La causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto può trovare applicazione in relazione al reato di molestia?
Il quesito è affrontato dalla Cassazione con la sentenza n. 49269 depositata il 27 dicembre 2022.
Nel caso di specie, l'imputato compie ripetute molestie nei confronti del vicino. Lo pedina, lo fotografa, lo intralcia nel tragitto quando lo incontra per strada e gli rivolge occhiatacce e borbottii.
Durante il giudizio l'imputato chiede la concessione della causa di non punibilità ex art. 131-bis c.p., ma la Corte d'Appello omette di pronunciarsi sul punto.
La Cassazione investita della questione ribadisce che:
La causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non può trovare applicazione in relazione al reato di molestia ex art. 660 c.p. nel caso di reiterazione della condotta tipica, senza necessità di esplicita motivazione sul punto.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, Sentenza n. 49269 del 03/11/2022 (dep. 27/12/2022)
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 26 ottobre 2021 il Tribunale di Enna, in rito immediato, derivante da opposizione a decreto penale di condanna, ha condannato D.P.F. alla pena di 200 Euro di ammenda per il reato dell'art. 660 c.p. commesso in (Omissis) in data antecedente e prossima e sino al (Omissis).
In particolare, il giudice del merito ha ritenuto provato che l'imputato ha tenuto condotte moleste nei confronti di un vicino di casa; le molestie sarebbero consistite nel pedinarlo, fotografarlo, intralciare il tragitto della vittima quando la incontra per strada, rivolgerle occhiatacce e borbottii. Il giudizio è stato istruito ascoltando anche il figlio della vittima e la moglie dell'imputato. L'imputato ha spiegato che il rapporto teso con il vicino nasce dal fatto che questi getta in strada cenere e mozziconi di sigarette e batta abiti sul balcone. Vi è querela della persona offesa.
2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso l'imputato, per il tramite del difensore, con i seguenti motivi di seguito descritti nei limiti strettamente necessari ex art. 173 disp. att. c.p.p..
Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al vaglio di attendibilità della persona offesa, che in separato giudizio per altri fatti sempre a carico dell'odierno imputato è stato ritenuto non credibile dal Tribunale di Enna.
Con il secondo motivo deduce violazione di legge per errata valutazione degli ulteriori elementi di prova.
Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione non essendo stato valutato che le molestie erano reciproche, il che ne escluderebbe l'elemento soggettivo della petulanza o biasimevole motivo.
Con il quarto motivo deduce vizio di motivazione non essendo stata individuata una condotta realmente molesta, tale non essendo l'incrociarsi per strada, posto che le due persone abitano l'una di fronte all'altra, mancherebbe anche l'elemento soggettivo perché l'imputato non poteva rendersi conto che l'affacciarsi sul balcone o incrociare la vittima per strada arrecasse a questa molestia.
Con il quinto motivo deduce vizio di motivazione non essendo stata provata la responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio.
Con il sesto motivo deduce vizio di motivazione in relazione alla causa di non punibilità dell'art. 131-bis c.p., che era stata chiesta dal difensore, non è stata concessa dal giudice, e manca motivazione della non concessione.
Con il settimo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche, in quanto il giudice ha applicato una pena vicina al minimo edittale ma contraddittoriamente non ha riconosciuto le generiche.
Con l'ottavo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla liquidazione equitativa del danno, in quanto la valutazione sia pure equitativa ha avuto come base un danno consistito in "ansia e nervosismo" che, però, il giudice ha liquidato in modo abnorme, rispetto ai dati di comune esperienza, in 2.500 Euro.
3. Con requisitoria scritta il Procuratore generale della Cassazione, Dott.ssa Franca Zacco, ha concluso per l'accoglimento del motivo sull'art. 131-bis c.p. del ricorso ed il rigetto del ricorso nel resto.
Con nota di conclusioni scritte il difensore del ricorrente, avv. Mauro Di Natale, ha replicato alle conclusioni del Procuratore generale ed insistito nell'accoglimento del ricorso.
