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Coltivare una pianta di cannabis nel cortile può integrare l'uso personale?

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, Sentenza n.11901 del 09/02/2023 (dep. 21/03/2023)

La coltivazione di una singola pianta di cannabis nel cortile può essere considerata come destinata all'uso personale?

La Cassazione penale ha affrontato questa questione nella sentenza n. 11901 del 9 febbraio 2023.

Nel caso di specie, un uomo era stato condannato per il reato di coltivazione di cannabis ex art. 73, comma 5, del D.P.R. n. 309 del 1990, aggravato dalla recidiva reiterata, per aver coltivato una piantina messa a dimora nel cortile esterno, alta m. 1.60, con produzione di un principio attivo, tratto da foglie e fiori essiccati, corrispondente a circa 160 dosi.

Nel ricorso per Cassazione l'uomo sosteneva che si trattava di cannabis sativa destinata ad uso personale e coltivata senza strumentazione particolare o collegamenti con il mercato degli stupefacenti.

La Suprema Corte ha richiamato l'orientamento delle Sezioni Unite, secondo il quale la prevedibilità della potenziale produttività della coltivazione è un parametro utile per distinguere tra una coltivazione penalmente rilevante, con una produttività non stimabile a priori con sufficiente precisione, e una coltivazione penalmente non rilevante, caratterizzata da una produttività modesta e prevedibile.

Per escludere il reato, diversi elementi devono convergere: la minima dimensione della coltivazione, il suo svolgimento in forma domestica, la rudimentalità delle tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, la mancanza di indizi di inserimento nell'ambito del mercato degli stupefacenti e l'oggettiva destinazione di quanto prodotto all'uso personale esclusivo del coltivatore.

In base a questi principi, la Corte ha stabilito che gli elementi del caso concreto non integrano l'ipotesi di coltivazione tipica penalmente rilevante, escludendo quindi la configurabilità del reato contestato.

Coltivazione di stupefacenti, uso personale, non punibilità, presupposti

Non sono riconducibili all'ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di stupefacenti di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per la rudimentalità delle tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, la mancanza di indici di un inserimento dell'attività nell'ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all'uso personale del coltivatore.

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Corte di Cassazione, sez. VI Penale, Sentenza n.11901 del 09/02/2023 (dep. 21/03/2023)

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 08/02/2022 la Corte di appello di Napoli, in sede di rinvio, dopo che la Suprema Corte aveva annullato precedente sentenza di appello per difetto di notifica al difensore dell'imputato, ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Napoli Nord, pronunciata in data 24/01/2015 nei confronti di P.P., riqualificando ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, il reato di coltivazione di cannabis, aggravato dalla recidiva reiterata.

2. Ha proposto ricorso P. tramite il suo difensore.

2.1. Con il primo motivo denuncia violazione di legge ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. c).
Le conclusioni del P.G., pur tempestive, erano state comunicate al difensore dell'imputato solo poche ore prima che scadesse il termine per la presentazione di memorie di replica, cosicché si era determinata una violazione del diritto di difesa, che aveva peraltro formato oggetto di deduzione con memoria inviata a mezzo pec due giorni prima della celebrazione del processo di appello con trattazione scritta, senza che sul punto la Corte di appello si fosse pronunciata.

2.2. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla configurabilità del reato di coltivazione illecita.
La Corte non aveva considerato che si trattava di cannabis sativa e inoltre non aveva dato conto della potenzialità diffusiva della coltivazione, disattendendo i principi in materia di coltivazione domestica, in quanto si trattava di una sola piantina, altra m. 1,60, messa a dimora nel cortile dell'abitazione, in assenza di strumentazione e di accorgimenti particolari o di collegamenti con il mercato degli stupefacenti, essendo oggettivamente desumibile la destinazione ad uso personale.
Ne' in senso contrario avrebbe potuto deporre il rinvenimento di due trita-erba, costituenti strumenti che assolvono a finalità di autoconsumo.

2.3. Con il terzo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione. La Corte aveva omesso di pronunciarsi sul motivo di appello con cui era stata chiesta l'esclusione della recidiva.

3. Il Procuratore generale ha inviato requisitoria, concludendo per l'annullamento con rinvio in relazione al terzo motivo e per l'inammissibilità del ricorso nel resto.

