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Responsabilità dell’equipe medica, il dissenso salva il medico

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, Sentenza n.16094 del 26/10/2022 (dep. 17/04/2023)

Il medico membro di una equipe chirurgica, in posizione di secondo operatore, può invocare l’esonero da responsabilità qualora manifesti espressamente il proprio dissenso riguardo alle scelte del primario adottate nel corso dell'intervento operatorio.

È quanto ribadito dalla Corte di Cassazione, sez. IV penale, con la sentenza n. 16094 depositata il 17 aprile 2023.

I giudici precisano che l'accertamento del nesso causale rispetto all'evento verificatosi deve essere valutato in relazione alla condotta e al ruolo di ciascun membro dell'equipe medico-chirurgica, non configurando automaticamente una responsabilità di gruppo. Questo è particolarmente vero quando i ruoli e i compiti di ciascun operatore sono nettamente distinti tra loro.

L'obbligo di diligenza, che grava su ogni componente dell'equipe medica, riguarda non solo le specifiche mansioni affidate, ma anche il controllo sull'operato e sugli errori altrui che siano evidenti e non settoriali. Tuttavia, tale obbligo di vigilanza non può essere applicato a quelle fasi dell'intervento in cui i ruoli e i compiti di ciascun operatore sono nettamente distinti.

In queste situazioni, si applica il principio dell'affidamento, per cui può rispondere dell'errore o dell'omissione solo colui che abbia in quel momento la direzione dell'intervento o che abbia commesso un errore riferibile alla sua specifica competenza medica. L'onere di vigilanza non può essere trasformato in un obbligo generalizzato di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di invasione negli spazi di competenza altrui.

La Corte aggiunge inoltre che il dissenso non richiede particolari forme di esternazione, purché sia manifestato in modo chiaro ed esplicito.

Equipe chirurgica, medico che non condivide le scelte del primario, esenzione della responsabilità, espressione di dissenso

Il medico componente della equipe chirurgica in posizione di secondo operatore che non condivide le scelte del primario adottate nel corso dell'intervento operatorio, ha l'obbligo, per esimersi da responsabilità, di manifestare espressamente il proprio dissenso, senza che tuttavia siano necessarie particolari forme di esternazione dello stesso.

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Cassazione penale sez. IV, 26/10/2022, (ud. 26/10/2022, dep. 17/04/2023), n.16094

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 10.2.2015 il Tribunale di Locri ha dichiarato S.A. e C.R., in qualità di medici chirurghi in servizio presso l'Ospedale di (Omissis) addetti al reparto di Chirurgia generale, colpevoli del reato di cui agli artt. 113,589 c.p. loro ascritto e li ha condannati alla pena rispettivamente di anni uno e mesi tre di reclusione e mesi dieci di reclusione, oltre al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite da liquidarsi in sede civile ed al pagamento di una provvisionale di Euro 15.000,00 in favore delle medesime. Ha invece assolto T.D. per non aver commesso il fatto.

Interposto appello da parte degli imputati S. e C. e delle parti civili, la Corte d'appello di Reggio Calabria con sentenza del 15.6.2021, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere in ordine al reato loro ascritto perché estinto per prescrizione, confermando invece le statuizioni civili e condannando altresì gli imputati in solido tra loro e con il responsabile civile Azienda Sanitaria Provinciale di (Omissis) alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili.

2. Ricostruendo in sintesi la vicenda oggetto del presente procedimento:

gli odierni imputati, in qualità di medici in servizio presso il reparto di Chirurgia generale dell'Ospedale di (Omissis), erano stati tratti a giudizio in quanto accusati di avere cagionato colposamente, mediante condotte imprudenti, negligenti e imperite, la morte di M.M. avvenuta in data (Omissis) presso il predetto ospedale.

In data 9.6.(Omissis) M.M., che aveva subito nel 2008 un intervento di gastroresezione a (Omissis), era stata ricoverata presso l'ospedale di (Omissis) per essere sottoposta ad un intervento di laparoscopia programmato per la riduzione di un'ernia post chirurgica addominale.

Poiché durante tale intervento, eseguito dal dottor S.A., si riscontravano delle aderenze di anse intestinali alla parete addominale, veniva posizionata una Mesh (rete) ancorata in PTFE con spiralette in titanio.

