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È valido il testamento se il testatore si esprime a monosillabi?

Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.9534 del 11/04/2025

Il testamento è valido se la volontà del testatore è espressa con monosillabi o movimenti del capo?

La Sezione Seconda civile della Cassazione, con l'ordinanza n. 9534 dell'11 aprile 2025, ha risposto di sì.

La vicenda

I fratelli del defunto impugnano il testamento pubblico redatto nel 2001, sostenendo che il de cuius non fosse in grado di esprimere validamente la propria volontà, in quanto affetto da grave paralisi sopranucleare progressiva.

Il testatore si era limitato a comunicare con cenni e monosillabi, senza pronunciare frasi compiute.

Nonostante ciò, la Corte d'appello di Genova aveva ritenuto valido il testamento, rilevando che la disabilità era solo motoria e non comprometteva le facoltà mentali. Questo giudizio era stato confermato da una CTU e dai medici curanti, i quali avevano attestato la lucidità del paziente.

La normativa e la giurispudenza in materia

Secondo l'art. 603 c.c., il testamento pubblico viene ricevuto dal notaio in presenza di due testimoni, previa espressione della volontà del testatore. La norma prevede:

  • manifestazione di volontà davanti a due testimoni;

  • redazione dell'atto da parte del notaio;

  • lettura dell'atto in presenza del testatore e dei testimoni;

  • menzione di queste formalità nella scheda testamentaria.

Inoltre, la giurisprudenza della Cassazione ha stabilito che:

  • l'incapacità naturale che invalida un testamento richiede l'assoluta mancanza di coscienza del significato degli atti e della capacità di autodeterminarsi;

  • la volontà può essere espressa in modo adeguato alle condizioni fisiche del testatore, anche tramite monosillabi o movimenti del capo (Cass. n. 30221/2023).

La decisione della Corte

La Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo che le condizioni del testatore fossero compatibili con la capacità di comprendere e decidere.

La patologia degenerativa da cui era affetto il de cuius aveva compromesso l'espressione verbale, ma non le facoltà intellettive. Le risposte erano congruenti, intellegibili, e fornite in modo coerente alle domande poste.

La CTU del giudizio di interdizione, conclusasi con l'inabilitazione e non con l'interdizione, ha avuto un ruolo decisivo: il testatore non era incapace, ma solo affetto da deficit motorio.

Inoltre, non vi era stata alcuna violazione delle formalità di cui all'art. 603 c.c., poiché la manifestazione della volontà, seppur non verbale, era avvenuta prima della lettura dell'atto e alla presenza dei testimoni.

Conclusione

Il testamento è valido anche se il testatore si esprime con cenni del capo o monosillabi, purché la volontà sia lucida, intellegibile e consapevole, e sia rispettata la procedura di cui all'art. 603 c.c.

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Cassazione civile, sez. II, ordinanza 11/04/2025 (ud. 25/03/2025) n. 9534

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 6 ottobre 2003, i fratelli Lu.Gi., Lu.Gi. e Lu.Te. hanno convenuto in giudizio davanti al Tribunale di Massa - Sezione distaccata di Pontremoli - Lu.Gi. nonché Ch.Fr. e Pa.Le., che, con testamento pubblico del 6.4.2001 del Notaio Mo.Ve., erano stati istituiti rispettivamente erede universale e legatari di Lu.Ca., deceduto il 23 marzo 2003, chiedendo che fosse dichiarata l'invalidità delle disposizioni di ultima volontà per incapacità naturale o per inosservanza delle formalità di redazione del testamento pubblico.

In corso di causa gli attori hanno proposto querela di falso, deducendo che il notaio aveva ricevuto le volontà del de cuius in assenza di testi ed aveva falsamente attestato che Lu.Ca. non era in grado di firmare l'atto.

Il Tribunale ha respinto tutte le domande con sentenza integralmente confermata in appello.

Ha evidenziato il giudice distrettuale che l'incapacità di Lu.Ca. era prevalentemente motoria e non incideva sulla capacità di intendere e di volere. Il testatore era apparso in possesso della facoltà mentali nel corso del giudizio di interdizione, conclusosi con pronuncia di inabilitazione, e all'esame diretto da parte del c.t.u. e dei medici curanti. Ha confermato la validità formale della scheda, osservando che il notaio, dopo aver predisposto l'atto, ne aveva letto il contenuto alla presenza di testimoni ed aveva ricevuto le dichiarazioni di approvazione e di conferma da parte del testatore.

