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Violenza sessuale, il dissenso durante il rapporto può far scattare il reato

Corte di Cassazione, sez. III Penale, Sentenza n.26497 del 30/05/2023 (dep. 20/06/2023)

Nel caso di un rapporto sessuale fra maggiorenni, quali sono le conseguenze giuridiche qualora al consenso inizialmente prestato faccia seguito un dissenso a proseguire il rapporto?

Il tema è stato affrontato dalla Cassazione, sezione III penale, con la sentenza n. 26497 del 20 giugno 2023.

La Suprema Corte ricorda che, in tema di reati contro la libertà sessuale, nei rapporti tra maggiorenni, il consenso agli atti sessuali deve perdurare nel corso dell'intero rapporto senza soluzione di continuità. Di conseguenza integra il reato di violenza sessuale ex art. 609-bis c.p. la prosecuzione del rapporto nel caso in cui, successivamente a un consenso originariamente prestato, intervenga in itinere una manifestazione di dissenso, anche non esplicita, ma per fatti concludenti chiaramente indicativi della contraria volontà.

Il consenso iniziale all'atto sessuale non è quindi sufficiente quando quest'ultimo si trasformi in atto violento, consumando il rapporto con forme e modalità non volute dalla persona offesa.

Nel caso di specie, la Corte di merito, facendo corretta applicazione dei principi ora evocati, ha evidenziato come la persona offesa, nel corso di una lunga e sofferta deposizione, abbia affermato, tra l'altro, di essere stata costretta a proseguire rapporti sessuali con l'imputato nonostante l'espressa richiesta di interrompere l'atto perché compiuto con pratiche non desiderate e perché provava dolore.

La condotta descritta integra senza dubbio alcuno il delitto di violenza sessuale, avendo l'imputato proseguito nel compimento degli atti sessuali, nonostante l'intervenuto dissenso alla prosecuzione chiaramente manifestato dalla persona offesa.

Rapporti sessuali tra maggiorenni, consenso iniziale, dissenso durante il rapporto, reato di violenza sessuale, sussistenza

In tema di reati contro la libertà sessuale, nei rapporti tra maggiorenni, il consenso agli atti sessuali deve perdurare nel corso dell'intero rapporto senza soluzione di continuità, con la conseguenza che integra il reato di cui all'art. 609-bis c.p. la prosecuzione del rapporto nel caso in cui, successivamente a un consenso originariamente prestato, intervenga in itinere una manifestazione di dissenso, anche non esplicita, ma per fatti concludenti chiaramente indicativi della contraria volontà.

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Cassazione penale, sez. III, sentenza 30/05/2023, (ud. 30/05/2023, dep. 20/06/2023), n. 26497

RITENUTO IN FATTO

1. Con l'impugnata sentenza, in parziale riforma della pronuncia emessa dal Tribunale di Busto Arsizio e appellata dall'imputato, la Corte di appello di Milano, riqualificato il fatto di cui al capo C) nel reato di cui all'art. 612, comma 2, c.p., rideterminava in dodici anni di reclusione la pena inflitta nei confronti di B.G., nel resto confermando la decisione impugnata, la quale aveva affermato la penale responsabilità dell'imputato per i delitti di cui agli artt. 572, comma 2, c.p. (capo A), 582, comma 2, 585, 576 n. 5, c.p. (capo B), 75, comma 2, D.Lgs. n. 159 del 2011, 61, n. 2, c.p. (capo E), 81 cpv., 609-bis, 609-ter n. 5, c.p. (capo F); il Tribunale assolveva l'imputato dal reato di cui agli artt. 81 cpv., 635, commi 1 e 2, c.p., 71 D.Lgs. n. 159 del 2011 (capo D) in quanto non punibile ai sensi dell'art. 649, nonché dal capo F), limitatamente al periodo gennaio 2020, perché il fatto non sussiste.

2. Avverso l'indicata sentenza, l'imputato, tramite i difensori di fiducia, propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.

