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Stalking: disturbo, disagio e fastidio non bastano per integrare il reato

Corte di Cassazione, sez. I Penale, Sentenza n.39675 del 05/05/2023 (dep. 29/09/2023)

Le condotte che cagionano disturbo, disagio, fastidio non sono idonee ad integrare il reato di stalking. Occorre piuttosto quello "specifico stato d'ansia grave", anche sotto il profilo della idoneità a compromettere la libertà psichica della persona offesa, previsto dalla norma incriminatrice.

Lo ha precisato dalla Sezione Prima della Cassazione penale con la sentenza n. 39675 depositata il 29 settembre 2023, accogliendo il ricorso di una donna che era stata condannata per il delitto di atti persecutori commesso ai danni di una coppia, suoi vicini di casa, abitanti nello stesso stabile condominiale.

La Suprema Corte ricorda che:

  • La fattispecie di cui all'art. 612-bis c.p è caratterizzata da una serie di condotte le quali rinvengono la ratio dell'antigiuridicità penale nella reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice la quale prevede, anche ai fini della configurazione degli atti persecutori, la consumazione anche di uno solo degli eventi alternativamente dalla stessa contemplati consistenti nell'alterazione delle proprie abitudini di vita o nel perdurante stato di ansia o di paura o, infine, nel fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto;

  • Il delitto di stalking si configura solo qualora le condotte molestatrici siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia ovvero l'alterazione delle proprie abitudini di vita, mentre sussiste il reato di cui all'art. 660 c.p. ove le molestie si limitino ad infastidire la vittima del reato;

  • La prova dell'evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata.

Atti persecutori, molestia o disturbo alle persone, criterio distintivo

Il criterio distintivo tra il reato di atti persecutori e quello di cui all'art. 660 c.p. consiste proprio nel diverso atteggiarsi delle conseguenze della condotta che, in entrambi i casi, può estrinsecarsi in varie forme di molestie. Sicché, si configura il delitto di cui all'art. 612-bis c.p. solo qualora le condotte molestatrici siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia ovvero l'alterazione delle proprie abitudini di vita, mentre sussiste il reato di cui all'art. 660 c.p. ove le molestie si limitino ad infastidire la vittima del reato.

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Cassazione penale, sez. I, sentenza 05/05/2023 (dep. 29/09/2023) n. 39675

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Roma, decidendo in sede di rinvio disposto da questa Corte, con sentenza n. 32743 - 21, del 9 luglio 2021, ha riformato la condanna, pronunciata dal Tribunale di Roma in data 30 maggio 2018, nei confronti di B.G., riconoscendo all'imputata le circostanze attenuanti generiche e rideterminando la pena irrogata in quella di mesi otto di reclusione, con il beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale, rigettando l'appello proposto dalle parti civili.

1.1. Il primo giudice aveva ritenuto l'imputata colpevole del delitto di atti persecutori commessi ai danni di M.S. ed R.E., suoi vicini di casa, abitanti nello stabile sito in (Omissis), con condanna alla pena di un anno di reclusione e al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite, liquidati definitivamente in Euro diecimila ciascuna, oltre le spese.

La sentenza veniva ribaltata in secondo grado, con la pronuncia resa in data 17 dicembre 2019 dalla Corte di appello di Roma, che ha assolto l'imputata con la formula perché il fatto non sussiste, pronuncia oggetto di ricorso per cassazione da parte della Procura generale e delle parti civili.

1.2. La sentenza assolutoria veniva annullata con rinvio da questa Corte con l'indicata sentenza rescindente, in accoglimento del ricorso della parte pubblica (i ricorsi delle parti civili venivano, invece, dichiarati inammissibili).

La pronuncia, richiamato il principio di cui alla sentenza delle Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430, secondo cui il giudice d'appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado deve offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata, anche riassumendo, se necessario, la prova dichiarativa decisiva, ha riscontrato il mancato assolvimento del dovere argomentativo della pronuncia assolutoria di appello nel senso tracciato da questa Corte di legittimità, a fronte della motivazione della sentenza del primo Giudice.