Avverso la sentenza Be.Ma. ha proposto ricorso per cassazione articolato in otto motivi, cui ha resistito con controricorso Lu.Ro., erede di Lu.Gi.

Sono rimasti intimati Be.Ma. ed altri Omessi.

In prossimità dell'adunanza camerale Lu.Ro. ha depositato memoria illustrativa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Sono infondate le eccezioni di inammissibilità del ricorso.

La sentenza di appello è stata depositata in data 30.9.2019 e il ricorso, notificato il 31.12.2020, è tempestivo, considerata la doppia sospensione dei termini processuali di trenta giorni e quella - dal 9 marzo all'11 maggio 2020 - prevista dagli artt. 83, D.L. 18/2020 e art. 36, c. 1, D.L. 23/2020, applicandosi il termine di decadenza annuale ex art. 327 c.p.c., poiché il giudizio è stato proposto in primo grado nel 2003.

L'impugnazione è stata validamente notificata al difensore in appello di Lu.Gi., deceduto, stante l'ultrattività del mandato difensivo.

2. Il primo motivo di ricorso solleva la questione di legittimità costituzionale degli artt. 62-72 della L. 98/2013 di conversione con modifiche del D.L. 21 giugno 2013, n. 69, in relazione ai parametri costituzionali degli artt. 3,25, primo comma, 106, secondo comma, e 111 Cost., denunciando la nullità della sentenza per vizio di costituzione del giudice ex art. 158 c.p.c., sull'assunto che l'assegnazione dei giudici onorari alle Corti di appello sia stata disposta con decreto legge carente dei presupposti di necessità ed urgenza. La norma violerebbe l'art. 106 c.c. circa i limiti costituzionali per la nomina di giudice onorari, introducendo una disparità di trattamento rispetto a coloro che sono sottoposti al giudizio di un magistrato togato.

Il motivo è infondato.

Con pronuncia n. 41 del 2021 la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimi gli articoli da 62 a 72 del D.L. n. 69/2013, convertito dalla legge n. 98 del 9 agosto 2013, affermando che l'articolo 106 della Costituzione, secondo cui è possibile la nomina di magistrati onorari "per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli", permette solo eccezionalmente e temporaneamente che, in via di supplenza, i giudici onorari possano svolgere funzioni collegiali.

La Corte ha però ritenuto necessario lasciare al legislatore un sufficiente lasso di tempo per assicurare "la necessaria gradualità nella completa attuazione della normativa costituzionale".

È stato così indicato il termine del 31.10.2025 previsto dall'articolo 32, primo periodo, del D.Lgs. 13 luglio 2017, n. 116, di riforma generale della magistratura onoraria, stabilendo che, fino al allora, la "temporanea tollerabilità costituzionale" dell'attuale assetto è volta ad evitare l'annullamento delle decisioni pronunciate con la partecipazione dei giudici ausiliari e a non privare immediatamente le Corti d'appello dell'apporto necessario alla riduzione dell'arretrato nelle cause civili.

Pertanto, la pur sussistente illegittimità delle norme non è causa di nullità delle sentenze deliberate da collegi composti da giudici onorari entro il 31.10.2025.

3. Il secondo motivo deduce la violazione dell'artt. 132 n. 4 c.p.c., 111 Cost., 591 c.c. e l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, per aver la sentenza omesso di esaminare le disposizioni dell'atto di ultima volontà, il cui contenuto contrastava con i sentimenti che legavano il testatore ai fratelli @Lu.Te. e Lu.Gi.

Il terzo motivo deduce la violazione degli artt. 591 e 2697 c.c. e l'omesso esame di un fatto decisivo. Assume il ricorrente che la paralisi sopranucleare progressiva, diagnosticata al testatore, integrava una infermità tipica, permanente, abituale e progressiva, tanto che Lu.Ca. era poi deceduto poco tempo dopo la redazione del testamento (6.10.2003), spettando alle controparti dimostrare che, al momento di redazione del testamento, il de cuius versava in condizioni di capacità.

