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Bancarotta riparata può applicarsi alla bancarotta preferenziale?

Corte di Cassazione, sez. V Penale, Sentenza n.1366 del 09/11/2022 (dep. 16/01/2023)

La bancarotta riparata può essere applicata alla bancarotta preferenziale?

Risponde al quesito la Cassazione con la sentenza n. 1366 del 16 gennaio 2023. 

La Suprema Corte ricorda che la bancarotta riparata si verifica quando la sottrazione dei beni viene annullata da un'azione contraria che reintegra il patrimonio dell'impresa, rendendo l'elemento materiale del reato insussistente. 

Tale reintegrazione deve avvenire prima della dichiarazione di fallimento, non rilevando, invece, il momento di manifestazione del dissesto come limite di efficacia della restituzione. Tale intervento evita che il pericolo per la garanzia dei creditori acquisisca effettiva concretezza.

In particolare, nel caso di bancarotta preferenziale, la restituzione della somma o della merce ricevuta dal fallito costituisce un elemento che può attenuare o riparare il danno cagionato dal reato ma non è giuridicamente rilevante al punto da potere scriminare il reato stesso.
L'evento del reato di bancarotta preferenziale, infatti, consiste nell'alterazione della par condicio, nascente nei creditori col sorgere dello stato d'insolvenza; alterazione che si verifica nel momento stesso in cui viene accordata preferenza a taluno dei creditori, a scapito degli altri.

La Suprema Corte precisa che sussistono scarse possibilità di ritenere applicabile la figura della bancarotta riparata alla fattispecie di bancarotta preferenziale: se il senso della ragione scriminante individuata nella "riparazione" del danno distrattivo è quello di evitare che il pericolo per la garanzia dei creditori acquisisca effettiva concretezza, fissando come "dead line" finale la dichiarazione di fallimento, oltre la quale ogni tentativo di riparare il danno perde il proprio senso, non vi è differenza alcuna tra le ipotesi di bancarotta previste dall'art. 216 L. Fall., poiché occorre, in ogni caso, che il pericolo o il danno provocato siano riparati prima della sentenza di fallimento. 

Nel caso di specie, la Corte respinge il ricorso dell’imputato poiché. non precisa quale condotta sarebbe stata di "riparazione" e quando sarebbe avvenuta, senza contare che sarebbe stato onere dell'amministratore, che si è reso responsabile di atti di distrazione, ovvero di alterazione della par condicio creditorum, e sul quale grava una posizione di garanzia rispetto al patrimonio sociale, provare l'esatta corrispondenza tra i versamenti compiuti e gli atti distrattivi precedentemente perpetrati.

Bancarotta riparata, presupposti, reintegrazione del patrimonio sottratto, momento anteriore alla dichiarazione di fallimento

La bancarotta "riparata" si configura, determinando l'insussistenza dell'elemento materiale del reato, quando la sottrazione dei beni venga annullata da un'attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell'impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento, non rilevando, invece, il momento di manifestazione del dissesto come limite di efficacia della restituzione, evitando che il pericolo per la garanzia dei creditori acquisisca effettiva concretezza.

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Corte di Cassazione, sez. V Penale, Sentenza n. 1366 del 09/11/2022 (dep. 16/01/2023)

RITENUTO IN FATTO

1. Viene in esame la sentenza della Corte d'Appello di Torino che, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Alessandria del 2.12.2020, ha dichiarato assorbito il reato di cui al capo C in quello indicato nel capo D ed ha confermato nel resto la sentenza di condanna nei confronti di V.L., in relazione al delitto di bancarotta semplice ex art. 224 L. Fall., che ha causato od aggravato il dissesto (capo a) della società (Omissis) s.r.l., fallita il 5.3.2014, per l'omessa convocazione dell'assemblea funzionale ad adottare le deliberazioni di cui all'art. 2482-ter c.c., nonché in relazione al delitto di bancarotta preferenziale (capo c), tenendo ferma la pena di anni due di reclusione, con le pene accessorie fallimentari stabilite nella medesima durata della sanzione principale. L'imputato è stato condannato per omesso controllo, nella sua qualità di presidente del consiglio di amministrazione della fallita, in concorso con B.A., componente dello stesso c.d.a., al quale pure è stato contestato di essere venuto meno ai propri doveri di vigilanza e controllo, con la finalità di favorire, quanto alla bancarotta preferenziale, la " B. s.r.l.", società riferibile ad entrambi gli imputati (rispettivamente, B., amministratore di diritto e V. amministratore di fatto della B. s.r.l.), drenando risorse economiche dalla fallita verso tale ultimo ente.

2. Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso l'imputato V.L., tramite il difensore di fiducia, articolando quattro diversi motivi di censura.

2.1. Il primo argomento difensivo eccepisce, in relazione al capo a) dell'imputazione, manifesta contraddittorietà della motivazione del provvedimento impugnato, per travisamento delle prove.

Il ricorrente sostiene che la testimonianza del curatore fallimentare, ritenuta decisiva dai giudici di merito per giungere ad affermare la sua responsabilità ai sensi dell'art. 224 L. Fall., per aver causato un aggravamento del dissesto, non convocando l'assemblea dei soci e non ponendo in essere alcuno dei provvedimenti previsti dall'art. 2482-ter c.c., è stata travisata.

Da essa, infatti, si comprende soltanto che la mancata adozione dei provvedimenti di messa in liquidazione ha determinato la prosecuzione del dissesto dipendente da debiti preesistenti, conseguenza, tuttavia, che non sarebbe stata evitata dalla messa in liquidazione, poiché questa non provoca alcuna cessazione dell'addebito di interessi bancari né della maturazione di debiti o eventuali sanzioni tributarie.

La verifica fondamentale, invece, al fine di ritenere l'aggravamento del dissesto (o, primariamente, il suo cagionarsi) è quella che attiene alla violazione dei doveri di cui all'art. 2486 c.c., ad esempio con l'intrapresa di nuove attività, la stipula di nuovi contratti, la contrazione di nuovi debiti.

Stessa sorte di travisamento avrebbe subito la dichiarazione dell'imputato in dibattimento relativa al fatto che i mutui gravavano sul conto economico.

2.2. Il secondo motivo di ricorso eccepisce violazione di legge riguardo alla contestazione di bancarotta preferenziale ed all'interpretazione del meccanismo di compensazione ex art. 56 L. Fall. fornita dal provvedimento impugnato: la compensazione non è meccanismo di per sé illegale in caso di dissesto della società, qualora non vi siano danni conseguenti, per i creditori diversi da colui che ha usufruito della compensazione. Nel caso di specie, la compensazione non ha modificato lo stato patrimoniale della società.

Inoltre, si potrebbe applicare alla fattispecie il criterio della "bancarotta riparata", già richiesto in sede di appello, per mancanza dell'elemento materiale del reato, costituito dall'aggravio del dissesto e da qualsiasi danno patrimoniale.

Peraltro, la risposta della sentenza impugnata al motivo specifico formulato è poco chiara: non si comprende se non è stata ritenuta lecita la compensazione, ovvero se si è ritenuta inapplicabile l'ipotesi di "bancarotta riparata" alla condotta di bancarotta preferenziale.

2.3. La terza censura ha eccepito vizio di motivazione mancante quanto all'elemento soggettivo del reato di cui all'art. 223, comma 2, n. 1, L. Fall. (bancarotta societaria preferenziale); si richiamano, quali indicatori contrari alla sussistenza del coefficiente doloso, inteso come consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico e patrimoniale derivante dalla preferenza accordata ad uno di essi: la posizione marginale di V. nell'amministrazione della società; l'assenza di competenze giuridiche da parte sua, in quanto medico e coinvolto solo per aiutare B., all'epoca suo suocero.