2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p. in relazione agli artt. 2 e 133 c.p. Assume il ricorrente che la Corte di appello, in relazione al delitto di cui al capo F), avrebbe inflitto una pena illegale, posto che il minimo edittale della fattispecie di cui all'art. 609-bis c.p. è stato elevato da cinque a sei anni con la L. n. 69 del 2019, entrata in vigore il 9 agosto 2019 e, quindi, in epoca successiva al gennaio 2019, periodo cui si riferisce la contestazione.

2.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p. in relazione all'art. 431, comma 2, c.p.p. Ad avviso del ricorrente, la Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto non valutabili le dichiarazioni rese dalla persona offesa in sede di querela e di successiva integrazione perché non presenti nel materiale probatorio, mentre le stesse sono state acquisite ai sensi dell'art. 431 c.p.p. in sede di udienza preliminare.

2.3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. in relazione agli artt. 612 c.p. e 192 c.p.p. Secondo il ricorrente, la Corte di merito avrebbe erroneamente ravvisato la fattispecie di cui al comma 2 dell'art. 612 c.p., posto che l'imputato non ha mai proferito minacce di morte nei confronti della moglie. La Corte d'appello, inoltre, avrebbe omesso di valutare sia le contraddizioni del racconto dei fatti come riferito dalla persona offesa in sede di udienza del 19 novembre 2020 rispetto a quello contenuto nella querela, in cui non vi è alcun cenno alla minaccia di morte; sia le dichiarazioni del teste G., il quale ha riferito dell'impossibilità di udire le parole pronunciate al citofono dell'imputato e, in ogni caso, non sentì alcuna minaccia di morte.

2.4. Con il quarto motivo si lamenta la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. in relazione all'art. 192 c.p.p. Sostiene il ricorrente che la Corte di merito ha erroneamente rigettato la richiesta, avanzata ex art. 603 c.p.p., di disporre una perizia in merito agli esami tossicologici e all'esame del capello effettuati sulla persona offesa, posto che costei ha riferito che il test, cui si era sottoposta il 9 giugno 2020, diretto ad accertare l'uso di sostanza stupefacente nei tre mesi antecedenti, aveva dato esito positivo; in relazione a tale aspetto, che, secondo i difensori, assume una rilevanza decisiva in relazione alla valutazione di attendibilità della persona offesa, la Corte di merito non avrebbe preso posizione.

2.5. Con il quinto motivo si censura la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. in relazione all'art. 192 c.p.p. Argomenta il ricorrente che la Corte d'appello non ha considerato la circostanza, dedotta con l'appello, secondo cui la persona offesa aveva dichiarato non che vi erano stati rapporti sessuali contro la sua volontà, ma solo che vi era stata una mancata comunicazione ovvero un'assenza di sintonia tra i partner, ciò che aveva portato all'interruzione della relazione; la Corte di merito, inoltre, non avrebbe valutato l'assenza di qualsivoglia forma di coartazione fisica e/o di condizionamento, il che esclude la sussistenza del reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Il primo motivo è manifestamente infondato.

Invero, nel confrontarsi con l'argomentazione difensiva, pedissequamente riproposta in questa sede di legittimità, la Corte di merito ha rilevato che la contestazione ex art. 609-bis c.p. di cui al capo F) - e per la quale è intervenuta condanna - si estende dal gennaio 2019 sino al dicembre 2019 (in relazione ai fatti commessi nel gennaio 2020, infatti, è stata emessa sentenza di assoluzione); di conseguenza, alcune violenze sessuali sono state certamente commesse dopo il (Omissis) e, in relazione ad esse, trova applicazione la fattispecie in esame come modificata dalla L. n. 69 del 2019, la quale ha elevato da cinque a sei anni il minimo edittale, che, peraltro, nel caso in esame è stato assunto dalla Corte di merito come pena base (cfr. p. 25 della sentenza impugnata).