Il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 132, comma quarto, c.p.c. e 111 Cost. e l'omesso esame di un fatto decisivo, asserendo che il giudice abbia omesso di disporre una consulenza tecnica, essendo necessarie specifiche conoscenze medico-legali per l'accertamento delle condizioni mentali del testatore; la sentenza sarebbe pervenuta a conclusioni censurabili sul piano del giudizio diagnostico anche riguardo alla sussistenza di un deficit solo motorio in assenza di test neurologici e in palese contrasto con l'opposta diagnosi del perito penale.

Il quinto motivo denuncia la violazione degli artt. 591 c.c., 132 n. 4 c.p.c., 111 Cost. e l'omesso esame di fatti decisivi, per aver la sentenza ritenuto che il testatore fosse affetto da un'inabilità meramente motoria, senza dare motivata soluzione al contrasto tra la perizia svolta nell'ambito del procedimento per interdizione e quella espletata nel procedimento penale svolto a carico del notaio che aveva ricevuto le ultime volontà di Lu.Ca.

L'adesione alla prima c.t.u. doveva essere motivata, in particolare, riguardo al dato oggettivo che la paralisi sopranucleare è sempre associata ad un deficit psichico grave e riguardo all'indispensabilità dei test cognitivi mai espletati, oltre che alla situazione psichica anteriore al testamento, apparsa già notevolmente compromessa e a rapida ingravescenza.

I quattro motivi sono infondati.

L'incapacità naturale del disponente che, ai sensi dell'art. 591 c.c., determina l'invalidità del testamento non si identifica in una generica alterazione del normale processo di formazione ed estrinsecazione della volontà, richiedendo che, a causa dell'infermità, il soggetto, al momento della redazione del testamento, sia assolutamente privo della coscienza del significato

dei propri atti e della capacità di autodeterminarsi, così da versare in condizioni analoghe a quelle che, con il concorso dell'abitualità, legittimano la pronuncia di interdizione.

La prova delle condizioni mentali, anteriori o posteriori, può esser desunta da elementi presuntivi; tra essi viene in rilievo, quale elemento che il giudice è tenuto a valutare, il contenuto del testamento.

L'esistenza di legami affettivi e di intensa frequentazione con soggetti pretermessi nel testamento dedotte non è - tuttavia - di per sé indice di incapacità se non associata ad anomalie, incoerenze della scheda o altri segnali che rilevino una condizione patologica invalidante (Cass. 3411/1978; Cass. 5620/1995), la quale può essere comunque esclusa dal giudice sulla base di altri elementi maggiormente significativi, il cui accertamento è incensurabile se sorretto da motivazione adeguata (Cass. 162/1981; Cass. 1851/1980; Cass. 3205/1971; Cass. 25053/2018; Cass. 1618/2022). Compete al giudice l'apprezzamento dei fatti e delle prove, potendosi solo controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 9097/2017; Cass. 32505/2023; Cass. 10927/2024).

Né potrebbe contestarsi alla Corte d'Appello di non aver fatto ricorso al ragionamento presuntivo sulla base di fatti noti emersi in istruttoria, desunti dalla scheda, violazione che non è denunciabile ai sensi dell'art. 2729 c.c. (secondo le istruzioni della sentenza delle S.U. n. 8053/2014), ma che può integrare l'omesso esame di un fatto secondario ove sussistano i requisiti che ne condizionano lo scrutinio ai sensi dell'art. 360 comma primo n. 5 c.p.c. (Cass. 17720/2018; Cass. 7861/2022; Cass. 2546/2024), occorrendo considerare che, nel caso di specie, la deducibilità di tale vizio in cassazione è comunque preclusa ai sensi dell'art. 348 ter, comma IV e V, c.p.c., poiché la sentenza impugnata appare fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione di primo grado (Cass. 17720/2018; Cass. 34415/2022; Cass. 31323/2023; Cass. 35718/2023; Cass. 706/2024).

3.1. Il vizio di motivazione è parimenti insussistente: il giudizio di capacità di Lu.Ca. appare adeguatamente giustificato.

Secondo la Corte di merito, le risultanze del procedimento di interdizione, sfociato poi nella meno grave misura dell'inabilitazione sulla base della relazione del c.t.u. Del Re e dell'esame diretto dell'interessato, consentivano di affermare che Lu.Ca. era affetto da deficit motorio e dell'espressione verbale, ma capace di intendere e di volere, rispondendo in maniera pertinente alle domande che gli venivano rivolte, mostrando di comprenderne il contenuto e di articolare risposte congruenti, di cui era chiaramente intellegibile il contenuto.

