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Avvocato non deposita i documenti, quando scatta il risarcimento?

Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.475 del 09/01/2025

Se un avvocato omette di depositare dei documenti in un processo, risponde sempre del risarcimento del danno nei confronti del suo cliente?

Della questione si è occupata recentemente la Cassazione con l'ordinanza n. 475 del 9 gennaio 2025.

Il caso di specie

Un ex dipendente di Poste Italiane aveva accusato il suo avvocato di inadempimento professionale, perché non aveva depositato alcuni documenti in giudizio. Tale mancata produzione, secondo il cliente, aveva influito negativamente sull’esito di una causa riguardante l'illegittimità di contratti di lavoro a termine. La Corte d’Appello di Lecce ha respinto la domanda, sottolineando che il cliente aveva scelto di concludere un accordo transattivo invece di proseguire con il ricorso. Inoltre, secondo i giudici, anche in caso di deposito dei documenti mancanti, l'esito del processo non sarebbe cambiato.

I principi di diritto

La Cassazione ha individuato tre condizioni per accertare la responsabilità risarcitoria:

  1. La semplice omissione processuale non è sufficiente a determinare la responsabilità dell’avvocato.

  2. Perché il danno sia risarcibile, il cliente deve dimostrare il nesso causale tra l'omissione e il danno subito, provando che l'atto mancante avrebbe modificato l’esito del processo.

  3. L’esistenza di più rationes decidendi, ciascuna sufficiente a sostenere una sentenza, rende irrilevante l'eventuale errore professionale se questo non è stato decisivo.

L'applicazione al caso concreto

Nel caso esaminato, il ricorrente non è riuscito a dimostrare che l'omissione del legale avesse avuto un ruolo determinante nel rigetto della domanda. La Corte ha evidenziato che:

  • La decisione di non impugnare la sentenza sfavorevole è stata una libera scelta del cliente, interrompendo il nesso causale tra l’errore professionale e il danno lamentato.

  • Il giudizio prognostico ha escluso che, anche con il deposito dei documenti, il risultato sarebbe stato diverso, considerando fattori come il tempo trascorso tra la cessazione del rapporto di lavoro e l’azione giudiziaria.

Le spese processuali

Un ulteriore aspetto affrontato dall’ordinanza riguarda le spese processuali. La Cassazione ha confermato che:

  • Il principio di soccombenza impone alla parte perdente di rimborsare le spese processuali alla parte vincente, salvo casi di evidente arbitrarietà nella chiamata in causa di terzi.

  • Nel caso specifico, la chiamata in garanzia dell’assicuratore da parte del legale non è stata ritenuta abusiva o irragionevole.

Conclusione

La pronuncia ribadisce che la responsabilità degli avvocati deve essere valutata con rigorosa attenzione alle circostanze concrete, evitando automatismi risarcitori. Perché un legale sia ritenuto responsabile, occorre dimostrare che la sua condotta abbia effettivamente causato un danno concreto e quantificabile. In mancanza di tale prova, non è possibile affermare una responsabilità risarcitoria.

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Cassazione civile sez. III, ordinanza 09/01/2025 (ud. 22/11/2024) n. 475

FATTI DI CAUSA

Co.Fr. ha agito in giudizio nei confronti dell'avvocato G.E per ottenere il risarcimento del danno che assume di avere subito in conseguenza del non corretto adempimento dell'incarico professionale allo stesso conferito (a causa dell'omesso deposito di documenti a suo dire decisivi ai fini dell'esito del giudizio), in relazione ad un giudizio nei confronti di Poste Italiane Spa diretto a fare accertare la illegittimità dei contratti di lavoro a termine da lui stipulati con tale società. Il professionista convenuto ha chiamato in giudizio la propria assicuratrice della responsabilità civile UNIPOLSAI ASSICURAZIONI Spa, per essere garantito in caso di soccombenza. La domanda del Co.Fr. è stata rigettata dal Tribunale di Lecce. La Corte d'Appello di Lecce ha confermato la decisione di primo grado.

Ricorre il Co.Fr., sulla base di due motivi. Resistono con distinti controricorsi lo Ia.Gi. e UNIPOLSAI ASSICURAZIONI Spa

È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380-bis 1 c.p.c. Parte ricorrente ed il controricorrente Ia.Gi. hanno depositato memorie ai sensi dell'art. 380-bis 1 c.p.c. Il Collegio si è riservato il deposito dell'ordinanza decisoria nei sessanta giorni dalla data della camera di consiglio.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia "Violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in tema di responsabilità dell'avvocato per condotta omissiva. Disapplicazione delle norme e dei principi contenuti negli artt. 1176 c.c., comma 2, 2236 c.c. e 1223 c.c. (art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.)".