2.4. Il quarto motivo di ricorso eccepisce violazione di legge in relazione all'art. 114 c.p. e difetto assoluto di motivazione riguardo alla richiesta della sua concessione, da parte del provvedimento impugnato. L'addebito di omesso controllo sull'operato del coamministratore, configura, a giudizio della difesa, quella ridotta efficacia eziologica, materiale e morale, che la giurisprudenza individua come elemento decisivo per l'applicabilità della circostanza attenuante in esame.

Il ricorrente insiste sulla diversità valutativa delle condizioni di configurabilità di detta attenuante, rispetto alle circostanze ex art. 62-bis c.p..

2.5. Il ricorrente ha depositato, tramite i suoi difensori, memoria conclusiva con cui chiede l'accoglimento del ricorso, ribadendo e specificando le ragioni già esposte nell'impugnazione principale.

3. Il PG Andrea Venegoni ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d'Appello di Torino.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. I primi due motivi di censura si muovono, di fondo, secondo direttrici di critica della sentenza impugnata che si collocano al di fuori dell'orizzonte del sindacato di legittimità, poiché formulate "in fatto", con una richiesta di rivalutazione non consentita delle prove assunte nel corso del giudizio, analizzate dai giudici di merito senza distonie argomentative.

Come noto, non è consentita alla Cassazione - a meno che non si riveli fattore di manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., tra le più recenti, Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; vedi anche, da ultimo, Sez. 2, n. 9106 del 12/2/2021, Caradonna, Rv. 280747). Nel caso di specie, il ricorrente deduce il travisamento delle dichiarazioni e degli accertamenti del curatore, nonché la sottovalutazione e il mancato confronto con le dichiarazioni rese dallo stesso imputato nel corso del suo esame dibattimentale. E ciò fa non mediante l'indicazione di punti deboli degli argomenti del provvedimento d'appello, bensì attraverso una richiesta di riconsiderare il senso ed il significato delle prove raccolte, al fine di giungere ad un esito più favorevole per il ricorrente.

Invero, nella sentenza impugnata si è dato conto, in maniera logica e convincente, oltre che coerente con i risultati accertativi della pronuncia di primo grado, di come la protrazione dell'attività della società, nonostante le cospicue perdite, nel periodo di oltre un anno dopo l'emergere di queste, nell'anno 2010, abbia certamente concorso ad aggravare il dissesto, non soltanto rispetto alla quota contestata dal ricorrente e costituita dagli interessi sui mutui, ma anche rispetto ai debiti contratti dalla società per continuare ad operare ed ai debiti nei confronti dell'Erario, incrementatisi via via che passavano i mesi.

Per quanto concerne, invece, l'imputazione di bancarotta preferenziale, il motivo è inammissibile perché manifestamente infondato, sotto due diversi profili.

Anzitutto, in linea generale è noto che la cosiddetta bancarotta "riparata" si configura, determinando l'insussistenza dell'elemento materiale del reato, quando la sottrazione dei beni venga annullata da un'attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell'impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento, non rilevando, invece, il momento di manifestazione del dissesto come limite di efficacia della restituzione, evitando che il pericolo per la garanzia dei creditori acquisisca effettiva concretezza (Sez. 5, n. 4790 del 20/10/2015, dep. 2016, Budola, Rv. 266025; Sez. 5, n. 50289 del 7/7/2015, Mollica, Rv. 265903).

Più precisamente, in passato, con riguardo alla possibilità di ipotizzare la bancarotta "riparata" in caso di delitto di bancarotta preferenziale, si è chiarito che la restituzione della somma o della merce ricevuta dal fallito, se costituisce un elemento che può attenuare o riparare il danno cagionato dal reato, già consumato al momento stesso della dichiarazione di fallimento, non e', però, giuridicamente rilevante al punto da potere scriminare il reato stesso, poiché l'evento del reato di bancarotta preferenziale consiste nell'alterazione della par condicio, nascente nei creditori col sorgere dello stato d'insolvenza; alterazione che si verifica nel momento stesso in cui viene accordata preferenza a taluno dei creditori, a scapito degli altri (Sez. 3, n. 2043 del 15/6/1965, Sabioni, Rv. 099779).

