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Case abusive: lockdown finito, ripartono le demolizioni

Corte di Cassazione, sez. III Penale, Sentenza n.32753 del 05/05/2022 (dep. 06/09/2022)

Terminata la fase contingente del "lockdown" ricollegabile all'emergenza sanitaria di contrasto al Covid-19, non sussistono allo stato ragioni ostative all'operatività della sanzione amministrativa della demolizione degli edifici abusivi.

Con la sentenza n. 32753 depositata il 6 settembre 2022, la Cassazione ha respinto il ricorso di una donna campana che aveva invocato la crisi pandemica, nonché le proprie precarie condizioni di salute per bloccare la demolizione dell'immobile abusivo.

Altro aspetto sollevato dalla ricorrente concerne la sanzione della demolizione come sproporzionata rispetto al fine perseguito dalla norma, anche in ragione del lungo tempo trascorso dai fatti, nella specie 28 anni dall'abuso.

La Suprema Corte sul punto ha ricordato che l'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile abusivo non riveste, nel nostro ordinamento, una funzione punitiva, ma, diversamente, una funzione ripristinatoria del bene interesse tutelato.

Per tali motivi l'ordine di demolizione non è soggetto dunque alla prescrizione stabilita dall'art. 173 c.p. per le sanzioni penali, nè alla prescrizione stabilita dal L. n. 689 del 1981 art. 28, che riguarda soltanto le sanzioni pecuniarie con finalità punitiva, per cui il decorso del tempo tra la condanna della ricorrente e l'esecuzione della demolizione non è elemento di per sé decisivo.

Reati edilizi, immobile abusivo, ordine di demolizione, violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio, insussistenza

In tema di reati edilizi, l'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile abusivo non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all'art. 8 C.E.D.U., posto che, non essendo desumibile da tale norma la sussistenza di alcun diritto "assoluto" a occupare un immobile, anche se abusivo, solo perché casa familiare, il predetto ordine non viola in astratto il diritto individuale a vivere nel proprio legittimo domicilio, ma afferma in concreto il diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato e a ripristinare l'equilibrio urbanistico-edilizio violato.

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Corte di Cassazione, sez. III Penale, Sentenza n.32753 del 05/05/2022 (dep. 06/09/2022)

Presidente Di Nicola – Relatore Zunica  

Ritenuto in fatto

Con ordinanza del 3 dicembre 2021, la Corte di appello di Napoli, in sede esecutiva, rigettava l'istanza avanzata nell'interesse di B.A.M., volta a ottenere la sospensione o la revoca dell'ingiunzione di demolizione emessa il 1 luglio 2015 dalla Procura generale di Napoli, con riferimento alla sentenza resa l'11 maggio 2001 dalla Corte di appello di Napoli, irrevocabile il 30 ottobre 2001, relativa ad abusi edilizi riguardanti un'abitazione sita in (omissis).

2. Avverso l'ordinanza della Corte di appello partenopea, la B., tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi.

Con il primo, la difesa contesta la violazione degli art. 6,7 e 8 della C.E.D.U., nonché degli art. 14 e 32 Cost., evidenziando che la demolizione, da eseguire 28 anni dopo i fatti, si configura come una sanzione del tutto sproporzionata rispetto al fine perseguito, anche in ragione delle gravi condizioni economiche e sanitarie della ricorrente, la cui istanza rivolta al Comune di (omissis) di individuare una soluzione abitativa alternativa non ha mai trovato riscontro.

Con iL secondo motivo, infine, la difesa si duole dell'inosservanza della disciplina dettata per fronteggiare la crisi pandemica mondiale da Covid-19, rilevando che le opere da demolire rappresentano l'unica dimora della B., per cui l'esecuzione della demolizione la esporrebbe a un gravissimo disagio, essendo ella affetta sin dall'infanzia da una pluralità di serissime patologie, tra cui una poliomielite anteriore acuta, con notevoli difficoltà nella deambulazione.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato.

1. Premesso che i due motivi di ricorso sono suscettibili di trattazione unitaria, perché tra loro sovrapponibili, occorre evidenziare che il provvedimento impugnato non presenta vizi di legittimità, avendo il giudice dell'esecuzione ragionevolmente escluso che nel caso di specie vi fossero i presupposti per revocare o sospendere l'ordine di demolizione emesso a carico della ricorrente. In tal senso, è stato sottolineato che la B., fino al 2017, è stata residente nel diverso Comune di (omissis), dove, in mancanza di adeguata smentita, la stessa evidentemente aveva la disponibilità di una diversa abitazione; nè. comunque, ha evidenziato la Corte di appello, vi è prova che il provvedimento oggetto dell'ordine demolitorio fosse l'unica soluzione abitativa nella disponibilità della ricorrente, la quale si è tardivamente rivolta presso il Comune, dove ha presentato una richiesta volta a trovare un eventuale alloggio alternativo solo nel febbraio 2020, dunque ben oltre l'adozione dell'ordine di demolizione, risalente al 2015 (a fronte di una sentenza di condanna addirittura del 2001).

A ciò è stato aggiunto che la ricorrente, nata nel 1958, non è in età avanzata e a maggior ragione non lo era al momento della commissione degli abusi e delle plurime violazioni di sigilli risalenti al 1996, non risultando in ogni caso provate eventuali condizioni di indigenza, mentre, quanto allo stato di invalidità, insorto già in epoca infantile, è stato osservato che lo stesso non ha impedito alla B. di rendersi autrice della realizzazione di un edificio abusivo dalle dimensioni non irrisorie (circa 80 mq.), ben rifinito e arredato con cura.

