È possibile imputare al gestore autostradale la responsabilità per un sinistro mortale, posto che l'assenza di barriere guard-rail ha contribuito ad aggravare le conseguenze dell'incidente?
Sulla questione è intervenuta la Cassazione, sez. III, con l'ordinanza n. 882 del 14 gennaio 2025.
Il caso
L'incidente è avvenuto su un tratto autostradale costruito nel 1969, mai sottoposto a significative opere di manutenzione straordinaria. La Fiat Bravo coinvolta, tamponata da un’Audi A4, ha perso il controllo finendo in una scarpata priva di protezioni laterali, aggravando le conseguenze del sinistro.
La normativa in materia
Secondo l’art. 2051 c.c., il custode è responsabile dei danni cagionati dalla cosa in custodia, salvo prova del caso fortuito.
In particolare, l’assenza del guardrail rappresenta una violazione delle regole di comune prudenza (colpa generica), anche se il Decreto Ministeriale n. 223/1992 non obbligava l'adeguamento del tratto stradale.
La Cassazione ha inoltre richiamato l’art. 14 del Codice della Strada, che impone al gestore autostradale di garantire la sicurezza della circolazione, attraverso il controllo e la manutenzione delle strade e delle loro pertinenze. Non basta quindi il rispetto formale delle norme (colpa specifica) per escludere responsabilità, ma occorre valutare concretamente se il tratto autostradale rappresenti un rischio.
L’applicazione al caso concreto
La Corte d’Appello e la Cassazione hanno stabilito che l'installazione di una barriera protettiva avrebbe potuto contenere il veicolo e prevenire l’esito mortale. Autostrade per l’Italia non ha dimostrato l'esistenza di un caso fortuito che escludesse il nesso causale tra l'assenza del guardrail e il danno subito.
Secondo i Giudici, il gestore autostradale aveva l’onere di adottare misure idonee per prevenire situazioni di pericolo, anche su un tratto di strada vecchio. L'interruzione del guardrail in corrispondenza di una scarpata altamente pericolosa è stata giudicata una mancanza grave, inserendosi nella catena causale che ha contribuito al ribaltamento dell’auto.
La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di Autostrade per l’Italia, confermando la condanna di Autostrade per l'Italia al risarcimento di 150.000 euro per un incidente che ha causato due vittime, aggravato dall’assenza di un guardrail.
Conclusioni
L’obbligo di vigilanza e manutenzione delle infrastrutture stradali non può essere limitato alle sole norme tecniche, ma deve garantire una sicurezza effettiva per gli utenti. Questa pronuncia rafforza il principio per cui la responsabilità del gestore stradale è oggettiva e non dipende dalla sola presenza di specifiche prescrizioni normative.
Cassazione civile sez. III, ordinanza 14/01/2025 (ud. 13/11/2024) n. 882
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con sentenza n. 28/2017, pubblicata il 9.1.2017, il Tribunale di Ancona, in parziale accoglimento della domanda svolta da Augusta Assicurazioni Spa, che agiva in proprio ed in surroga dei diritti dei suoi assicurati, condannò AUTOSTRADE PER L'ITALIA Spa al pagamento di Euro 150.000, pari alla metà dell'importo versato ai danneggiati, a seguito del sinistro verificatosi l'11.6.2005 sulla (…) all'altezza della progressiva chilometrica (…), in occasione del quale persero la vita le signore Gu.Tr. e Gu.Ro. L'autovettura Fiat Bravo su cui viaggiavano le vittime era stata tamponata dal veicolo Audi A4 condotto da Aq.Ro., di proprietà Leasys Spa, assicurata presso Augusta Assicurazioni Spa Segnatamente, la Fiat Bravo a causa del tamponamento si imbardava ed usciva di strada dopo aver invaso la banchina laterale erbosa per poi finire la propria corsa ribaltata nella sottostante scarpata.
