Per valutare il superamento del limite per l’accesso al gratuito patrocinio, indicato dall’art. 76 del D.P.R. n. 115 del 2002, occorre considerare che qualsiasi introito che l'istante percepisce con caratteri di non occasionalità confluisce nel formare il reddito personale.
La Cassazione, sezione IV penale, ha recentemente ribadito questo concetto con la sentenza n. 28810, depositata il 5 luglio 2023.
Secondo la Corte, la ragione di tale accertamento risponde all'esigenza di autorizzare il trasferimento allo Stato di una spesa di difesa tecnica, che la parte da sola non riesce a sostenere, così facendo appello alla solidarietà della collettività.
Nel caso di specie, il ricorrente sosteneva che il giudice di merito non avesse considerato che il reddito tipizzato dal D.P.R. n. 115 del 2002 è costituito dal reddito imponibile ai fini IRPEF, depurato da deduzioni e detrazioni.
Ma il concetto di "reddito imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito", non va inquadrato nel concetto tecnico proprio del sistema del diritto tributario. Al contrario, deve essere letto alla luce della differente ratio che governa l'intervento dello Stato nell'assicurare il patrocinio ai non abbienti.
Infatti, nella determinazione del reddito, da valutarsi ai fini dell'individuazione delle condizioni necessarie per l'ammissione al gratuito patrocinio, non si può tener conto di detrazioni o deduzioni stabilite dal legislatore. Queste sono poste finalizzate alla determinazione concreta dell'imposta da pagare, un concetto che, alla luce di quanto esposto, presenta una configurazione diversa rispetto al reddito imponibile cui fa riferimento l’art. 76 del D.P.R. n. 115 del 2002. Infatti, questo articolo intende dare rilevanza al reddito lordo e anche a redditi non assoggettabili ad imposta ma indicativi delle condizioni personali, familiari e del tenore di vita dell'istante.
Per queste ragioni, la Cassazione ha concluso affermando l'infondatezza del ricorso.
Cassazione penale sez. IV, Sentenza 10/05/2023 (dep. 05/07/2023) n. 28810
RITENUTO IN FATTO
1. Con provvedimento del 13/10/2021 il G.I.P. del Tribunale di Torino disponeva l'ammissione al gratuito patrocinio dell'imputato V.C.D.. Con successivo decreto del 21/09/2022 il Tribunale di Torino revocava l'ammissione a seguito di informativa dell'Agenzia delle Entrate che aveva rilevato, per gli anni 2020 e 2021, la percezione da parte dell'istante di redditi superiori al limite consentito di Euro 11.746,68, elevato di ulteriori Euro 1.032,91 per ogni componente del nucleo familiare (precisamente, risultavano redditi per complessivi Euro 15.612,00 per l'anno di imposta 2021; Euro 15.198,00 per l'anno di imposta 2020).