Nè dall'allegato certificato medico del 2013, il giudice dell'esecuzione ha potuto trarre elementi circa l'impraticabilità di trovare eventuali sistemazioni alternative, non essendo note le ragioni per cui uno eventuale spostamento della ricorrente avrebbe cagionato danni "a lei o ad altri", non avendo peraltro la difesa specificato se la B. viva nell'immobile de quo da sola o con altre persone, o abbia comunque la possibilità di spostarsi presso eventuali parenti. Nè l'assenza nell'appartamento in questione delle barriere architettoniche induce a ritenere che questo fosse l'unico immobile adatto alle esigenze della ricorrente.

Di qui rigetto dell'istanza difensiva, non essendo stati prodotti nuovi e significativi elementi rispetto a quelli già valutati dalla Corte territoriale con la precedente ordinanza del 12 febbraio 2021, con cui era stato già disatteso un precedente incidente di esecuzione proposto avverso il medesimo ordine di demolizione, essendo stata ribadita la mancata violazione del principio di proporzionalità in materia di esecuzione delle demolizioni degli immobili abusivi.

2. Orbene, l'impostazione seguita dal giudice dell'esecuzione deve ritenersi immune da censure, in quanto coerente con le acquisizioni probatorie e in linea con il costante orientamento di questa Corte (Sez. 3, n. 24882 del 26/04/2018, Rv. 273368 e Sez. 3, n. 18949 del 10/03/2016, Rv. 267024) secondo cui, in tema di reati edilizi, l'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile abusivo non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all'art. 8 C.E.D.U., posto che, non essendo desumibile da tale norma la sussistenza di alcun diritto "assoluto" a occupare un immobile, anche se abusivo, solo perché casa familiare, il predetto ordine non viola in astratto il diritto individuale a vivere nel proprio legittimo domicilio, ma afferma in concreto il diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato e a ripristinare l'equilibrio urbanistico-edilizio violato. Più di recente, è stato altresì affermato (cfr. Sez. 3, n. 5822 del 18/01/2022, Rv. 282950 e Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020, dep. 2021, Rv. 280270) che il giudice, nel dare attuazione all'ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abituale abitazione di una persona, è tenuto a rispettare il principio di proporzionalità enunciato dalla giurisprudenza convenzionale nelle sentenze della Corte EDU Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria del 21/04/2016 e Kaminskas c. Lituania del 04/08/2020, valutando la disponibilità, da parte dell'interessato, di un tempo sufficiente per conseguire, se possibile, la sanatoria dell'immobile o per risolvere, con diligenza, le proprie esigenze abitative, la possibilità di far valere le proprie ragioni dinanzi a un tribunale indipendente, l'esigenza di evitare l'esecuzione in momenti in cui sarebbero compromessi altri diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola, nonché l'eventuale consapevolezza della natura abusiva dell'attività edificatoria.

Orbene, alla luce di tali premesse interpretative, deve osservarsi che, correttamente, è stata esclusa nel caso di specie la violazione dell'art. 8 della C.E.D.U., posto che, come evidenziato nell'ordinanza impugnata, la ricorrente non ha dedotto l'assenza di eventuali abitazioni alternative o comunque l'impossibilità di potersele procurare, nè le sue precarie condizioni di salute, che non hanno impedito la realizzazione degli abusi e la violazione dei sigilli, si sono rivelate inconciliabili con la possibilità di individuare una collocazione diversa e parimenti adeguata a venire incontro alle esigenze personali della B.

Deve ribadirsi, del resto, che l'ordine di demolizione non riveste, nel nostro ordinamento, una funzione punitiva, quale elemento di pena da irrogare al colpevole, ma, diversamente, una funzione ripristinatoria del bene interesse tutelato. La ratio della previsione, infatti, non è quella di sanzionare ulteriormente (rispetto alla pena irrogata) l'autore dell'illecito, ma quella di eliminare le conseguenze dannose della condotta medesima, rimuovendo la lesione del territorio così verificatasi e ripristinando quell'equilibrio urbanistico-edilizio che i vari enti preposti - ciascuno per la propria competenza - hanno voluto stabilire, al punto che tale ordine, quando imposto dall'Autorità giudiziaria in uno con la sentenza di condanna, non si pone in rapporto alternativo con l'omologo ordine emesso dall'autorità amministrativa, ferma restando la necessità di un coordinamento tra le due disposizioni in sede esecutiva.

Proprio perché privo di finalità punitive, l'ordine di demolizione non è soggetto dunque alla prescrizione stabilita dall'art. 173 c.p. per le sanzioni penali, nè alla prescrizione stabilita dal L. n. 689 del 1981 art. 28, che riguarda soltanto le sanzioni pecuniarie con finalità punitiva (cfr. Sez. 3, n. 41475 del 03/05/2016, Rv. 267977), per cui il decorso del tempo tra la condanna della ricorrente e l'esecuzione della demolizione non è elemento di per sé decisivo.

2.1. Quanto infine all'asserita rilevanza dell'emergenza sanitaria ricollegabile al Covid-19, deve parimenti escludersi che la stessa giustifichi la revoca dell'ordine di demolizione, posto che, terminata la fase contingente del "lockdown" e della conseguente permanenza obbligatoria in casa, non sussistono allo stato ragioni ostative all'operatività della sanzione amministrativa accessoria, potendo assumere rilievo le condizioni di salute dell'occupante l'immobile solo se, in concreto, risultino impeditive dell'esecuzione dell'ordine demolitorio, circostanza questa non adeguatamente provata nel caso di specie.

3. In conclusione, stante l'infondatezza delle doglianze sollevate, il ricorso proposto nell'interesse della B. deve essere rigettato, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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