In particolare, la pronuncia rescindente ha riscontrato che la Corte di merito non si era soffermata sulla griglia argomentativa adoperata dal Giudice di primo grado, il quale aveva fondato la condanna sul contributo delle persone offese e sul riscontro, proveniente da alcuni dei testi escussi, non chiarendo come e perché detta piattaforma probatoria fosse stata ritenuta priva di affidabilità.

All'uopo, poi, è stato escluso che potesse rappresentare adeguato sforzo motivazionale il richiamo a provvedimenti emessi da altre autorità giudiziarie, non avendo la Corte territoriale chiarito se e come i fatti sottostanti a quegli addebiti fossero stati, anche sotto il profilo temporale, collegati a quelli sub iudice.

La sentenza rescindente, poi, evidenzia come la sentenza annullata con rinvio abbia operato una valutazione parcellizzata di singoli fatti emersi, svolta senza affrontare tutti gli addebiti e senza tenere conto della portata invasiva della reiterazione dei singoli comportamenti, ma soffermandosi sulla pretesa irrilevanza penale di singole condotte, sottolineando il principio di diritto secondo il quale, per ritenere integrata la condotta di staiking, non è necessario che una singola condotta che compone la sequenza persecutoria configuri, di per sé, il reato di minaccia o molestia nel senso previsto dal codice penale, ma è sufficiente che il comportamento dell'agente sia connotato da una portata invasiva nella sfera individuale della vittima che, in conseguenza delle intrusioni dell'autore del fatto, patisca uno degli eventi dlella fattispecie.

Infine, la sentenza rescindente ha evidenziato, quanto al profilo dell'evento del reato, che la pronuncia assolutoria aveva escluso il perfezionamento del delitto di atti persecutori sulla base della circostanza che le vittime non avevano lasciato l'appartamento di (Omissis), senza tuttavia confrontarsi con quanto osservato dal Giudice di primo grado, in relazione ai restanti profili attinenti al mutamento delle abitudini di vita delle persone offese, anche in costanza della loro permanenza nel condominio teatro di fatti (cfr. pag. 5 della sentenza di primo grado).

1.3. La sentenza impugnata pronunciata all'esito del giudizio di rinvio ha confermato la condanna di primo grado, rilevando l'intrinseca logicità, spontaneità e coerenza delle dichiarazioni della M., ritenute non inficiate da elementi di segno divergente ma, anzi, confermate da plurimi elementi di riscontro, anche di natura documentale.

Tali sono, secondo il giudice del rinvio, la deposizione dell'altra parte civile, R.E., nonché quella dei testi, tra i quali L.A., autista della Procura della Repubblica presso il Tribunale di (Omissis), adibito al trasporto del R. fino al 2016.

Del pari, viene indicato come elemento di riscontro il dichiarato dei testi N.M., autista addetto al medesimo ufficio di Procura, F.G. e B.C., tutti appartenenti all'ufficio scorte della Questura di (Omissis), C.P., collega della M. e P.A., amministratrice del condominio teatro dei fatti.

A pag 10 e ss. sono riportate le annotazioni di servizio utilizzate quali ulteriori elementi di conferma della deposizione della M. e vengono, poi, screditate le deposizioni dei testi a discarico, I. e D.D., nonché viene rilevato che l'imputata non aveva fornito spiegazione alternativa della propria condotta o, comunque, elementi positivamente valutabili, al fine di desumere il carattere calunnioso delle accuse rivoltele dai suoi vicini di casa.

Si rimarca che i comportamenti descritti, seppure isolatamente non integranti reato, sono stati, nel loro insieme, gravemente invasivi della sfera psichica delle vittime, per la loro reiterazione ossessiva e per la loro idoneità ad incidere, negativamente, sulla libertà morale dei destinatari, determinando un turbamento psichico dal punto di vista del disagio e dello stato di ansia.

Coerente con tale contesto viene ritenuta la decisione finale dei coniugi M.- R. di trasferirsi in altra abitazione, seppure ad essa la Corte territoriale riconnette anche una serie di causali diverse.

