In tema di diffamazione, il blogger risponde del delitto nella forma aggravata, ai sensi del comma 3 dell'art. 595 c.p., per gli scritti di carattere denigratorio pubblicati sul proprio sito da terzi quando, venutone a conoscenza, non provveda tempestivamente alla loro rimozione, atteso che tale condotta equivale alla consapevole condivisione del contenuto lesivo dell'altrui reputazione e consente l'ulteriore diffusione dei commenti diffamatori.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, Sentenza n. 45680 del 21/09/2022 (dep. 01/12/2022)
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Messina ha confermato la decisione di primo grado nei confronti dell'imputato A., di condanna alla pena di giustizia ed al risarcimento del danno per il reato di diffamazione, consistita nel consentire che venisse pubblicato e permanesse nel suo blog personale il commento di un utente non identificato, nel quale erano accusati di vicinanza alla mafia la società Acqua Marina ed i sui esponenti, aggiungendo a sua volta un' annotazione ad esso adesivo. Epoca del fatto Luglio 2015.
Avverso la pronunzia ha proposto ricorso l'imputato tramite difensore fiduciario, articolando otto motivi di ricorso.
1.Col primo motivo si lamenta la nullità della sentenza per violazione dell'art. 420 ter c.p.p. ed il vizio di motivazione, poiché la Corte territoriale aveva rigettato la richiesta di rinvio per legittimo impedimento per ragioni di salute dell'imputato, ritenendo non impeditiva la patologia attestata ed osservando che la struttura rsa, ove era ricoverato, era residenziale e non un servizio di terapia specialistica.
2. Nel secondo motivo sono stati dedotti i vizi di violazione di legge e motivazione illogica, poiché la sentenza avrebbe forzato la norma incriminatrice del 595/3 c.p. ritenendo un blog mezzo di informazione e mezzo di pubblicità; inoltre aveva opinato che il blogger è responsabile ogni volta che, appresa l'antigiuridicità di un contenuto in uno spazio da lui amministrato, non ne abbia disposto la rimozione ovvero non si sia attivato per informare l'autorità competente ad oscurarlo. Sostiene il ricorrente che il blogger non ha titolo per ritenere antigiuridico un determinato contenuto, non può disporre in autonomia l'oscuramento, né può informare l'autorità competente ad oscurarlo.
3. Tramite il terzo motivo ci si duole della violazione di legge, in relazione all'art. 51 c.p., in relazione al mancato riconoscimento dell'esercizio del diritto di cronaca. L'articolo pubblicato anonimamente aveva contenuto generico e, secondo le dichiarazioni dell'imputato nel corso del giudizio, si riferiva al sequestro del depuratore, all'attenzione della cronaca locale. L'imputato avrebbe aggiunto un commento inteso a spronare il Sindaco ad iniziative contro la mafia.
4. Nel quarto motivo si censura la pronunzia per violazione di legge riguardo all'art. 595 c.p. e vizio di motivazione. La difesa richiama il principio della libertà di opinione, di cui all'art. 10 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE, oltre che giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale l'individuazione della persona offesa deve essere desunta dalla prospettazione oggettiva dell'offesa, e che nega il reato in caso di impossibilità di individuarla. Si ribadisce, inoltre, che il blog non è testata giornalistica e non vi sono obblighi di verifica nei confronti del titolare riguardo ai contenuti pubblicati anzi, nella rete sarebbe vigente il diritto all'anonimato.
5. Col quinto motivo si lamenta l'omesso riconoscimento delle attenuanti generiche.
6. Tramite il sesto motivo - strettamente collegato al secondo - si invoca l'art. 606/1 lett a) c.p.p., perché il Giudice si sarebbe sostituito al legislatore, parificando il blogger al direttore di un mezzo di stampa o ad un giornalista.
7. Nel settimo motivo si deduce la nullità della sentenza collegiale in quanto sottoscritta da un solo Giudice, adempimento indicativo di una decisione monocratica e non collegiale.
8. Nell'ottavo motivo ci si lamenta della mancata applicazione della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p., deducendo l'irrisorietà dei fatti.