Nei giorni successivi all'intervento, dal 10 al 15 giugno, come risulta dal diario clinico del ricovero in Chirurgia Generale, il decorso post operatorio della M. risultava regolare, anche se si registrava un basso valore di potassio, sicché la paziente nella tarda mattinata del 15 giugno veniva dimessa essendo già programmata una visita di controllo il 18.

La sera dello stesso giorno la paziente accusava forti dolori addominali e dispnea e veniva nuovamente ricoverata presso il reparto di Chirurgia Generale; nella cartella clinica veniva annotato che la stessa presentava un addome di forma globosa, trattabile, aperto a feci e gas, dispnea a riposo, polso aritmico, e pressione di 90/50.

La stessa veniva quindi inviata dal reparto Chirurgia all'Unità di terapia intensiva cardiologica (UTIC) dove il giorno dopo, ovvero il 16 giugno (Omissis), veniva sottoposta ad Angio- Tac da cui risultava un "versamento liquido con raccolta saccata nel mesentere", tale referto veniva trasmesso ai medici della Chirurgia Generale ai quali veniva richiesta visita specialistica.

All'esito di ulteriori esami, la mattina del 16 giugno rilevato un calo di Antitrombina III, i medici dell'UTIC praticavano alla paziente una trasfusione di plasma ed alle ore 16 dello stesso giorno veniva eseguita una consulenza chirurgica che evidenziava la presenza di "sieroma e di versamento tra epiploon e rete intraperitoneale. In atto indicato trattamento conservativo".

Nei giorni successivi la paziente era dispnoica, presentava temperatura corporea alterata e marcata ipopotassiemia per cui veniva aumentata la terapia infusionale di potassio.

Il 18 giugno la M. veniva trasferita in Chirurgia generale ove giungeva di fatto la sera in orario successivo alla visita della Dott.ssa C. che aveva annotato nel diario clinico che l'esplorazione rettale aveva evidenziato residui fecali nell'ampolla, che era stata posizionata sonda rettale con modesta fuoriuscita di aria e che era stato applicato alla paziente un sondino nasogastrico concludendo per la prescrizione di RX torace e RX diretta addome.

Nella cartella clinica quale diagnosi di entrata viene indicata "peritonite localizzata da fissurazione di anse del tenue in paziente operata di laparocele" ed alle ore 23 nel diario clinico è annotato "RX diretta addome di controllo per domattina".

Nei giorni successivi le annotazioni riportate nel diario clinico evidenziavano condizioni migliorate, successivamente il 24 giugno l'esecuzione della TAC aveva richiesto prima una puntura esplorativa ed una aspirazione ecoguidata della raccolta e poi un intervento chirurgico di rimozione della Mesh.

Al nuovo intervento chirurgico seguiva nel volgere di pochi giorni l'aggravamento delle condizioni cliniche della paziente, già compromesse dal grave stato settico con insufficienza multi organo, cui seguiva il (Omissis) il decesso della medesima.

Sulla scorta di tale compendio probatorio, il giudice di primo grado ha ritenuto che entrambi gli imputati C. e S. avevano omesso di predisporre tempestivamente la TAC e la conseguente puntura esplorativa, la cui effettuazione avrebbe permesso di intervenire chirurgicamente in modo tempestivo e di accertare la peritonite da cui la paziente era affetta ponendovi rimedio ed evitando uno stato di sepsi generalizzata che l'aveva condotta alla morte.

In altri termini, il ritardo nell'effettuazione della TAC e della puntura esplorativa avevano determinato un ritardo dell'intervento eseguito solo il 24 giugno che non avrebbe potuto avere effetti risolutivi stante le condizioni non più recuperabili della paziente.

A riguardo il dato più allarmante, secondo il giudice di primo grado, era l'esito dell'Angio Tac eseguita il 16 giugno che aveva evidenziato in addome una raccolta liquida in più parti ed una falda di aria libera, quest'ultima indice di perforazione.

A fronte di tale esito la C., anziché far eseguire una Tac, aveva disposto una RX addome richiesta "per livelli", segno che aveva il sospetto di una perforazione, né in tal senso aveva deciso il S..

