L’utilizzo di collare elettronico, che produce scosse o altri impulsi elettrici trasmessi al cane tramite comando a distanza, integra la contravvenzione di detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze, poichè concretizza una forma di addestramento fondata esclusivamente su uno stimolo doloroso tale da incidere sensibilmente sull’integrità psicofisica dell’animale.
Corte di Cassazione, Sezione III Penale, sentenza 19/03/2021 (Ud. 11/02/2021) n. 10758
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Spaccapeli Aurelio, nato a Cetona;
avverso la sentenza del 15/01/2020 del TRIBUNALE DI SIENA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Stefano Corbetta;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Domenico Seccia, che ha concluso chiedendo l’annullamento l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’impugnata sentenza, il Tribunale di Siena condannava Aurelio alla pena di 2.000 di multa per il reato di cui all’art. 727, comma 2, cod. pen., a lui ascritto perché, avendogli applicato un collare predisposto alla trasmissione di scosse elettriche, deteneva il proprio cane di razza inglese, che utilizzava per l’attività venatoria, in una condizione produttiva di gravi sofferenze.
2. Avverso l’indicata sentenza, l’imputato, per il tramite del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in relazione all’osservanza di principi di legalità e di determinatezza. Assume il ricorrente che la condotta sarebbe genericamente descritta dalla fattispecie incriminatrice, ciò che integra la violazione dell’art. 25, comma 2, Cost.
Aggiunge il ricorrente che la condotta contestata, ossia l’utilizzo di un collare elettrico, non sarebbe inquadrabile in una normativa chiara e precisa, stante la successione di tre ordinanze ministeriali che hanno stabilito il divieto dell’utilizzo di tale collare, facendo riferito ai casi di abuso dello strumento, ordinanza che il T.a.r. del Lazio ha annullato; il ricorrente, pertanto, non sarebbe stato in grado di conoscere con certezza e sufficiente precisione il contenuto del divieto penalmente sanzionato.
2.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) con riguardo alla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato.
Ad avviso del ricorrente, la motivazione sarebbe inadeguata, in quanto il cane non ha riportato alcun segno di lesione sul collo e godeva di ottima salute; sotto altro profilo, il modello di collare rinvenuto sull’animale può essere utilizzato anche per emissione di solo impulsi sonori e per la localizzazione dell’animale medesimo, sicché, in mancanza dell’accertamento di un pregiudizio concreto per il cane, difetterebbe l’elemento oggettivo del reato, che non può essere integrato dalla mera applicazione del collare sull’animale.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in relazione alle risultanze probatorie. Secondo il ricorrente, il Tribunale ha ritenuto funzionanti gli elettrodi del collare nonostante gli agenti non abbiano compiuto una verifica in tal senso, anche considerando che l’imputato non è stato trovato in possesso del telecomando, in grado di azionare gli elettrodi.
2.4. Con il quarto motivo si invoca l’applicabilità d’ufficio dell’art. 131-bis cod. pen., sussistendo i presupposti fattuali integranti la causa di non punibilità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato in relazione al secondo motivo, ciò che ha carattere assorbente.
2. L’art. 727, comma 2, cod. pen. punisce, come ipotesi contravvenzionale, “chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze”. La norma è stata costantemente interpretata da questa Sezione nel senso che l’utilizzo di collare elettronico, che produce scosse o altri impulsi elettrici trasmessi al cane tramite comando a distanza, integra la contravvenzione di detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze, poichè concretizza una forma di addestramento fondata esclusivamente su uno stimolo doloroso tale da incidere sensibilmente sull’integrità psicofisica dell’animale (Sez. 3, Sentenza n. 21932 del 11/02/2016, Rv. 267345; Sez. 3, 11/02/2016, Bastianini, Rv. 267345; Sez. 3, 20/06/2013, Tonolli, Rv. 257685; Sez. 3, 24/01/2007, Sarto, Rv. 236335).
3. Va peraltro osservato che la condotta vietata, oggetto di incriminazione, non è la mera apposizione sull’animale del collare elettronico, ma il suo effettivo utilizzo, nella misura in cui ciò provochi “gravi sofferenze”: evento del reato, da intendersi nell’insorgere nell’animale di patimenti psico-fisici, in assenza dei quali si fuoriesce dal perimetro della tipicità.
4. Nel caso di specie, secondo quanto accertato dal giudice di merito, i carabinieri forestali verificarono che l’imputato stava utilizzando il proprio cane per l’attività venatoria, il quale indossava due collari: uno per il richiamo acustico e uno munito di due elettrodi in grado di dare piccole scosse a distanza grazie a un telecomando, che, nella specie, non venne rinvenuto.
A seguito di visita veterinaria, il cane fu trovato in buone condizioni di salute e senza segni cutanei all’altezza del collo, né furono accertate problematiche di udito cagionate, in ipotesi, dagli impulsi sonori.
5. Orbene, la motivazione è errata laddove ha ravvisato la sussistenza del reato unicamente dal fatto che il cane indossasse il collare elettrico, senza verificare che, tramite il suo concreto utilizzato, siano state cagionate all’animale “gravi sofferenze”.
6. Seguendo l’interpretazione del Tribunale, infatti, si trasforma il reato di cui all’art. 727, comma 2, cod. pen. da fattispecie di evento a fattispecie di mera condotta, ciò che confligge con il chiaro dettato normativo, che richiede, per l’integrazione del fatto, l’insorgere di gravi sofferenze nell’animale.
Nella vicenda in esame, non solo tale accertamento è totalmente mancato, anche considerando che il telecomando con cui azionare a distanza il collare non è stato trovato nella disponibilità dell’imputato, ma emerge un elemento di segno opposto, stante l’accertata assenza sia di cicatrici sul collo del cane, sia di problematiche dell’udito: elementi che, ove presenti, sarebbero stati indicativi non solo del concreto utilizzato del collare, ma anche, e soprattutto, delle gravi sofferenze patite dall’animale quale conseguenza di quell’utilizzo.
6. La sentenza impugnata deve perciò essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Così deciso il 11/02/2021.
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