2. La Corte d'Appello di Ancona con sentenza pubblicata il 24.2.2021 confermò la sentenza impugnata da AUTOSTRADE PER L'ITALIA Spa Nel giudizio di appello si costituì GENERALI ITALIA Spa, già Ina Assitalia Spa, incorporante Alleanza Toro Assicurazioni Spa, che, a sua volta, aveva incorporato Augusta Assicurazioni Spa.
La Corte d'Appello, richiamato l'insegnamento di Cass. 9547/2015 in materia di responsabilità ex art. 2051 cod. civ. del proprietario o gestore della strada a proposito dell'oggetto di custodia, confermò la decisione del primo giudice, là dove, sulla base delle relazioni del proprio ausiliario e del consulente del Pubblico Ministero, nell'ambito del procedimento penale a carico del sig. Aq.Ro., aveva sostenuto che la presenza di una barriera protettiva laterale avrebbe permesso il contenimento del moto aberrante della Fiat evitando l'esito mortale, oltre che il ribaltamento dell'autovettura a seguito della discesa lungo la scarpata, poiché l'impatto era avvenuto ad una velocità di 70 km/h, rispetto alla quale il contenimento da parte di una barriera moderna "è assicurato".
Osservò, altresì, la Corte d'Appello che nell'ambito della fattispecie ex art. 2051 cod. civ., applicabile anche nei confronti del gestore stradale, la responsabilità di natura oggettiva, perché basata sul solo rilievo del nesso di causa tra la res e l'evento di danno, sussiste in presenza di una situazione di pericolo immanente connessa alla struttura o alla conformazione della strada o delle sue pertinenze e, quindi, prescindendo dall'accertamento del carattere colposo della condotta del custode. In questo contesto, sul custode sarebbe gravato l'onere della prova del "caso fortuito", ossia che la situazione alla base del pregiudizio non si fosse determinata per un difetto di vigilanza della rete viaria: l'appellante non aveva fornito la prova di aver espletato con la diligenza adeguata alla natura ed alla funzione della res "tutte le attività di controllo e di vigilanza su di esso incombenti per garantire una circolazione, per quanto possibile, sicura".
3. Per la cassazione della sentenza della Corte ricorre AUTOSTRADE PER L'ITALIA Spa, sulla base di due motivi. Risponde con controricorso GENERALI ITALIA Spa
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell'art.380-bis.1. cod. proc. civ..
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte. GENERALI ITALIA Spa ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo è denunciata, ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dei D.M.18.2.1192, n.223 e 21.6.2004 n. 2367.
La ricorrente assume che erroneamente la Corte d'Appello avrebbe ritenuto l'obbligo di apporre sul tratto autostradale le barriere di sicurezza previste dai DD.MM. 18.2.1992, n. 223 e 21.6.2004, n. 2367. Tali decreti, tuttavia, si applicano ai "progetti relativi alla costruzione di nuovi tronchi stradali" e "all'adeguamento di tratti significativi di tronchi stradali, oppure nella ricostruzione e riqualificazione di tratti significativi di ponti e viadotti situati in posizione pericolosa per l'ambiente esterno alla strada e per l'utente stradale". Inoltre, il D.M. 223/1992 si applica "alle domande di omologazione presentate successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso decreto". Nessuna di tali ipotesi risulterebbe integrata nel caso esaminato dalla Corte d'Appello, né sarebbe stato effettuato al riguardo tale accertamento preliminare: l'obbligo di porre barriere di sicurezza sussiste solo in presenza di tratti di strade di nuova costruzione o di strade, realizzate antecedentemente, sottoposte a significative opere di adeguamento e rifacimento. Infatti, il tronco autostradale interessato dal sinistro era stato costruito nel 1969 e fino alla data dell'incidente non era stato sottoposto a significative opere di manutenzione straordinaria.
1.2. Il motivo è inammissibile.
Con il proposto motivo la ricorrente si duole per aver la Corte d'Appello ritenuto a suo carico l'obbligo di apporre sul tratto autostradale le barriere di sicurezza previste dai DD.MM. 18.2.1992, n.223 e 21.6.2004, n. 2367, pur in assenza dei presupposti applicativi delle citate disposizioni, poiché l'obbligo di porre barriere di sicurezza sussisterebbe solo in presenza di tratti di strade di nuova costruzione o di strade, realizzate antecedentemente, sottoposte a significative opere di adeguamento e rifacimento. Nel caso di specie, tuttavia, non ricorrerebbe alcuna delle ipotesi normativamente previste, poiché il tronco autostradale interessato dal sinistro era stato costruito nel 1969 e fino alla data dell'incidente non era stato sottoposto a significative opere di manutenzione straordinaria.