Il ricorrente contesta l'affermazione della Corte d'Appello secondo cui la mancata proposizione del ricorso per cassazione avverso la sentenza di rigetto in appello della sua domanda e la decisione di concludere un accordo transattivo con la controparte sarebbero state sue libere scelte, tali da interrompere il nesso di causa tra l'inadempimento del professionista (relativo all'omesso deposito di documenti che si assumono decisivi ai fini dell'esito del giudizio di merito) e il danno dedotto. A suo dire, infatti, il ricorso per cassazione non avrebbe avuto, comunque, concrete possibilità di successo, a causa dell'errore professionale del convenuto. Contesta inoltre le affermazioni della Corte d'Appello in ordine all'entità del risarcimento che avrebbe potuto conseguire in caso di esito vittorioso del giudizio.

Il motivo è inammissibile.

1.1 In realtà, la sentenza impugnata risulta fondata su una duplice ratio decidendi.

La Corte d'Appello ha effettivamente affermato quanto segue, in ordine alla condotta dell'attore: "il Co.Fr.,…… che ben avrebbe potuto impugnare la sentenza ha quindi, preferito poi concludere un accordo transattivo con Poste Italiane Spa"; "… in ogni caso il risarcimento richiesto sarebbe stato nettamente ridimensionato, rispetto alla originaria domanda, per effetto della normativa entrata in vigore nelle more del giudizio (art. 32 L. 183/2010)… "; "… la scelta di non proporre gravame avverso la sentenza di appello è una condotta, ascrivibile unicamente al cliente, che vale ad interrompere il nesso causale fra l'omissione posta in essere dal difensore ed il mancato riconoscimento di una somma a titolo di risarcimento del danno". Ha, peraltro, immediatamente dopo aggiunto, altresì, quanto segue: "Va considerato anche, sempre nell'ottica della ragione più liquida, che il giudizio prognostico sull'esito, che avrebbe potuto avere l'attività professionale omessa, porta ad escludere che il Co.Fr. avrebbe potuto ottenere, anche ove l'omissione non ci fosse stata, il risarcimento del danno come reclamato, tenuto conto che la Corte di Appello di Roma ha fondato il rigetto della domanda su due diverse ragioni, e quindi sia sull'omesso deposito della documentazione (finalizzata ad accertare se il Co.Fr. nelle more della ricostituzione del rapporto di lavoro con Poste Italiane, avesse comunque svolto un'attività lavorativa retribuita) ma anche sul fatto che fosse intercorso un notevole lasso di tempo (quattro anni e mezzo) fra la scadenza del secondo contratto (1999) e l'iniziativa del lavoratore a distanza di quattro anni e mezzo (2004), con l'invio della offerta della propria prestazione lavorativa da parte del Co.Fr., mettendo in mora il datore di lavoro, essendo tale arco temporale, se non certamente ed univocamente sintomatico della volontà di porre fine al rapporto di lavoro, comunque valutabile - così come l'omesso deposito della documentazione - con riferimento alla domanda di risarcimento, come argomento di prova di per sé idoneo a far ritenere che, il Co.Fr. avesse reperito nel frattempo altra occupazione lavorativa ritraendone un reddito "tale da escludere con riferimento a tale periodo l'esistenza di un danno del quale pretende il risarcimento" (sent. n. 9147/2009 della C. Appello Roma). Alla luce di tale motivazione della sentenza non sembra che l'omessa produzione dei documenti, di cui si discute, abbia avuto un'efficacia decisiva ai fini del rigetto della domanda risarcitoria, concorrendo invece anche con tale diversa considerazione, sicché conseguentemente, resta confermato e non intaccato dall'appello, il passaggio della motivazione in cui il giudice, ritiene che difetti la prova nel nesso causale fra l'omissione del difensore e il danno, per omesso accoglimento della domanda risarcitoria…". Queste ultime affermazioni costituiscono una autonoma ratio decidendi, da sola idonea a sostenere la statuizione impugnata: con esse, la Corte d'Appello ha, infatti, sostanzialmente negato che l'omissione posta in essere dal professionista officiato, nel corso del giudizio di secondo grado, potesse considerarsi l'effettiva causa del rigetto della domanda del cliente assistito, ciò che rende del tutto irrilevanti, ai fini dell'esito del giudizio, le ulteriori questioni in ordine alla mancata proposizione del ricorso per cassazione, alla stipulazione, da parte di quest'ultimo, di un accordo transattivo con la società datrice di lavoro ed all'entità del danno che avrebbe potuto essergli liquidato in caso di esito vittorioso del giudizio.

