L'utilizzo improprio dello strumento del bonus carta del docente può costituire il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche ex art. 316-ter del codice penale.
Lo ha stabilito la Sesta Sezione penale della Cassazione con la sentenza n. 30770 depositata il 14 luglio 2023.
La Suprema Corte preliminarmente ha ricordato che il reato di indebita percezione di pubbliche erogazioni, previsto dall'art. 316-ter C.p., si differenzia da quello di truffa aggravata (art. 640-bis c.p.,) per la mancata inclusione, tra gli elementi costitutivi, della induzione in errore dell'ente erogatore, il quale si limita a verificare i requisiti autocertificati dal richiedente, senza svolgere una autonoma attività di accertamento, che è riservata a una fase successiva ed eventuale.
Il Legislatore, introducendo l'art. 316-ter c.p., ha voluto estendere la punibilità a comportamenti ingannevoli non inclusi nella fattispecie di truffa. Ciò comprende situazioni del tutto marginali, come il mero silenzio antidoveroso o un comportamento che non induce effettivamente in errore chi eroga la prestazione patrimoniale.
Il bonus carta del docente, previsto dall’art. 1 della Legge n. 107 del 2015, prevede un importo nominale di 500 euro annui per ciascun anno scolastico. Può essere utilizzato per l'acquisto di libri, testi, anche in formato digitale, pubblicazioni e riviste per l'aggiornamento professionale, hardware e software, corsi di aggiornamento e qualificazione professionale, rappresentazioni teatrali e cinematografiche, ingressi a musei, mostre, eventi culturali e spettacoli dal vivo e altre attività correlate.
L’acquisto del bene o del servizio avviene generando un "buono" in maniera informatica, che viene consegnato all'esercente come se fosse un "titolo di credito". Successivamente, l'esercente emette una fattura nei confronti del Ministero dell'Istruzione e riceve l'erogazione dell'importo corrispondente.
Riguardo all'erogazione dell'importo indicato in fattura, il Consap (Concessionaria Servizi Assicurativi Pubblici) svolge un'attività "meramente ricognitiva", senza intraprendere un'attività accertativa.
Alla luce di tali considerazioni, i fatti in questione devono essere qualificati secondo il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche ex art. 316-ter cod. pen.
Integra il delitto di indebita percezione di erogazioni pubbliche ex art. 316-ter cod. pen., la condotta di chi consegue indebitamente erogazioni statali, consistenti nel rimborso delle somme riconosciute dal Ministero della pubblica istruzione in favore dei docenti (cd. “bonus carta del docente”), di cui all’art. 1, comma 121, legge 13 luglio 2015, n. 107.
Cassazione penale, sez. VI, Sentenza 12/07/2023, (ud. 12/07/2023, dep. 14/07/2023), n. 30770
RITENUTO IN FATTO
1. Con l'ordinanza sopra indicata il Tribunale di Cosenza, adito ai sensi dell'art. 322 c.p.p., confermava il decreto del 25 gennaio 2013 con il quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Cosenza aveva disposto nei riguardi della Maretron s.r.l. l'applicazione della misura del sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta della somma di Euro 135.668,29 quale profitto del reato di cui all'art. 316-ter c.p., nonché finalizzato alla confisca per equivalente di beni appartenenti a R.E., amministratore unico e legale rappresentante di quella società: R. che è sottoposto ad indagini in relazione al predetto reato per avere, in tempi diversi e mediante la presentazione di fatture e documentazione falsificata (concernente l'acquisto di beni diversi da quelli consentiti), conseguito indebitamente erogazioni statali, consistenti nel rimborso delle somme riconosciute dal Ministero della pubblica istruzione in favore dei docenti, c.d. "bonus carta del docente", mediante apposita piattaforma informatica ministeriale.
2. Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso il R., con atto sottoscritto dai suoi difensori e procuratori speciali, il quale ha dedotto i seguenti motivi.
2.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 81 e 316-ter c.p., artt. 27 e 321 c.p.p., per avere il Tribunale del riesame confermato il provvedimento genetico della misura cautelare reale, benché lo stesso fosse stato emesso da giudice incompetente per territorio in ragione del locus commissi delicti che, nel caso di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, si identifica nel luogo in cui ha sede l'ente che effettua l'erogazione del contributo.
