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Rapina con mascherina anti-Covid? Scatta l'aggravante

Corte di Cassazione, sez. II Penale, Sentenza n.22049 del 06/04/2023 (dep. 22/05/2023)

In caso di rapina effettuata con una mascherina chirurgica anticovid si applica l'aggravante di cui all'art. 628, comma 2, n. 1 c.p.?

È il quesito che pone la Corte di Cassazione, Sezione II, con la sentenza n. 22049 depositata il 22 maggio 2023.

Nel caso di specie, un tossicodipendente era stato condannato per rapina aggravata in concorso e porto d'arma. 

La difesa contestava l'applicazione dell'aggravante in quanto l'uso della mascherina, obbligatorio all'epoca dei fatti (novembre 2021), non era volto a travisarsi, bensì a non attirare l'attenzione. 

A supporto della sua tesi, l'imputato sottolineava che i suoi distintivi tatuaggi al collo erano visibili durante l'incidente, il che avrebbe contrastato con l'obiettivo di travisamento attribuito all'uso della mascherina.

Tuttavia, la Corte conferma l'applicazione dell'aggravante, citando la sentenza della Cass. n. 1712/2021, secondo la quale "la parziale copertura del volto mediante la mascherina è funzionale al compimento dell'azione delittuosa, rendendo difficoltoso il riconoscimento del responsabile".

La Suprema Corte dichiara dunque inammissibile il ricorso, condannando l'imputato al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende.

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Corte di Cassazione, sez. II Penale, Sentenza n. 22049 del 06/04/2023 (dep. 22/05/2023)

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 10/10/2022, la Corte di appello di Lecce confermava la pronuncia resa in primo grado dal Giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Taranto all'esito di giudizio abbreviato in data 07/03/2022 che aveva condannato P.A. alla pena di anni sei, mesi due, giorni dieci di reclusione ed Euro 2.300 di multa per i delitti di rapina aggravata in concorso e porto d'arma (capi 1 e 2).

2. Avverso la predetta sentenza, nell'interesse di P.A., è stato proposto ricorso per cassazione, i cui motivi vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..

Primo motivo: violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 88,89 e 95 c.p., 530, 546, 53:3 e 192 c.p.p. V'e' totale mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta condizione del ricorrente che non coinciderebbe con quella del tossicodipendente in senso stretto. Inoltre, lo stato di soggezione definito "dipendenza" può influire in due modi sulla volontà: facendo perdere il controllo al soggetto che non risponde più per i comportamenti tenuti, oppure, più comunemente, come nel caso di specie, spingendolo a compiere l'azione criminosa per procurarsi la dose o i mezzi per comprarla.

Secondo motivo: violazione di legge. Il giudice di secondo grado si è rifiutato di appurare l'imputabilità o meno del P., non avendo dato spazio allo svolgimento della già evocata perizia psichiatrica ritualmente richiesta in sede di gravame.

Terzo motivo: vizio di motivazione in relazione alla contestata aggravante di cui all'art. 628, comma 2, n. 1 c.p. relativo al travisamento con mascherina chirurgica anticovid. La circostanza che la mascherina fosse obbligatoria all'epoca (novembre 2021) suggerisce che lo scopo del P. non era quello di travisarsi bensì semplicemente quello di non attirare l'attenzione generale, in un periodo in cui transitare in un luogo chiuso col volto scoperto sarebbe risultato inusuale e avrebbe suscitato l'attenzione delle persone circostanti. Depone a favore di ciò il fatto che il ricorrente avesse sul collo vistosissimi tatuaggi che né la mascherina né il berretto sono stati in grado di coprire come invece afferma illogicamente la sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Manifestamente infondati sono i primi due collegati motivi.

Va premesso che, in tema di imputabilità, sebbene l'accertamento della capacità di intendere e di volere di chi è affetto da intossicazione cronica da sostanze stupefacenti spetti al giudice indipendentemente da ogni onere probatorio a carico dell'imputato, grava, tuttavia, su quest'ultimo l'onere di allegazione della documentazione attestante la sua tossicodipendenza cronica (Sez. 5, n. 12896 del 30/01/2020, Mauro, Rv. 279039).

Nel caso di specie, come correttamente evidenziato dalla Procura generale, a fronte della valutazione operata dalla Corte territoriale, attraverso il solo richiamo alla produzione della documentazione del SERT, non appaiono emergere gli elementi comprovanti la sussistenza di cronica intossicazione, di uno stato patologico permanente e non più dipendente dall'assunzione di sostanze stupefacenti, tale da configurare una malattia psichica incidente sull'imputabilità, e comunque la circostanza che tale condizione fosse presente al momento di commissione del fatto-reato.

La ritenuta assenza di una condizione di cronica intossicazione appare consentire di ritenere conseguenziale il mancato accoglimento della richiesta di perizia.

Invero, si afferma in giurisprudenza che l'obbligo di motivare il giudizio sulla sussistenza della capacità d'intendere e di volere, e specularmente quello sulla superfluità di una perizia volta ad appurarne l'integrità, va posto in stretta correlazione con la prospettazione, da parte della difesa, di elementi specifici e concreti, idonei a far ragionevolmente ritenere che nella singola fattispecie detta presunzione sia superata da risultanze di segno contrario, per l'incidenza di una vera e propria infermità, e cioè di uno stato morboso caratterizzato da inequivocabili connotazioni patologiche (cfr., Sez. 1, n. 5347 del 06/04/1993, Olivieri, Rv. 194213; Sez. 1, n. 1298 del 11/01/1993, Fechino, Rv. 193021; Sez. 3, n. 7222 del 15/12/2015, dep. 2016, Panizzolo, non mass.).

3. Manifestamente infondato è anche il terzo motivo.

Si afferma condivisibilmente in giurisprudenza che, in tema di rapina, ricorrono gli estremi dell'aggravante del travisamento, ai sensi dell'art. 628, comma 3, n. 1), c.p., nel caso in cui - come nella fattispecie - l'agente indossi una mascherina, non rilevando, in c:ontrario, che l'uso della stessa sia prescritto dalla normativa di contrasto alla pandemia da Covid-19, atteso che la parziale copertura del volto mediante la mascherina è funzionale al compimento dell'azione delittuosa, rendendo difficoltoso il riconoscimento del responsabile (Sez. 2, n. 1712 del 03/11/2021, dep. 2022, Perfetti, Rv. 282517).

4. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 6 aprile 2023.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2023

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