La causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. può essere rilevata di ufficio dal giudice dell'appello, potendo rientrare per assimilazione alle altre cause di proscioglimento nella previsione di cui all'art. 129 c.p.p. per le quali vi è l'obbligo di immediata declaratoria in ogni stato e grado del processo, anche laddove tale giudice sia stato investito da un atto di impugnazione ammissibile, avente ad oggetto motivi diversi.
Cassazione penale, sez. VI, Sentenza 25/11/2020 (dep. 19/01/2021) n. 2175
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Firenze confermava la pronuncia di primo grado del 4 maggio 2018 con la quale il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Firenze aveva condannato U.S. in relazione al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, per avere, il 4 marzo 2018, detenuto illecitamente e ceduto una dose di sostanza stupefacente del tipo eroina.
2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso l'imputato, con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale ha dedotto la violazione di legge, in relazione agli artt. 131 bis e 129 c.p.p., e il vizio di motivazione, per manifesta illogicità, per avere la Corte di appello omesso di pronunciarsi sulla richiesta che il difensore aveva formulato, in sede di conclusioni nel corso del giudizio di secondo grado, di riconoscimento della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto.
3. Il procedimento è stato trattato nell'odierna udienza in camera di consiglio con le forme e con le modalità di cui al D.L. n. 137 del 2020, art. 23, commi 8 e 9.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Ritiene la Corte che il ricorso vada dichiarato inammissibile, per le ragioni di seguito precisate.
2. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che l'istituto della esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all'art. 131-bis c.p., ha natura sostanziale, sicchè il giudice è tenuto a valutarne anche d'ufficio la sussistenza al fine di dichiarare la relativa causa di proscioglimento ai sensi dell'art. 129 c.p.p. (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, non mass. sul punto; conf. Sez. U, n. 13682 del 25/02/2016, Coccimiglio, non mass. sul punto).
In tali sentenze le Sezioni Unite hanno esaminato la tematica con riferimento alla specifica questione della rilevabilità d'ufficio della causa di non punibilità in parola anche nel corso del giudizio di legittimità: tuttavia, è stata espressamente affermata una regula iuris di carattere generale, nella parte in cui è stato sottolineato come all'applicabilità dell'art. 129 codice di rito non sia di ostacolo il "fatto che tale articolo, pur dedicato nella rubrica all'obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità, non fa menzione dell'ipotesi in cui ricorra una causa di non punibilità", trattandosi di una norma avente carattere generale "che non attribuisce al giudice un potere di giudizio ulteriore ed autonomo rispetto a quello già riconosciutogli dalle specifiche norme che regolano l'epilogo proscioglitivo nelle varie fasi e nei diversi gradi del processo, ma enuncia una regola di condotta rivolta al giudice che, operando in ogni stato e grado del processo, presuppone l'esercizio della giurisdizione con effettiva pienezza del contraddittorio".
3. Ad uguale approdo interpretativo è pervenuta la Cassazione in altre successive pronunce, nelle quali è stato puntualizzato come la regola della immediata rilevabilità anche d'ufficio di tale questione di tale causa di non punibilità sia possibile in sede di legittimità a condizione che i presupposti per la sua applicazione siano immediatamente rilevabili dagli atti e non siano necessari ulteriori accertamenti in fatto, poichè altrimenti non sarebbe possibile pronunciare un annullamento senza rinvio della sentenza impugnata ai sensi dell'art. 620 c.p.p., comma 1, lett. l), (Sez. 2, n. 49446 del 03/10/2018, Zingari, Rv. 274476; Sez. 1, n. 27752 del 09/05/2017, Menegotti, Rv. 270271).
Criterio interpretativo la cui validità è stata ribadita anche in relazione alle ipotesi nelle quali si è affermato che la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto è rilevabile d'ufficio nel giudizio di legittimità, purchè si sia in presenza di un ricorso ammissibile, persino se l'esistenza di quella causa non era stata dedotta nel corso del giudizio di appello pendente alla data di entrata in vigore dell'art. 131-bis c.p. (Sez. 6, n. 7606 del 16/12/2016, dep. 2017, Curia, Rv. 269164).
Vi sono, invero, anche decisioni di segno contrario con le quali si è sostenuto che è inammissibile il ricorso per cassazione avverso una sentenza di patteggiamento sul motivo del mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto, in quanto siffatta causa di non punibilità non rientra nel novero delle ragioni di immediato proscioglimento previste dall'art. 129 c.p.p., alla cui insussistenza è subordinata la pronuncia che accoglie la richiesta di applicazione di pena concordata (Sez. 4, n. 9204 del 01/02/2018, Di Corato, Rv. 272265; Sez. 4, n. 43874 del 06/10/2016, Chimenti, Rv. 267926). Tuttavia, si tratta di decisioni - che giungono ad una conclusione che sembra porsi in contrasto con le indicazioni contenute nella sopra citata sentenza delle Sezioni Unite - correlate alle peculiarità del rito speciale instaurato in quei procedimenti ai sensi dell'art. 444 c.p.p.: sentenze nelle quali si è significativamente posto in rilievo come le parti, accordandosi per l'applicazione della pena, dunque per la punibilità del reato, implicitamente rinunciano a far valere la causa di non punibilità dell'art. 131-bis c.p..