La Corte d'appello ha, quindi, confermato l'affermazione di responsabilità penale dell'imputata pronunciata dal Giudice di primo grado, escludendo l'intervenuta prescrizione del reato, ritenendo le condotte offensive protratte fino al 5 luglio 2016, riconoscendo, altresì, le circostanze attenuanti generiche, considerati i comportamenti delle stesse persone offese, i rapporti di vicinato caratterizzati da elevata conflittualità tra le parti, come si è potuto evincere dalle dichiarazioni dei testi P. e P. e dagli esiti di procedimenti civili reciproci, relativi a vicende condominiali che hanno visto anche soccombenti le odierne persone offese.

2.Ricorre tempestivamente, avverso la descritta sentenza, l'imputata, per il tramite del difensore, avv. F. Siggia, denunciando tre vizi, di seguito riassunti nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p..

2.1.Con il primo motivo si denuncia l'errata valutazione della prova dichiarativa resa dalla parte civile costituita, in violazione dell'art. 192 c.p.p., con riferimento anche alle dichiarazioni di altri testi.

Si rimarca che la persona offesa ha un concreto interesse all'affermazione di responsabilità dell'imputata, né riscontro alle sue dichiarazioni può essere tratto dalle affermazioni del coniuge della M., del pari costituito parte civile e, dunque, portatore di identico interesse alla definizione del giudizio in proprio favore.

La deposizione della parte civile R., all'epoca magistrato in servizio alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di (Omissis), peraltro, si è conclusa con la mera conferma delle ragioni espresse nella querela sporta unitamente alla M., nonché con la produzione documentale attestante l'adozione nei suoi confronti di programma di sicurezza.

A pag. 5 e ss. del ricorso si esaminano, poi, le deposizioni dei testi addetti al servizio di protezione di R., nell'anno 2009.

Si riportano stralci di quelle deposizioni e si richiama il verbale di udienza del 20 ottobre 2017, sottolineando, in definitiva, la caren2a, nelle indicate dichiarazioni, di un riferimento preciso all'epoca in cui si erano verificati gli episodi, sulla frequenza della loro reiterazione, lasciando il dubbio che gli atti contestati dall'imputata non fossero in alcun modo indirizzati nei confronti del R. o del guidatore e, comunque, posti in essere non alla presenza della M. e non accompagnati da alcuna espressione irriguardosa diretta al magistrato.

Si sottolinea, poi, che le singole condotte della B. risultano del tutto prive di offensività e si rimarca che, evidentemente, per tale ragione non vi sono state annotazioni degli agenti di servizio, i quali, quindi, non hanno ritenuto di assumere iniziative nei confronti della ricorrente.

Si rimarca la profonda discordanza fra le dichiarazioni dei testi B. e F. rispetto a quelle di L. e N.

Si sottolinea che sarebbero inidonee a fornire riscontro le dichiarazioni di C. e V., in quanto testi de relato che hanno riferito su quanto loro raccontato dalla stessa persona offesa M., in quanto mai presenti ai presunti diverbi fra le vicine di casa.

A parere della difesa, poi, la parte civile non avrebbe fornito la prova sull'estensione degli episodi di molestie oltre la data citata nella sentenza emessa in altro procedimento dal Giudice monocratico del Tribunale di Roma (cioè dopo l'anno 2015).

Nemmeno la persona offesa M. avrebbe collocato i fatti con precisione cronologica in epoca successiva a quella accertata nell'altro procedimento, definito con sentenza irrevocabile davanti al giudice monocratico del Tribunale di Roma.

Si contesta, inoltre, la sussistenza dell'evento del reato in questo caso individuato nello stato d'ansia che le presunte condotte, poste a carico dell'imputata, avrebbero generato alla M..

Si rimarca la carenza di motivazione in ordine alla prospettata esclusione dello stato di ansia, come dimostrato dalle veementi reazioni ed iniziative intraprese, in diverse sedi, dalla stessa persona offesa.

Viene criticata anche la conclusione della Corte di appello relativa alla sussistenza del cambio di abitudini di vita e si sottolinea che la M., magistrato in servizio al Tribunale di Avellino, dove risiedono i suoi parenti, ha continuato a lavorare per tutto il corso del processo, presso detto ufficio giudiziario, talvolta ospitata presso l'abitazione parentale e la figlia minore ha frequentato le scuole di (Omissis).