Con requisitoria scritta a norma dell'art. 83, comma 12-ter, D.L. 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, con la L. 24 aprile 2020, n. 27, il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione, ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
La difesa dell'imputato ha depositato telematicamente memoria di replica alle conclusioni del PG, con la quale, oltre a ribadire le critiche esposte nei motivi originari, ha segnalato che l'imputato, a seguito di richiesta, aveva rimosso i contenuti del blog.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1. Il primo motivo di ricorso appare inammissibile. Invero,la Corte territoriale ha ritenuto che dalla certificazione prodotta non si evincesse la patologia impeditiva e che l'imputato non fosse ricoverato in una struttura specialistica di terapia. La motivazione appare corretta ed in nulla illogica e, come tale incensurabile in questa sede di legittimità atteso che ed in sostanza la difesa richiede al Collegio una inammissibile rivisitazione della determinazione assunta dal Giudice di merito circa la non sussistenza dell'impedimento assoluto a comparire. In ogni caso dalla consultazione degli atti a disposizione del Collegio si rileva che il documento prodotto a giustificazione dell'assoluto impedimento neppure ha la qualità di certificato medico, essendo una dichiarazione del responsabile della struttura ove l'imputato era ospite, sia pure per motivi di salute, privo di specifiche indicazioni sulla patologia da cui sarebbe affetto. In tal senso: Sez. 5, Sentenza n. 44317 del 21/05/2019 Ud. (dep. 30/10/2019) Rv, 277849.
2. Il secondo motivo di ricorso deduce la violazione di legge, poiché la Corte territoriale avrebbe in sostanza applicato l'art. 595 c.p. ad un caso non previsto, non risultando un blog un mezzo di pubblicità, osservazione critica proposta anche con il sesto motivo in relazione all'ipotesi ex art. 606 lett a) c.p.p., perché in assenza di norma incriminante, i Giudici del merito, con l'operazione interpretativa censurata, si sarebbero sostituiti al legislatore/creandone una ad hoc.
Va in primis, sottolineato che la Corte di appello ha esattamente inquadrato in fatto la figura dell'amministratore del blog come soggetto che gestisce un mezzo che consente a terzi di interagire in esso tramite la pubblicazione anche in forma anonima di contenuti, commenti, considerazioni o giudizi e che il blog, pur essendo strumento di informazione non professionale, è idoneo a divulgare quegli stessi contenuti tra un vasto pubblico di utenti, che hanno, per le stesse caratteristiche del mezzo, la possibilità di accedervi liberamente. Su tale premessa fattuale ha ritenuto di sussumere la condotta contestata all'imputato nel comma 3 dell'art. 595 c.p. sotto la previsione di diffamazione con qualsiasi altro mezzo di pubblicità.
2.1. L'inquadramento giuridico - diversamente da quanto opinato dalla difesa - appare corretto, corrispondendo ad un consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte. Infatti, in linea generale, più pronunzie hanno ritenuto di estendere le ragioni incriminatrici della diffamazione ai contenuti racchiusi in blog o altri strumenti di pubblicità via internet (sez. 5, n. 50187 del 10/5/2017, Giacalone, rv. 271434; sez. 5, n. 27675 del 7/6/2019, Carchidi, rv. 276898);Sez. 5 Sentenza n. 13979 del 25/01/2021 Udl. (dep. 14/04/2021) Rv. 281023, essendo individuabile la ratio decidendi nella maggior pericolosità e diffusività della condotta in simili ipotesi (cfr., da ultimo, per tutte, Sez. 5, n. 13979 del 25/1/2021, la già citata sentenza Chita, Rv. 281023. In questo caso, infatti, l'account personale di facebook, diventa una pubblica "piazza virtuale" aperta al libero confronto, anche se solo tra gli utenti registrati, come in caso di un forum chiuso (Sez. 5, n. 8898 del 18/1/2021, Fanini, Rv. 280571).
Deve, tuttavia, precisarsi per completezza che i suindicati strumenti non godono delle garanzie riservate alla stampa, trattandosi di forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list e social network, come chiarito da Sez. U, n. 31022 del 29/5/2015, Fazzo, rv. 264090, che ha esteso le guarentigie proprie riconosciute alla stampa solo alle testate giornalistiche telematiche.