4. Il ricorso è stato trattato senza l'intervento delle parti, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, in base alla proroga da ultimo disposta dal D.Lgs. n. 150 del 2022, art. 94, comma 2, come modificato dal D.L. n. 162 del 2022, art. 5-duodecies, convertito con modificazioni dalla L. n. 199 del 2022.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Posto che il giudizio di appello si è svolto con trattazione cartolare sulla base della disciplina dettata in riferimento all'emergenza pandemica, non si pone nel caso di specie il problema della mancata presentazione delle conclusioni da parte del Procuratore generale, bensì quello del tardivo invio delle stesse al difensore dell'imputato.
Sul punto non si registra un univoco panorama giurisprudenziale.
E' stato affermato che l'omessa comunicazione dà luogo ad una nullità generale di tipo intermedio, deducibile con ricorso anche dal difensore che abbia inviato memorie (Sez. 5, n. 34790 del 16/09/2022, D'Incalci, Rv. 283901), ma in senso parzialmente diverso è stato sottolineato che tale nullità deve essere comunque dedotta prima del compimento dell'atto o immediatamente dopo, risultando tardiva la formulazione dell'eccezione con ricorso per cassazione (Sez. 6, n. 10216 del 03/03/2022, M., Rv. 283048).
E' stato inoltre affermato che analogo onere di tempestiva eccezione grava sul difensore dell'imputato anche nel caso di tardiva presentazione delle conclusioni del Procuratore generale, poi comunque comunicate (Sez. 4, n. 21066 del 05/05/2022, 0., Rv.283316).
Con riguardo alla specifica ipotesi, rilevante nel presente processo, è stato rilevato che la trasmissione non immediata delle conclusioni non integra di per sé una nullità, essendo necessario verificare il concreto pregiudizio derivatone alla difesa (Sez. 2, n. 07/09/2021, Carlino, Rv. 281941).
Inoltre, proprio la sentenza invocata nel motivo di ricorso (Sez. 5, n. 2448 del 16/12/2021, dep. 2022, Tuveri, non mass.) sottolinea come sia ravvisabile una nullità, nel caso in cui non si dia modo all'altra parte di replicare, sempre che della requisitoria del Procuratore generale la Corte tenga conto.
Va d'altro canto rimarcato come con riguardo al giudizio di legittimità che si svolga in forma cartolare sia stato da tempo affermato che "il mancato rispetto dei termini di cui al D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8, convertito in L. 18 dicembre 2020, n. 176 - ad eccezione di quello perentorio previsto per la formulazione della richiesta di trattazione orale - non integra un'ipotesi di nullità generale ai sensi dell'art. 178 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), ad eccezione del caso in cui non sia stata assicurata alle parti la possibilità di concludere" (Sez. 5, n. 6207 del 17/11/2020, dep. 2021, P., Rv. 280412).
Alla luce del variegato quadro delineato, si osserva che nel caso in esame la tempestiva requisitoria del Procuratore generale è stata comunicata al difensore dell'imputato nel pomeriggio dell'ultimo giorno utile, affinché lo stesso difensore potesse tempestivamente presentare memorie di replica.
Va peraltro osservato che nella stessa serata, a cavallo della mezzanotte, risulta essere stata inviata una memoria difensiva, non specificamente di replica, ma tale da rievocare i temi che suffragavano l'appello presentato.
In ogni caso due giorni dopo con ulteriore memoria il difensore ha anche formalmente dedotto il vizio, ribadito in questa sede.
Orbene, posto che non sono specificamente previste nullità e che la disciplina deve essere semmai ricondotta alle clausole generali di cui all'art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c) deve ritenersi che la possibilità e la necessità di intervento dell'imputato e del suo difensore debbano essere valutate non in astrato ma in concreto, in rapporto alla specifica dinamica processuale e all'emergenza di uno specifico vulnus difensivo.
In tale prospettiva deve rimarcarsi che nella sintetica requisitoria del Procuratore generale, peraltro non specificamente presa in considerazione dalla Corte, si poneva in evidenza il quantitativo di droga alla luce della richiamata sentenza Caruso delle Sezioni Unite, sulla quale si tornerà.
Ma tale tema è stato concretamente affrontato anche nella memoria difensiva presentata, non essendo a tal fine rilevante che la stessa non avesse la funzione della replica alla requisitoria del Procuratore generale.
Ed allora deve concludersi che, pur potendo in astratto configurarsi un pregiudizio difensivo, lo stesso in tanto può tradursi in una nullità, in quanto si risolva in una compromissione dell'esercizio del diritto di difesa, pregiudizio nel caso di specie non ravvisabile, in ragione del tenore della requisitoria e delle iniziative difensive in concreto assunte.

