In tema di continuazione, ai fini del riconoscimento del medesimo disegno criminoso, la condizione di ludopatia può essere considerata quale elemento unificante delle varie condotte delittuose?
Si occupa del quesito la Cassazione, con la sentenza n. 42877 depositata il 20 ottobre 2023.
Nel caso di specie, la Corte di appello di Lecce, aveva rigettato l'istanza dell’imputato di applicazione della disciplina della continuazione tra i reati compiuti che evocava la propria dipendenza dal gioco d’azzardo.
Il giudice di merito aveva ritenuto di non poter attribuire rilevanza ex se, ai fini del riconoscimento del medesimo disegno criminoso, alla condizione di ludopatia evocata dall'istante. In particolare, non risultava dimostrato che tale condizione avesse concretamente inciso sulla insorgenza di una determinazione originaria ed unitaria a commettere detti reati, non erano stati rilevati altri indici di continuazione e inoltre era stata ravvisata la notevole distanza cronologica tra le varie violazioni.
La Corte di Cassazione, confermando il giudizio di merito, precisa che non sussiste alcuna assimilazione tra la ludopatia ed altre forme di dipendenza, invece rilevanti in tema di riconoscimento della continuazione, come la tossicodipendenza.
Inoltre, l'estensione dei livelli di assistenza alle persone affette da ludopatia non ne ha comportato l'assimilazione con altre situazioni che creano dipendenza, né consente, per la differenza che si riscontra tra le situazioni di base, il ricorso all'analogia.
La ludopatia da sola qundi non sembra avere un peso determinante ai fini della continuazione tra reati.
Cassazione penale, sez. I, sentenza 28/04/2023 (dep. 20/10/2023) n. 42877
RITENUTO IN FATTO
1. Con l'ordinanza in epigrafe del 22 giugno 2022, la Corte di appello di Lecce, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha rigettato l'istanza avanzata nell'interesse di G.R. di applicazione della disciplina della continuazione tra i reati giudicati dalle seguenti decisioni irrevocabili:
1) sentenza emessa dal Gup del Tribunale di Lecce il 19 settembre 2011, irrevocabile il 14 ottobre 2011, di condanna alla pena di mesi 8 di reclusione per il reato di cui all'art. 640 bis c.p. commesso in (Omissis);
2) sentenza emessa dalla Corte di appello di Lecce il 17 marzo 2021, di riforma della sentenza del Tribunale di Lecce del 3 ottobre 2018, irrevocabile il 16 febbraio 2022, di condanna alla pena di anni 4, mesi 8 di reclusione ed Euro 1.100,00 di multa, per i reati di cui agli artt. 629 c.p. accertati in data successiva ma prossima al (Omissis) (capo B) e dal 19 luglio 2008 all'8 febbraio 2010 in Lecce (capo E, limitatamente all'ipotesi estorsiva riferita alle somme di Euro 600,00 e 1.800,00), art. 572 c.p. accertato sino al (Omissis) e art. 612 bis c.p. accertato sino al (Omissis).
Il giudice dell'esecuzione ha ritenuto non potersi attribuire rilevanza ex se, ai fini del riconoscimento del medesimo disegno criminoso, alla condizione di ludopatia evocata dall'istante quale elemento unificante delle varie condotte delittuose, in assenza di allegazioni di parte idonee a comprovare l'esistenza di tale condizione all'epoca della consumazione dei reati e la riconducibilità di questi ultimi alla necessità di procurarsi il denaro per pagare i debiti di gioco, nonché in mancanza degli ulteriori indici dimostrativi dell'invocato istituto.
La Corte distrettuale ha ritenuto altresì ostativo al riconoscimento della continuazione il lungo lasso di tempo intercorrente tra la data di commissione dei fatti (dal novembre 2006 al novembre 2012), restando irrilevante l'identità del luogo di consumazione dei reati a fronte di un periodo temporale così ampio.
2. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione G.R., per mezzo del difensore, avv. Francesco Vergine, articolando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 81 c.p. e art. 671 c.p.p. e difetto di motivazione con riferimento alla omessa considerazione della condizione di ludopatia quale "movente" del ricorso a prestiti usurari.
