I post pubblicati su Facebook possono essere usati come prova per dimostrare la natura fittizia di un divorzio?
La risposta arriva dalla Cassazione civile, ordinanza n. 8259 del 2025, che affronta il caso di una separazione e divorzio simulati per sottrarre beni al Fisco.
Marito e moglie promuovono un procedimento di separazione consensuale, con condizioni favorevoli alla moglie (trasferimento di un immobile, denaro e intestazione di una Porsche Cayenne alla madre di lei). Dopo la separazione, chiedono anche il divorzio, ma continuano a convivere. Pochi mesi prima, il marito riceve un avviso di accertamento per un debito fiscale di circa 500.000 euro.
La Procura scopre su Facebook numerosi post e immagini che dimostrano la persistenza della convivenza e della comunione di interessi tra i due. Le prove raccolte comprendono:
un post del marito in cui definisce "ex moglie" la donna ritratta ma poi chiarisce che è ancora la sua compagna
fotografie di viaggi insieme a Parigi e Venezia
frequentazioni comuni con amici e familiari
La Polizia Giudiziaria documenta anche, con appostamenti, che il marito frequenta abitualmente, anche di notte, l'abitazione della ex moglie, mentre l'altra casa (quella della nuova residenza formale) risulta disabitata.
Secondo l'art. 11 del D.Lgs. 74/2000, gli atti dispositivi compiuti dall'obbligato sono fraudolenti quando risultano idonei ad eludere l'esecuzione esattoriale e sono accompagnati da elementi di artificio o inganno. La giurisprudenza ha più volte chiarito che anche la separazione o il divorzio possono integrare atti simulati se servono a mascherare la reale disponibilità dei beni.
La Cassazione conferma che, quando la separazione contiene trasferimenti patrimoniali lesivi per i creditori, questi possono essere impugnati con l'azione revocatoria. Anche se l'accordo è stato omologato dal giudice o recepito in una sentenza di separazione giudiziale, rimane un atto negoziale e quindi suscettibile di revoca.
Nel caso concreto, la Cassazione convalida l'accertamento della natura fraudolenta degli atti di separazione e divorzio, sottolineando il ruolo centrale dei social network come elementi probatori. I post su Facebook sono utilizzabili per dimostrare la mendacità delle dichiarazioni rese dai coniugi e la persistenza di una vita comune.
La Corte accoglie la ricostruzione della Procura, che dimostra una strategia complessiva volta a sottrarre beni al Fisco, anche grazie alla disponibilità di elementi pubblicamente visibili online.
I social possono tradire. Anche un post apparentemente innocuo può diventare una prova schiacciante se dimostra che il divorzio è solo sulla carta.
Cosa ci portiamo a casa? Quando il fisco è alle porte, meglio non fare i furbi con separazioni fittizie e nemmeno con i social: Facebook, più che un diario, può diventare un testimone scomodo.
E ricordate: se davvero volete separarvi, separatevi anche dal profilo condiviso!
Cassazione civile, sez. trib., ordinanza 28/03/2025 (ud. 30/01/2025) n. 8259
RILEVATO CHE:
1. In controversia avente ad oggetto l'impugnazione di una cartella di pagamento emessa nei confronti dell'avv. De.An., che lamentava l'irregolare notifica degli atti prodromici, ovvero di due avvisi di accertamento emessi nei confronti della predetta contribuente per omesso versamento dell'IVA, IRAP ed IRPEF relativamente agli anni d'imposta 2005 e 2006, la CTR (ora Corte di giustizia tributaria di secondo grado) della Sicilia accoglieva l'appello dell'Ufficio avverso la sfavorevole sentenza di primo grado ritenendo corrette le modalità di notifica dei predetti avvisi di accertamento.
