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Furto tra conviventi more uxorio, esimente non applicabile

Corte di Cassazione, sez. II Penale, Sentenza n.19663 del 09/02/2023 (dep. 10/05/2023)

La causa di esclusione della punibilità prevista per il coniuge dall'art. 649 del codice penale non si estende al convivente more uxorio.

Lo ha ribadito la Cassazione, sezione II penale, con la sentenza n. 19663 depositata il 10 maggio 20223.

Nel caso di specie, il tribunale di Avezzano aveva assolto il convivente more uxorio dai reati di furto e danneggiamento aggravati perché non punibile ai sensi dell'art. 649 c.p. 

La Suprema Corte, tuttavia, ha precisato che la disposizione che prevede la causa di esclusione della punibilità ha carattere eccezionale e non può essere applicata in modo analogico, secondo l'art. 14 delle preleggi.

I giudici di legittimità hanno inoltre fatto riferimento alla giurisprudenza della Corte Costituzionale, che in più occasioni ha chiarito la distinzione tra la convivenza more uxorio e il matrimonio. A differenza del vincolo coniugale, basato sulla certezza e la stabilità, la convivenza more uxorio risulta basata sulla quotidiana affectio, revocabile in qualsiasi momento e quindi non sempre caratterizzata da certezza e stabilità. Da qui non meccanica assimilabilità tra la convivenza e il rapporto di coniugio; solo questi ultimi sono incontrovertibilmente e documentalmente riscontrabili in sede di risultanze anagrafiche.

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Cassazione penale sez. II, 09/02/2023, (ud. 09/02/2023, dep. 10/05/2023), n. 19663

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 08/01/2021 La Corte di Cassazione (sezione sesta penale) ha accolto il ricorso della procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'appello di l'Aquila e per l'effetto ha annullato la sentenza della Corte di appello di L'Aquila che il 25/09/2019 ha parzialmente riformato la sentenza del tribunale di Avezzano nei confronti di S.N. assolvendolo dai reati di furto e danneggiamento aggravati da di cui ai capi C) ed E) perché non punibile ai sensi dell'art. 649 c.p. e qualificando il reato di lesioni di cui al capo B in percosse.

2. La sentenza rescindente ha rilevato come la Corte d'appello nel ritenere l'operatività della causa di esclusione della punibilità, sulla base della sua estensione al rapporto di convivenza more uxorio, ha omesso di prendere in considerazione sia il fatto che le condotte delittuose sembrano essere state realizzate nell'ambito di una convivenza tutt'altro che stabile e pacifica, sia la circostanza, rilevante ai fini della verifica in ordine alla configurabilità che le condotte di furto aggravato ex art. 61 c.p., n. 11 e quelle di danneggiamento, connotate da violenze minaccia, risultavano commesse in un contesto storico fattuale caratterizzato da continui episodi di violenza, evenienza quest'ultima che escluderebbe la possibilità di applicazione della causa di non punibilità ai sensi dell'art. 649 c.p., comma 3. Considerazioni analoghe venivano svolte in ordine alla riqualificazione dell'episodio di lesioni in percosse avendo la sentenza contraddittoriamente ritenuto che il mero trauma contusivo causato alla C. non avrebbe causato una menomazione funzionale nonostante nel precedente passaggio motivazionale avesse affermato, in relazione alla valutazione della medesima condotta, che il trauma contusivo escoriazione in sede parietale sinistra integrasse il reato di lesioni in danno della predetta persona offesa.

3. La sentenza rescissoria, preso atto delle coordinate espresse nella sentenza di annullamento, ha osservato che la causa soggettiva di esclusione della punibilità prevista per il coniuge dall'art. 649 c.p., non si estende alla convivenza more uxorio. Sul punto ha richiamato anche ordinanza della Corte costituzionale del 21 febbraio 2018, n. 57. Così come, quanto al capo B), ha ritenuto che la riqualificazione del fatto di lesioni in percosse risultasse del tutto illogica perché avulsa dai dati probatori. Ha, pertanto, confermato la sentenza emessa dal tribunale di Avezzano il 17/05/2019.

