Il furto lieve per bisogno è configurabile quando l'oggetto sottratto ha un valore minore e viene effettivamente preso per soddisfare un bisogno urgente e grave.
Per far degradare l'imputazione da furto comune a quella di furto lieve, tuttavia, non basta semplicemente dimostrare che il colpevole fosse in uno stato di bisogno o miseria, ma è necessario dimostrare una situazione di grave ed indilazionabile bisogno, e che l'unico modo per soddisfarlo fosse sottraendo l'oggetto in questione.
È quanto ribadito dalla Sezione Quinta penale della Cassazione con la sentenza n. 38888 depositata il 25 settembre 2023.
Il caso di specie riguardava una donna accusata di tentativo di furto in stato di bisogno di generi alimentari del valore di 59,42 Euro in un negozio, e per questo condannata a una pena pecuniaria. L'avvocato della donna aveva fatto ricorso in Cassazione, sostenendo che avrebbe dovuto essere riconosciuta l'esimente dello stato di necessità, dato che la donna era in "pericolo attuale di un danno grave alla persona", essendo malnutrita, estremamente debole e gravemente malata.
Tuttavia, la Suprema Corte, facendo riferimento alla costante giurisprudenza, ha respinto il ricorso.
I giudici di legittimità hanno precisato che il furto lieve per bisogno dell'art. 626, comma 1, n. 2, c.p., pur avendo elementi in comune con la scriminante dello stato di necessità dell'art. 54 c.p., è ben distinto da quest'ultimo. Mentre l'art. 54 richiede che il pericolo non sia stato volontariamente causato dal soggetto, l'art. 626, n. 4, non considera questa condizione e si focalizza solo sull'urgenza del bisogno.
In conclusione, la Corte ha convenuto con il percorso argomentativo delle sentenze di merito, escludendo la presenza di una vera costrizione dovuta a un pericolo immediato e non volontariamente causato. Per riconosciendo che la donna era in uno stato di indigenza e aveva problemi di salute che rendevano difficile soddisfare i bisogni primari, è stato ritenuto che l'azione furtiva fosse evitabile.
Cassazione penale, sez. IV, sentenza 13/06/2023, (dep. 25/09/2023), n. 38888
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Milano il 13 aprile 2022 ha integralmente confermato la sentenza, appellata dall'imputata, con cui il Tribunale di Milano il 26 novembre 2019, all'esito del giudizio abbreviato, ha riconosciuto A.V. responsabile del reato di tentativo di furto in stato di bisogno (art. 626, comma 1, n. 2, c.p.) di generi alimentari di tenue valore (59,42 Euro), fatto commesso il (Omissis), con le aggravanti di avere agito su cose esposte alla pubblica fede e della recidiva, aggravanti stimate equivalenti alle concesse attenuanti generiche, e, in conseguenza, operata la diminuzione per il rito, la ha condannata alla pena pecuniaria stimata di giustizia.
2. Ricorre per la cassazione della sentenza l'imputata, tramite Difensore di fiducia, affidandosi ad un solo motivo con cui denunzia promiscuamente violazione di legge (art. 54 c.p.) e vizio di motivazione, che sarebbe manifestamente illogica.
Ritiene la ricorrente illegittimo ed erroneo il mancato riconoscimento della esimente dello stato di necessità invocata dalla Difesa sia in primo grado che nell'atto di appello, esimente peraltro richiesta anche dal P.M. del Tribunale. Infatti, sussisterebbe "il pericolo attuale di un danno grave alla persona", pericolo non altrimenti evitabile, come si desume dalle stesse parole impiegate dai Carabinieri nel rapporto (utilizzabile atteso il rito prescelto) e riferite dai Giudici di merito: si tratta di persona malnutrita, estremamente debole, in condizioni fisiche apparse già agli operanti "compatibili con quelle di una donna malata" ed inoltre gravemente malata, sicché la "moderna organizzazione sociale" che si prende cura dei più deboli, richiamata dai Giudici di appello (alle pp. 4-5), risulta per facta concludentia non essere stata in grado di arginare la malnutrizione e la estrema debolezza di una donna, appunto, gravemente malata, come dimostrato documentalmente dalla Difesa nel dibattimento di primo grado e ribadito nell'atto di appello (p. 1, nota num. 1).
3. Il P.G. della S.C. nella requisitoria scritta del 15 maggio 2023 ha chiesto annullarsi con rinvio la sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso è infondato e deve essere rigettato, per le seguenti ragioni.
2. Deve preliminarmente rammentarsi che, secondo consolidati principi anche risalenti nel tempo e che appare opportuno qui ribadire, "La situazione preveduta dall'art. 626, comma 1, n. 2, c.p., pur avendo alcuni elementi in comune con quella contemplata nell'art. 54, appare tuttavia da questa ben distinta: mentre infatti l'art. 54 richiede che il pericolo non sia stato volontariamente causato dal soggetto, l'art. 626, n. 4, prescinde da questa condizione e richiede soltanto l'urgenza del bisogno, la quale può profilarsi anche in mancanza di un pericolo attuale come quello che caratterizza lo stato di necessità" (Sez. 2, n. 239 del 16/02/1966, Luser, Rv. 101554) e "Il furto lieve per bisogno è configurabile nei casi in cui la cosa sottratta sia di tenue valore e sia effettivamente destinata a soddisfare un grave ed urgente bisogno; ne consegue che, per far degradare l'imputazione da furto comune a furto lieve, non è sufficiente la sussistenza di un generico stato di bisogno o di miseria del colpevole, occorrendo, invece, una situazione di grave ed indilazionabile bisogno alla quale non possa provvedersi se non sottraendo la cosa (Fattispecie in cui la Corte ha escluso che il furto di 61 confezioni di lamette e di 2 confezioni di assorbenti, per un valore totale di 886 Euro, potesse configurare l'ipotesi attenuata)" (Sez. 5, n. 32937 del 19/05/2014, Stanciu, Rv. 261658).
Tenuta presente tali puntualizzazioni, occorre convenire sulla correttezza del percorso argomentativo, non illogico né incongruo, che si rinviene nelle sentenze di merito, ove si è esclusa la sussistenza di una situazione di vera e propria costrizione, dovuta al pericolo attuale di un danno grave alla persona, non volontariamente causato e non altrimenti evitabile (ciò che avrebbe scriminato l'azione: art. 54 c.p.), mentre si è ritenuto sussistente un generale stato di indigenza e condizioni di salute della donna tali da rendere difficile provvedere agli elementari bisogni di vita ma, comunque, stimando evitabile l'azione furtiva (qualificando conseguentemente l'agire ex art. 626, comma 1, num. 2,c.p.).
3.AI rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente, per legge (art. 616 c.p.p.), al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 13 giugno 2023.
Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2023.