Avverso la sentenza di primo grado AUTOSTRADE PER L'ITALIA propose un solo motivo d'appello "assumendo l'inesistenza di un obbligo a suo carico di installazione di strutture protettive laterali nella zona teatro del sinistro, l'errata individuazione della normativa applicabile nella fattispecie e la mancata misurazione della pendenza della scarpata adiacente alla carreggiata da parte del C.T.U." (pag. 5 e s. del ricorso).
Mette conto rilevare, tuttavia, che per quanto riferisce la sentenza impugnata, il motivo di appello dell'attuale ricorrente era basato sulla falsa applicazione del D.M. n. 2367 del 2004 ("Aggiornamento delle istruzioni tecniche per la progettazione, l'omologazione e l'impiego delle barriere stradali di sicurezza e le prescrizioni tecniche per le prove delle barriere di sicurezza stradale"), che integrava il D.M. n. 223 del 1992 ("Regolamento recante istruzioni tecniche per la progettazione, l'omologazione e l'impiego delle barriere stradali di sicurezza"). Sicché, la stessa ricorrente non poneva in dubbio che quella normativa fosse applicabile, ma, come emerge dal modo in cui viene riferito il motivo dalla sentenza impugnata, postulava che i suoi principi fossero stati male applicati. Ne segue che in questa sede la prospettazione della ricorrente si risolve nella introduzione di una questione che non apparteneva all'àmbito del giudizio di appello e che in ragione del modo in cui era avvenuta la devoluzione in esso, cioè dando per scontata l'applicabilità di quella normativa, non può essere prospettata in questa sede nemmeno come mera questione di diritto, per la ragione che essa è stata risolta con efficacia di cosa giudicata interna nelle fasi di merito e precisamente perché l'appello ha assunto il contenuto riferito, che supponeva l'astratta applicabilità della normativa alla vicenda.
1.3. Peraltro, quando pure così non si opinasse e si reputasse che tale giudicato interno non vi sia, la prospettazione del motivo sarebbe priva di fondamento, giacché il D.M. n. 223 del 1992, adottato previo parere del Consiglio di Stato ai sensi dell'art. 17 L. 400/1988, presenta le caratteristiche stabilite per gli atti normativi del potere esecutivo qualificati come regolamenti (v. Cass. 17 ottobre 2019, n. 26295, non massimata sul punto, ma espressamente in motivazione) e si applicava ai progetti e dunque alle strade nuove, ma anche all'adeguamento di tratti significativi di tronchi stradali, sicché aveva la sostanza di assumere natura di norma precettiva - anche al di là di quanto sarebbe comunque conseguito alla diretta applicazione dell'art. 2051 c.c., non essendo concepibile che le strade vecchie restassero indifferenti - nel senso di imporre appunto l'adeguamento.
All'epoca dei fatti (2005), l'articolo 2 delle istruzioni allegate al suddetto Decreto Ministeriale n. 223 del 1992 stabiliva - senza distinzioni tra tipologie di strade - che le barriere di sicurezza stradale e gli altri dispositivi di ritenuta fossero posti in opera "essenzialmente al fine di realizzare per gli utenti della strada […] accettabili condizioni di sicurezza". Il successivo articolo 3, comma 1, primo alinea, soggiungeva che le barriere laterali dovessero proteggere "almeno i margini […] di ponti, viadotti, ponticelli, sovrappassi e muri di sostegno della carreggiata, indipendentemente dalla loro estensione longitudinale e dall'altezza dal piano di campagna".