Ebbene, adottando tale secondo assetto interpretativo, che valorizza la specificità del pericolo che costituisce la ratio profonda della tutela espressa dalla disposizione in tema di bancarotta preferenziale, non vi è spazio per configurare l'insussistenza del reato di cui all'art. 216, comma 3, L. Fall., tentando la riparazione o l'attenuazione del danno cagionato dal reato, che si realizza già con l'alterazione della par condicio tra i creditori della società in decozione, al momento della dichiarazione del fallimento.

Ma anche la prima prospettiva ermeneutica, più generale, offre scarse possibilità di ritenere applicabile la figura della bancarotta riparata alla fattispecie di bancarotta preferenziale: se il senso della ragione scriminante individuata nella "riparazione" del danno distrattivo è quello di evitare che il pericolo per la garanzia dei creditori acquisisca effettiva concretezza, fissando come "dead line" finale la dichiarazione di fallimento, oltre la quale ogni tentativo di riparare il danno perde il proprio senso, non vi è differenza alcuna tra le ipotesi di bancarotta previste dall'art. 216 L. Fall., poiché occorre, in ogni caso, che il pericolo o il danno provocato siano riparati prima della sentenza di fallimento. Il motivo di ricorso proposto dall'imputato si rivela aspecifico, alla luce degli orientamenti interpretativi richiamati: non si precisa quale condotta sarebbe stata di "riparazione" e quando sarebbe avvenuta, senza contare che sarebbe stato onere dell'amministratore, che si è reso responsabile di atti di distrazione, ovvero di alterazione della par condicio creditorum, e sul quale grava una posizione di garanzia rispetto al patrimonio sociale, provare l'esatta corrispondenza tra i versamenti compiuti e gli atti distrattivi precedentemente perpetrati (cfr. Sez. 5, n. 57759 del 24/11/2017, Liparoti, Rv. 271922).

Infine, si rivela generico anche il motivo di ricorso che evoca la valenza positiva della "compensazione" rispetto ai creditori "preferiti".

La compensazione volontaria, pur consentita dall'art. 1252 c.c. e art. 56 L. Fall., può integrare il delitto di cui all'art. 216, comma 3, L. Fall. nei casi in cui l'accordo sia raggiunto durante la fase di insolvenza e sia finalizzato a favorire alcuni creditori con danno per gli altri (Sez. 5, n. 26412 del 26/4/2022, Farruggia, Rv. 283526).

3. Il ricorrente, nel terzo motivo di censura, lamenta la mancata, necessaria verifica dell'elemento soggettivo del reato di cui al capo c) da parte della sentenza impugnata: gli indicatori contrari alla sussistenza del coefficiente doloso, inteso come consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico e patrimoniale derivante dalla preferenza accordata ad uno di essi, sarebbero costituiti dalla posizione marginale di V. nell'amministrazione della società e dall'assenza di competenze giuridiche da parte sua, in quanto medico e coinvolto solo per aiutare il coimputato B., all'epoca suo suocero.

Ebbene, costituisce orientamento consolidato di questa Corte regolatrice ritenere che l'elemento soggettivo del delitto di bancarotta preferenziale (art. 216, comma 3, L. Fall.) sia costituito dal dolo specifico, ravvisabile ogni qualvolta l'atteggiamento psicologico del soggetto agente sia rivolto a favorire un creditore, riflettendosi contemporaneamente, anche secondo lo schema tipico del dolo eventuale, nel pregiudizio per altri. Ne consegue che i pagamenti effettuati in situazione di insolvenza, anche attraverso "datio in solutum" e più specificamente a mezzo di compensazioni, sono consentiti in linea generale dagli art. 1186 c.c. e dall'art. 56L. Fall., ma assumono rilievo penalistico se qualificati al fine di favorire, a danno dei creditori, taluni di essi (Sez. 5, n. 31894 del 26/6/2009, Petrone, Rv. 244498).