2. E' peraltro fondato, assumendo rilievo assorbente, il secondo motivo.
La Corte ha confermato la condanna del ricorrente, pur ravvisando l'ipotesi della lieve entità, ritenendo configurabile una coltivazione illecita di cannabis: a tal fine ha, essenzialmente, valorizzato la circostanza del rinvenimento di un'unica piantina messa a dimora nel cortile esterno, alta m. 1.60, con produzione di un principio attivo, tratto da foglie e fiori essiccati, corrispondente a circa 160 dosi.
Nel contempo la Corte ha dato conto dell'irrilevanza del fatto che la coltivazione artigianale/domestica sia oggettivamente destinata ad uso personale.
Ciò posto, deve rilevarsi che sul complesso tema dell'inquadramento dell'attività di coltivazione e sul rapporto tra tale attività e destinazione ad uso personale della sostanza stupefacente ricavata è intervenuta una significativa pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di cassazione (Sez. U, n. 12348 del 19/12/2019, dep. 2020, Caruso, Rv. 278624), che costituisce un decisivo parametro di valutazione.
Le Sezioni Unite hanno posto al centro dell'analisi il profilo della tipicità, escludendo che potesse dirsi decisiva la mera destinazione soggettiva ad uso personale e dando invece rilievo al profilo oggettivo-strutturale, correlato alla compresenza di plurimi elementi, che devono convergere nel senso dell'esclusione del reato.
In particolare è stata valorizzata la prevedibilità della potenziale produttività, quale parametro che consente di distinguere fra coltivazione penalmente rilevante, dotata di una produttività non stimabile a priori con sufficiente grado di precisione, e la coltivazione penalmente non rilevante, caratterizzata da una produttività prevedibile come modestissima. E' stato però sottolineato che tale parametro, per poter operare con sufficiente certezza, deve essere ancorato a presupposti oggettivi - in parte già individuati dalla giurisprudenza (ex plurimis, Sez. 3, n. 21120 del 31/01/2013, Colamartino, Rv. 255427; Sez. 6, n. 6753 del 09/01/2014, M., Rv. 258998; Sez. 6, n. 33835 del 08/04/2014, Piredda, Rv. 260170 e Sez. 6, n. 8058 del 17/02/2016, Pasta, Rv. 266168) - che devono essere tutti compresenti, quali: la minima dimensione della coltivazione, il suo svolgimento in forma domestica e non in forma industriale, la rudimentalità delle tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, la mancanza di indici di un inserimento dell'attività nell'ambito del mercato degli stupefacenti, l'oggettiva destinazione di quanto prodotto all'uso personale esclusivo del coltivatore, essendo per contro insufficiente la circostanza che la coltivazione sia intrapresa con l'intenzione soggettiva di soddisfare esigenze di consumo personale.
Ma alla luce di tali principi, deve prendersi atto che gli elementi della concreta fattispecie, pur valutati congiuntamente, non convergono nel senso della riconducibilità all'ipotesi della coltivazione tipica, penalmente rilevante, in senso contrario deponendo, secondo quanto condivisibilmente sottolineato dalla difesa, l'assenza di indici che consentano di ipotizzare un concreto collegamento con il mercato degli stupefacenti, a fronte di un'oggettiva destinazione all'uso personale, la rudimentalità dell'attività di coltivazione, risolventesi nella messa a dimora di un'unica piantina, dalla limitata sfera di produttività, non tale da rendere concretamente prospettabili margini di imprevedibilità e da oltrepassare la sfera di quell'oggettiva destinazione, di per sé non contraddetta dal principio attivo in atto ricavabile da quella piantina.
Ne' è dato comprendere come possa diversamente inquadrarsi il rinvenimento di due trita-erba.
Da ciò discende che il fatto, come ricostruito nella sentenza impugnata, non può essere sussunto nella fattispecie della coltivazione, penalmente rilevante, con la conseguenza che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, perché il fatto non sussiste.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.

Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2023.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2023.

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