3. Il secondo motivo è parimenti inammissibile perché generico.

Premesso che la persona offesa è stata esaminata nel corso di due udienze dibattimentali, è dirimente osservare che la difesa non indica in che modo le dichiarazioni rese dalla donna in sede di querela e durante le indagini incidano sulla ritenuta valutazione di attendibilità, concordemente operata dai giudici di merito all'esito di un articolato percorso argomentativo, che non è espressamente contestato dal ricorrente, anche alla luce dei plurimi riscontri, dichiarativi e documentali, al narrato della donna, puntualmente indicati alle p. 7-8 della sentenza impugnata.

4. Il terzo motivo è inammissibile sia perché, sebbene formalmente diretto ad evidenziare - peraltro in maniera atomistica - asseriti vizi della motivazione, a ben vedere è articolato in fatto, essendo finalizzato a sollecitare una diversa valutazione delle prove, sia perché è generico, non confrontandosi criticamente con gli aspetti decisivi dell'ampio percorso argomentativo della sentenza impugnata.

4.1. In via preliminare, si rammenta che, per espresso dettato normativo ex art. 606, comma 1, lett., e), c.p.p., il vizio della motivazione denunciabile con il ricorso per cassazione è soltanto quello che risulta dal testo del provvedimento impugnato; il che significa, come affermato dalla Corte costituzionale (sen. 313 del 1990, par. 4.2), che "la Corte di cassazione non può rilevare il vizio se non è intrinseco al provvedimento, essendo esclusa una diversa valutazione dei fatti così come risultano dagli atti ma non dal provvedimento".

Il giudizio di cassazione non rappresenta, infatti, un terzo grado del giudizio di merito, come sembra prefigurare il ricorrente laddove, con i motivi qui in esame, pretende una diversa valutazione di talune prove dichiarative.

Il controllo che spetta a questa Corte attiene unicamente alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l'oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando invece preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247).

Il controllo di legittimità sulla motivazione non riguarda perciò né alla ricostruzione dei fatti, né all'apprezzamento del giudice di merito, ma è limitato alla verifica della rispondenza dell'atto impugnato a due requisiti, che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542; Sez. 2, n. 56 del 7/12/2011, dep. 4/1/2012, Siciliano, Rv, 251760). Nel giudizio di cassazione, pertanto, non si può procedere a una rinnovata valutazione dei fatti, ovvero a una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.

Orbene, il motivo non indica vizi intrinseci della motivazione, essendo invece diretto a propugnare una asserita illogicità o contraddittorietà della motivazione stessa sulla base di elementi esterni ad essa, ossia sulla base di una diversa valutazione delle prove orali, il che, si ribadisce, è precluso nel giudizio di legittimità.

4.2. Nel caso in esame, per contro, i giudici di merito, sulla base delle dichiarazioni delle persona offesa, confermate dalla madre, che era presente all'episodio, hanno appurato che l'imputato proferì alla donna, tramite il citofono, delle minacce di morte, ritenute, con una valutazione di fatto non manifestamente illogica, "gravi" e quindi tali da integrare il delitto previsto dal comma 2 dell'art. 612, così riqualificata dalla l'originaria imputazione ex art. 629 c.p..

5. Il quarto motivo è inammissibile.

5.1. La rinnovazione del giudizio in appello è istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente quando il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (per tutti, cfr. Sez. U, n. 2780 del 24/01/1996 - dep. 15/03/1996, Panigoni ed altri, Rv. 203974; Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015 - dep. 25/03/2016, Ricci, Rv. 266820). Si è inoltre chiarito che solo nel caso di prove sopravvenute o scoperte dopo la sentenza di primo grado (art. 603, comma 2, c.p.p.), la mancata assunzione può costituire violazione dell'art. 606, comma 1, lett. d), c.p.p., mentre, negli altri casi previsti (commi primo e terzo dell'art. 603), il vizio deducibile in sede di legittimità è quello attinente alla motivazione previsto dalla lett. e) del medesimo art. 606 (Sez. 4, n. 4675 del 17/05/2006 - dep. 06/02/2007, Bartalini, Rv. 235654; Sez. 5, n. 34643 del 08/05/2008 - dep. 04/09/2008, De Carlo, Rv. 240995).

