Il confine tra il reato di omicidio del consenziente e quello di istigazione o aiuto al suicidio va individuato nel modo in cui viene ad atteggiarsi la condotta e la volontà della vittima in rapporto alla condotta dell'agente.
Sul tema è tornata la Cassazione con la sentenza n. 26015, depositata il 16 giugno 2023.
La Suprema Corte ha ricordato che il reato di omicidio del consenziente si configura nel caso in cui colui che provoca la morte si sostituisca in pratica all'aspirante suicida, pur se con il consenso di questi, assumendone in proprio l'iniziativa, oltre che sul piano della causazione materiale, anche su quello della generica determinazione volitiva.
L’istigazione o agevolazione al suicidio si verifica invece tutte le volte in cui la vittima abbia conservato il dominio della propria azione, nonostante la presenza di una condotta estranea di determinazione o di aiuto alla realizzazione del suo proposito, e lo abbia realizzato, anche materialmente, di mano propria.
La legge, all'art. 580 c.p., prevede tre forme di realizzazione della condotta penalmente illecita, quindi, punisce sia la condotta di chi determini altri al suicidio o ne rafforzi il proposito, sia qualsiasi forma di aiuto o di agevolazione di altri del proposito di togliersi la vita.
Nel caso di specie, un uomo aveva accompagnato in auto la moglie presso la spiaggia. Qui la moglie, che si trovava in condizione di "franca ubriachezza", aveva deciso di togliersi la vita immergendosi in mare. Il marito era rimasto inerte innanzi al suicidio della moglie.
La Corte di Assise di Cagliari condannava l’uomo alla pena dell'ergastolo per l’omicidio volontario, aggravato dalla minorata difesa. Invece, la Corte di Assise di appello di Cagliari, in parziale riforma della decisione impugnata, qualificava il fatto come istigazione o aiuto al suicidio aggravato ai sensi dell'art. 580 c.p., condannando l'imputato alla pena di otto anni di reclusione.
La Cassazione conferma la decisione della Corte di Assise di appello, ritenendo la motivazione non manifestamente illogica e in conformità ai principi giurisprudenziali in materia.
Cassazione penale, sez. I, sentenza 02/02/2023 (dep. 16/06/2023) n. 26015
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza resa in data 2 novembre 2020, la Corte di Assise di Cagliari condannava P.G. alla pena dell'ergastolo per l'omicidio volontario, aggravato dalla minorata difesa (esclusa la premeditazione), della moglie PA.Br.Lo., trovata cadavere, verso le 10 del (Omissis), da alcuni pescatori al largo della località costiera sarda "(Omissis)".
Secondo la ricostruzione operata dai primi giudici, l'imputato aveva denunciato la scomparsa della donna, a suo dire uscita di casa in vestaglia e senza scarpe nella notte tra il (Omissis), alla figlia R., la quale aveva subito provveduto a telefonare alla Polizia.
L'autopsia accertò la causa della morte in asfissia da annegamento.
La PA. venne trovata completamente vestita con scarpe, calze, pantaloni e una camicetta (in ciò risultando smentita la versione del marito, il quale aveva detto che era uscita in vestaglia e scalza).
Sul corpo non vennero riscontrate tracce inequivocabili di violenza. Lo stomaco era vuoto (mentre il P. disse che aveva cenato con la moglie prima che lei si allontanasse da casa); gli esami ematochimici rilevarono un tasso alcolemico di 1,20 grammi per litro, cioè una condizione di "franca ubriachezza".
Gli accertamenti eseguiti dai consulenti tecnici, incaricati dal Pubblico ministero di individuare il luogo in cui avvenne l'annegamento, permisero di identificare detto luogo nella zona costiera situata tra (Omissis) e (Omissis), più a nord-est rispetto al posto in cui il cadavere fu rinvenuto e a distanza di circa 12 km dall'abitazione dei coniugi P.- PA..