2.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 81 e 316-ter c.p., e art. 321 c.p.p., per avere il Tribunale di Cosenza erroneamente ritenuto la sussistenza del fumus commissi delicti, nonostante le condotte di indebita percezione avevano riguardato somme che, in ciascuna occasione, non avevano superato la soglia di 500 Euro prevista dalla normativa in materia di "bonus carta del docente": condotte, dunque, che, riguardando somme inferiori alla soglia di punibilità, non avevano rilevanza penale.
2.3. Violazione di legge, in relazione agli artt. 63 e 321 c.p.p., per avere il Tribunale valorizzato a fini di prova a carico dichiarazioni inutilizzabili perché rese, senza le garanzie difensive, da soggetti coindagati per il medesimo reato.
3. Con memoria del 23 maggio 2023 - il cui contenuto è stato riproposto nella discussione orale - il Procuratore generale ha domandato di riqualificare il fatto contestato ai sensi dell'art. 640-bis c.p., in quanto la disciplina della liquidazione delle fatture emesse dall'esercente che beneficia del "bonus carta del docente" richiede un previo riscontro del suo contenuto da parte della pubblica amministrazione che opera la liquidazione, che viene così tratta in inganno da una condotta decettiva del privato; ha chiesto, in ogni caso, l'annullamento con rinvio della ordinanza impugnata per la fondatezza del terzo motivo del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Ritiene la Corte che il ricorso vada accolto, per le ragioni e con gli effetti di seguito precisati.
2. In via logicamente preliminare va esaminata la questione posta dal Procuratore generale in ordine alla qualificazione giuridica dei fatti oggetto dell'imputazione provvisoria, per i quali sono in corso di svolgimento le indagini preliminari.
Questa Corte di cassazione ha avuto modo di chiarire quali sono gli elementi che permettono di distinguere l'ambito di applicazione delle norme incriminatrici dettate rispettivamente dagli artt. 316-ter e 640-bis c.p., puntualizzando che il reato di indebita percezione di pubbliche erogazioni si differenzia da quello di truffa aggravata, finalizzata al conseguimento delle stesse, per la mancata inclusione, tra gli elementi costitutivi, della induzione in errore dell'ente erogatore, il quale si limita a prendere atto dell'esistenza dei requisiti autocertificati dal richiedente, senza svolgere una autonoma attività di accertamento, la quale è riservata ad una fase meramente eventuale e successiva. In dettaglio, si è affermato che "la costruzione del delitto di cui all'art. 316-ter c.p. come un'ipotesi speciale di truffa finirebbe per vanificare l'intento del legislatore che, anche in adempimento di obblighi comunitari, aveva perseguito l'obiettivo di espandere ed aggravare la responsabilità per le condotte decettive consumate ai danni dello Stato o dell'Unione Europea; mentre proprio tali condotte risulterebbero invece punite meno severamente a norma dell'art. 316-ter c.p., comma 1, o addirittura sottratte alla sanzione penale a norma del comma 2 nei casi di minore gravità. Ora non v'e' dubbio che il legislatore del 2000, quando ha inserito nell'art. 316-ter c.p., ha ritenuto appunto di estendere la punibilità a condotte decettive non incluse nella fattispecie di truffa, esattamente come già il legislatore del 1986, che aveva previsto un'analoga fattispecie criminosa (L. 23 dicembre 1986, n. 898, art. 2)....(Ne consegue che)... l'ambito di applicabilità art. 316-ter c.p. si riduce così a situazioni del tutto marginali, come quelle del mero silenzio antidoveroso o di una condotta che non induca effettivamente in errore l'autore della disposizione patrimoniale. In molti casi, invero, il procedimento di erogazione delle pubbliche sovvenzioni non presuppone l'effettivo accertamento da parte dell'erogatore dei presupposti del singolo contributo. Ma ammette che il riconoscimento e la stessa determinazione del contributo siano fondati, almeno in via provvisoria, sulla mera dichiarazione del soggetto interessato, riservando eventualmente a una fase successiva le opportune verifiche. Sicché in questi casi l'erogazione può non dipendere da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte dell'erogatore, che in realtà si rappresenta correttamente solo l'esistenza della formale dichiarazione del richiedente" (in questo senso Sez. U, n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, Rv. 235962; conf. in seguito, tra le molte, Sez. U, n. 7537 del 16/12/2010, dep. 2011, Pizzuto, Rv. 249104; Sez. F, n. 44878 del 06/08/2019, Aldovisi, Rv. 279036; Sez. 6, n. 51962 del 02/10/2018, Muggianu, Rv. 274510; Sez. 2, n. 40260 del 14/07/2017, Picariello, Rv. 271036).
