Integra il delitto di cui all'art. 7, d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito con modificazioni dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, l'omessa comunicazione del sopravvenuto stato di detenzione di un familiare (nella specie, un figlio), quale causa di riduzione del beneficio del c.d. reddito di cittadinanza perché incidente sulla composizione del nucleo familiare, parametro della scala di equivalenza per il calcolo della prestazione economica.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, Sentenza n.1351 del 14/1/2022
Presidente: PETRUZZELLIS ANNA
Relatore: SEMERARO LUCA
Data Udienza: 25/11/2021
SENTENZA
RITENUTO IN FATTO
1. Con l'ordinanza del 8 giugno 2021 il Tribunale di Vibo Valentia, per quanto qui interessa, ha rigettato il riesame proposto da XXXX avverso il decreto del 12 maggio 2021 del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Vibo Valentia di sequestro preventivo finalizzato alla confisca delle somme di denaro, indebitamente percepite, ritenute profitto dei reati cui all'art. 7, comma 1 e 2 dl. 4/2019.
2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore del l'indagato.
2.1. Con il primo motivo si deducono i vizi di violazione di legge e di contraddittorietà della motivazione con riferimento alla consumazione del reato da parte dell'indagato.
Il Tribunale di Vibo Valentia avrebbe erroneamente ritenuto che la mancata comunicazione della sopravvenuta sottoposizione a custodia cautelare dell'imputato rientrasse nella condotta criminosa tipicizzata 7, comma 2 d.l. 4/2019. L'applicazione di misure cautelari non sarebbe prevista come causa di revoca del beneficio del reddito di cittadinanza prevista solo per le condanne in via definitiva per i reati indicati nell'art. 7, comma 3, d.l. 4/2019.
2.2. Con il secondo motivo si deducono i vizi di violazione di legge e di mancanza della motivazione; si sostiene che non sussisterebbero i presupposti per poter effettuare il sequestro preventivo delle somme presenti sul libretto postale intestato al ricorrente.
Dopo la parte in diritto, si afferma che le somme presenti sul libretto di risparmio postale intestato al ricorrente non potrebbero essere oggetto di sequestro preventivo in quanto non sarebbero né direttamente né indirettamente collegate al reato ma sarebbero entrate nel patrimonio dell'imputato in basi: a un titolo lecito, ossia come assegno di assistenza per invalidità civile erogato dall'INPS, e sarebbero entrate nel patrimonio dell'indagato successivamente all'asserita commissione del reato.
2.3. Il difensore ha poi presentato le conclusioni scritte riportando il testo del ricorso per cassazione e producendo due documenti (copia del libretto di risparmio e documentazione proveniente dall'Inps).
(NdR. elaborazione by Mister Lex)
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile nella parte in cui deduce il vizio di contraddittorietà della motivazione. Avverso le ordinanze emesse nella procedura di riesame delle misure cautelari reali il ricorso per cassazione è ammesso, a sensi dell'art. 325 cod. proc. pen., soltanto per violazione di legge; è preclusa ogni censura relativa ai vizi della motivazione, salvi i casi della motivazione assolutamente mancante - che si risolve in una violazione di legge per la mancata osservanza dell'obbligo stabilito dall'art. 125 cod. proc. pen. - e della motivazione apparente, tale cioè da rendere l'apparato argomentativo, posto a sostegno del provvedimento, privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi, inidonei, a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice.
2. Il primo motivo, con cui si deduce il vizio di violazione dell'art. 7, corma 2 d.l. 4/2019, è infondato.
2.1. Il ricorrente, che a seguito di domanda percepisce il reddito di cittadinanza, ha omesso di comunicare il sopraggiunto stato di detenzione del figlio, per effetto dell'esecuzione di un'ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere, ed ha percepito così, indebitamente ed in parte, il beneficio economico dal gennaio del 2020.
2.2. Il Tribunale del riesame (cfr. pag. 6 e 7 dell'ordinanza impugnata) ha correttamente ritenuto che lo stato di detenzione sopravvenuto del figlio del ricorrente concretizzi non una causa di revoca del reddito di cittadinanza, come indicato nel ricorso, ma di riduzione, ex art. 3, comma 13, del d.l. n.4/2019, convertito con modificazioni dalla legge n.26/2019, di una delle componenti di cui si articola la prestazione economica e che tale condotta concretizzi il fumus del reato contestato.
2.3. L'art. 3, comma 13, prevede che «Nel caso in cui il nucleo familiare beneficiario abbia tra i suoi componenti soggetti che si trovano in stato detentivo, ovvero sono ricoverati in istituti di cura di lunga degenza o altre strutture residenziali a totale carico dello Stato o di altra amministrazione pubblica, il parametro della scala di equivalenza di cui al comma 1, lettera a), non tiene conto di tali soggetti. La medesima riduzione del parametro della scala di equivalenza si applica nei casi in cui faccia parte del nucleo familiare un componente sottoposto a misura cautelare o condannato per taluno dei delitti indicati all'articolo 7, comma 3».
Poiché beneficiario ex lege del reddito di cittadinanza non è il richiedente ma il nucleo familiare, ed il valore economico si calcola proprio in relazione alla sua composizione, lo stato di detenzione sopravvenuto del familiare determina la riduzione dell'importo del beneficio economico.
2.4. L'art. 2 del d.l. n.4/2019 prevede che i requisiti per l'ottenimento del beneficio economico devono sussistere, devono essere in possesso del nucleo familiare cumulativamente, al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell'erogazione del beneficio.