Dalle deposizioni dei medici escussi nel procedimento di interdizione (e che avevano in cura il Lu.Ro. dal 2000 al decesso), aveva trovato conferma il fatto che le condizioni fisiche del paziente rendevano talmente complessa la comunicazione verbale e gestuale da ingenerare l'apparenza di una maggiore gravità del quadro psichico, rispetto alle effettive condizioni neurologiche dell'interessato.

La consulenza svolta nel giudizio di interdizione (conclusasi con l'inabilitazione del testatore) era di conforto riguardo alla prevalenza del disturbo motorio su quello psichico, rivelando che il deficit psichico pur indotto dalla patologia non aveva invalidato la capacità del de cuius, non evincibile con certezza neppure dall'eventuale espletamento di test diagnostici, incapacità che potevano al più risultare come possibile, o forse probabile esito delle malattie di cui soffriva il paziente, ma che certamente, per il periodo di interesse, non era stata accertata in base ad un solo elemento concreto.

3.2. Quanto all'onere della prova, deve pur sempre considerarsi che lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l'eccezione, per cui spetta a chi impugna il testamento dimostrare la incapacità, salvo che il testatore non risulti affetto da una patologia totale e permanente, nel qual caso grava, invece, su chi voglia avvalersene provarne la corrispondente redazione in un momento di lucido intervallo (Cass. in. 3934/2018). In caso di infermità intermittente o ricorrente, allorché si alternino periodi di capacità e di incapacità, non opera alcuna presunzione e la prova dell'incapacità deve essere data da chi impugna il testamento (Cass. n. 25053/2018).

Nel caso concreto, il ricorrente assume - anzitutto - per certo un dato esplicitamente confutato dal giudice distrettuale, ossia che, al momento del testamento, lo stato della patologia da cui era certamente affetto Lu.Ca. fosse già gravissimo, risultandone totalmente inficiata la capacità intellettiva.

La sentenza ha motivatamente escluso che fossero già annullate le facoltà intellettive di Lu.Ca. prima o dopo la redazione della scheda, mancando le condizioni per esigere dai convenuti la prova dell'avvenuta stesura dell'atto in un intervallo di piena lucidità del disponente (Cass. 6236/1980; Cass. 26873/2019).

In ogni caso, il possesso delle facoltà mentali risulta positivamente riscontrato dal giudice senza far ricorso al criterio formale dell'onere della prova, il che esclude la violazione dell'art. 2697 c.c., che è invece invocabile solo ove il giudice abbia posto detto onere a carico di una parte che non ne era gravata in base alla scissione della fattispecie tra fatti costitutivi e mere eccezioni (Cass. 13395/2018; Cass. 26769/2018) e comunque non per contestare il modo in cui siano stati valutati gli elementi istruttori.

La superfluità dei test neurologici appare giustificata dall'indisponibilità del paziente a sottoporvisi e, comunque, alla luce del quadro diagnostico complessivo (possesso delle facoltà mentali, sintomatologia di tipo motorio, non mentale, esito del giudizio di interdizione e dell'esame diretto).

Il giudice ha utilizzo indagini diagnostiche specifiche (c.t.u. Del Re), pur se non svolte mediante testi neurologici, giudicando superflui ulteriori approfondimenti mediante una terza c.t.u. per la ritenuta sufficienza degli elementi acquisiti rispetto alle conclusioni del perito penale, limitatosi ad un esame documentale, senza, peraltro, esprimersi per l'incapacità del testatore.

L'opportunità di rinnovare o integrare la consulenza, che è mezzo istruttorio sottratto alla disponibilità delle parti, è discrezionale; il mancato uso di tale potere non può essere censurato in sede di legittimità, specie quando, come nel caso in esame, gli elementi di convincimento per disattendere la richiesta di rinnovazione siano stati tratti dalle risultanze probatorie già acquisite, ritenute esaurienti (Cass. 8200/1998; Cass. 10972/1994).