2.2. Con specifico riguardo alla figura del blogger ed in relazione al medesimo imputato oggi ricorrente questa Corte si è già pronunziata, ritenendo corretta la responsabilità ritenuta dal Giudice di merito per la diffamazione aggravata ai sensi del comma 3 dell'art. 595 c.p., sotto il profilo dell'offesa arrecata "con qualsiasi altro mezzo di pubblicil:à"(Sez. 5, Sentenza n. 12546 del 08/11/2018 Ud. (dep. 20/03/2019) Rv. 275995, pronunzia che - ovviamente - la difesa conosce.
2.3. Esaurito il primo tema proposto dal ricorrente, deve ora esaminarsi il secondo profilo di censura, riguardante la forma della ritenuta responsabilità dell'imputato quale gestore del blog. Sul tema generale - ovvero la responsabilità per le pubblicazioni diffamatorie di soggetti diversi dagli autori dei post o commenti - l'amministratore di un sito internet è stato ritenuto non responsabile ai sensi dell'art. 57 c.p., proprio perché tale norma - come annotato - è applicabile, secondo la già citata pronunzia delle Sezioni Unite, alle sole testate giornalistiche telematiche e non anche ai diversi mezzi informatici di manifestazione del pensiero (forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, facebook). Questa stessa sezione, con sentenza Sez. 5, n. 16751 del 19/2/2018, Rando, Rv. 272685, ha precisato in proposito che il mero ruolo di amministratore di un forum di discussione non determina il concorso nel reato conseguente ai messaggi ad altri materialmente riferibili, in assenza di elementi che denotino la compartecipazione dell'amministrazione all'attività diffamatoria. In senso coerente Sez. 5, Sentenza n. 7220 del 12/01/2021 Ud. (dep. 24/02/2021) Rv. 280473 ha ribadito che l'amministratore di un sito internet non è responsabile ai sensi dell'art. 57 c.p., in quanto tale norma è applicabile alle sole testate giornalistiche telematiche e non anche ai diversi mezzi informatici di manifestazione del pensiero (forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, facebook), salvo che sussistano elementi che denotino la compartecipazione dell'amministratore alla attività diffamatoria.
Nel caso in esame la difesa osserva che sarebbe errata la motivazione, in quanto aveva giudicato il blogger responsabile, poiché, appresa l'antigiuridicità di un contenuto nello spazio da lui amministrato, non ne aveva disposto la rimozione, ovvero non si era attivato per informare l'autorità competente ad oscurarlo. Si rappresenta ex adverso che il blogger non ha titolo per ritenere antigiuridico un determinato contenuto, non può disporre in autonomia l'oscuramento, né può informare l'autorità competente ad oscurarlo.
2.4. In proposito va osservato che il ricorrente solo assertivamente esprime le precedenti proposizioni, mancando di chiarire in base a quale normativa, di qualunque livello, sussisterebbero i citati impedimenti e, sul piano giuridico, non considera quanto chiaramente espresso da questa stessa Sezione nella già citata pronunzia, che ha riguardato il medesimo imputato, per una condotta sovrapponibile a quella ora oggetto di giudizio. In essa si e', infatti, affermato che il blogger è responsabile per gli scritti di carattere denigratorio pubblicati sul proprio sito da terzi quando, venutone a conoscenza, non provveda tempestivamente alla loro rimozione, atteso che tale condotta equivale alla consapevole condivisione del contenuto lesivo dell'altrui reputazione e consente l'ulteriore diffusione dei commenti diffamatori. (Sez. 5, Sentenza n. 12546 del 08/11/2018 Ud. (dep. 20/03/2019) Rv. 275995.
Nella pronunzia richiamata ci si è riferiti a più pronunzie della CEDU -in particolare quella sul caso Phil /Svezia (9.3.2017) - dalle quali si è ricavata l'affermazione di esclusione della automatica responsabilità dell'amministratore di un sito per qualsiasi commento scritto da un utente, sempre che, una volta venuto a conoscenza del contenuto diffamatorio del commento, si sia immediatamente ed efficacemente adoperato per rimuoverlo, ricavandone logicamente - con argomentazione a contrario - che il blogger o gestore di sito, può rispondere dei contenuti offensivi pubblicati sul suo mezzo/spazio informatico quando, presa cognizione della lesività dei contenuti, li mantenga consapevolmente.