Gli stessi consulenti esclusero, in base alle condizioni fisiche della donna (di 76 anni, di 85 kg di peso, con problemi di osteoporosi e crolli vertebrali multipli, con difficoltà a piegarsi e a reggersi in piedi: pag. 33 sentenza di primo grado) e a quelle metereologiche della notte della scomparsa (con tempesta di vento e pioggia), che la PA. avesse potuto raggiungere a piedi la spiaggia dove si sarebbe immersa: infatti, tenuto conto delle condizioni date, ci avrebbe impiegato dalle 3 alle 4 ore; ma, se così fosse stato, il corpo sarebbe stato trovato ben più al largo del posto in cui fu avvistato dai pescatori: in conclusione, la donna non poteva che aver raggiunto in macchina la spiaggia in questione.
La sentenza della Corte di Assise, messe in luce le molteplici menzogne e incongruenze della versione fornita dall'imputato in sede di interrogatorio e in dibattimento (nella forma delle dichiarazioni spontanee), valorizzava, fra gli elementi a carico, giudicandola attendibile, la testimonianza della vicina di casa C.G..
La teste, in un primo tempo, intorno alle 22.30-22.35 del (Omissis), avvertì che il P., con un tono di voce "arrabbiato", diceva cose come "ma perché, ma perché?"; poi, alle 22.50, mentre portava fuori di casa la spazzatura, vide l'autovettura del P. "che girava verso sinistra" (non disse chi c'era nell'abitacolo, evidentemente non lo vide); intorno alle 23.30-23.35, affacciandosi alla finestra, vide P. rientrare a casa e parcheggiare la propria auto.
Osservava la Corte di merito, al riguardo, che il tempo durante il quale l'imputato si allontanò dalla propria abitazione era compatibile con l'effettuazione del tragitto di andata e ritorno alla e dalla spiaggia di (Omissis), inframmezzato dall'omicidio.
La rilevanza della deposizione C. veniva correlata alla ostinata negazione, opposta dall'imputato, della circostanza di essere uscito in auto quella notte.
Venendo al movente, la Corte cagliaritana affermava che P. era ossessionato da un presunto tradimento della moglie, risalente a 48 anni prima (la donna avrebbe avuto una relazione con suo cognato, P.M., fratello dell'imputato), eppure mai superato dall'imputato, nonostante il decorso di un lungo arco di tempo.
P., la sera dei fatti, aveva "rivissuto", per l'ennesima volta, quel tradimento a causa di una trasmissione tedesca strutturata sul modello della nota trasmissione televisiva italiana "(Omissis)", seguita insieme alla moglie, che proponeva una situazione del tutto sovrapponibile a quella che aveva cagionato la sofferenza dell'imputato e che, evidentemente, aveva fatto insorgere il suo proposito omicida.
La Corte di Assise di Cagliari concludeva per la responsabilità di P. rilevando, a pag. 50:
"Indubbiamente il dibattimento non ha consentito di fare piena luce sulla dinamica del fatto, e si può solo ipotizzare - essendo da escludere un trascinamento fisico, anche per la corporatura della donna - che P., approfittando dello stato di ebbrezza alcolica della moglie (probabilmente provocato), della sua remissività e passività (tanto da subire una violenza sessuale da parte del cognato senza ribellarsi, o accettare che il marito violentasse per anni la figlia adolescente), della sua sudditanza, l'abbia indotta a entrare in mare verso la sua tragica fine.
Quello che è certo è che P. ha mentito sui suoi rapporti con la moglie, ha mentito sul fatto che la trasmissione tedesca non avesse rievocato vicende personali, ha mentito quando ha detto di aver "perdonato" la moglie e ha mentito sul fatto che fossero andati a letto; ha mentito quando ha detto che PA. non avesse assunto bevande alcoliche, ha mentito sulle condizioni fisiche della donna, ha mentito quando ha negato che vi fosse stata una discussione a voce alta.
P. ha sempre mentito, e la ricostruzione alternativa a quella che implica la sua responsabilità si fonda su queste menzogne e non può rappresentare, dunque, una ragionevole alternativa; egli deve, pertanto, essere dichiarato responsabile del delitto ascrittogli".
2. Con sentenza emessa in data 12 novembre 2021, la Corte di Assise di appello di Cagliari, in parziale riforma della decisione impugnata, qualificato il fatto come istigazione o aiuto al suicidio aggravato ai sensi dell'art. 580 c.p., condannava l'imputato alla pena di otto anni di reclusione.