4. Il sesto motivo denuncia la violazione dell'art. 603 c.c., per aver la sentenza ritenuto valido il testamento alla cui redazione aveva provveduto il notaio, senza il rispetto di una duplice formalità: la dichiarazione del testatore e la successiva lettura dell'atto alla presenza da parte dei testimoni, non essendo sufficiente che il de cuius avesse prestato il proprio assenso a monosillabi o con gesti espressivi del capo.

Il settimo motivo deduce la violazione dell'art. 112 c.p.c. in relazione all'art. 603 c.c., per aver la sentenza omesso di pronunciare sulle censure mosse in secondo grado riguardo al fatto che Lu.Ca. si era limitato ad approvare a monosillabi il testamento o con semplici gesti del capo, non esternando una valida dichiarazione di assenso al testamento predisposto dal notaio.

I due motivi sono infondati.

Per la validità del testamento pubblico l'art. 603 c.c. richiede un'espressione della volontà del testatore alla presenza dei testimoni, la riproduzione per iscritto di tali volontà, la successiva lettura dell'atto alla presenza del testatore e dei testimoni, con menzione nella scheda dell'espletamento delle formalità di legge.

Non è preclusa la possibilità che, ricevute le ultime volontà del de cuius, si provveda alla redazione della scheda in assenza della parte e dei testimoni.

Le due operazioni possono svolgersi in momenti diversi: in tal caso, qualora la scheda sia predisposta dal notaio, condizione necessaria e sufficiente di validità del testamento è che, prima di dare lettura della scheda, il testatore manifesti la propria volontà in presenza dei testi (Cass. 3552/1971; Cass. 1649/2017; Cass. 2742/1975; Cass. 30221/2023).

La circostanza che il de cuius si fosse espresso a monosillabi o con gesti espressivi del capo non inficiava, nello specifico, la validità del testamento, essendo tali modalità le uniche coerenti con le condizioni di salute di Lu.Ca., caratterizzate da un deficit motorio tale da non incidere sulle capacità, né sulla possibilità di esprimere in maniera intellegibile la propria volontà, non potendosi negare che il consenso così esternato fosse stato validamente manifestato, né potendosi contestare la genuinità e la pienezza dell'espressione di volontà che il giudice di merito ha riscontrato in concreto, con motivazione esente da vizi.

Rileva, per il rispetto delle formalità imposte per la valida manifestazione di volontà del disponente nel testamento segreto, che tale volontà sia immune da vizi, intellegibile, consapevole, tutte condizioni accertate dal giudice.

Le argomentazioni esposte circa le condizioni del testatore e le modalità con cui egli era in grado di esprimersi danno risposta alle questioni sollevate con i motivi di gravame, dovendo escludersi

un'omissione di pronuncia, essendo le ragioni adottate dal giudice inconciliabili con le contestazioni proposte dall'appellante (Cass. 25710/2024; Cass. 24155/2017).

5. L'ottavo motivo censura la violazione dell'art. 91 c.p.c. per aver la Corte di merito condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore di Lu.Si., che aveva chiesto di accogliere l'appello e di pronunciare l'annullamento del testamento.

Il motivo è fondato.

Lu.Si., intervenuta in causa, aveva concluso per l'accoglimento dell'appello e la riforma della decisione di primo grado (cfr. sentenza, pag. 2), volendo ottenere, unitamente al ricorrente, l'annullamento del testamento.

All'esito del giudizio era soccombente, al pari di Be.Ma., e non poteva ottenere il rimborso delle spese processuali, che non andavano poste a carico del ricorrente.

6. In conclusione, è accolto l'ottavo motivo di ricorso, con rigetto delle altre censure. La sentenza è cassata in relazione al motivo accolto e, non essendovi accertamenti da compiere, la causa può essere decisa nel merito, con eliminazione della condanna del ricorrente al pagamento delle spese di appello in favore di Lu.Si.

Le spese di legittimità sostenute da Lu.Ro. sono a carico del ricorrente.

P.Q.M.

– accoglie l'ottavo motivo di ricorso, respinge le altre censure, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, elimina la condanna del ricorrente al pagamento delle spese d'appello nei confronti di Lu.Si., compensando tra dette parti le spese di legittimità;

– condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore di Lu.Ro., che liquida in euro 6.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre ad Iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15 per cento.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, del giorno 25 marzo 2025.

Depositato in Cancelleria l'11 aprile 2025.

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