E, sotto tale aspetto, è appena il caso di precisare che non potrebbe certo attribuirsi il rilievo decisivo che pretende il ricorrente alla circostanza che fosse stata proprio la Corte d'Appello, in fase istruttoria, a richiedere la produzione della documentazione (dichiarazioni dei redditi) il cui omesso deposito è imputato al professionista convenuto, dal momento che i provvedimenti istruttori non possono in alcun modo pregiudicare la decisione finale nel merito della controversia, che trova espressione esclusivamente nella motivazione della sentenza che definisce il giudizio.

1.2 Tanto premesso, va osservato che, secondo la giurisprudenza da tempo consolidata di questa Corte, qualora una sentenza di merito si fondi su più ragioni autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione, l'omessa impugnazione, con ricorso per cassazione, anche di una soltanto di tali ragioni, determina l'inammissibilità (per difetto di interesse e/o per l'avvenuto passaggio in giudicato della decisione) anche dell'impugnazione proposta avverso le altre, in quanto l'eventuale accoglimento del ricorso non inciderebbe sulla "ratio decidendi" non censurata, con la conseguenza che la sentenza impugnata resterebbe, pur sempre, fondata su di essa (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 3951 del 18/04/1998, Rv. 514600 - 01; più di recente: Cass., Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016, Rv. 639158 - 01; Sez. 1, Sentenza n. 18641 del 27/07/2017, Rv. 645076 - 01; Sez. 6 -3, Ordinanza n. 16314 del 18/06/2019, Rv. 654319 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 13880 del 06/07/2020, Rv. 658309 - 01; Sez. 3, Ordinanza n. 5102 del 26/02/2024, Rv. 670188 - 01; Sez. N U, Ordinanza n. 20107 del 22/07/2024, Rv. 671761 - 01). Da Analogamente è a dirsi laddove una delle due rationes decidendi da sole sufficienti a giustificare la decisione non sia efficacemente censurata.

1.3 Nel caso di specie, con riguardo alla seconda richiamata autonoma ratio decidendi della sentenza impugnata, il ricorrente si limita a sostenere che essa sarebbe "errata", senza neanche spiegarne le ragioni.

Si tratta, peraltro, di un accertamento di fatto in ordine all'insussistenza del nesso di causa tra inadempimento e danno, sostenuto da adeguata motivazione, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non sindacabile nella presente sede e, comunque, di un accertamento non oggetto di censure sufficientemente specifiche ma semplicemente di una apodittica ed assertiva confutazione priva di argomentazioni, come tale di per sé inammissibile. In definitiva, quindi, le censure di cui al motivo di ricorso in esame, in relazione ad una ratio decidendi da sola sufficiente a sostenere la decisione, si risolvono nella contestazione di insindacabili accertamenti di fatto operati dai giudici di merito e nella richiesta di una nuova e diversa valutazione delle prove, il che non è consentito nel giudizio di legittimità. Ne consegue l'inammissibilità del motivo di ricorso in esame.

2. Con il secondo motivo si denunzia "violazione di legge e falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c. in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3)".

Il motivo è infondato.