Il trasferimento dal condominio di (Omissis) in altra abitazione sempre a (Omissis), avrebbe, per la ricorrente, motivazioni completamente diverse rispetto a quelle che la Corte di appello pone a base del presunto cambio di abitudini di vita. A sostegno di tale diversa impostazione viene indicata la dichiarazione della teste C..

Si evidenziano, poi, ragioni per reputare inverosimile che R. abbia manifestato stato di ansia per il comportamento della B., rilevando che questi ha mostrato di avere energie sufficienti, tanto da tenere determinati comportamenti in sede condominiale (indicati, ad esempio, come diretti a rifiutare il pagamento delle bollette condominiali).

Si rimarca che la sentenza impugnata avrebbe negato validità senza alcuna motivazione alle testimonianze a discarico, comunque con ragionamento illogico

e si trascura il contenuto della sentenza del Giudice monocratico del Tribunale di Roma, solo perché collocata in epoca anteriore ai fatti per i quali si procede, addirittura finendo per affermare che le condotte persecutorie sarebbero state attuate durante il processo, diversamente da quanto acclarato in sede di indagini per le quali è stata disposta l'archiviazione da parte del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli.

1.2.Con il secondo motivo si denuncia violazione dell'art. 157 c.p..

La difesa assume che, a tutto voler concedere, anche alla stregua delle dichiarazioni di L. e N. - comunque contestate quanto alla consistenza

e al contenuto - che hanno indicato nell'anno 2016 la data di accadimento dei fatti, si tratta di accertamento insufficiente ai fini di individuare la cessazione della condotta illecita.

Le note degli addetti al servizio di R. si collocano negli anni 2008, 2009

e 2010, periodo in cui era vigente anche il programma di protezione attuato per il magistrato.

I fatti oggetto della presente contestazione, per la difesa, coinciderebbero con quelli oggetto di giudicato da parte del Giudice monocratico del Tribunale di Roma, che si collocano in epoca antecedente a quella indicata dai denuncianti nel presente procedimento.

I giudici della sentenza impugnata escludono la sovrapponibilità delle condotte soltanto dal punto di vista cronologico, ma facendo riferimento all'atto di querela sporta dalla stessa denunciante M..

La Corte territoriale, poi, esclude l'intervenuta prescrizione valorizzando anche fatti successivi, accertati nel processo, a fronte della contestazione aperta, dal 2009, con condotta perdurante.

Ciò non tiene conto della disposta archiviazione da parte del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, su conforme richiesta del Pubblico ministero, indicata dalla ricorrente come tentativo di R. di "attualizzare" la contestazione.

1.3.Con il terzo motivo si denuncia violazione dell'art. 131-bis c.p. in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) c.p.p..

Si sottolinea la modestia e reciprocità dei fatti contestati.

2. Il Sostituto Procuratore generale di questa Corte, A. Picardi, ha fatto pervenire memoria con la quale ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

La difesa dell'imputata ha fatto pervenire tempestiva richiesta di trattazione orale accolta.

Sicché all'odierna udienza, le parti presenti hanno concluso nel senso illustrato in epigrafe, all'esito della discussione orale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Il ricorso è fondato nei limiti di seguito indicati.

1.1.Il primo motivo è parzialmente fondato.

La censura non è ammissibile nella parte in cui contesta il giudizio, completo e immune da illogicità manifesta, di attendibillità svolto dal Giudice del rinvio in ordine alle dichiarazioni rese dalle parti civili e contesta il contenuto delle deposizioni anche di testimoni, trattandosi di censure in fatto, svolte anche riportando meri stralci delle citate dichiarazioni, con argomenti che implicherebbero la rivalutazione della prova dichiarativa, operazione interdetta alla Corte di legittimità, tanto ancor più considerando che si tratta, alla stregua della pronuncia resa in sede di rinvio, di cd. doppia conforme affermazione di responsabilità.