Il ricorrente si duole che il giudice dell'esecuzione non abbia bene focalizzato, omettendo così qualsivoglia motivazione sul punto, l'elemento evidenziato quale collante delle diverse violazioni, che non è rappresentato dalla condizione ludopatica di per sé considerata, bensì dall'esposizione ad usura quale conseguenza della predetta condizione di giocatore patologico.
Invero, nell'istanza si era prospettato che la finalità aggregante i diversi reati (omogenei in quanto trattasi di delitti contro il patrimonio) era rappresentata dalla necessità di reperire il denaro utile per onorare i prestiti usurari a cui G. aveva fatto ricorso per pagare i debiti contratti a causa della sua dipendenza dal gioco d'azzardo. Dunque, era stata sottolineata la circostanza che il ricorrente avesse posto in essere le condotte criminose al fine di procurarsi il denaro necessario per far fronte ai debiti di natura usuraria di cui si era gravato a causa del suo vizio del gioco.
2.2. Con il secondo motivo, il condannato lamenta inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 81 c.p. e art. 671 c.p.p. e difetto di motivazione, per aver il giudice ritenuto la mancata allegazione di documentazione comprovante la condizione di ludopatia.
Il ricorrente evidenzia, in primo luogo, che chi chiede l'applicazione della continuazione ha l'onere di indicare le sentenze che hanno accertato i reati in relazione ai quali si chiede il riconoscimento della continuazione, ma non anche quello di rappresentare gli elementi significativi della sussistenza del medesimo disegno criminoso; pertanto, la mancata allegazione di elementi specifici a sostegno dell'istanza non può, di per sé, essere valorizzata dal giudice in senso negativo all'accoglimento della stessa, essendo compito del giudice verificare se le sentenze in essa contemplate fanno emergere l'invocata ideazione unitaria.
In secondo luogo, la difesa deduce che l'esposizione del condannato a episodi estorsivi e a debiti usurari per pagare i debiti di gioco all'epoca della consumazione degli illeciti de quibus, è documentata dalle allegazioni di parte costituite dallo stralcio della richiesta di rinvio a giudizio nel procedimento penale n. 291/11 R.G.N. R. (nell'ambito del quale G. riveste la qualità di persona offesa, in relazione ai reati di cui agli artt. 644 e 629 c.p. e D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 132), nonché dallo stralcio dell'informativa di reato nell'ambito del suddetto processo, da cui si evince che, nello spazio temporale coincidente con quello di consumazione dei reati, il condannato era caduto nella rete degli usurai contraendo debiti, ai quali tentava di far fronte "procurandosi, seppur in modo truffaldino, denaro o titoli di credito al fine di pagare i debiti dal lui contratti".
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 81 c.p. e art. 671 c.p.p. e difetto di motivazione per aver il giudice ritenuto ostativo, ai fini del riconoscimento della continuazione, l'ampio arco temporale di commissione dei reati.
La difesa censura la mancata considerazione da parte della Corte territoriale della perfetta sovrapponibilità temporale tra le condotte, tenuto conto che i fatti di cui alla sentenza sub 1) sono stati commessi dal (Omissis), mentre i reati di cui alla sentenza sub 2) sono stati realizzati dal 2007 al 2012 (peraltro, tale periodo coincide con quello contestato nell'ambito del procedimento n. 291/11 R.G.N. R., che fa riferimento ad un arco temporale ricompreso tra gli anni 2007 e 2011).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. L'impugnazione è manifestamente infondata.
1.1. Vanno ricapitolati alcuni principi fondamentali fissati dall'esegesi di legittimità in tema di reato continuato, per l'inquadramento generale dell'istituto.
Questa Corte ha costantemente affermato, in tema di reato continuato, che l'unicità del disegno criminoso presuppone l'anticipata ed unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già presenti nella mente del reo nella loro specificità, e che la prova di tale congiunta previsione deve essere ricavata, di regola, da indici esteriori che siano significativi, alla luce dell'esperienza, del dato progettuale sottostante alle condotte poste in essere (Sez. 4, n. 16066 del 17/12/2008, dep. 2009, Di Maria, Rv. 243632).