Si dà atto che è pervenuta, inoltre, fuori termine (il 31 ottobre 2022), una nota di conclusioni scritte dell'avv. Giuliana Conte per la parte civile P.M..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è dedicato al vaglio di attendibilità della persona offesa; in esso si evidenzia che in separato giudizio per altri fatti è stato ritenuto non credibile dal Tribunale di Enna.
Il motivo non è fondato.
Il giudizio sull'attendibilità della persona offesa e', se il giudice del merito ha effettuato un vaglio critico sulla credibilità soggettiva ed oggettiva della stessa, questione di fatto non censurabile in sede di legittimità (cfr., per tutte, Sez. 4, Sentenza n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609: in tema di valutazione della prova testimoniale, l'attendibilità della persona offesa dal reato è questione di fatto, non censurabile in sede di legittimità, salvo che la motivazione della sentenza impugnata sia affetta da manifeste contraddizioni, o abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sullo "id quod plerumque accidit", ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulti priva di una pur minima plausibilità).
Nel caso in esame, il vaglio critico è stato effettuato in sentenza alle pag. 8 e seguenti, che ha valutato anche la circostanza esposta in ricorso, in cui si evidenzia il diverso giudizio reso da altro giudice in altro processo per altro fatto, anche se tra le stesse parti, in cui P. è stato ritenuto non credibile per l'episodio che in quel giudizio aveva denunciato.
Il giudice del merito ha preso posizione in sentenza su questo specifico giudizio di non attendibilità formulato da altro giudice, ha concluso correttamente per la non vincolatività dello stesso, e lo ha valutato insieme agli altri elementi che aveva a disposizione nel processo per giungere poi alla conclusione della attendibilità nel suo giudizio delle dichiarazioni rese dal P.. In particolare, il giudice del merito ha attribuito rilievo prevalente nel giudizio di attendibilità al coinvolgimento emotivo manifestato dal P. nel corso della deposizione ed alla chiarezza e linearità della stessa.
Si tratta di un giudizio completo, in cui è stato valutato anche l'elemento di senso contrario del giudizio di inattendibilità di altro giudice cui è stato attribuito in modo non illogico rilievo subvalente, ed, in quanto esente da manifesti vizi logici, non è ulteriormente suscettibile di sindacato in sede di legittimità.
2. Il secondo motivo riprende l'argomento della valutazione della prova con riferimento alle altre fonti di prova introdotte in giudizio.
In esso si sostiene che non è possibile che il figlio dell'imputato possa aver realmente seguito il padre, seguito a sua volta dall'imputato, nei vari spostamenti urbani negli esercizi commerciali, perché altrimenti avrebbe dovuto preoccuparsi anzitutto della salute del padre e seguirlo anche negli spostamenti successivi, o comunque denunciare immediatamente il comportamento dell'imputato alle autorità di pubblica sicurezza.
In questa parte il motivo di ricorso introduce, per il vero, argomenti puramente congetturali (nel corso del pedinamento esisteva un problema immediato per la salute del padre del dichiarante? Dopo il pedinamento emergeva un problema di sicurezza del padre del dichiarante?) che non sono in grado di inficiare, in punto di giudizio di attendibilità, la tenuta logica della sentenza.
Va comunque osservato che il giudice di primo grado si è posto, a pag. 7 della sentenza, il problema della contiguità tra la persona offesa ed il testimone che è stato chiamato a confortare le sue dichiarazioni, e lo ha risolto con un giudizio di attendibilità anche del figlio del P., giudizio di attendibilità che non è stato aggredito in ricorso se non con gli argomenti congetturali che sono stati evidenziati.