Si osserva, infatti, conformemente al pacifico e costante orientamento ermeneutico formatosi in seno a questa Corte regolatrice che, in tema di valutazione della prova dichiarativa, l'attendibilità della persona offesa dal reato è una questione di fatto che ha la sua chiave di lettura nell'insieme di una motivazione logica, rispetto alla quale è inibita una rivalutazione in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D'Ippedico, Rv. 271623; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575; Sez. 7, n. 12406 del 19/02/2015, Rv. 262948; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362).

Tra le doglianze proponibili quali mezzi di ricorso, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., non rientrano, dunque, quelle relative alla valutazione delle prove, specie se implicanti la soluzione di contrasti testimoniali, la scelta tra divergenti versioni ed interpretazioni, l'indagine sull'attendibilità dei testimoni e parti lese, salvo il controllo estrinseco della congruità e logicità della motivazione, senza che possa essere svolto in sede di legittimità, un riesame delle fonti di prova raccolte nel giudizio di merito e già vagliate in quel contesto (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).

Va, poi, rilevato che, anche alla stregua del principio di diritto fissato dalla sentenza rescindente, l'intrinseca assenza di offensività dei singoli comportamenti, dedotta dalla difesa con il ricorso, è circostanza irrilevante ai fini della sussistenza della condotta materiale del reato contestato.

Come ribadito nella pronuncia di annullamento con rinvio, ai fini della sussistenza della condotta di atti persecutori, non è necessario che ogni singolo comportamento che compone la sequenza persecutoria configuri, di per sé, il reato di minaccia o molestia nel senso previsto dal codice penale, ma è sufficiente che il comportamento dell'agente sia connotato da una portata invasiva nella sfera individuale della vittima che, in conseguenza delle intrusioni dell'autore del fatto, patisca uno degli eventi della fattispecie.

Il delitto previsto dell'art. 612-bis c.p., che ha natura di reato abituale e di danno e', invero, integrato dalla necessaria reiterazione dei comportamenti descritti dalla norma incriminatrice e dal loro effettivo inserimento nella sequenza causale che porta alla determinazione dell'evento, che deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, anche se può manifestarsi solo a seguito della consumazione dell'ennesimo atto persecutorio. Sicché ciò che rileva non è la datazione o il contenuto penalmente rilevante in sé dei singoli atti, quanto la loro identificabilità quali singoli segmenti di una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione di uno dei tre eventi che la norma individua, ai fini della sussistenza del reato di cui all'art. 612-bis c.p..

1.2.Ciò posto, si rileva che va condivisa la critica della ricorrente quanto al denunciato vizio relativo alla ritenuta sussistenza dell'evento di danno del reato di atti persecutori che la Corte territoriale ha individuato, in questo caso, nello stato d'ansia che le condotte ripetute dell'imputata avrebbero generato alla M. e al coniuge, nonché nel cambio di abitudini di vita del nucleo familiare delle persone offese, sulla base, però, di una motivazione insufficiente, contraddittoria e, a tratti, soltanto apparente.

Sul punto, il Collegio osserva che l'evento del reato di cui all'art. 612-bis c.p. deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, anche se può manifestarsi solo a seguito della consumazione dell'ennesimo atto, in quanto dalla reiterazione delle condotte deriva, nella vittima, un progressivo accumulo di disagio che, solo alla fine della sequenza, degenera in uno stato di prostrazione psicologica, in grado di manifestarsi in una delle forme previste dalla norma incriminatrice (ex multis, Sez. 5, n. 51718 del 05/11/2014, T., Rv. 262636).

La fattispecie di cui all'art. 612-bis c.p., infatti, è caratterizzata da una serie di condotte (anche solo in numero di due, Sez. 5, n. 33842 del 3/04/2018, P., Rv. 273622; Sez. 5, n. 46331 del 3/06/2013, D.V., Rv.257560; Sez. 5, n. 6417 del 21/01/2010, Rv. 245881) le quali rinvengono la rafie dell'antigiuridicità penale nella reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice la quale prevede, anche ai fini della configurazione degli atti persecutori, la consumazione anche di uno solo degli eventi alternativamente dalla stessa contemplati (Sez. 5, n. 38306 del 13/06/2013, C, Rv. 267954, Sez. 5, n. 43085 del 24/09/2015, Rv. 265231) consistenti nell'alterazione delle proprie abitudini di vita o nel perdurante stato di ansia o di paura o, infine, nel fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto.