2. Avverso il provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il difensore del V., lamentando la erronea applicazione della legge ed il difetto di motivazione. Il giudice di merito non aveva tenuto conto che il reddito tipizzato dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 76, è costituito dal reddito imponibile ai fini IRPEF, depurato da deduzioni e detrazioni. La decisione era stata adottata travisando gli elementi fattuali e non considerando che, al netto degli oneri deducibili, il reddito del nucleo familiare del V. era ben al di sotto della soglia di legge. Argomenta infatti il ricorrente che dalle C. U. (certificazioni uniche) riferibili al nucleo familiare per gli anni 2021 e 2022, allegate al ricorso (inerenti rispettivamente ai redditi del 2020 e del 2021) risultavano oneri deducibili dal reddito per un importo pari ad Euro 5.297,01, il che comportava la riduzione dell'importo dell'imponibile sotto il limite previsto dalla legge per l'ammissione al gratuito patrocinio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Va preliminarmente evidenziato che il D.P.R. n. 115 del 2002, alli art. 76, nell'indicare le condizioni di ammissione al gratuito patrocinio, non fa solo riferimento al "reddito imponibile ai fini dell'imposta personale... risultante dall'ultima dichiarazione", bensì anche ai "redditi che per legge sono esenti dall'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, ovvero ad imposta sostitutiva". La Corte costituzionale, con la sentenza n. 382 del 1985, nell'affrontare la problematica dei limiti di reddito per il patrocinio gratuito (allora disciplinata dagli artt. 3 e seguenti della L.217 del 1990, poi trasfusa nel D.P.R. n. 115 del 30 giugno 2002) ha precisato che "nella nozione di reddito, ai fini dell'ammissione del beneficio in questione, devono ritenersi comprese le risorse di qualsiasi natura, di cui il richiedente disponga, anche gli aiuti economici (se significativi e non saltuari) a lui prestati, in qualsiasi forma, da familiari non conviventi o da terzi, - pur non rilevando agli effetti del cumulo - potranno essere computati come redditi direttamente imputabili all'interessato, ove in concreto accertati con gli ordinari mezzi di prova, tra cui le presunzioni semplici previste dall'art. 2739 c.c., quali il tenore di vita ecc.".
3. Ancora, il giudice delle leggi, con la successiva sentenza n. 144 del 1992, decidendo sulla questione che adombrava una potenziale disparità di trattamento poiché la norma di cui all'art. 3 della L.n. 217 del 1990 non prevedeva un effettivo accertamento dei reali redditi del richiedente da parte della Agenzia delle Entrate (secondo il rimettente, era insufficiente la mera allegazione dell'ultima dichiarazione dei redditi come prescritto dalla norma), nel dichiarare infondata la questione ha chiarito che " non vi e', nella L. n. 217 del 1990, un'ineludibile corrispondenza biunivoca tra reddito rilevante al fine dell'integrazione del presupposto per il beneficio del patrocinio a spese dello Stato e reddito dichiarato od accertato ai fini fiscali, ma - ancorché vi sia una stretta connessione (tant'e' che l'istante deve allegare alla domanda copia dell'ultima dichiarazione dei redditi o dei certificati sostitutivi) - si tratta di accertamenti che hanno finalità diverse e possono avere esiti diversi. D'altra parte diversa è anche la situazione sostanziale alla quale tale presupposto reddituale afferisce. In un caso vi è un soggetto che aspira al patrocinio a spese dello Stato e quindi è su di lui che fa carico l'onere probatorio del presupposto reddituale al quale il legislatore collega lo stato di non abbienza. Nell'altro caso è l'Amministrazione finanziaria che fa valere la sua pretesa fiscale e quindi è su di essa che fa carico l'onere probatorio di dimostrare l'esistenza e l'ammontare di un reddito imponibile". Conclude la Corte Costituzionale, con passaggio argomentativo di portata dirimente ai fini della presente decisione, che " pertanto - diversamente da quanto ritiene il giudice rimettente - rilevano anche redditi che non sono stati assoggettati ad imposta vuoi perché non rientranti nella base imponibile, vuoi perché esenti, vuoi perché di fatto non hanno subito alcuna imposizione. Quindi rilevano anche redditi da attività illecite che, secondo una recente giurisprudenza non sono sottoposti a tassazione - ovvero redditi per i quali è stata elusa l'imposizione fiscale; tutti tali redditi sono poi accertabili con gli ordinari mezzi di prova, tra cui le presunzioni semplici previste dall'art. 2739 c. c. (quali il tenore di vita ed altri fatti di emersione della percezione di redditi). Non sussistono quindi la irragionevolezza e la disparità di trattamento denunciate dal giudice rimettente." La Consulta dunque chiarisce, con la pronuncia in esame, che il concetto di reddito imponibile ai fini del sistema tributario attiene alla pretesa fiscale dello Stato, ed ha pertanto contenuti, significati e finalità del tutto diverse dall'accertamento che deve compiersi per la concessione del patrocinio legale a spese dello Stato medesimo.