Non è neanche vero, come si deduce in ricorso, che nella valutazione complessiva della prova il giudice non abbia attribuito rilievo alle dichiarazioni della teste della difesa, L.M., moglie dell'imputato, in quanto in realtà la sentenza cita nel percorso logico anche le dichiarazioni di questo testimone, ma ritiene che esse non siano decisive, perché la stessa ha potuto riferire per cognizione diretta soltanto ciò che è avvenuto in sua presenza. D'altronde, le circostanze su cui sarebbe avvenuto il denunciato travisamento per omissione delle dichiarazioni della teste L. (il non disporre il marito di un telefono con fotocamera e l'aver notato che era la vittima che spiava da dietro le tendine la famiglia dell'imputato) sono in realtà citati a pag. 7 della sentenza impugnata e presi in considerazione dal giudice, ma poi ritenuti subvalenti rispetto alle altre fonti di prova introdotte in giudizio.
In definitiva, il motivo è infondato.
3. Il terzo motivo lamenta non sia stato valutato che le molestie erano reciproche, il che escluderebbe l'elemento della petulanza o biasimevole motivo.
Il motivo è inammissibile in quanto non indica quali sono le prove non valutate da cui deriverebbe la reciprocità delle molestie.
Va anche precisato che la reciprocità dei comportamenti molesti deve essere riferita ai singoli episodi contestati all'imputato, e non al generale rapporto tra questi e la vittima del reato, perché, ricostruendo il sistema diversamente, il subire comportamenti molesti legittimerebbe a quel punto a porne in essere altrettanti in reazione.
Sotto questo profilo il ricorso non specifica quali sono i comportamenti molesti che prima di ciascun episodio a lui contestato il signor D.P. avrebbe subito dal P., che avrebbero reso il comportamento tenuto dal D.P. in reazione conseguenza non di petulanza, o altro biasimevole motivo, ma della molestia appena ricevuta.
4. Il quarto motivo sostiene non esser stata individuata una condotta realmente molesta a carico dell'imputato, tale non essendo l'incrociarsi per strada, posto che le due persone abitano l'una di fronte all'altra; mancherebbe anche l'elemento soggettivo perché l'imputato non poteva rendersi conto che l'affacciarsi sul balcone o incrociare la vittima per strada arrecasse a questa molestia.
Il motivo è manifestamente infondato, in quanto i comportamenti per cui il giudice è pervenuto a condanna devono essere guardati nella loro interezza, perché in un reato a condotta eventualmente reiterata quale quello dell'art. 660 c.p. non è corretta la valutazione atomistica dei singoli comportamenti contestati.
Nella struttura dell'imputazione e dei fatti accertati in giudizio sono riportati dei comportamenti, quali il pedinamento per strada o l'aver scattato fotografie, su cui il motivo di ricorso non si sofferma, e che consentono di illuminare anche altri comportamenti, che di per sé potrebbero essere considerati neutri o non immediatamente percepibili, né dall'agente né dalla vittima, come molesti, quali l'aver guardato dalle finestre o l'aver intralciato per strada.
Il motivo di ricorso non si confronta con questa parte del contenuto della sentenza, e pertanto sul punto è inammissibile per difetto del requisito della specificità estrinseca dei motivi di impugnazione (cfr. Sez. U, Sentenza n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268823).
5. Il quinto motivo ritiene non provata la responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio.
Il motivo è inammissibile, in quanto esposto mediante mere considerazioni in diritto e privo di qualsiasi riferimento alla sentenza impugnata.
6. Il sesto motivo deduce vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione della causa di non punibilità ex art. 131-bis c.p., su cui manca qualsiasi motivazione in sentenza.
Il motivo è infondato.
E' vero che dagli atti risulta che la difesa del ricorrente aveva chiesto l'applicazione della causa di non punibilità e che non vi è risposta esplicita nel corpo della motivazione della sentenza, ma in precedente analogo la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che nel caso in cui il reato dell'art. 660 c.p. sia configurato come a condotta reiterata non sia necessaria motivazione sulla esclusione della causa di non punibilità (Sez. 1, Sentenza n. 1523 del 05/11/2018, dep. 2019, Morreale, Rv. 274794: la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non può trovare applicazione in relazione al reato di molestia ex art. 660 c.p. nel caso di reiterazione della condotta tipica, nella specie, pedinamento della persona offesa, senza necessità di esplicita motivazione sul punto).