A pag. 20, nel tirare le fila sulla ricostruzione preferibile, scrivevano i giudici del gravame:
"L'ipotesi che la PA. si sia tolta la vita è seria, plausibile e riscontrata dai propositi di auto soppressione da ella manifestati anche in tempo prossimo alla morte; dallo stato di ubriachezza, che, in mancanza di qualsiasi elemento di segno contrario, non può che essere considerata volontaria e, anzi, con valutazione ex post, preordinata al suicidio, e dall'assenza sul cadavere di tracce di violenza;
e' provato che, la notte del fatto, era stato il P. ad accompagnare la donna alla marina.
Pertanto, tenuto conto di tutte le risultanze processuali, la ricostruzione preferibile dell'evento, a cui in ultima analisi si avvicinano, senza raggiungerla, sia la Corte di primo grado che il difensore, è quella che vede il P. e la moglie litigare per l'ennesima volta a causa del presunto tradimento; la donna, esasperata da anni di vessazioni psicologiche sempre basate su quella questione, con i freni inibitori attenuati (nulla autorizza a pensare a uno stato di totale incapacità) dall'ingestione di alcol, prendere atto che le cose "non erano cambiate", come aveva sperato per tanti anni, e che mai sarebbero cambiate, ed esprimere ancora una volta il desiderio di suicidarsi "andando in mare", e l'uomo, a propria volta logorato dal tarlo che lo divorava, offrirsi di accompagnarla in spiaggia, ove l'insano proposito sarebbe stato realizzato e ove le loro anime tormentate avrebbero finalmente trovato pace".
P., dunque, avrebbe agevolato il suicidio della moglie accompagnandola nel luogo, altrimenti per lei irraggiungibile, in cui aveva deciso di togliersi la vita.
La riqualificazione operata dalla Corte di Assise di appello non poteva costituire una sorpresa per l'imputato in quanto era stata espressamente menzionata dal Pubblico ministero ed era stata implicitamente invocata dallo stesso difensore, sicché nessuna lesione del diritto di difesa era dato ravvisare (pagg. 21-22 della sentenza impugnata).
3. Ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Cagliare, deducendo, con un unico e articolato motivo, violazione di legge in relazione agli artt. 575 e 580 c.p. e contraddittorietà della motivazione.
Il Procuratore ricorrente giudica, in premessa, "non condivisibile" la riqualificazione cui è pervenuta la Corte di Assise di appello nonostante il riconoscimento della correttezza della operata valorizzazione, da parte del primo giudice, di una serie di elementi (menzogne conclamate dell'imputato; attendibilità della teste C.; presenza del solo imputato in compagnia della vittima in orario prossimo a quello della morte; raggiungibilità del luogo di immersione in mare da parte della vittima soltanto in automobile; gravi risalenti motivi di risentimento nutriti dall'imputato nei confronti della moglie, riemersi a seguito della visione di una trasmissione televisiva).
Procede, quindi, alla ricognizione dei fatti pacificamente emersi dal giudizio, a partire dal rinvenimento del cadavere della PA..
In seguito, sviluppa le sue censure al ragionamento seguito dalla Corte di Assise di appello.
La Corte di merito avrebbe omesso di considerare che P., sin dall'inizio, aveva inteso accreditare la tesi dell'allontanamento spontaneo della donna, ipotizzando (anche) il desiderio di quest'ultima, forse alimentato dalla visione del programma televisivo tedesco, di "farla finita".
La tesi dell'istigazione e dell'aiuto al suicidio era apparsa da subito poco plausibile, "in ragione di quanto emerso dopo il ritrovamento del cadavere della P. e sulla base di dati oggettivi che la Corte aveva omesso di considerare".
In particolare, i giudici del gravame non avrebbero valutato il dato "rilevantissimo" dello stato di ebbrezza riscontrato nella vittima, "tale da influire sulle capacità percettive e reattive della donna".
L'assunto della Corte di merito, secondo il quale la persona offesa, con i freni inibitori attenuati dalla ingestione di alcol, avrebbe maturato propositi suicidi, doveva considerarsi "fallace", perché non era dato sapere se tali propositi si fossero seriamente formati, non potendosi escludere che le affermazioni riferite dalla figlia R. avessero una finalità diversa (desiderio di indurre il marito a non perseverare nelle sue manifestazioni di gelosia), né in quale momento storico e in quale circostanza particolare avesse pronunciato tali frasi.
