La diffamazione è un reato di evento, che si consuma nel momento e nel luogo in cui soggetti terzi rispetto all'agente ed alla persona offesa percepiscono l'espressione offensiva. Per individuare tale luogo qualora il reato venga commesso per via telematica attraverso la trasmissione a plurimi destinatari di un messaggio di posta elettronica è necessario sottolineare come l'e-mail sia una comunicazione diretta a destinatario predefinito ed esclusivo (anche quando plurimi siano i soggetti cui viene indirizzata), al quale viene recapitata informaticamente presso il server di adozione, collegandosi al quale attraverso un proprio dispositivo e utilizzando delle chiavi di accesso personali, questi può prenderne cognizione.
In tema di reato di diffamazione, nell'ipotesi dell'invio di messaggi di posta elettronica, il requisito della comunicazione con più persone non può presumersi sulla base dell'inserimento del contenuto offensivo nella rete (e cioè, nel caso di specie, della loro spedizione), ma è necessaria quantomeno la prova dell'effettivo recapito degli stessi, sia esso la conseguenza di un'operazione automatica impostata dal destinatario ovvero di un accesso dedicato al server. In altri termini è sufficiente la prova che il messaggio sia stato "scaricato" (e cioè trasferito sul dispositivo dell'utente dell'indirizzo), mentre l'effettiva lettura può presumersi, salvo prova contraria.
Cassazione penale sez. V, sentenza 27/06/2023, (ud. 27/06/2023, dep. 18/09/2023), n.38144
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata il Tribunale di Palermo ha confermato la condanna, anche agli effetti civili, di Z.D. per il reato di diffamazione ai danni di G.A., commesso inviando a plurimi destinatari un messaggio di posta elettronica ritenuto offensivo dell'onore e della reputazione di quest'ultimo.
2. Avverso la sentenza ricorre l'imputato articolando due motivi. Con il primo deduce violazione di legge, reiterando l'eccezione di incompetenza territoriale dell'autorità giudiziaria palermitana già sollevata e rigettata in entrambi i gradi del giudizio di merito. In proposito evidenzia come non essendo possibile determinare l'effettivo luogo di consumazione del reato, posto che il messaggio diffamatorio è stato inviato a 450 destinatari, la competenza territoriale non poteva essere radicata in riferimento al luogo di ricezione del medesimo da parte di due di essi, come ritenuto dai giudici del merito, bensì doveva essere determinata alternativamente ai sensi del primo o del comma 2 dell'art. 9 c.p.p. ovvero, rispettivamente, nel luogo nel quale è avvenuta la trasmissione della mail o in quello del domicilio dell'imputato. Con il secondo motivo il ricorrente denunzia invece vizi di motivazione in merito al denegato riconoscimento del legittimo esercizio del diritto di critica nei confronti della persona offesa, essendosi limitato il Tribunale a riprodurre l'apparato argomentativo della sentenza di primo grado, affermando apoditticamente il carattere offensivo delle espressioni utilizzate nello scritto ritenuto diffamatorio.
3. Il difensore della parte civile ha depositato memoria con la quale ha chiesto venga dichiarata l'inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è nel suo complesso infondato e deve essere rigettato.
2. Il primo motivo è infondato. Infatti, ai fini della determinazione del giudice territorialmente competente a conoscere del reato, il ricorso ai criteri suppletivi dettati dall'art. 9 c.p.p. assume carattere residuale per il caso che non sia possibile accertare il luogo della consumazione del reato. In tal senso occorre allora premettere che quello di diffamazione è un reato di evento, che si consuma nel momento e nel luogo in cui soggetti terzi rispetto all'agente ed alla persona offesa percepiscono l'espressione offensiva (ex multis Sez. 5, n. 25875 del 21/06/2006, Cicino ed altro, Rv. 234528). Per individuare tale luogo qualora il reato venga commesso per via telematica attraverso la trasmissione a plurimi destinatari di un messaggio di posta elettronica è necessario sottolineare come l'e-mail sia una comunicazione diretta a destinatario predefinito ed esclusivo (anche quando plurimi siano i soggetti cui viene indirizzata), al quale viene recapitata informaticamente presso il server di adozione, collegandosi al quale attraverso un proprio dispositivo e utilizzando delle chiavi di accesso personali, questi può prenderne cognizione. Diversamente, dunque, a quanto condivisibilmente affermato da questa Corte (Sez. 5, n. 16262 del 04/04/2008, Tardivo, Rv. 239832; Sez. 5, n. 23624 del 27/04/2012, P.C. in proc. Ayroldi, Rv. 252964) con riguardo a scritti, immagini o file vocali caricati su siti web o diffusi sui social media, nell'ipotesi dell'invio di messaggi di posta elettronica, il requisito della comunicazione con più persone non può presumersi sulla base dell'inserimento del contenuto offensivo nella rete (e cioè, nel caso di specie, della loro spedizione), ma è necessaria quantomeno la prova dell'effettivo recapito degli stessi, sia esso la conseguenza di un'operazione automatica impostata dal destinatario ovvero di un accesso dedicato al server. In altri termini è sufficiente la prova che il messaggio sia stato "scaricato" (e cioè trasferito sul dispositivo dell'utente dell'indirizzo), mentre l'effettiva lettura può presumersi, salvo prova contraria (Sez. 5, n. 55386 del 22/10/2018, Assirelli, Rv. 274608).
Nel caso di specie tale prova è stata raggiunta quantomeno con riguardo a due dei destinatari del messaggio, condizione sufficiente a considerare il luogo di consumazione del reato quello in cui la ricezione del messaggio è avvenuta, correttamente identificato nella città di Palermo per entrambi i destinatari sulla base di quanto dichiarato dagli stessi nel processo e non contestato dal ricorrente.
3. Il secondo motivo è inammissibile. Premesso che il provvedimento impugnato presenta motivazione tutt'altro che apparente in merito all'affermazione della responsabilità dell'imputato ed all'esclusione dei presupposti per il riconoscimento dell'esimente invocata (motivazione con la quale in realtà il ricorso nemmeno si confronta compiutamente, atteso che il Tribunale non ha ritenuto soltanto il difetto di continenza di alcune espressioni, ma ha altresì escluso la veridicità di alcuni dei fatti esposti nella mail incriminata), sono infatti inammissibili tutte le censure avanzate dal ricorrente ai sensi della lett. e) dell'art. 606 c.p.p., atteso che, ai sensi del comma 2-bis dellq stesso articolo e dell'art. 39-bis del D.Lgs. n. 274/2000 (così come introdotti dal D.Lgs. n. 11/2018, entrato in vigore il 6 marzo 2018), contro le sentenze di appello pronunziate per reati di competenza del Giudice di Pace non può essere proposto ricorso per cassazione per motivi diversi da quelli previsti dalle lett. a), b) e c) del citato art. 606, rimanendo dunque inibita la prospettazione di meri vizi della motivazione (ex multis Sez. 5, n. 22854 del 29/04/2019, De Bilio, Rv. 275557).
4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 3250,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 3250,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 27 giugno 2023.
Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2023