La Tac avrebbe invero rilevato l'esistenza di una perforazione intestinale cosicché i sanitari avrebbero potuto effettuare una puntura esplorativa per accertare il tipo di liquido che si era raccolto nell'addome della paziente. Ciò avrebbe consentito di accertare la peritonite da cui la paziente era affetta ponendo rimedio ed evitando uno stato di sepsi generalizzato che l'aveva condotta alla morte.

In definitiva il giudice di primo grado aveva ritenuto che la condotta dei dottori S. e C. era stata negligente nonché imperita nella misura in cui gli stessi avevano interpretato gli esiti della Angio-Tac come indicativi di una raccolta saccata anziché come indici di una perforazione di visceri intestinali, diminuendo fortemente le chances di sopravvivenza della persona offesa con conseguente affermazione della penale responsabilità degli imputati.

Il giudice d'appello ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati per essere il reato loro ascritto estinto per prescrizione delibando i motivi di appello in punto di responsabilità ai soli effetti civili e concludendo per il loro rigetto.

Ha, invero, ritenuto gravemente negligente la condotta dell'imputato S. per avere omesso la corretta diagnosi di peritonite, già formulabile all'esito della Tac del 16 giugno e per non aver quindi posto in essere la necessaria condotta salvifica costituita dall'intervento chirurgico, che veniva effettuato solo in data 24 giugno e per non aver eseguito altra Tac al fine di monitorare la situazione, esame disposto solo in data 22 giugno.

Risulta peraltro che la rottura dell'ansa si era verificata probabilmente il pomeriggio del 15 giugno, in concomitanza con il rientro della paziente in ospedale, causato dai forti dolori addominali; peraltro al momento dell'effettuazione della Tac vi era sicuramente una peritonite ma non una sepsi generalizzata quale quella riscontrata nel corso dell'intervento del 24 giugno, frutto dell'aggravamento della malattia in assenza di cure adeguate.

2. Avverso la sentenza d'appello C.R., a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

In via preliminare deduce la manifesta illegittimità della sentenza gravata, laddove nel dispositivo emesso il 15.6.2021 nulla statuisce in ordine alla sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 578 cod proc. pen. mentre nella motivazione in cui si dà atto della sentenza della Corte Costituzionale n. 182 del 30 luglio 2021 ne ha ritenuto l'inammissibilità.

Con il primo motivo deduce la manifesta illogicità e contraddittorietà dell'iter argomentativo attraverso cui la Corte d'appello è pervenuta a ritenere la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta ascrivibile all'imputata e la morte della paziente.

In particolare laddove la sentenza impugnata afferma che la C. la sera del 18.6.(Omissis) era stata chiamata dalla Cardiologia per una consulenza mentre quel giorno ha svolto il turno di guardia notturno ed interdivisionale.

Con il secondo motivo deduce la violazione della L. n. 189 del 2012 e della L. n. 24 del 2017 in quanto il Tribunale e la Corte d'appello avrebbero dovuto verificare le linee guida del caso concreto o in mancanza le buone pratiche clinico-assistenziali, dovendo specificare la natura della colpa e se ed in quale misura la condotta della C. si fosse discostata dalle linee guida.

Con il terzo motivo deduce che la Corte territoriale, una volta dichiarata l'estinzione del reato per prescrizione, avrebbe dovuto delibare i motivi di appello mediante l'applicazione delle regole processuali e probatorie proprie del processo civile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. In ordine alle questioni civili, sulle quali la Corte è comunque tenuta a pronunciarsi ai sensi dell'art. 578 c.p.p., ancorché in costanza di una causa estintiva della responsabilità penale in presenza di condanna anche generica alle restituzioni o al risarcimento del danno in favore della parte civile, il ricorso di C.R. è fondato.

Esaminando in via preliminare la pronuncia della Corte territoriale sulla questione di legittimità costituzionale dell'art. 578 c.p.p., non si coglie alcun profilo di manifesta incongruenza o illegittimità della pronuncia in parte qua.

La Corte territoriale, invero, dopo aver concluso per la manifesta infondatezza della medesima, statuizione che non necessariamente va riportata nel dispositivo, in virtù della sentenza della Corte costituzionale n. 182 del 7 luglio 2021, depositata in data 30 luglio 2021, intervenuta nelle more del deposito della motivazione della sentenza, ha altresì ritenuto che la questione stessa sia

2. Venendo ora all'esame dei motivi di ricorso, con riguardo alle censure inerenti la manifesta illogicità e contraddittorietà dell'iter logico- argomentativo in ordine alla ritenuta sussistenza del rapporto di causalità tra la condotta ascrivibile alla ricorrente e la morte della paziente, le stesse sono fondate.