Osserva, poi, il Procuratore ricorrente che, quand'anche si fosse ritenuto quel proposito seriamente fondato, non avrebbe potuto a priori escludersi né che fosse conseguito ad un progressivo allentamento delle risorse psichiche e fisiche della persona offesa a seguito delle condotte sempre più "pervasive" del marito, né che, approfittando di un momento di debolezza, ulteriormente aggravatasi per l'assunzione di alcol, il P. avesse "colto la palla al balzo" per sbarazzarsi della moglie.
Infine, il ricorrente elenca una serie di omissioni valutative che avrebbero reso il ragionamento della Corte di merito "ancor più contraddittorio".
In particolare, la Corte di Cagliari:
a) avrebbe omesso di ancorare la condotta, asseritamente agevolativa, al momento storico nel quale il fatto si era verificato;
b) avrebbe omesso di considerare che "l'estensione e la sopravvalutazione di dati circostanziali non ben inquadrati sotto il profilo temporale" aveva comportato "un'estensione della fattispecie in concreto ritenuta sussistente e una contestuale restrizione indebita dell'ipotesi di omicidio" perché aveva "portato a slegare l'evento dalla imprescindibile valutazione del nesso eziologico immediatamente antecedente;
c) avrebbe omesso di considerare la "specificità del coefficiente psicologico" nel delitto ritenuto sussistente;
d) avrebbe omesso di effettuare "il necessario vaglio diretto ad escludere dal novero delle condotte potenzialmente idonee a indurre o agevolare forme di autolesionismo quelle che, astrattamente riconducibili ad ipotesi di maltrattamenti, potevano costituire la causa dell'evento più grave non voluto";
e) avrebbe omesso di valutare il discrimine tra la fattispecie ritenuta sussistente e quella, contigua, dell'omicidio del consenziente (astrattamente ipotizzabile), e di apprezzare l'incidenza delle condizioni psicofisiche della vittima nella valida manifestazione del consenso che avrebbero dovuto escludere la configurabilità dell'omicidio del consenziente;
f) avrebbe omesso di considerare che tutta la condotta materiale, concretizzatasi nel condurre la moglie nel luogo antistante il mare dove poi si era immersa, era stata posta in essere dal P., per cui doveva ritenersi che, quand'anche l'ingresso in mare fosse stato attribuibile a una decisione della donna, non poteva escludersi la riconducibilità dell'evento quale conseguenza voluta dal P., finanche nell'ipotesi in cui tale volontà fosse sorta in un momento successivo;
g) non avrebbe tenuto conto che la riconducibilità, incontestata, della condotta materiale al P. avrebbe dovuto portare ad escludere in radice l'ipotesi dell'agevolazione del suicidio, perché, sostituendosi l'imputato alla moglie, asseritamente aspirante suicida, assumendone in proprio l'iniziativa, aveva posto in essere, semmai, la diversa condotta di omicidio del consenziente (da escludere nella sua configurabilità stante il disposto dell'art. 579 c.p., comma 3, n. 2).
Secondo il ricorrente, tali "omissioni", stante anche la non ipotizzabilità dell'omicidio del consenziente, si sarebbero tradotte in violazione di legge per erronea ritenuta configurabilità del disposto di cui all'art. 580 c.p. e avrebbero concorso a determinare anche un insanabile vizio di motivazione per illogicità manifesta.
4. Ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del difensore, anche P.G., sviluppando i seguenti motivi.
4.1. Con il primo motivo, si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'affermazione di responsabilità per il reato di cui all'art. 580 c.p., comma 2.
Sostiene il difensore del ricorrente che, non essendo stato dimostrato in giudizio che qualcuno avesse reso edotto P. dei propositi suicidi manifestati, in passato, dalla vittima, non poteva essere ritenuto provato che egli avesse previsto "l'evento" come "conseguenza della propria condotta".