Va ricordato, inoltre, che, in tema di ricorso per cassazione, può essere censurata la mancata rinnovazione in appello dell'istruttoria dibattimentale qualora si dimostri l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 6, n. 1400 del 22/10/2014 - dep. 14/01/2015, PR, Rv. 261799; Sez. 6, n. 1256 del 28/11/2013 - dep. 14/01/2014, Cozzetto, Rv. 258236).

5.2. Nel caso in esame, la Corte di merito ha rigettato la richiesta di perizia in quanto superflua richiamando, condividendole, le conclusioni del Dott. Orini, il quale, nell'illustrare le modalità esecutive e gli esiti del test sul capello segmentato effettuato sulla persona offesa, ha affermato che costei aveva fatto un uso di cocaina assolutamente di tipo occasionale, uso che si era protratto non oltre i mesi di novembre e di dicembre 2019, circostanza che, per un verso, conferma le dichiarazioni rese dalla donna - la quale, in dibattimento, ha negato di avere assunto sostanza stupefacente dopo gli ultimi mesi del 2019 - e, per altro verso - e simmetricamente - smentisce quanto, invece, affermato dall'imputato, il quale ha riferito di avere cacciato di casa la moglie nel febbraio 2020 in quanto sorpresa a consumare cocaina di nascosto.

Si tratta di una valutazione di fatto non manifestamente illogica, che quindi non è censurabile in sede di legittimità.

6. Il quinto motivo è inammissibile.

6.1. Si rammenta che, in tema di reati contro la libertà sessuale, nei rapporti tra maggiorenni, il consenso agli atti sessuali deve perdurare nel corso dell'intero rapporto senza soluzione di continuità, con la conseguenza che integra il reato di cui all'art. 609-bis c.p. la prosecuzione del rapporto nel caso in cui, successivamente a un consenso originariamente prestato, intervenga in itinere una manifestazione di dissenso, anche non esplicita, ma per fatti concludenti chiaramente indicativi della contraria volontà (Sez. 3, n. 15010 del 11/12/2018, dep. 05/04/2019, F., Rv. 275393; Sez. 3, n. 4532 del 11/12/2007, dep. 29/01/2008, Bonavita, Rv. 238987). In altri termini, il consenso iniziale all'atto sessuale non è sufficiente quando quest'ultimo si trasformi in atto violento, consumando il rapporto con forme e modalità non volute dalla persona offesa (Sez. 3, n. 39428 del 21/09/2007, dep. 25/10/2007, Ortiz, Rv. 237930).

6.2. Nel caso in esame, richiamati i limiti, dinanzi indicati, del controllo della motivazione in sede di legittimità, si osserva che, diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, la Corte di merito, facendo corretta applicazione dei principi ora evocati, ha evidenziato come la persona offesa, nel corso di una lunga e sofferta deposizione (in parte riportata a p. 21 della sentenza impugnata), ha affermato, tra l'altro, di essere stata costretta a proseguire rapporti sessuali con l'imputato nonostante l'espressa richiesta di interrompere l'atto perché non voleva penetrazioni anali ovvero perché provava dolore, il che integra senza dubbio alcuno il delitto di violenza sessuale, avendo l'imputato proseguito nel compimento degli atti sessuali, nonostante l'intervenuto dissenso alla prosecuzione chiaramente manifestato dalla persona offesa.

6.3. A fronte di tale apparato argomentativo, immune da profili di illogicità manifesta, il ricorrente oppone esclusivamente censure di merito, che, all'evidenza, non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità.

7. Essendo il ricorso inammissibile e ricorso e, a norma dell'art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 Euro in favore della Cassa delle ammende.

L'imputato deve essere altresì condannato alla refusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, ammessa al patrocinio a spese dello Stato, con pagamento in favore dello Stato, spese da liquidarsi dalla Corte di appello mediante l'emissione del decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 del citato D.P.R. n. (cfr. SU n. 5464 del 26/09/2019, dep. 12/02/2020, De Falco, Rv. 277760).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammesseeal patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Milano con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 D.P.R. n. 115 del 2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.

Così deciso in Roma, il 30 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2023.

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