Ad ogni modo, la colpa del gestore autostradale può consistere sia nella violazione di norme prescrittive (colpa specifica), sia nella violazione delle regole di comune prudenza (colpa generica). Il formale rispetto delle prime non vale, dunque, ad escludere di per sé la possibilità della sussistenza d'una colpa generica del primo. Pertanto, la circostanza che per una determinata strada il D.M. n. 223 del 1992 non imponesse in astratto l'adozione di misure di sicurezza, non esimeva la ricorrente dal valutare in concreto sempre e comunque, ai sensi dell'articolo 14 Cod. strada, se quel tratto di autostrada potesse costituire un rischio per la sicurezza degli utenti (in merito all'esistenza di un obbligo precauzionale generico al di là della prescrizione dei regolamenti, vedi Cass. 5 maggio 2017, n. 10916; 29 settembre 2017, n. 22801; 27 febbraio 2019, n. 5726; 15 ottobre 2019, n. 25925; 26 settembre 2024, n. 25767).
Si consideri, ancora, che se il citato D.M. n. 223 del 1992 si applica unicamente alle strade di nuova costruzione, sarebbe assurdo trarre da ciò la conseguenza che per le strade preesistenti l'ente proprietario, o il suo gestore, possa tranquillamente disinteressarsi della sicurezza degli utenti, ignorando la necessità di imporre l'adeguamento. Infatti, l'art. 14, comma primo, Cod. strada, allo scopo di garantire la sicurezza della circolazione, attribuisce specificatamente agli enti proprietari delle strade il compito di provvedere:
a) alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi;
b) al controllo tecnico dell'efficienza delle strade e delle relative pertinenze;
c) alla posizione manutenzione della segnaletica prescritta. Obblighi, questi ultimi, posti a carico dei concessionari per le strade in concessione ai sensi del comma terzo della citata norma.
L'obbligo di vigilanza e controllo, e di adottare tutte le misure idonee per rendere innocua la cosa e non arrecare danno a terzi, che trova la propria fonte già in base al dovere generale del neminem laedere, a fortiori sussiste in ipotesi di responsabilità aggravata, come quella per la custodia ex art. 2051 c.c., che costituiscono espressione di maggior favore per il danneggiato in presenza di una situazione di rischio unilaterale in quanto solo una parte (il danneggiante potenziale) ha la capacità tecnologica di ridurre l'occorrenza o la gravità degli incidenti attesi (v. Cass. 31 maggio 2023, n. 15447, che, nell'ambito della valutazione della "pericolosità" della res, ascrive agli standard regolamentari del D.M. n. 223/1992 il ruolo di regola prudenziale correlata al rischio concreto per la sicurezza degli utenti in base all'art. 14 del codice della strada).
La Corte d'Appello, dopo aver precisato come l'ambito del potere di controllo ricadente sul custode stradale non fosse limitato alla sola carreggiata, ma si estendeva anche agli elementi accessori o pertinenze, ivi comprese eventuali barriere laterali con funzione di contenimento e protezione della sede stradale (v. Cass. 12 maggio 2015, n. 9547; 10 giugno 2020, n. 11096; 20 novembre 2020, n. 26527; 24 aprile 2024, n. 11140), ha ritenuto la ricorrente in colpa non per avere violato le prescrizioni del D.M. n. 223 del 1992 sulle barriere laterali, ma ha evidenziato, sulla base delle indicazioni della C.T.U. disposta in sede civile e di quella svolta in sede penale, che "l'installazione della barriera di sicurezza era, in ogni caso, una esigenza elementare di tutela della sicurezza stradale […] con certezza si può affermare che, in base alla normativa in vigore al momento del sinistro […] era indispensabile l'applicazione di una barriera omologata […] non essendo riscontrabile, fra l'altro, un'obiettiva ragione per cui il guard-rail esistente fino alla chilometrica 216+648.20, da questo punto si interrompe in corrispondenza del pilastro di sostegno del cavalcavia […] il guardrail si interrompe in corrispondenza del cavalcavia lasciando scoperto un tratto fiancheggiato da una scarpata altamente pericolosa". La Corte d'Appello ha dunque accertato una colpa generica, non una colpa specifica, e nulla rileva se il D.M. n. 223 del 1992 imponesse o meno l'installazione di barriere nel luogo del sinistro. Tale specifico accertamento, si ripete in ordine alla sussistenza di una colpa generica, rende non pertinente il richiamo fatto dalla ricorrente a Cass. 6 maggio 2020, n. 8512, in quanto imperniata sul solo dato della costruzione della strada.
