotesi in cui per la rilevanza della condotta ai fini penali sia prevista una soglia di valore: per le condotte evasive che si attestano al di sotto della soglia di rilevanza penale varrebbe sempre e comunque il regime probatorio, con oneri ripartiti su entrambe le parti del giudizio, previsto nel processo tributario; invece, per le evasioni più gravi, qualora l'esito del giudizio penale si risolvesse nella prova del mancato superamento della soglia (o anche la mancata prova del superamento), troverebbe applicazione il regime probatorio previsto per il processo penale.

Da ciò deriverebbe un irreparabile vulnus al principio di uguaglianza e di ragionevolezza posto che per le evasioni di più limitata entità (non suscettibili di rilevanza penale) varrebbe l'ordinario (e più rigoroso) regime probatorio del giudizio tributario, mentre per quelle più gravi la parte potrebbe fruire del regime proprio del giudizio penale.

25.3. La connotazione dell'intervento normativo come mirato sui soli profili sanzionatori, peraltro, appare idonea, per le considerazioni sopra illustrate, a superare tali possibili criticità.

Infatti, l'estensione ai fini del solo trattamento sanzionatorio trova il suo fondamento nella necessità di assicurare una unitarietà del momento afflittivo, che deve rispondere a criteri di non contraddizione, adeguatezza e proporzionalità, mentre l'imposizione è - in ogni caso - soggetta all'ordinario regime probatorio, sicché resta esclusa una ingiustificata divaricazione e differenziazione tra i contribuenti.

25.4. Pure il secondo profilo - la mancata partecipazione al giudizio penale dell'Agenzia delle entrate - resta superato ove l'art. 21-bis sia inteso come limitato alla sfera sanzionatoria.

Occorre premettere, in primo luogo, che, controvertendosi solo sulle sanzioni e sulla loro esistenza e/o dosimetria, costituisce un dato fisiologico l'intervento ultimo, anche d'ufficio, da parte del giudice tributario, dovendo egli, in ogni caso, tenere conto delle sanzioni precedentemente irrogate ("comunque introdotti davanti a giudici diversi") già ai sensi dell'art. 12, comma 5, D.Lgs. n. 472 del 1997.

In ogni caso, l'art. 21-bis prefigura un intervento (e una valutazione) sulle sanzioni che non si differenzia da quello previsto dall'art. 21 D.Lgs. n. 74 del 2000, di cui è onerato direttamente l'erario per l'esecuzione e la riscossione dei relativi importi.

In altri termini, l'art. 21-bis anticipa alla fase di cognizione ciò che l'Amministrazione finanziaria dovrà comunque effettuare in un momento successivo.

Del resto, il medesimo intervento presidia anche la valutazione, di segno contrario, che è sottostante alle determinazioni sul cumulo sanzionatorio ex art. 21-ter D.Lgs. n. 74 del 2000.

Anche qui, dunque, ha valore dirimente la circostanza che la rilevabilità della sentenza penale nel giudizio tributario non attiene alla pretesa impositiva ma alla sanzione, la cui effettività, proporzionalità e consistenza costituisce un accertamento rimesso costantemente - in ogni fase processuale e procedimentale - alla stessa Amministrazione fiscale, restando priva di rilievo la circostanza che essa non abbia partecipato, in una qualche veste, al processo penale.

26. Va pertanto affermato il seguente principio di diritto:

"L'art. 21-bis D.Lgs. n. 74 del 2000, introdotto con l'art. 1, D.Lgs. n. 87 del 2024, poi recepito nell'art. 119 T.U. della giustizia tributaria, in base al quale la sentenza penale dibattimentale di assoluzione, con le formule perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto, ha, nel processo tributario, efficacia di giudicato quanto ai fatti materiali, si riferisce, alla luce di una interpretazione letterale, sistematica, costituzionalmente orientata e in conformità ai principi unionali, esclusivamente alle sanzioni tributarie e non all'accertamento dell'imposta, rispetto alla quale la sentenza penale assolutoria ha rilievo come elemento di prova, oggetto di autonoma valutazione da parte del giudice tributario unitamente agli altri elementi di prova introdotti nel giudizio".

27. Alla luce di quanto sopra, pertanto, va disattesa, in primo luogo, l'istanza di rinvio non essendo ancora passata in giudicato la sentenza penale della Corte d'Appello depositata in atti.

In accoglimento del ricorso, inoltre, la sentenza va cassata con rinvio, anche per le spese, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia in diversa composizione, che, nell'effettuare un nuovo esame, si atterrà, anche con riguardo alla decisione penale ove divenuta irrevocabile, ai principi enunciati in motivazione.

P.Q.M.

La Corte, in accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia in diversa composizione per un nuovo esame in conformità ai principi enunciati in motivazione e per la liquidazione delle spese di legittimità.

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2025.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2025.

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