Va premesso che nella specie si ipotizza una cooperazione colposa di più medici, intervenuti in momenti diversi, ovvero il S. e la C. (il T. è stato assolto) ai quali viene ascritta la scelta di aver colposamente atteso il giorno 24 giugno per intervenire e risolvere chirurgicamente la complicanza verificatasi in seguito all'intervento operatorio del 9 Giugno (Omissis).

Dato acquisito alla luce delle conclusioni espresse dal collegio peritale nominato in appello, recepite dalla sentenza impugnata, è che una "condotta alternativa attiva avrebbe consentito con elevato grado di probabilità prossimo alla certezza tecnica di contrastare la peritonite in atto, rimuovendo chirurgicamente le cause della medesima. Tale condotta sarebbe stata di piena efficacia rispetto alle probabilità di sopravvivenza della paziente a partire dal 16 giugno (Omissis) data in cui con certezza era stata posta diagnosi radiologica di peritonite..".

Pertanto il punto di partenza è che il decesso della paziente è ascrivibile ad un ritardo nell'effettuazione del secondo intervento chirurgico.

La questione oggetto della censura e di cui si controverte è la sussistenza del rapporto di causalità tra la condotta ascrivibile alla C. e l'evento morte considerato il momento ed il ruolo dalla medesima assunto nella vicenda.

Va premesso che nell'ambito dell'attività medica e della cosiddetta "responsabilità di e'quipe", (cui può essere assimilata anche la situazione di più medici che si sono occupati in successione dello stesso paziente) il principio di affidamento (in forza del quale il titolare di una posizione di garanzia, come tale tenuto giuridicamente a impedire la verificazione di un evento dannoso, può andare esente da responsabilità quando questo possa ricondursi alla condotta esclusiva di altri, contitolare di una posizione di garanzia, sulla correttezza del cui operato il primo abbia fatto legittimo affidamento) consente di confinare l'obbligo di diligenza del singolo sanitario entro limiti compatibili con l'esigenza del carattere personale della responsabilità penale, sancito dall'art. 27 della Costituzione, perché il riconoscimento della responsabilità per l'eventuale errore altrui non è illimitato e impone, per essere affermato, non solo l'accertamento della valenza concausale del concreto comportamento attivo o omissivo tenuto rispetto al verificarsi dell'evento ma anche la rimproverabilità di tale comportamento sul piano soggettivo secondo i principi in tema di colpa (Sez. 4, 12.2.2019 n. 30626; Rv.).

Tuttavia si è affermato che in tema di cooperazione colposa, non può invocare il principio di affidamento l'agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l'altrui condotta colposa, poiché la sua responsabilità persiste in base al principio di equivalenza delle cause, salva l'affermazione dell'efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che presenti il carattere di eccezionalità e imprevedibilità. (cfr. sez. 4, n. 24895 del 12/5/2021, Sonaglioni Andrea, Rv. 281487; n. 39727 del 12/6/2019, Perugino Michele ci borio Francesco, Rv. 277508, in materia di dissenso dall'operato del collega, da parte del sanitario in possesso di cognizioni tecniche per cogliere l'errore di quegli, con richiamo in motivazione a sez. 4, n. 7667 del 13/12/2017, dep. 2018, Capodiferro e altri, Rv. 272264; sez. 3, n. 43828 del 29/9/2015, Cavone, Rv. 265260; Sez. 4-, n. 24895 del 12/05/2021, Rv. 281487 - 01

In caso di responsabilità professionale, configurata a titolo di cooperazione colposa multidisciplinare, con specifico riferimento all'attività medico-sanitaria svolta in equipe e, più in generale, all'attività medico-chirurgica - l'accertamento del nesso causale rispetto all'evento verificatosi deve essere compiuto con riguardo alla condotta e al ruolo di ciascuno, non potendosi configurare aprioristicamente una responsabilità di gruppo, in particolare quando i ruoli e i compiti di ciascun operatore sono nettamente distinti tra loro, non potendosi trasformare l'onere di vigilanza in un obbligo generalizzato di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di invasione degli spazi di competenza altrui (cfr. Sez. 4, n. 49774 del 21/11/2019, Rv. 277422).