2. Con il secondo motivo viene denunciata, ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2051 cod. civ., nonché, ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
La ricorrente si duole in merito all'affermazione da parte della Corte d'Appello circa l'assenza di prova del "caso fortuito" in termini di mancata dimostrazione che la situazione determinante il sinistro non si fosse verificata come conseguenza di un precedente difetto di diligenza nella vigilanza della rete viaria. La ricorrente lamenta di aver sostenuto sin dal primo grado del giudizio che la condotta di Aq.Ro. integrasse il caso fortuito, per aver tamponato l'autovettura sulla quale viaggiavano le vittime, la cui condotta anomala aveva provocato il sinistro. L'omesso esame di tale fatto integrerebbe la violazione dell'art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., il cui scrutinio avrebbe permesso di escludere la responsabilità del custode, poiché il perimetro della responsabilità del custode non può comprendere una condotta anomale, in quanto "fatto imprevedibile idoneo a vincere la presunzione di responsabilità del custode".
2.1. Il motivo è inammissibile.
Avverso la sentenza di primo grado, come già detto, AUTOSTRADE PER L'ITALIA propose un solo motivo d'appello "assumendo l'inesistenza di un obbligo a suo carico di installazione di strutture protettive laterali nella zona teatro del sinistro, l'errata individuazione della normativa applicabile nella fattispecie e la mancata misurazione della pendenza della scarpata adiacente alla carreggiata da parte del C.T.U." (pag. 5 e s. del ricorso).
La ricorrente, invece, non ha impugnato il capo della sentenza di primo grado con cui è stato operato l'inquadramento della fattispecie nell'ambito dell'art. 2051 cod. civ. e, conseguentemente, affermata la relazione causale tra la res e l'evento di danno, escludendo a contrario l'esistenza di un "fortuito" interruttivo del nesso di causa, così da "degradare la condizione della cosa al rango di mera occasione dell'evento" (v. Cass. 19 dicembre 2022, n. 37059).
Infatti, nella sentenza della Corte d'Appello si legge: "l'adito Tribunale […] ha ritenuto che la condotta dell'Aq.Ro. non fosse stata tale da eliminare la responsabilità della Spa AUTOSTRADE PER L'ITALIA, quale custode del tratto autostradale in argomento, posto che l'assenza di barriere guard-rail si è sicuramente inserita nella catena causale che ha provocato il ribaltamento dell'auto nel pendio erboso ed ha contribuito ad aggravare le conseguenze dell'incidente, sì da aver concorso pariteticamente (nella misura del 50%) a determinare l'evento" (pag. 5 della sentenza della Corte d'Appello).
Da ciò si ricava che la questione afferente al presupposto applicativo della responsabilità ex art. 2051 cod. civ. ossia l'esistenza della relazione causale tra la res e l'evento di danno e la conseguente dimostrazione, a carico del custode, del "caso fortuito" atto ad interromperlo (v., Cass. 8 luglio 2024, n. 18518; 22 marzo 2024, n. 7789; 27 aprile 2023, n. 11152; 23 gennaio 2019 n. 1725; 30 ottobre 2018, n. 27724; 19 marzo 2018, n. 6703), è coperta dal giudicato interno e, come tale, non possa essere rimessa in discussione sul rilievo della pretesa omessa valutazione di un fatto decisivo atto ad evidenziare una pretesa violazione di legge. Valutazione, quest'ultima, già effettuata in primo grado e non debitamente gravata in sede di appello.
3. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (Cass., sez. un., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200 per esborsi ed € 6.500 per competenze professionali, oltre rimborso forfetario del 15%, Iva e cpa se dovuti per legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della Corte di Cassazione in data 13 novembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2025.