Del resto, è noto che il criterio distintivo tra il reato di atti persecutori e quello di cui all'art. 660 c.p. consiste proprio nel diverso atteggiarsi delle conseguenze della condotta che, in entrambi i casi, può estrinsecarsi in varie forme di molestie. Sicché, si configura il delitto di cui all'art. 612-bis c.p. solo qualora le condotte molestatrici siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia ovvero l'alterazione delle proprie abitudini di vita, mentre sussiste il reato di cui all'art. 660 c.p. ove le molestie si limitino ad infastidire la vittima del reato (Sez. 6, n. 23375 del 10/07/2020, M., Rv. 279601).

Infine, va rilevato che, in tema di atti persecutori, la prova dell'evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ulitima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (Sez. 5, n. 17795 del 02/03/2017, S., Rv. 269621).

Orbene, alla stregua di detti principi, cui il Collegio intende dare continuità, deve rilevarsi la carenza di motivazione in ordine alla sussistenza dell'evento quanto all'individuato grave stato di ansia cagionato alle vittime della condotta reiterata accertata, avversato dalla difesa anche sulla base della circostanza, emersa in sede di merito, documentalmente, dell'esistenza di numerose reciproche iniziative intraprese in sede giudiziaria anche civile, dato sul quale il Giudice del rinvio non si sofferma compiutamente.

Invero, su tale punto, questa Corte ha avuto modo di affermare che persino la reciprocità dei comportamenti molesti non esclude la configurabilità del delitto di atti persecutori, come correttamente rimarcato, in via generale, anche dal Giudice del rinvio (cfr. pag. 14 della sentenza impugnata). Ma in tali ipotesi, incombe sul giudice un più accurato onere di motivazione in ordine alla sussistenza dell'evento di danno, ossia dello stato d'ansia o di paura della presunta persona offesa, del suo effettivo timore per l'incolumità propria o di persone ad essa vicine o della necessità del mutamento delle abitudini di vita (Sez. 5, n. 42643 del 24/06/2021, A., Rv. 282170).

Invero, si osserva che la motivazione offerta dal Giudice del rinvio descrive un insieme di condotte indicate come idonee a cagionare alla M. continua fonte di disturbo, disagio, fastidio (cfr. pag. 13 della sentenza), piuttosto che quello specifico stato d'ansia grave, anche sotto il profilo della idoneità a compromettere la libertà psichica della persona offesa, che la norma incriminatrice richiede ai fini di integrare il delitto contestato, mentre non sono specificamente descritte le situazioni di pericolo che sarebbero state determinate dall'imputata frapponendo ostacoli alle manovre in spazi ristretti relativamente agli spostamenti delle parti civili.

Inoltre, si rileva che insufficiente e manifestamente illogica appare la motivazione resa dal Giudice del rinvio, anche se richiesta espressamente dalla sentenza rescindente (cfr. p. 3.4.), relativamente alla ritenuta sussistenza del cambio di abitudini di vita da parte del nucleo familiare delle parti civili.

Questo, invero, viene descritto quale conseguenza coerente con il contesto, ma contemporaneamente la condotta viene indicata come epilogo al quale, però, avevano contribuito anche considerazioni diverse da parte delle persone offese.

Il trasferimento dal condominio di (Omissis) in altra abitazione sita sempre a (Omissis), dunque, ha, secondo la motivazione del Giudice del rinvio, ragioni diverse rispetto al comportamento reiterato nel tempo attuato dell'imputata.