Si è quindi chiarito che, in assenza di un titolo specifico di imputazione di responsabilità, non potendo applicarsi ai gestori di siti internet, blog et similia una responsabilità ex art. 57 c.p., non essendo equiparabili tali figure ai direttori responsabili dei giornali, l'ascrivibilità del fatto deve essere ricostruita in base alle comuni regole del concorso nel reato, oltre che per attribuzione diretta, qualora l'autore dello scritto denigratorio pubblicato sul blog sia il medesimo gestore.
Nella pronunzia in riferimento si è esclusa, altresì, la posizione di garanzia e il conseguente obbligo di impedire l'evento ex art. 40 cpv c.p. in capo all'amministratore di blog, non essendo investito il blogger di poteri giuridici impeditivi di eventi offensivi di beni altrui in assenza di fonti normative che li conferiscano; si e', quindi, delineata la possibile attribuibilità della diffamazione a titolo di concorso, individuato nella consapevole condivisione del contenuto lesivo dell'altrui reputazione, con ulteriore replica della offensività realizzata tramite il mantenimento consapevole sul blog dello scritto diffamante. In conclusione si è ritenuto che la mancata tempestiva attivazione del gestore del blog nella rimozione di proposizioni denigratorie costituisca adesione volontaria ad esse, con l'effetto a questo punto voluto di consentirne l'ulteriore divulgazione.
2.5. Il percorso logico-argomentativo ed i principi suindicati sono stati seguiti dalla Corte territoriale, che ha ricostruito la responsabilità dell'imputato non in termini di omessa vigilanza e/o controllo, avendo escluso che ricoprisse una posizione di garanzia, ma a titolo concorsuale secondo i principi generali, in quanto, avendo A. pacificamente conosciuto il contenuto antigiuridico del messaggio pubblicato, non aveva provveduto alla sua rimozione, né aveva informato l'autorità competente all'oscuramento.
Deve, infine, osservarsi che nella fattispecie concreta a sostenere l'affermazione di responsabilità la Corte di appello ha fatto riferimento altresì, alla presenza di un commento al messaggio del terzo ad opera del ricorrente, interpretato come adesivo ad esso e per altro verso dimostrativo del già ritenuto concorso per la mancata rimozione della nota offensiva.
3. Tramite il terzo motivo ci si duole per il mancato riconoscimento dell'esercizio del diritto di cronaca, rappresentando la genericità del contenuto offensivo e sottolineando che le dichiarazioni rese dall'imputato nel giudizio relative al suo commento erano riferite al sequestro del depuratore e non alla cooperativa marina.
La Corte territoriale ha ritenuto il riferimento all'inquinamento ambientale pretestuoso, e giudicato le frasi significative di accostamento alla mafia, esorbitanti dai limiti del legittimo esercizio del diritto di cronaca, poiché implicitamente con esse erano definite mafiose le persone offese e la società da esse costituita.
3.1. In primis deve rilevarsi la genericità del motivo, che non ha articolato né in fatto, né in diritto argomentazioni specifiche ed idonee a criticare la motivazione censurata, limitandosi a rappresentare la propria alternativa versione della vicenda, secondo la quale l'espressione posta a commento del post da parte di A., non era rivolta alle parti civili ed alla società Acqua Marina, tanto che nessuno dei suoi esponenti aveva contattato l'imputato invitandolo a rimuovere la frase dal blog.
3.2.Le precedenti considerazioni danno già conto della inammissibilità del motivo ed in ogni caso va rilevato, in linea generale che,secondo la giurisprudenza di legittimità, l'esimente del diritto di critica postula una forma espositiva corretta, strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell'altrui reputazione. Ex multis: Sez. 5, Sentenza n. 17243 del 19/02/2020 lJd. (dep. 05/06/2020) Rv. 279133 e che la motivazione della Corte di appello appare coerente con questa impostazione, avendo in definitiva opinato che l'epiteto mafioso fosse, ex se e nel contesto di riferimento, gravemente lesivo della reputazione dei destinatari.