4. Tale indirizzo interpretativo è stato più volte confermato da questa Corte di legittimità, che ripetutamente affermato come qualsiasi introito che l'istante percepisce con caratteri di non occasionalità confluisce nel formare il reddito personale, ai fini della valutazione del superamento del limite indicato nel D.P.R. n. 115 del 2002, art. 76 (cfr. Sez. 4, n. 22299 del 15/04/2008, Rv. 239893 - 01; Sez. 4, n. 19751 del 21/01/2015,Rv. 263480 -01; Sez. 4, n. 26258 del 15/02/2017, Rv. 270201 - 01). La ragione dell'accertamento degli effettivi redditi percepiti dall'istante risponde infatti all'esigenza di autorizzare il trasferimento allo Stato di una spesa (di difesa tecnica) che la parte da sola non riesce a sostenere, così facendo appello alla solidarietà della collettività.
5. Va quindi ribadito, come già sottolineato dalla Consulta e dal prevalente orientamento di questa Corte di legittimità, che l'attuale art. 76 del D.P.R. n. 115 del 2002 non può essere letto, in base ad una interpretazione di carattere logico sistematico, secondo le categorie del diritto tributario, ma va inquadrato nel differente sistema delle regole sottese all'intervento dello Stato a garanzia della difesa in giudizio dei non abbienti a fronte della quale l'accertamento della condizione di " non abbiente" deve attingere, giocoforza, a categorie per cui rilevi l'accertamento degli introiti effettivi del richiedente, tali da consentire o meno la possibilità di affrontare le spese di un giudizio. Il concetto di " reddito imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito ", non va dunque inquadrato nel concetto tecnico proprio del sistema del diritto tributario, ma deve essere letto alla luce della differente ratio che governa l'intervento dello Stato nell'assicurare il patrocinio ai non abbienti.
5.1. Il principio generale secondo cui a ciascun sistema normativo debba corrispondere un' interpretazione calata nella generale ratio cui è sotteso è stato ribadito anche recentemente dalle Sezioni unite (S. U, n. 3513 del 31 gennaio 2022, Fiorentino, Rv 282474- 01) in tema di misure di prevenzione patrimoniali, in cui si è ribadita la specificità del sistema della prevenzione per escludere l'applicabilità dell'art. 30, comma 4, della L. n. 87 del 1953 in caso di declaratoria dell'illegittimità costituzionale delle norme che stabiliscono i casi di confisca).
5.2. Del resto, a ben vedere, anche il precedente contrario di questa Corte citato nel ricorso (che riprende il minoritario indirizzo giurisprudenziale, cfr. Sez 5, n. 34945 del 10 giugno 2016, Rv. 267573) riguardava un caso in cui gli " oneri deducibili" non considerati ai fini del reddito consistevano negli assegni di mantenimento corrisposti all'ex coniuge: si trattava pertanto di un guadagno mai effettivamente percepito dal richiedente.
6. Con riferimento al caso di specie va dunque affermata l'infondatezza del ricorso. Invero, nella determinazione del reddito, da valutarsi ai fini dell'individuazione delle condizioni necessario per l'ammissione al gratuito patrocinio, non si può tener conto di detrazioni o deduzioni stabilite dal legislatore. Si tratta di poste finalizzate alla determinazione concreta dell'imposta da pagare, concetto questo che, alla luce di quanto esposto, presenta una configurazione diversa rispetto al reddito imponibile cui fa riferimento al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 76 (D.P.R. n. in tema di spese di giustizia), che intende dare rilevanza al reddito lordo ed anche a redditi non assoggettabili ad imposta ma indicativi delle condizioni personali, familiari e del tenore di vita dell'istante.
7.AIla infondatezza del ricorso consegue il suo rigetto ed a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 10 maggio 2023.
Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2023