1.1. Al riguardo sosteneva che dagli "atti della notifica" risultava "che l'avviso di accertamento ha quale mittente l'Agenzia delle Entrate di T territorialmente competente e quale destinatario l'appellata presso il suo indirizzo di residenza. La relata di notifica contiene la dichiarazione che lo stesso viene spedito in data 30/6/2010 dall'Ufficio Postale di T a mezzo di racc. a.r. la ricevuta di ritorno contiene il timbro dell'Ufficio Postale di C. La sentenza (di primo grado) ha ritenuto che questa diversa presenza di uffici postali costituisse una prova della non compiuta regolare notifica dell'atto accertativo. Sul punto l'Ufficio nel suo appello chiarisce che l'invio della raccomandata dall'Ufficio postale di T a quello di C, che ne ha curato la consegna, è stato effettuato solo perché tale secondo ufficio, appartenente comunque al distretto di T, risultava più vicino territorialmente all'indirizzo di residenza del destinatario. Quanto chiarito in sede di appello mette in evidenza come abbia errato la CTP a considerare non valida la notifica, basando il suo convincimento in gran parte sulla presenza di un timbro di diverso ufficio postale rispetto a quello di trasmissione, senza tenere conto che lo stesso era relativo ad un ufficio appartenente allo stesso distretto di quello di spedizione e quindi idoneo ad effettuare la notifica richiesta. Essendosi perfezionata la notifica degli atti di accertamento tramite regolare invio con servizio postale, conseguentemente l'iscrizione a ruolo risulta eseguita nei termini di cui all'art. 25 del D.P.R. 602/73, pertanto risulta dovuto l'importo portato dalle cartelle notificate".
2. Avverso tale statuizione la contribuente propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati con memoria.
3. L'Agenzia delle entrate si costituisce al solo fine dell'eventuale partecipazione all'udienza di discussione della causa mentre resta l'intimato l'agente della riscossione.
CONSIDERATO CHE:
1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce, la "Violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 14 e 8 della L. n. 890 del 1982 in relazione all'art. 360 primo comma n. 3 c.p.c. e violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. con riferimento all'art. 360 primo comma n. 4 c.p.c.".
1.1. Riferisce la ricorrente di aver dedotto in appello che la relata di notifica degli avvisi di accertamento contenevano la dichiarazione che gli stessi venivano spediti in data 30/06/2010 dall'ufficio postale di T a mezzo raccomandata postale, ma "gli avvisi di ricevimento di quelle raccomandate spedite, nella parte relativa alle espletate formalità per il recapito della raccomandata, non recavano il timbro dell'ufficio postale di T, bensì quello del diverso ufficio postale del Comune di C, che non è l'ufficio postale del Comune di residenza della destinataria, ed al cui agente postale sono state erroneamente affidate le formalità di notifica, in violazione dei diritti di difesa della contribuente che, difatti, non ha mai saputo dell'esistenza di tali avvisi".
1.2. Sostiene che la statuizione d'appello è "del tutto disancorata dai principi che legislativamente regolano il procedimento di notificazione degli atti giudiziari a mezzo posta"; che, a fronte di un'eccezione o di una domanda ritualmente proposta, "il Giudice di secondo grado non può liquidare le questioni sottoposte ad esame, con una mera affermazione bensì in applicazione dell'art. 112 c.p.c. il Giudice del merito deve esaminare la doglianza in corrispondenza della relativa decisione resa sul punto dal Giudice di primo grado, per non incorrere nella violazione della mancanza di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, che integra un difetto di attività del Giudice di secondo grado"; infine, che "la CTR è incorsa in un macroscopico difetto di motivazione, nella misura in cui ha di fatto omesso totalmente, di specificare con percorso logico argomentativo coerente con le disposizioni di legge che regolano la materia e le ragioni di diritto dell'accoglimento dell'appello dell'Ufficio".
2. Le censure di violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. per mancanza di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato è manifestamente infondata posto che la CTR ha pronunciato sul motivo di appello proposto dall'ente impositore, specificamente indicato nella parte relativa allo svolgimento del processo della sentenza impugnata ed incentrato sulla regolarità della notifica degli atti prodromici alla cartella di pagamento impugnata, restando del tutto irrilevante, rispetto a tale censura, la correttezza o meno del decisum.