Sul punto questa stessa sezione ha già ritenuto che la parola "mafioso" assume carattere offensivo e infamante e, laddove comunicata a più persone per definire il comportamento di taluno, in assenza di qualsiasi elemento che ne suffraghi la veridicità, integra il delitto di diffamazione, sostanziandosi nella mera aggressione verbale del soggetto criticato. In una fattispecie relativa al commento critico, pubblicato su "facebook" dall'ex-sindaco di un comune siciliano, del comportamento tenuto dal sindaco in carica nella designazione dei candidati per le elezioni locali, comportamento definito dal ricorrente come "imposizione o agire mafioso". (Sez. 5 -, Sentenza n. 39047 del 29/05/2019 Ud. (dep. 24/09/2019) Rv. 276855.
4. Il quarto motivo ha sollevato la questione della mancata individuazione delle persone offese, essendo necessario che il soggetto al quale le espressioni denigratorie sono rivolte sia individuabile da qualunque terzo in base alla prospettazione oggettiva desumibile dall'offesa stessa e dal contesto in cui è inserita.
Il principio richiamato dalla difesa è in astratto corretto ma occorre osservare che nel caso concreto non appare applicabile poiché, proprio dalla lettura della frase incriminata, risulta obbiettivamente che essa si era riferita all'associazione Acqua Marina, parte civile nel giudizio, la cui identità è agevolmente evincibile dalle parole adoperate: qualche associazione che richiama l'acqua del mare.
4.1. La motivazione confezionata dai Giudici del merito risulta corretta in diritto, essendo coerente con i principi più volte sostenuti da questa Corte sul punto dell'individuazione della persona offesa nel delitto di diffamazione, anche in assenza di indicazioni nominative, nel caso in cui questa sia ugualmente individuabile ed individuata per l'attività, o per altri riferimenti inequivoci a fatti e circostanze di notoria conoscenza, attribuibili ad un determinato soggetto, oppure evincibili dalla concrete circostanze, e sia pure da parte di un numero limitato di persone.Sez. 5, Sentenza n. 2784 del 21/10/2014 Ud. (dep. 21/01/2015)Rv. 262681;Sez. 5, Sentenza n. 7410 del 20/12/2010 Ud. (dep. 25/02/2011)Rv. 249601;Sez. 5, sentenza n. 2135 del 07/12/1999 Rv. 215476; n. 18249 del 2008 Rv. 239831.
5. Il quinto motivo circa il mancato riconoscimento delle circostanze ex art. 62 bis c.p. richieste in appello, ha sottolineato l'assenza di una risposta esplicita sul punto, che in realtà manca nell'impianto motivazionale in esame. Tuttavia con riguardo al trattamento sanzionatorio la motivazione ha dato conto che la pena inflitta è assai modesta e dal valore quasi simbolico ed è in ogni caso giudicata congrua, dando implicitamente conto dell'impossibilità di addivenire ad una ulteriore mitigazione. Arg. ex Sez. 1, Sentenza n. 12624 del 12/02/2019 Ud. (dep. 21/03/2019) Rv. 275057.
7. Il settimo motivo ha dedotto la nullità della sentenza in quanto sottoscritta da un solo Giudice, adempimento indicativo di una decisione monocratica e non collegiale.
La deduzione è manifestamente infondata, poiché trascura di considerare che, come risulta dalla sentenza impugnata, nel caso in esame il Presidente del Collegio di appello e l'estensore coincidono nella medesima persona e che, secondo la pronunzia ricordata dalla stessa difesa, in tale ipotesi è necessaria e sufficiente una sola firma.
8. Anche l'ottavo motivo è inammissibile per la sua genericità estrinseca, avendo ignorato la giustificazione, stringata ma ineccepibile sotto il profilo logico-giuridico, che ha escluso la causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p. con riferimento all'entità dei fatti contestati, giudicati di non modesto impatto, dando quindi, conto della mancata esiguità del danno prodotto dal reato. Alla luce delle considerazioni e dei principi che precedono il ricorso va rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 21 settembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2022.
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