Applicando tali criteri di interpretazione alla vicenda oggetto del ricorso portato all'odierna attenzione di questa Corte, deve ritenersi che sia stata corretta la scelta tanto del Giudice per le indagini preliminari quanto del Tribunale del riesame di Cosenza di qualificare i fatti di causa ai sensi dell'art. 316-ter c.p..
Il "bonus carta del docente" è stato istituito dalla L. 13 luglio 2015, n. 107, art. 1, comma 121, che prevede che "Al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e di valorizzarne le competenze professionali, è istituita (...) la Carta elettronica per l'aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado. La Carta, dell'importo nominale di Euro 500 annui per ciascun anno scolastico, può essere utilizzata per l'acquisto di libri e di testi, anche in formato digitale, di pubblicazioni e di riviste comunque utili all'aggiornamento professionale, per l'acquisto di hardware e software, per l'iscrizione a corsi per attività di aggiornamento e di qualificazione delle competenze professionali, svolti da enti accreditati presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, a corsi di laurea, di laurea magistrale, specialistica o a ciclo unico, inerenti al profilo professionale, ovvero a corsi post lauream o a master universitari inerenti al profilo professionale, per rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l'ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo, nonché per iniziative coerenti con le attività individuate nell'ambito del piano triennale dell'offerta formativa delle scuole e del Piano nazionale di formazione".
Le successive modalità attuative sono state regolate da disposizioni di fonte secondaria (contenute nel D.P.C.M. 28 novembre 2016, recante la "Disciplina delle modalità di assegnazione e utilizzo della Carta elettronica per l'aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado") che prevedono che ciascun docente, previa registrazione e utilizzazione di una apposita piattaforma informatica, può acquistare il bene o il servizio prescelto di persona oppure on line presso un esercente o un ente di formazione che, aderente all'iniziativa, si sia iscritto in appositi elenchi: il docente "genera", in una o più occasioni, un "buono" in maniera informatica (consistente in un "QRcode", in un codice a barre o in un codice alfanumerico) rilasciatogli dal sistema, e lo consegna all'esercente, come se fosse un "titolo di credito"; l'esercente emette, in seguito, una fattura nei confronti del Ministero dell'istruzione e ottiene così l'erogazione del relativo importo. Le uniche condizioni richieste per l'esercente sono quelle di essersi previamente iscritto in un apposito elenco e di impiegare, per ottenere la successiva erogazione dell'importo pari al credito maturato, il sistema della fatturazione elettronica della pubblica amministrazione, mediante l'utilizzo di una apposita piattaforma informatica del Consap (Concessionaria Servizi Assicurativi Pubblici).
Il Procuratore generale in sede ha sostenuto che, in sede di erogazione dell'importo indicato in fattura, il Consap non si limita ad effettuare un'attività meramente ricognitiva, ma compie un'attività accertativa: ciò perché il citato D.P.C.M. 28 novembre 2016 stabilisce che " In seguito ad emissione di fattura elettronica, la struttura, l'esercente e l'ente di cui all'art. 7 ottiene l'accredito di un importo pari a quello del credito maturato. A tal fine, CONSAP, mediante acquisizione dei dati dall'apposita area disponibile sull'applicazione web dedicata, nonché dalla piattaforma di fatturazione elettronica della pubblica amministrazione, provvede al riscontro delle fatture e alla liquidazione delle stesse" (art. 8, comma 2).