3. Analogamente infondata è la censura di motivazione apparente pure proposta dalla ricorrente avendo la CTR esternato le ragioni che l'avevano indotta a ritenere corretta la notifica degli avvisi di accertamento. Ha infatti affermato di non condividere la tesi sostenuta dai giudici di primo grado che avevano erroneamente basato il proprio convincimento "sulla presenza di un timbro di diverso ufficio postale rispetto a quello di trasmissione, senza tenere conto che lo stesso era relativo ad un ufficio appartenente allo stesso distretto di quello di spedizione e quindi idoneo ad effettuare la notifica richiesta".
3.1. La motivazione della sentenza impugnata si pone, quindi, ben al di sopra del "minimo costituzionale" di cui all'art. 111, sesto comma, Cost. (cfr. Cass., Sez. U, n. 8053 del 2014, nonché, tra le tante: Cass., Sez. 1, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6 - 5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6 - 5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5, 13 aprile 2021, n. 9627; Cass., Sez. 6 - 5, 28829 del 2021), avendo la CTR reso una chiara ed esaustiva esposizione delle ragioni che l'avevano indotta ad accogliere l'appello dell'Ufficio esprimendo argomentazioni pienamente intellegibili e logicamente correlate all'oggetto del gravame devoluto.
4. Infondata è anche la dedotta violazione di legge.
4.1. Nella specie è pacifico che la notifica degli avvisi di accertamento sia stata effettuata direttamente dall'Agenzia delle entrate di T a mezzo raccomandata postale ed è altrettanto pacifico che gli atti impositivi siano stati spediti in data 30/06/2010 dall'ufficio postale di T, che il recapito sia stato espletato dall'ufficio postale del Comune di C con il rito dell'irreperibilità relativa del destinatario, assente al momento dell'accesso dell'ufficiale postale.
4.2. È, peraltro, incontestato, nulla avendo dedotto al riguardo la ricorrente, che non ha contestato l'accertamento in fatto compiuto al riguardo dai giudici di appello, che l'ufficio postale di C appartiene al distretto di T e che lo stesso è quello "più vicino territorialmente all'indirizzo di residenza del destinatario".
4.3. Ciò premesso in fatto, deve osservarsi in diritto che la disciplina della "notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente" è contenuta nell'art. 14 della L. n. 890 del 1982, che prevede espressamente, nella prima parte del comma 1, che essa "sia eseguita" (di regola) "a mezzo della posta, direttamente dagli uffici finanziari" e solo "ove ciò risulti impossibile, a cura degli ufficiali giudiziari, dei messi comunali ovvero dei messi speciali autorizzati dall'Amministrazione finanziaria, secondo le modalità previste dalla presente legge" (cfr., in motivazione, Cass. n. 15060 del 2024, non massimata).
4.4. L'art. 8, comma 2, della legge n. 890 del 1982, applicabile al caso di specie in quanto disciplinante la notifica a destinatario "assente", com'è nel caso in esame, dispone che, "Se le persone abilitate a ricevere il piego, in luogo del destinatario, rifiutano di riceverlo, ovvero se l'agente postale non può recapitarlo per temporanea assenza del destinatario o per mancanza, inidoneità o assenza delle persone sopra menzionate, il piego è depositato lo stesso giorno presso l'Ufficio preposto alla consegna o presso una sua dipendenza. Del tentativo di notifica del piego e del suo deposito presso l'Ufficio postale o una sua dipendenza è data notizia al destinatario, a cura dell'agente postale preposto alla consegna, mediante avviso in busta chiusa a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento che, in caso di assenza del destinatario, deve essere affisso alla porta d'ingresso oppure immesso nella cassetta della corrispondenza dell'abitazione, dell'Ufficio o dell'azienda. L'avviso deve contenere l'indicazione del soggetto che ha richiesto la notifica e del suo eventuale difensore, dell'ufficiale giudiziario al quale la notifica è stata richiesta e del numero di registro cronologico corrispondente, della data di deposito e dell'indirizzo dell'Ufficio postale o della sua dipendenza presso cui il deposito è stato effettuato, nonché l'espresso invito al destinatario a provvedere al ricevimento del piego a lui destinato mediante ritiro dello stesso entro il termine massimo di sei mesi, con l'avvertimento che la notificazione si ha comunque per eseguita trascorsi dieci giorni dalla data del deposito e che, decorso inutilmente anche il predetto termine di sei mesi, l'atto sarà restituito al mittente. (…) La notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata di cui al secondo comma ovvero dalla data del ritiro del piego, se anteriore".