Deduce, inoltre, l'inadeguatezza della motivazione circa la sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 580, comma 2 in relazione all'art. 579 c.p., comma 3, n. 2), non essendo state indicate dalla Corte di merito circostanze specifiche suffraganti l'ipotesi che la PA. avesse abusato di alcol in compagnia del marito; doveva, viceversa, considerarsi plausibile che la donna, una volta rimasta sola e poco prima dell'ingresso in mare, avesse assunto una quantità considerevole di sostanze alcoliche necessarie per allentare i freni inibitori fino al punto da consentirle l'ingresso in acqua.
Chiede, pertanto, che il P. venga assolto dall'accusa, come riqualificata in sentenza.
4.2. Con il secondo motivo, si denuncia l'inosservanza o erronea applicazione dell'art. 521 c.p.p. in relazione alla riqualificazione del fatto e degli artt. 24 e 111 Cost. per violazione del diritto di difesa.
Nella prospettazione della difesa del ricorrente, l'iter logico-decisionale seguito dai giudici dell'appello non sarebbe stato quello di una riqualificazione giuridica del fatto, ma quello della ricostruzione di un fatto radicalmente diverso da quello oggetto della originaria imputazione, come, peraltro, evincibile, da un passaggio testuale della sentenza (a pag. 20), in cui si faceva riferimento alla "ricostruzione preferibile dell'evento".
In tale situazione, la Corte di Assise di appello di Cagliari avrebbe dovuto fare applicazione dell'art. 521 c.p.p., comma 2 disponendo la trasmissione degli atti al Pubblico ministero.
Ciò al fine di tutelare il diritto di difesa dell'imputato, il quale non aveva potuto difendersi dall'accusa di un fatto diverso da quello contestatogli nel decreto di rinvio a giudizio e non aveva avuto la possibilità di accedere ai riti alternativi per tale fatto diverso.
4.3. Con il terzo motivo, si censura, sotto il duplice profilo della violazione di legge (artt. 218 e 246 c.p.p.) e del vizio di motivazione, la mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale per l'effettuazione di un sopralluogo nonché di un esperimento giudiziale.
La Corte di Assise di appello aveva rigettato la richiesta, osservando che "almeno una" tra le marine della zona presentava caratteristiche compatibili con i granelli di sabbia ritrovati negli indumenti della vittima, anche qualora non fosse stata da individuare in quella di (Omissis), indicata nel capo d'imputazione.
Il richiesto sopralluogo, viceversa, si sarebbe dimostrato indispensabile proprio per dimostrare che la PA. non avrebbe potuto immergersi nelle acque antistanti la spiaggia di (Omissis), sia per la conformazione geografica della zona sia, soprattutto, per le difficoltà di accesso alla spiaggia stessa anche per persone non così avanti nell'età e sofferenti delle patologie accusate dalla donna e in presenza delle condizioni meteorologiche di quella notte, caratterizzata da forte vento e pioggia persistente.
Allo stesso modo, il richiesto esperimento giudiziale sarebbe servito a verificare se un uomo dell'età e con i problemi fisici del P. avrebbe potuto guidare, in una notte come quella, da (Omissis) fino a (Omissis), per poi farvi rientro nel giro di 30 minuti, cioè nel lasso di tempo in cui la teste C.G. aveva dichiarato di aver visto uscire di casa e rientrare l'automobile dell'imputato.
La Corte di secondo grado aveva respinto le richieste difensive ammettendo, persino, di non aver compreso l'utilità del sopralluogo, osservando che il problema del processo non era quello di stabilire se la PA. fosse potuta arrivare senza aiuto fino all'acqua, ma se fosse stata o meno trasportata sul posto dal P..
Era evidente l'errore logico-giuridico e motivazionale in cui erano incorsi i giudici dell'appello, in quanto l'esperimento richiesto non doveva riguardare la vittima, bensì l'imputato e la sua capacità di effettuare il tragitto da (Omissis) al mare e di farvi rientro nell'arco di tempo individuato dalla C..
5. Nella sua requisitoria, fatta pervenire in forma scritta ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8, il Procuratore generale presso questa Corte ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
6. L'avv. Antonello SPADA, nell'interesse dell'imputato, ha fatto pervenire, in via telematica, memoria illustrativa, insistendo per l'accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Entrambi i ricorsi vanno dichiarati inammissibili.