2.1 In primo luogo, con riguardo alla censura avente ad oggetto la mancata compensazione delle spese, è sufficiente osservare che la corte di appello ha correttamente applicato il disposto dell'art. 91 c.p.c., secondo il quale la parte soccombente va condannata al rimborso delle spese in favore di quella vittoriosa (cd. principio di soccombenza): non vi è dubbio, infatti, che la soccombenza della parte attrice sia stata integrale, avendo rilievo sotto tale aspetto esclusivamente l'accoglimento o il rigetto della domanda proposta, non l'esito delle eventuali questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 5373 del 05/04/2003, Rv. 561926 - 01; Sez. 6 - 2, Sentenza n. 18503 del 02/09/2014, Rv. 632108 - 01). Del resto, la facoltà di disporre la compensazione delle spese processuali tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l'eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 14989 del 15/07/2005, Rv. 582306 - 01; conf., in precedenza: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 851 del 01/03/1977, Rv. 384463 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 1898 del 11/02/2002, Rv. 552178 - 01; Sez. L, Sentenza n. 10861 del 24/07/2002, Rv. 556171 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 10009 del 24/06/2003, Rv. 564510 - 01; Sez. 1, Sentenza n. 17692 del 28/11/2003, Rv. 572524 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 6756 del 06/04/2004, Rv. 571882 - 01; successivamente: Sez. 3, Sentenza n. 22541 del 20/10/2006, Rv. 592581 - 01; Sez. 1, Sentenza n. 28492 del 22/12/2005, Rv. 585748 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 7607 del 31/03/2006, Rv. 590664 - 01; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 26912 del 26/11/2020, Rv. 659925 - 01). 2.2 Per quanto riguarda la censura relativa alla statuizione di condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali anche in favore della compagnia assicurativa chiamata in causa dal convenuto, sebbene, a suo dire, si trattasse di domanda virtualmente infondata, la decisione impugnata è, inoltre, conforme all'indirizzo consolidato di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, e che il ricorso non offre ragioni idonee ad indurre a rimeditare, secondo il quale non è sufficiente la d virtuale infondatezza della domanda di garanzia proposta nei confronti del terzo chiamato in causa da parte del convenuto, e rimasta assorbita per il rigetto della principale, a giustificare l'omessa condanna dell'attore soccombente al pagamento delle spese processuali sostenute dal chiamato stesso. È, invece, necessario che la chiamata in garanzia (non sia semplicemente virtualmente infondata, ma) risulti addirittura del tutto arbitraria, in quanto priva di una logica e ragionevole connessione con la domanda principale, al punto da potersi ritenere del tutto eccentrica rispetto alla stessa e da costituire, quindi, un vero e proprio abuso dello strumento processuale e del diritto di difesa, dal momento che "in forza del principio di causazione - che, unitamente a quello di soccombenza, regola il riparto delle spese di lite - il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia dal convenuto deve essere posto a carico dell'attore qualora la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall'attore stesso e queste siano risultate infondate, a nulla rilevando che l'attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda; il rimborso rimane, invece, a carico della parte che ha chiamato o fatto chiamare in causa il terzo qualora l'iniziativa del chiamante, rivelatasi manifestamente infondata o palesemente arbitraria, concreti un esercizio abusivo del diritto di difesa" (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 31889 del 06/12/2019, Rv. 655979 - 02; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 18710 del 01/07/2021, Rv. 661752 - 01; Sez. 1, Ordinanza n. 10364 del 18/04/2023, Rv. 667650 - 01; Sez. 3, Ordinanza n. 6144 del 07/03/2024, Rv. 670458 - 01).

Nella specie, il ricorrente si duole del fatto che "i Giudici di merito hanno omesso di considerare se, nell'ipotesi di accoglimento della domanda formulata dall'odierno ricorrente nei confronti dell'Avv. Ia.Gi., la domanda di manleva sarebbe stata accolta o respinta" e sostiene che, in realtà, la domanda di garanzia avanzata dal convenuto non avrebbe potuto trovare accoglimento, se non fosse rimasta assorbita, in virtù delle eccezioni avanzate in proposto dalla compagnia chiamata. Ma le ragioni da lui allegate a sostegno di tale ultimo assunto non risultano effettivamente idonee a consentire di affermare che la chiamata del terzo, sulla base della prospettazione (ex ante) dei fatti allegati a fondamento della domanda di parte attrice e delle difese della parte convenuta, fosse addirittura del tutto arbitraria, in quanto priva di una logica e ragionevole connessione con tale domanda, al punto da potersi ritenere del tutto eccentrica rispetto alla stessa e da costituire, quindi, un vero e proprio abuso dello strumento processuale e del diritto di difesa.

3. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo. Non sussistono invece, a giudizio della Corte, i presupposti per la condanna del ricorrenti, nella presente sede, ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione) di cui all'art. 13, co. 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.

P.Q.M.

La Corte:

- rigetta il ricorso;

- condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, liquidandole:

a) in favore del controricorrente Ia.Gi., in complessivi Euro 6.300,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge;

b) in favore della controricorrente UNIPOLSAI ASSICURAZIONI Spa, in complessivi Euro 5.800,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione) di cui all'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, per il versamento al competente ufficio di merito, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 22 novembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2025.

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