L'obbligo di diligenza che grava su ciascun componente dell'equipe medica concerne non solo le specifiche mansioni a lui affidate, ma anche il controllo sull'operato e sugli errori altrui che siano evidenti e non settoriali (cfr. sez. 4, n. 53315 del 18/10/2016, Paita e altri, Rv. 269678) sebbene tale obbligo di vigilanza non possa operare rispetto a quelle fasi dell'intervento, nelle quali i ruoli e i compiti di ciascun operatore sono nettamente distinti, dovendo trovare applicazione il diverso principio dell'affidamento per cui può rispondere dell'errore o dell'omissione solo colui che abbia in quel momento la direzione dell'intervento o che abbia commesso un errore riferibile alla sua specifica competenza medica, non potendosi trasformare l'onere di vigilanza in un obbligo generalizzato di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di invasione negli spazi di competenza altrui (cfr. sez. 4, n. 27314 del 20/4/2017, Puglisi, Rv. 270189).

Quindi l'obbligo di diligenza che grava su ciascun componente dell'equipe medica concerne non solo le specifiche mansioni a lui affidate ma anche il controllo sull'operato e sugli errori altrui che siano evidenti e non settoriali, in quanto tali rilevabili con l'ausilio delle comuni conoscenze del professionista medio. L'assunto è stato espresso nel confermare la sentenza di condanna per il reato di omicidio colposo nei confronti, oltre che del ginecologo, anche delle ostetriche, in considerazione del fatto che l'errore commesso dal ginecologo nel trascurare i segnali di sofferenza fetale non esonerava le ostetriche dal dovere di segnalare il peggioramento del tracciato cardiotocografico, in quanto tale attività rientrava nelle competenze di entrambe le figure professionali operanti in equipe (Sez. 4, n. 53315 del 18/10/2016, Paita, Rv. 26967801).

Proprio nell'ambito di un'attività medica in cui cooperano più soggetti, assume rilievo il tema del dissenso manifestato da parte dei soggetti coinvolti.

Si è affermato che In tema di colpa medica, deve escludersi che possa invocare esonero da responsabilità il chirurgo che si sia fidato acriticamente della scelta del collega più anziano, pur essendo in possesso delle cognizioni tecniche per coglierne l'erroneità, ed avendo pertanto il dovere di valutarla e, se del caso, contrastarla. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del

medico - ginecologo per il decesso di una paziente a seguito di emorragia conseguente a intervento di parto cesareo, per aver omesso di valutare e contrastare, nonostante la assoluta gravità delle condizioni in cui versava la persona offesa, la decisione del collega più anziano di non procedere ad intervento di isterectomia) (Sez. 4, n. 7667 del 13.12.2017,dep.2018, Rv. 272264).

Ed ancora si è ritenuto che In tema di colpa medica, deve escludersi che possa invocare esonero da responsabilità il chirurgo che si sia fidato acriticamente della scelta del collega più anziano, pur essendo in possesso delle cognizioni tecniche per coglierne l'erroneità, ed avendo pertanto il dovere di valutarla e, se del caso, contrastarla. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità dell'aiuto chirurgo, componente dell'equipe medica che aveva provveduto all'esecuzione di un parto cesareo nel corso del quale si erano manifestate evidenti situazioni critiche interne, per non avere dissentito dall'operato del primario e non averlo indirizzato alla immediata isterectomia, che avrebbe impedito il verificarsi della successiva emorragia, causa della morte della partoriente).(Sez. 4, n. 39727 de112/06/2019, Rv. 277508 - 01).

Ed inoltre che il medico componente della equipe chirurgica in posizione di secondo operatore che non condivide le scelte del primario adottate nel corso dell'intervento operatorio, ha l'obbligo, per esimersi da responsabilità, di manifestare espressamente il proprio dissenso, senza che tuttavia siano necessarie particolari forme di esternazione dello stesso (Sez. 3, n. 43828 del 29/09/2015, Cavone, Rv. 26526001- In motivazione, la Corte ha sottolineato che la valutazione relativa alla idoneità della forma di dissenso impiegata ad escludere la responsabilità penale deve essere compiuta avendo riguardo al contesto in cui questa opinione è stata resa manifesta, dovendo necessariamente distinguersi tra la situazione in cui si procede a scelte puramente terapeutiche a quella di tipo operatorio).