1. Occorre premettere all'esame dei singoli motivi di ricorso una sintetica ricognizione giurisprudenziale sui temi devoluti con le impugnazioni.
1.1. Quanto alle tematiche di diritto sostanziale, occorre ricordare, con riferimento alle due diverse fattispecie ravvisate nei due gradi di merito, che il discrimine tra il reato di omicidio del consenziente e quello di istigazione o aiuto al suicidio va individuato nel modo in cui viene ad atteggiarsi la condotta e la volontà della vittima in rapporto alla condotta dell'agente: si avrà omicidio del consenziente nel caso in cui colui che provoca la morte si sostituisca in pratica all'aspirante suicida, pur se con il consenso di questi, assumendone in proprio l'iniziativa, oltre che sul piano della causazione materiale, anche su quello della generica determinazione volitiva; mentre si avrà istigazione o agevolazione al suicidio tutte le volte in cui la vittima abbia conservato il dominio della propria azione, nonostante la presenza di una condotta estranea di determinazione o di aiuto alla realizzazione del suo proposito, e lo abbia realizzato, anche materialmente, di mano propria (Sez. 1, n. 31.47 del 6/2/1998 P.M. in proc. Munaò, Rv. 210190).
La legge, nel prevedere, all'art. 580 c.p., tre forme di realizzazione della condotta penalmente illecita (quella della determinazione del proposito suicida prima inesistente, quella del rafforzamento del proposito già esistente e quella consistente nel rendere in qualsiasi modo più facile la realizzazione di tale proposito), ha voluto, quindi, punire sia la condotta di chi determini altri al suicidio o ne rafforzi il proposito, sia qualsiasi forma di aiuto o di agevolazione di altri del proposito di togliersi la vita, agevolazione che può realizzarsi in qualsiasi modo: ad esempio, fornendo i mezzi per il suicidio, offrendo istruzioni sull'uso degli stessi, rimuovendo ostacoli o difficoltà che si frappongano alla realizzazione del proposito ecc., o anche omettendo di intervenire, qualora si abbia l'obbligo di impedire la realizzazione dell'evento. L'ipotesi della agevolazione al suicidio prescinde totalmente dalla esistenza di qualsiasi intenzione, manifesta o latente, di suscitare o rafforzare il proposito suicida altrui. Anzi, presuppone che l'intenzione di autosopprimersi sia stata autonomamente e liberamente, presa dalla vittima altrimenti, vengono in applicazione le altre ipotesi previste dal medesimo art. 580. E', pertanto, sufficiente che l'agente abbia posto in essere, volontariamente e consapevolmente, un qualsiasi comportamento che abbia reso più agevole la realizzazione del suicidio perché si realizzi l'ipotesi criminosa di cui all'art. 580 c.p..
1.2. Quanto alla violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, va richiamato l'insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo il quale, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051).
Sempre il massimo Consesso nomofilattico ha precisato, sull'argomento, che l'attribuzione all'esito del giudizio di appello, pur in assenza di una richiesta del Pubblico ministero, al fatto contestato di una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione non determina la violazione dell'art. 521 c.p.p., neanche per effetto di una lettura della disposizione alla luce dell'art. 111 Cost., comma 2, e dell'art. 6 della Convenzione EDU come interpretato dalla Corte Europea, qualora la nuova definizione del reato fosse nota o comunque prevedibile per l'imputato e non determini in concreto una lesione dei diritti della difesa derivante dai profili di novità che da quel mutamento scaturiscono (Sez. U, n. 31617 del 26/6/2015, Lucci, Rv. 264438).
Si e', da ultimo, chiarito che la diversa qualificazione del fatto effettuata dal giudice di appello non determina alcuna compressione o limitazione del diritto al contraddittorio, anche alla luce del principio affermato da Corte EDU 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia, essendo consentito all'imputato di contestarla nel merito con il ricorso per cassazione (Sez. 6, n. 422 del 19/11/2019, dep. 2020, P.G. in proc. Petittoni, Rv. 278093).