In realtà, l'esame della disciplina delle modalità attuative del sistema della fatturazione elettronica verso la pubblica amministrazione - di cui al D.Lgs. n. 148 del 2018, art. 3, comma 1, (di implementazione della Direttiva (UE) 2014/55/UE), e alle relative "regole tecniche della gestione", aggiornate alla versione 2.3 (contenute nel D.M. 3 aprile 2013, n. 55, e nel collegato Provvedimento del Direttore delle Agenzie delle entrate n. 99370 del 18 aprile 2019) - permette agevolmente di rilevare che l'anzidetto "riscontro" operato dalla Consap è puramente formale ed avviene mediante una verifica di conformità della fattura, quale documento fiscale (stilato come "file XML-Extensible Markup Language", completato con una firma elettronica qualificata ed inviato via pec), ai requisiti indicati dalla normativa in materia di fatture elettroniche nel rispetto degli standard Europei. Tant'e' che la piattaforma informatica utilizzata dall'esercente "rifiuta", eventualmente, in automatico la liquidazione della fattura elettronica, mediante la mera creazione di uno dei codici alfanumerici predisposti (c.d. "nomenclatura" del Sistema di interscambio), ai quali corrispondono altrettanti errori puramente formali nella compilazione di quel documento fiscale.
3. Alla luce delle conclusioni innanzi esposte, va giudicato fondato il primo motivo del ricorso, da esaminarsi in via giuridicamente pregiudiziale e con effetti assorbenti rispetto all'analisi degli altri due motivi.
Costituisce oramai ius receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale il reato di cui all'art. 316-ter c.p. si consuma nel luogo in cui il soggetto pubblico erogante dispone l'accredito dei contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre provvidenze in favore di chi ne abbia indebitamente fatto richiesta, perché con tale atto si verifica la dispersione del denaro pubblico, e non in quello in cui avviene la materiale apprensione degli incentivi; e non anche nel luogo in cui ha sede la società o il soggetto ammesso al contributo (in questo senso, tra le altre, Sez. 6, n. 9060 del 30/11/2022, dep. 2023, GSE s.p.a., Rv. 284336; Sez. 6, n. 2125 del 24/11/2021, dep. 2022, Bonfanti, Rv. 282675-02; Sez. 6, n. 12625 del 19/02/2013, Degennaro, Rv. 254490).
Di tale regula iuris il Tribunale di Cosenza non ha fatto buon governo, nel momento in cui ha affermato che i reati contestati al R. fossero stati commessi nel luogo in cui era avvenuta la vendita di beni ai docenti ed era stata redatta la documentazione propedeutica alla richiesta di erogazione del contributo statuale: liquidazione degli incentivi che, invece, era stata effettuata dal Ministero della istruzione, così radicando la competenza territoriale a Roma.
3. Alla stregua di tali notazioni l'ordinanza impugnata e il provvedimento genetico del sequestro preventivo emesso in data 25 gennaio 2023 vanno annullati senza rinvio.
In mancanza di elementi evidenti circa l'assenza dei presupposti applicativi della misura, la pronuncia di incompetenza da parte di questa Corte di cassazione comporta, al pari della declaratoria di incompetenza del giudice che aveva disposto la misura, la sanzione dell'inefficacia differita del sequestro preventivo ai sensi dell'art. 27 c.p.p. (in questo senso Sez. U, n. 1 del 24/01/1996, Fazio, Rv. 204164; e, con specifico riferimento alle misure cautelari reali, Sez. 3, n. 27701 del 01/04/2014, Santacroce, Rv. 260111; Sez. 6, n. 2 12625 del 19/02/2013, cit., non mass. sul punto).
Gli atti conseguentemente vanno trasmessi al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma che, previa eventuale richiesta del Pubblico Ministero presso quel Tribunale, valuterà se disporre nuovamente l'applicazione della misura cautelare reale de qua entro il termine previsto dall'art. 27 c.p.p..
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata nonché il decreto del G.i.p. del Tribunale di Cosenza del 25/01/2023, e ordina la trasmissione degli atti al Tribunale di Roma, competente per territorio, per l'ulteriore corso, anche ai sensi dell'art. 27 c.p.p..
Così deciso in Roma, il 12 luglio 2023.
Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2023.