4.5. Tale disposizione, pertanto, consente espressamente il deposito del plico presso una dipendenza dell'Ufficio postale preposto alla consegna.
4.6. Ed è quello che è avvenuto nel caso di specie in cui la raccomandata è stata spedita dall'Ufficio postale di T, competente territorialmente in ragione della residenza della destinataria, ma il successivo deposito del plico non recapitato è stato effettuato presso un ufficio postale, quello del comune di C, costituente dipendenza di quello di T, perché rientrante nello stesso distretto, in quanto più vicino all'indirizzo di residenza della destinataria.
4.7. Ed è proprio nell'ottica di agevolare il ritiro del plico da parte del destinatario della raccomandata postale non consegnatagli per sua temporanea assenza, che deve interpretarsi tale disposizione là dove consente, appunto, all'ufficio postale di spedizione di depositare il plico presso una propria dipendenza che, ovviamente, non può che essere quello più vicino all'indirizzo di residenza del destinatario.
4.8. Ed è ciò che è avvenuto nel caso di specie, con la conseguenza che, non solo è pienamente rispettato il dettato normativo, ma la ricorrente non può certo lamentare la violazione di diritti di difesa, di cui neanche esplicita la tipologia, quando invece alla stessa è sicuramente imputabile la violazione dei doveri di collaborazione che deve imperniare, sempre, i rapporti tra amministrazione finanziaria e contribuente.
4.9. Peraltro, a conferma di quanto si è detto circa la finalità di quella disposizione, si pone l'intervento legislativo operato con la legge del 27/12/2017, n. 205, che ha modificato l'art. 8, comma 1, della legge n. 890 del 1982, che ora prevede che il plico debba essere depositato "presso il punto di deposito più vicino al destinatario".
4.10. Il motivo di ricorso in esame va, pertanto, rigettato.
5. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la "Violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 e c c e art. 115 c.c. in relazione all'art. 360 comma primo n. 3 e 4 c.p.c. e Violazione e falsa applicazione dell'art. 115 c.p.c. c in relazione all'art. 360 comma primo n. 4 e 5 c.p.c., per omessa valutazione delle prove di un fatto decisivo della controversia che ha formato oggetto di discussione tra le parti in relazione all' art 360 comma primo n. 4 e difetto assoluto di motivazione". Motivo con cui la ricorrente lamenta che "la decidente CTR, ancorando la propria decisione sul mero assiomatico assunto contenuto nell'atto di impugnazione dell'Ufficio ha omesso di specificare le ragioni che l'hanno indotta a discostarsi dal compiuto accertamento effettuato dalla CTP in primo grado in ordine alla prova dell'omessa notifica sulla scorta della documentazione in atti. La CTR avrebbe dovuto chiarire il motivo per il quale la CTP avrebbe errato nel considerare non valida la notifica, a maggior ragione in quanto il detto collegio di secondo grado non ha potuto fare a meno di affermare che la cartolina dell'avviso di ricevimento reca il timbro postale di C. Inoltre, il Collegio di appello avrebbe dovuto spiegare perché quella stessa documentazione, esaminata dalla CTP non potesse ritenersi sufficiente a dimostrare che il procedimento notificatorio a mezzo posta risultava inesorabilmente viziato per inosservanza delle formalità di legge".
5.1. Il motivo resta assorbito.
6. Non deve provvedersi sulle spese processuali in quanto l'agente della riscossione è rimasto intimato mentre l'Agenzia delle entrate non ha svolto difese scritte.
P.Q.M.
rigetta il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2025.
Depositata in cancelleria il 28 marzo 2025.