1.3. Quanto, infine, al tema della rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale nel giudizio di appello, prevista dall'art. 603 c.p.p., comma 1, si è costantemente affermato come essa sia subordinata alla verifica dell'incompletezza dell'indagine dibattimentale ed alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria; tale accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata (tra molte, Sez. 6, n. 48093 del 10/10/2018, G., Rv. 274230).
2. Partendo dal terzo motivo del ricorso proposto nell'interesse di P., attinente al tema richiamato per ultimo, ritiene il Collegio che esso sia manifestamente destituito di fondamento, avendo la Corte di merito correttamente focalizzato l'attenzione quale dato probatorio suscettibile di rendere superfluo il richiesto sopralluogo, non sulla circostanza, che la difesa avrebbe voluto indagare, circa la possibilità per la vittima di arrivare senza aiuto fino all'acqua, percorrendo a piedi poche decine di metri,, ma sulla ben più pregnante circostanza relativa al fatto che la donna fosse stata o meno trasportata sul posto dal marito, dalla dimostrazione della quale sarebbe stato possibile ricostruire la condotta dell'imputato in termini di agevolazione al suicidio.
Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi con riferimento al richiesto esperimento giudiziale attinente alla possibilità per l'imputato di percorrere in circa trenta minuti il tragitto descritto in atti, tenuto conto della deposizione della C., ritenuta attendibile, di cui sopra si è dato atto.
3. Manifestamente infondato in diritto è il secondo motivo del ricorso P., avendo la Corte di merito adeguatamente spiegato le ragioni per le quali non vi era stata, con la riqualificazione della originaria imputazione in quella meno grave di cui all'art. 580 c.p., una trasformazione strutturale del fatto inizialmente contestato all'imputato tale da integrare un fatto radicalmente "diverso" e che, in ogni caso, l'ipotesi delittuosa alla fine ravvisata era stata adombrata, anche nel corso del giudizio di primo grado, sia dal rappresentante della Pubblica accusa, sia dalla stessa difesa, con il che la nuova definizione del reato era, senz'altro, nota o comunque prevedibile per l'imputato e non aveva potuto determinare in concreto una lesione dei diritti della difesa derivante dai profili di novità che da quel mutamento scaturivano.
4. Il primo motivo di ricorso proposto da P. pecca di aspecificità, poiché non si confronta con la ratio decidendi, che viene censurata in modo generico e apodittico, mediante lo sviluppo di deduzioni non consentite nella presente sede, in quanto involgenti profili di merito e ponendosi, sovente, su un piano affatto congetturale.
L'impugnazione di P. va, in conclusione, dichiarata inammissibile, dal che consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non versandosi in ipotesi di esonero, al versamento di un'ulteriore somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare in Euro tremila.
5. Anche il ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Cagliari va dichiarato inammissibile.
La Corte di merito, con motivazione non manifestamente illogica e in conformità ai principi giurisprudenziali sopra richiamati, ha ritenuto, nel suo libero convincimento, di ravvisare, nella condotta di accompagnare la propria moglie nel luogo, altrimenti per lei irraggiungibile, dove essa aveva deciso di togliersi la vita, e di assistere inerte al suo suicidio, gli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 580 c.p., aggravato dalle condizioni di deficienza psichica della vittima dovuta all'abuso di alcolici.
Il Procuratore ricorrente ha censurato tale decisione, sostanzialmente riproponendo la tesi dell'omicidio, addebitando, in modo manifestamente infondato, alla Corte territoriale di non avere tenuto conto di una serie di circostanze (viceversa, valutate e, tuttavia, reputate non concludenti con iter argomentativo scevro da vizi logici) e opponendo una ricostruzione in fatto - oltretutto costellata di molteplici passaggi congetturali (resi evidenti dalla espressione, più volte utilizzata: "non si può escludere che") e di natura "perplessa" (oscillando tra le fattispecie di omicidio, omicidio del consenziente e aiuto al suicidio) - non consentita in questa sede.
La natura di parte pubblica preclude la condanna al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma alla Cassa delle ammende (Sez. U, n. 3775 del 21/12/2017, dep. 2018, Min. Giustizia in proc. Tuttolomondo, Rv. 271650).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso del Procuratore generale.
Dichiara inammissibile il ricorso di P.G., che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 2 febbraio 2023.
Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2023.