LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.:
Dott. LOSAPIO MAURO DOMENICO Presidente
1. Dott. MAZZA FABIO Consigliere
2. Dott. BOGNANNI SALVATORE "
3. Dott. DE GRAZIA BENITO ROMANO "
4. Dott. LICARI CARLO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da :
1) B. C. L. n. il *****
avverso sentenza del 28.04.1999 CORTE APPELLO di CATANZARO
visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso
Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere LICARI CARLO
udito il Pubblico Ministero in persona del S. Proc. Gen. Dott. VINCENZO GERACI, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
Fatto e diritto
Decidendo sull'appello proposto da B. C. L. contro la sentenza del Pretore di Rossano che lo aveva dichiarato colpevole del reato di tentato furto aggravato in casa di abitazione e condannato, in concorso di attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, alla pena di mesi 10 di reclusione e di L 400.000 di multa, la Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza del 28-4-1999, confermava quella resa dal Pretore.
In motivazione i giudici di appello, nel respingere i motivi di gravame incentrati sul valore probatorio dell'individuazione fotografica e quella personale eseguite dai Carabinieri nel corso delle indagini preliminari, nonché sul trattamento probatorio riservato all'imputato, spiegavano che quegli accertamenti erano stati correttamente utilizzati dal primo giudice, nell'ambito dei poteri discrezionali di valutazione di ogni elemento indiziante o probatorio che l'ordinamento gli riconosce, non foss'altro perché, in entrambe le occasioni di riconoscimento, la persona offesa si era espressa in termini di assoluta certezza, per avere visto di persona il malvivente durante l'azione di fuga dal balcone dell'appartamento; spiegavano, altresì, che la pena inflitta si appalesava equa e, comunque, insuscettibile di ulteriore riduzione, a cagione degli ostacoli rappresentati dalla gravità del fatto e dai precedenti penali di cui risultava gravato l'imputato.
Avverso tale decisione l'imputato proponeva ricorso per cassazione, deducendo violazione di legge e correlata carenza di motivazione, per le stesse ragioni che avevano costituito oggetto del precedente atto di appello e che ribadiva, per insistere sull'inutilizzabilità delle individuazioni di persona eseguite, a suo dire, con modalità non conformi alle forme stabilite dagli artt. 213 e 214 c.p.p., nonché per insistere sulla meritevolezza del più favorevole giudizio di prevalenza delle attenuanti concesse sulle aggravanti contestate.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, giacché i motivi in esso dedotti sono rnanifestamente infondati e ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare, per di più, non specifici.
La mancanza di specificità del motivo, invero, dev'essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità, conducente a mente dell'art. 591 cod. proc. pen., comma primo, lett. c), all'inammissibilità.
Sulla manifesta infondatezza, in particolare, del primo motivo, diretto ad invalidare il valore probatorio dell'individuazione fotografica e personale, vale la pena di evidenziare che correttamente i giudici di merito hanno tratto il convincimento della colpevolezza dell'imputato anche da tali elementi di prova, costituendo essi accertamenti di fatto utilizzabili in virtù dei principi della non tassatività dei mezzi di prova e del libero convincimento, che consentono il ricorso non solo alle cosiddette prove legali, ma anche ad elementi di giudizio diversi, purché acquisiti non in violazione di specifici divieti.
Nè va dato rilievo, con riferimento alla tesi difensiva circa l'inutilizzabilità dell'individuazione personale effettuata nei riguardi del B. dalla persona offesa, alla circostanza che, nel corso di quell'accertamento, l'imputato sia stato collocato fra due persone che, a dire del ricorrente, presentavano caratteristiche fisiche diverse, atteso che le prescrizioni formali di cui agli artt. 213 e 214 c.p.p. non sono stabilite a pena di nullità e che i risultati della ricognizione di persona possono essere utilizzati per la formazione del convincimento del giudice sulla base del suo prudente apprezzamento.
A maggior ragione è dato trarre le medesime conclusioni per le ricognizioni non formali ed i riconoscimenti fotografici, che a quelle prescrizioni non sono vincolati per la loro natura di accertamenti di fatto, tanto più che, nel caso concreto, il convincimento dei giudici di merito è stato adeguatamente motivato in relazione al loro contenuto intrinseco e alle modalità di controllo e di riscontro.
A tal proposito, non è superfluo evidenziare che i risultati dei due accertamenti sono stati ritenuti dai giudici di merito affidabili sul piano probatorio, per avere la persona offesa, nel momento del fatto, visto le fattezze fisiognomiche dell'imputato e poi, nel corso delle indagini, riconosciuto, in termini di assoluta certezza. e per ben due volte, nella persona di costui l'autore del tentativo di furto e, ancora, anche in sede di dibattimento, ribadito la certezza del riconoscimento effettuato.
Ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l'imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di lire un milione.
p.q.m.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di L 1.000.000 a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma, il giorno 29 Marzo 2000.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 03 MAG. 2000.