Ne' la sentenza di secondo grado si sofferma, valorizzando gli ulteriori profili cui si richiama anche la sentenza rescindente, attinenti al mutamento delle abitudini di vita delle persone offese in costanza della loro permanenza nel condominio teatro dei fatti, come riscontrato dal primo giudice, sia pure limitatamente alla M. (cfr. pag. 5 della sentenza di primo grado laddove si fa cenno ai fastidi subiti dalla M. per la condotta della B., alla limitazione dei propri spostamenti e delle soste in terrazza, all'aver trascorso la notte fuori casa, in assenza del coniuge, all'essersi indotta a lasciare l'abitazione di (Omissis), dopo molti anni).

Alcuna compiuta ed esauriente motivazione, infine, si riscontra quanto alla sussistenza dell'evento di danno in relazione all'altra parte civile.

Tale conclusione rende necessario l'annullamento con rinvio per nuovo giudizio rispetto alla sussistenza dell'evento cagionato alle parti civili, a fronte delle acclarate condotte della ricorrente, pronuncia che determina l'assorbimento del secondo e terzo motivo di ricorso.

1.3.Ciò, non senza osservare che la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all'art. 131-bis c.p., non può essere applicata ai reati integrati da condotte plurime, abituali e reiterate, tra i quali rientra il delitto di atti persecutori, per la cui sussistenza è necessaria la reiterazione della condotta tipica, ostativa ex lege al giudizio sulla tenuità ex art. 131-bis c.p., senza necessità di esplicita motivazione (tra le altre, Sez. 5, n. 14845 del 28/02/2017, A., Rv. 270021; Sez. 1, n. 1523 del 05/11/2018, dep. 2019, Morreale, Rv. 274794).

1.4.Quanto alle deduzioni di cui al secondo motivo di ricorso va rimarcato il principio di diritto affermato da questa Corte secondo il quale (tra le altre, Sez. 5, n. 35588 del 03/04/2017, P., Rv. 271208) ai fini della prescrizione del delitto di stalking, che è reato abituale, il termine decorre dal compimento dell'ultimo atto antigiuridico, coincidendo il momento della consumazione delittuosa con la cessazione dell'abitualità.

Orbene, per quanto può essere rilevato nella presente sede di legittimità, la condotta abituale è contestata come perdurante e, quindi, fino alla sentenza di primo grado (30 maggio 2018) ma nella pronuncia impugnata l'indicazione del dies ad quem della cessazione della situazione illegittima viene fatto coincidere con il giorno 5 del mese di luglio dell'anno 2016, momento in cui la pronuncia colloca l'ultimo episodio riferibile alla B. descritto dai testi L. e N..

Quindi, allo stato e considerando l'ultimo episodio che la sentenza impugnata indica come collocato in data 5 luglio 2016, tenendo conto della pena edittale prevista per il reato per il quale si procede, dell'esistenza di plurime cause interruttive del corso della prescrizione tempestive (sentenza di primo grado del 30 maggio 2018), prescindendo dalla verifica della sussistenza di eventuali cause di sospensione del corso della prescrizione maturate nel giudizio di merito, il termine massimo di prescrizione, determinato ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 157 e 160 c.p., di anni sette e mesi sei, alla data della sentenza di secondo grado non era spirato, così come questo non è compiuto ad oggi.

In ogni caso, le deduzioni di merito, svolte dalla ricorrente nella parte in cui contesta la data di cessazione della presunta condotta illecita, che la difesa vuole coincidente con le condotte già giudicate, in separato procedimento, concluso con sentenza del Giudice monocratico del Tribunale di Roma dovranno essere oggetto di esame, all'esito del giudizio di rinvio, dovendosi rimarcare che queste, pretenderebbero l'esame - inibito nella presente sede di legittimità - della pronuncia richiamata e della relativa contestazione, onde apprezzare, ai soli fini della individuazione del termine di prescrizione, l'eventuale sovrapponibilità delle condotte quanto meno sotto il profilo del dies ad quem, nonché del decreto di archiviazione del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli al quale, del pari, la difesa fa riferimento ai fini di sollecitare l'accertamento di una diversa data di cessazione della condotta che si assume illecita.

2.Si impone, per quanto sin qui esposto, l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Roma, all'esito del quale si provvederà anche all'esame della domanda di liquidazione delle spese processuali sostenute dalle parti civili nel presente giudizio.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma.

Così deciso in Roma, il 5 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2023.

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