3. Tutto ciò premesso, nella specie, esaminando specificatamente il ruolo assunto nella vicenda de qua dall'imputata come ricostruiti dalla sentenza impugnata, la stessa, medico chirurgo del Reparto di Chirurgia dell'Ospedale di (Omissis), non ha partecipato all'intervento del 9 giugno (Omissis), ha visitato la M. in data 13 giugno e le ha proposto le dimissioni. E' controverso se la abbia dimessa il 15 giugno ma il dato è irrilevante essendo comunque la paziente tornata in ospedale la sera stessa.

Il primo vero contatto con la paziente avviene appunto la sera del 18 giugno allorché la C. viene chiamata per una consulenza chirurgica dai colleghi dell'Utic. Nel frangente si accorge che la paziente ha un addome "brutto", esegue esami ed avverte telefonicamente il collega S. della necessità di una rivalutazione chirurgica del caso (venendo dallo stesso rassicurata che avrebbe visitato la paziente il mattino dopo, cosa che avviene).

In data 20 giugno poi svolge il turno mattutino annotando che la paziente era canalizzata; il 21 svolge il turno con S. ed il primario. Sembra che abbia suggerito una puntura esplorativa ma i colleghi erano contrari. Il 22 giugno è di guardia per il turno interdivisionale; il 24 giugno partecipa all'intervento sulla M. senza svolgere alcun ruolo significativo.

Così ripercorsa la sequenza degli accadimenti, che fotografano il contributo della C. in un lasso temporale che va dal 18 al 24 giugno, la sentenza impugnata ha delineato l'addebito colposo mosso all'odierna imputata nel non avere assunto la decisione di intervenire chirurgicamente sulla M. la sera del 18 giugno (Omissis), allorché chiamata dai colleghi della cardiologia, viene posta di fronte alla situazione clinica della paziente evidenziata dal chiaro esito della Tac.

Anzi, l'addebito colposo a lei mosso si specifica nel non avere la C., avente una posizione di dirigente medico, equiordinata al collega S. e quindi titolare di analoga posizione di garanzia, manifestato in maniera espressa il suo dissenso rispetto a scelte terapeutiche non condivise anche, eventualmente, rivolgendosi al primario, figura che viene "solo genericamente evocata" ma che non risulta essere stata contattata al fine di esprimere le proprie perplessità in ordine alla scelta di non operare immediatamente del collega S..

Ebbene, la sentenza impugnata, dopo aver evidenziato che la stessa ha tenuto una condotta definita dai consulenti tecnici come "proattiva" disponendo ulteriori esami nonché il trasferimento della paziente in Chirurgia, ha affermato la responsabilità della C. a titolo di cooperazione colposa senza tuttavia individuare le condotte che la C. avrebbe dovuto tenere onde rendere manifesto il suo contrario avviso rispetto alla scelta di procrastinare l'intervento chirurgico, considerato altresì che anche l'opzione di interpellare direttamente il primario sarebbe stata inutile in base alle modalità di gestione del reparto, come riferito dal coimputato S..

In altri termini, l'apparato motivazionale della sentenza impugnata rivela a riguardo un profilo di evidente lacunosità e contraddittorietà laddove, pur dando atto in più punti del dissenso manifestato dall'odierna imputata al collega in ordine ad una scelta terapeutica non condivisa, tuttavia ha ritenuto la sussistenza del rapporto di causalità tra la effettiva condotta ascrivibile alla ricorrente e l'evento morte della paziente M.M..

4. I restanti motivi sono assorbiti.

5. La sentenza impugnata va annullata con rinvio. Quanto al Giudice dinanzi al quale deve essere effettuato il rinvio, si ritiene che, in applicazione dell'art. 622 c.p.p., esso debba individuarsi nel giudice civile competente per valore in grado di appello, dal momento che l'annullamento concerne solo i capi che riguardano l'azione civile, stante la già dichiarata prescrizione del reato in appello.

Allo stesso rimette le parti anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio, al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2022.

Depositato in Cancelleria il 17 aprile 2023.

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