L'art. 2, facendo riferimento alla composizione del nucleo familiare ed alla sua incidenza sull'entità del beneficio economico, impone la persistenza dei requisiti anche relativi al quantum per tutta la durata dell'erogazione del beneficio.
2.5. Di conseguenza, il legislatore, all'art. 7, ha previsto due diversi reati, uno per la fase genetica, l'altro per la fase successiva al riconoscimento dei beneficio economico:
«1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all'articolo 3, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute, è punito con la reclusione da due a sei anni.
2. L'omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio entro i termini di cui all'articolo 3, commi 8, ultimo periodo, 9 e 11, è punita con la reclusione da uno a tre anni».
2.5.1. Si tratta di reati di condotta e di pericolo, il primo a dolo specifico, il secondo a dolo generico, diretti a tutelare l'amministrazione contro mendaci e omissioni circa l'effettiva situazione patrimoniale, reddituale e familiare da pane dei soggetti che intendono accedere o già hanno acceduto al reddito di cittadinanza; è una disciplina correlata, nel suo complesso, al generale «principio antielusivo» che s'incardina sulla capacità contributiva ai sensi dell'ai :. 53 Costituzione, la cui ratio risponde al più generale principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.; la punibilità del reato di condotta si rapporta, ben oltre il pericolo di profitto ingiusto, al dovere di lealtà del cittadino verso le istituzioni dalle quali riceve un beneficio economico (così in motivazione, Sez. 3, n, 5289 del 25/10/2019, dep. 2020, Sacco, Rv. 278573).
2.5.2. La condotta rilevante ex art. 7, comma 2, del d.l. n.4/2019, in relazione allo stato detentivo sopravvenuto di un componente il nucleo familiare, causa di riduzione, consiste nell'omessa comunicazione di un'informazione dovuta - tenute conto di quanto stabilito dall'art. 2, come prima indicato, in relazione al 'id. 3, comma 13 - e rilevante ai fini della riduzione del beneficio.
2.6. L'art. 7 richiama l'art. 3, commi 8, ultimo periodo, 9 e 11 non in relazione ai casi ivi previsti, ma solo in relazione ai termini, sicché l'interpretazione per cui le cause di revoca o riduzione sarebbero solo quelle previste da tali commi si pone in contrasto con il dato letterale dell'art. 7, comma 2.
Inoltre, i commi 8 e 9 fanno riferimento al mutamento delle condizioni di reddito rispettivamente per lavoro dipendente e da attività d'impresa o da lavoro autonomo; il comma 11 fa invece riferimento alle variazioni patrimoniali che comportano la perdita dei requisiti.
Tali commi non fanno dunque riferimento ai casi di riduzione del beneficio, sicché l'interpretazione è irrazionale, perché abrogherebbe parte del a norma, rispetto a quella sistematica proposta, che garantisce la tipicità della fattispecie, attraverso il chiaro riferimento dell'art. 7, comma 2, alle cause di riduzione, specificamente previste nell'art. 3, comma 13, ed all'obbligo di persistenza delle condizioni relative all'an ed al quantum del beneficio previsto dall'art. 2.
2.8. Quanto al termine in cui le comunicazioni devono essere effettuate, per le variazioni da lavoro dipendente il termine di 30 giorni era previsto nella formulazione del comma 8, ultimo periodo, prima delle modifiche apportate dalla legge di conversione; per le variazioni da lavoro autonomo o di impresa, il comma 9 dell'art. 3 prevede il termine di 30 giorni.
Per tutte le altre comunicazioni, su cause di revoca o riduzione, si applica il termine di 15 giorni previsto dall'art. 3, comma 11.
3. Il secondo motivo è infondato.
3.1. Il comma 3 dell'art. 7 del d.l. n.4/2019, convertito con modificazioni dalla legge 26/2019, prevede che in caso di condanna definitiva o di patteggianento per i reati di cui ai commi 1 e 2 consegue di diritto l'immediata revoca de beneficio con efficacia retroattiva e il beneficiario è tenuto alla restituzione di quanto indebitamente percepito.
Ne consegue che delle somme indebitamente percepite è possibile il sequestro preventivo che è considerato dal legislatore il profitto dei due reati.
3.2. Trova, pertanto, applicazione nel caso in esame il principio, stabilito dalle Sezioni Unite con la sentenza n.42415 del 27 maggio 2021, Coppola, che ricalca quanto già affermato con la sentenza Lucci richiamata dal Tribunale del riesame, secòndo cui «Qualora il prezzo o il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca viene eseguita, in ragione della natura del bene, mediante l'ablazione del denaro, comunque rinvenuto nel patrimonio del soggetto, che rappresenti l'effettivo accrescimento patrimoniale monetario da quest'ultimo conseguito per effetto del reato; tale confisca deve essere qualificata come confisca diretta, e non per equivalente, e non è ostativa alla sua adozione l'allegazione o la prova dell'origine lecita del numerano oggetto di ablazione>>.
È pertanto possibile procedere al sequestro preventivo del profitto giacente sul libretto postale a prescindere dalla provenienza della somma, tenuto conto dell'accrescimento verificatosi sul conto del ricorrente per effetto dell'alargizione delle somme non dovute.
4. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato. Ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen. si condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 25/11/2021.
Relatore: L. Semeraro
Presidente: A. Petruzzellis