4. Avverso la sentenza del giudice del rinvio del 10/09/2021 ha presentato ricorso per cassazione l'imputato deducendo:

4.1. violazione di legge con riguardo alla mancata applicazione della causa soggettiva di esclusione della punibilità ex art. 649 in relazione ai reati di cui ai capi C) ed E), richiamandosi la sentenza delle Sezioni unite, Fialova, del 2021; 4.2. violazione di legge e vizio della motivazione con riguardo alla riqualificazione dell'episodio delittuoso verificatosi il (Omissis) (capo B) e alla ritenuta recidiva.

5. Il difensore ha presentato conclusioni scritte insistendo nel ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è destituito di fondamento giuridico.

2. Il D.Lgs. 19 gennaio 2017, n. 6, recante modificazioni ed integrazioni normative in materia penale per il necessario coordinamento con la disciplina delle unioni civili, ai sensi della L. 20 maggio 2016, n. 76, art. 1, comma 28, lett. c), ha introdotto nel codice penale l'art. 574 -ter. Tale norma prevede che, agli effetti della legge penale, il termine matrimonio si intende riferito anche alla costituzione di un'unione civile tra persone dello stesso sesso. Parallelamente si è introdotto il citato comma 1 -bis dell'art. 649, in base al quale la causa di non punibilità opera anche nei confronti di chi ha commesso alcuno dei fatti di cui al Titolo XIII, Libro II, in danno della parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. Tale duplice, contestuale, intervento, rende palese l'intento del legislatore di attribuire rilievo, ai fini dell'operatività della causa di esclusione della punibilità che interessa, all'esistenza di una convivenza qualificata, differenziandola rispetto a quella more uxorio, differenza significativa sulla quale, la Corte costituzionale si è già espressa, con ordinanza del 21 febbraio 2018 n. 57.

In tale sede il giudice delle leggi ha dichiarato manifestamente inammissibili, per difetto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 649 c.p., comma 1, censurato, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui, a seguito della novella apportata dal D.Lgs. n. 6 del 2017, sancisce che la causa di non punibilità prevista per i delitti contro il patrimonio, operi anche a beneficio della parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso e non anche del convivente more uxorio.

Deve ricordarsi che la giurisprudenza della Corte costituzionale, sul punto investita anche in occasioni pregresse, ha sempre sottolineato la non meccanica assimilabilità tra la convivenza e il rapporto di coniugio, in quanto la prima risulta basata sulla quotidiana affectio, in qualsiasi momento revocabile e, dunque, non sempre dotata dei caratteri di certezza e di tendenziale stabilità, propri del vincolo coniugale, questi ultimi incontrovertibilmente e documentalmente riscontrabili in sede di risultanze anagrafiche, nel caso di unione qualificata.

Trattasi di una causa di esclusione della punibilità in senso stretto come tale non applicabile analogicamente (art. 14 preleggi).

3. Sul punto non possono essere richiamate le argomentazioni delle Sezioni unite, Fialova, del 2021 che si sono occupate dell'art. 384 c.p.p., comma 1 e che hanno affermato che, se si dovesse convenire che siamo in presenza di una disposizione avente natura di norma eccezionale, non potrebbe operare un'estensione dell'"esimente" al di là del suo tenore letterale, perché si violerebbe il disposto dell'art. 14 delle preleggi. Ed è stato precisato che la disposizione dell'art. 384 c.p., comma 1, non può essere considerata come una causa di non punibilità in senso stretto, ma piuttosto una scusante soggettiva, che investe la colpevolezza, impedendo la punizione in presenza di una condotta che viene percepita come inesigibile.

4. Le doglianze articolate nel secondo motivo di ricorso sono diverse da quelle consentite perché non sono volte ad evidenziare violazioni di legge o mancanze argomentative e illogicità percepibili ictu oculi della sentenza impugnata, bensì mirano a sollecitare un improponibile sindacato sulle scelte valutative della Corte di appello.

6. Dalle considerazioni espresse discende l'inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000 alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende.

In caso di diffusione del provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, comma 3, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2023.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2023.

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