La situazione tipo, presa in considerazione dalla giurisprudenza di legittimità, è quella che si è concretizzata nel caso in esame: l'intento di favorire alcuni creditori rispetto ad altri è ricostruito in maniera molto chiara dalla sentenza impugnata e desunto dai legami, anche di natura familiare, che univano la fallita e la società creditrice beneficiata dal pagamento preferenziale del proprio credito.

Rispetto a tali osservazioni motivazionali, il ricorso sconta una diffusa genericità ed astrattezza di ragioni difensive, né si preoccupa di svelare eventuali manifeste illogicità argomentative, per aprire il sindacato di legittimità sulla sentenza in chiave rivalutativa delle prove, nella specie, avuto riguardo al coefficiente soggettivo del reato.

Anche il terzo motivo di censura, pertanto, si svela inammissibile, sia perché in gran parte generico, sia perché manifestamente infondato.

4. Infine, il quarto ed ultimo motivo di ricorso - dedicato ad invocare l'attenuante del contributo concorsuale di minima rilevanza - è inammissibile per la genericità del motivo formulato e, prima ancora, del motivo d'appello, nei cui riguardi si denuncia il difetto di motivazione da parte della sentenza impugnata.

Posto che, in tema di concorso di persone nel reato, ai fini dell'integrazione della circostanza attenuante della minima partecipazione di cui all'art. 114 c.p., non è sufficiente una minore efficacia causale dell'attività prestata da un correo rispetto a quella realizzata dagli altri, in quanto è necessario che il contributo dato si sia concretizzato nell'assunzione di un ruolo di rilevanza del tutto marginale, ossia di efficacia causale così lieve rispetto all'evento da risultare trascurabile nell'economia generale dell'"iter" criminoso (Sez. 6, n. 34539 del 23/6/2021, I., Rv. 281857).

Orbene, nessun argomento utile a sostenere la tesi del ruolo di rilevanza del tutto marginale per il ricorrente è stato addotto nel motivo di ricorso, che si è limitato a denunciare l'omessa motivazione al riguardo, peraltro nella consapevolezza che la Corte d'Appello ha, sostanzialmente e come spesso accade, ritenuto di rispondere implicitamente alla richiesta difensiva di riconoscimento dell'attenuante ex art. 114 c.p., negandola, valutata la congruità ed il favore del trattamento sanzionatorio già applicato in primo grado, con la concessione delle circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante della pluralità dei fatti di bancarotta.

La sentenza di merito, infatti, non è tenuta a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando che ogni fatto decisivo è stato tenuto presente, sì da potersi considerare implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 4, n. 26660 del 13/5/2011, Caruso e altro, Rv. 250900; Sez. 6, n. 20092 del 4/5/2011, Schowick, Rv. 250105; cfr. anche Sez. 4, n. 4491 del 17/10/2012, dep. 2013, Spezzacatena, Rv. 255096; Sez. 5, n. 8411 del 21/5/1992, Chirico ed altri, Rv. 191487).

Nel caso di specie, appare evidente come la Corte di secondo grado, a fronte di un motivo d'appello senza dubbio generico, abbia ritenuto di superare comunque l'eccezione, benché solo enunciata, attraverso l'indicazione, da un lato, del contributo concorsuale duraturo e non marginale fornito al reato dal ricorrente, a prescindere dal suo grado di competenza tecnica e dall'ausilio del suocero, espresso nella dorsale principale della motivazione; dall'altro, mediante la condivisione circa la congruità e l'esattezza della valutazione concernente l'entità della pena e, dunque, il meccanismo operativo-applicativo delle circostanze attenuanti.

5. Alla declaratoria d'inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese processuali nonché, ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilità (cfr. sul punto Corte Cost. n. 186 del 2000), al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 9 novembre 2022.

Depositato in Cancelleria, il 16 gennaio 2023.

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