La applicazione della causa di non punibilità non e', infatti, ammessa quando il comportamento è abituale, e, per espressa definizione del comma 3 cit. articolo, il comportamento è da ritenere abituale anche in presenza di condotte reiterate.
Il motivo, pertanto, è infondato.
7. Il settimo motivo è dedicato al diniego delle attenuanti generiche, in esso si sostiene che il giudice ha applicato una pena vicina al minimo edittale ma contraddittoriamente non ha riconosciuto le generiche e che non si comprende perché le stesse siano state negate.
Il motivo è infondato. Il diniego è motivato con il non corretto comportamento processuale, il giudice aveva ricordato due pagine prima che l'imputato ha rifiutato una proposta transattiva e che nel corso dell'esame cui si è sottoposto in dibattimento ha rivendicato il diritto di essere cattivo (pag. 13 della sentenza impugnata). Si ritiene, quindi, che vi fossero nella sentenza elementi per comprendere a cosa si riferisse il giudice quando ha fatto riferimento generico al contegno processuale.
Non vi è contraddizione logica tra la mancata concessione delle attenuanti generiche con l'aver contenuto la pena in misura prossima al minimo edittale.
Le attenuanti generiche sono, infatti, uno strumento che serve al giudice per poter determinare la pena scendendo al di sotto del minimo edittale. Il riconoscimento delle attenuanti generiche presuppone, quindi, un passaggio logico in più rispetto al mero riconoscimento della pena nel minimo edittale, perché, per il suo riconoscimento, non solo il giudice deve, nel suo potere discrezionale di determinazione della pena, ritenere corretto applicare al caso sottoposto al suo giudizio la pena nel minimo edittale, ma poi deve ritenere anche opportuno dover scendere al di sotto dello stesso. Il primo passaggio non comporta necessariamente il secondo, perché l'imputato può essere meritevole di ottenere il minimo edittale, ma non essere meritevole fino al punto di dover scendere anche al di sotto del minimo edittale. Non vi potrà essere mai, quindi, contraddizione logica tra la mancata concessione delle attenuanti generiche e l'aver contenuto la pena in misura prossima al minimo edittale, mentre - a certe condizioni - può esservi contraddizione nell'ipotesi esattamente opposta in cui sia individuata una pena sensibilmente superiore al minimo edittale, e poi, però, siano riconosciute le attenuanti generiche.
Il motivo, pertanto, è infondato.
8. L'ottavo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla liquidazione equitativa del danno, in quanto la valutazione sia pure equitativa del danno da "ansia e nervosismo" è stata individuata in modo abnorme, rispetto ai dati di comune esperienza, in 2.500 Euro.
Il motivo è manifestamente infondato.
In tema di liquidazione del danno morale, la relativa valutazione del giudice, in quanto affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi, costituisce valutazione di fatto sottratta al sindacato di legittimità se sorretta da congrua motivazione. (Sez. 3, Sentenza n. 34209 del 17/06/2010, Ortolan, Rv. 248371).
Va anche ricordato che l'obbligo motivazionale in punto di liquidazione dei danni morali, attesa la natura equitativa degli stessi, è assolto mediante la mera indicazione dei fatti materiali tenuti in considerazione e del percorso logico posto a base della decisione, senza che sia necessario indicare analiticamente in base a quali calcoli è stato determinato l'ammontare del risarcimento. (Sez. 6, Sentenza n. 48086 del 12/09/2018, B., Rv. 274229).
9. Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., comma 1, alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
10. Non segue condanna alle spese di parte civile, che non ha svolto difese nel giudizio di cassazione, salvo che per una memoria conclusionale, che, però, non può essere presa in considerazione in quanto tardiva.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 3 novembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2022