4. La soluzione ermeneutica offerta dalle Sezioni Unite, che questo Collegio reputa di dover in questa sede privilegiare - di cui finora è stata usualmente valutata la operatività con riferimento a fattispecie nelle quali con il ricorso per cassazione non sia stata sollecitata l'applicazione dell'art. 131-bis c.p. costituisce un significativo punto di riferimento in una situazione processuale, qual è quella oggi in esame, nella quale con il ricorso l'interessato si è doluto della mancata pronuncia da parte del giudice di secondo grado della questione che in quella sede era stata espressamente prospettata.
L'applicabilità dell'art. 129 c.p.p. anche d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, rende irrilevante che la sua operatività non fosse stata sollecitata con uno specifico motivo di appello e fosse stata richiesta, invece, dalla difesa dell'imputato solamente nel corso della discussione finale durante il giudizio di secondo grado: se sul giudice di merito grava, anche in difetto di una specifica richiesta, l'obbligo d'ufficio di pronunciare la considerata causa di esclusione della punibilità, un obbligo di esaminare la relativa questione deve ritenersi sussistente, a maggior ragione, allorquando sia stata avanzata una specifica richiesta da parte del difensore, sia pure per la prima volta con le conclusioni del giudizio di appello. Ad identiche conclusioni è pervenuta questa Corte nell'adozione di altra recente sentenza avente ad oggetto una analoga situazione processuale (Sez. 6, n. 13219 del 20/02/2019, Pastore, non mass.).
Alla luce delle considerazioni innanzi esposte va, perciò, affermato il principio di diritto secondo il quale "la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. può essere rilevata di ufficio dal giudice dell'appello, potendo rientrare per assimilazione alle altre cause di proscioglimento nella previsione di cui all'art. 129 c.p.p. per le quali vi è l'obbligo di immediata declaratoria in ogni stato e grado del processo, anche laddove tale giudice sia stato investito da un atto di impugnazione ammissibile, avente ad oggetto motivi diversi".
E' il caso di aggiungere che nella definizione della questione portata all'odierna attenzione di questa Corte non sono di aiuto, in quanto non propriamente conferenti, quelle pronunce con le quali si è negato che la causa di esclusione della punibilità in argomento possa essere dedotta per la prima volta in cassazione, se la disposizione dell'art. 131-bis c.p. era già in vigore alla data della deliberazione della sentenza di appello, ostandovi la previsione di cui all'art. 606 c.p.p., comma 3, (in questo senso Sez. 5, n. 57491 del 23/11/2017, Moio, Rv. 271877; conf. Sez. 2, n. 21465 del 20/03/2019, Semmah Ayoub, Rv. 275782 Sez. 3, n. 23174 del 21/03/2018, Sarr, Rv. 272789). E ciò per l'ovvia considerazione che, nel caso di specie, la difesa dell'imputato aveva espressamente domandato l'applicazione dell'art. 131-bis c.p. già nel corso del giudizio di secondo grado: istanza sulla quale, come anticipato, il giudice di appello aveva erroneamente ritenuto di non doversi pronunciare considerandola oggetto di un "motivo nuovo...(relativo a)... nuove ragioni di fatto e di diritto completamente estranee a quelle esposte nell'atto di impugnazione".
5. Le considerazioni esposte nei punti precedenti non impongono, però, un annullamento con rinvio della sentenza impugnata, in quanto la doglianza relativa al mancato esercizio, da parte del giudice dell'appello, di un potere di verifica che andava fatto di ufficio, comportano che sia questa Corte a dover esercitare direttamente quello stesso potere, cioè a verificare l'applicabilità dell'art. 129 c.p.p. con riferimento alle prospettata sussistenza della più volte menzionata causa di non punibilità.
Sotto questo punto di vista, va rilevato come il ricorso proposto nell'interesse dell' U. si presenti del tutto generico, avendo la difesa affrontato nell'atto di impugnazione esclusivamente il tema della particolare tenuità dell'offesa senza nulla indicare o allegare in ordine alla non abitualità del comportamento tenuto dell'imputato.
Il ricorso va, dunque, dichiarato per tale ragione inammissibile, il che preclude la possibilità di rilevare d'ufficio qualsivoglia causa di non punibilità, essendo stato chiarito che l'art. 129 c.p.p. non riveste una valenza prioritaria rispetto alla disciplina della inammissibilità, attribuendo al giudice dell'impugnazione un autonomo spazio decisorio svincolato dalle forme e dalle regole che presidiano i diversi segmenti processuali, ma enuncia una regola di giudizio che deve essere adattata alla struttura del processo e che presuppone la proposizione di una valida impugnazione (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818).
Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed a quella di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si stima equo fissare nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 25 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2021.