Il giudice dell'esecuzione, nel valutare l'unicità del disegno criminoso, non può attribuire rilievo ad un programma di attività delinquenziale che sia meramente generico, essendo invece necessaria la individuazione, fin dalla commissione del primo episodio, di tutti i successivi, almeno nelle loro connotazioni fondamentali, con deliberazione, dunque, di carattere non generico, ma generale (Sez. 1, n. 37555 del 13/11/2015, dep. 2016, Bottari, Rv. 267596).
L'esistenza di un medesimo disegno criminoso va desunta da elementi indizianti quali l'unitarietà del contesto e della spinta a delinquere, la brevità del lasso temporale che separa i diversi episodi, l'identica natura dei reati, l'analogia del modus operandi e la costante compartecipazione dei medesimi soggetti (Sez. 5, n. 1766 del 06/07/2015, dep. 2016, Esposti e altro, Rv. 266413)
L'identità del disegno criminoso deve essere negata qualora, malgrado la contiguità spazio-temporale ed il nesso funzionale tra le diverse fattispecie incriminatrici, la successione degli episodi sia tale da escludere la preventiva programmazione dei reati ed emerga, invece, l'occasionalità di quelli compiuti successivamente rispetto a quelli cronologicamente anteriori (Sez. 6, n. 44214 del 24/10/2012, Natali e altro, Rv. 254793). Si è altresì specificato che la ricaduta nel reato e l'abitualità a delinquere non integrano di per sé il caratteristico elemento intellettivo (unità di ideazione che abbraccia i diversi reati commessi) che caratterizza il reato continuato (Sez. 2, n. 40123 del 22/10/2010, Marigliano, Rv. 248862).
Infine, le Sezioni Unite di questa Corte hanno ribadito che il riconoscimento della continuazione necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l'omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, Gargiulo, Rv. 270074).
1.2. Ciò premesso, il giudice dell'esecuzione ha correttamente argomentato sulla impossibilità di ritenere i reati di cui alle menzionate sentenze legati dal medesimo disegno criminoso, evidenziando che, seppure si volesse considerare provata la condizione di ludopatia del Gar a all'epoca di consumazione dei reati, non risulta dimostrato che tale condizione abbia concretamente inciso sulla insorgenza di una determinazione originaria ed unitaria a commettere detti reati, rilevando in aggiunta il difetto totale di ogni altro indice di continuazione, ed anzi ravvisando in senso contrario la notevole distanza cronologica tra le varie violazioni. Pertanto, lungi dall'avere trascurato la ludopatia dedotta dal ricorrente, l'ordinanza impugnata ne ha escluso il ruolo di indicatore specifico e sostanzialmente unico ad essa attribuito, con impostazione erronea in diritto, alla stregua della consolidata giurisprudenza di legittimità.
In punto di diritto, invero, l‘esegesi di legittimità di questa Corte non riconosce alcuna assimilazione tra la ludopatia ed altre forme di dipendenza, invece rilevanti in tema di riconoscimento della continuazione, come la tossicodipendenza. Infatti, si è affermato che "L'estensione dei livelli di assistenza alle persone affette da ludopatia non ne ha comportato l'assimilazione alla tossicodipendenza, né consente, per la differenza che si riscontra tra le situazioni di base, il ricorso all'analogia" (Sez. 1, n. 2136 del 13/7/2018, Petrocco, n. m.; Sez. 1, n. 18162 del 16/12/2015, dep. 2016, Bruno, n. m.). E si è specificato che "anche se il D.L. 13 settembre 2012, n. 158, art. 5 coordinato con la legge di conversione 8 novembre 2012, n. 189 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale 10 novembre 2012 n. 263, ha introdotto un programma di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza con riferimento alle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette da ludopatia, intesa come patologia che caratterizza i soggetti affetti da sindrome da gioco con vincita in denaro, così come definita dalla Organizzazione mondiale della sanità (G.A.P.)', la ludopatia, pur potendo avere in comune con la tossicodipendenza la dipendenza dal gioco d'azzardo, non diversamente peraltro da altre situazioni che creano dipendenza come il tabagismo, l'alcolismo e la cleptomania, affonda le proprie radici in aspetti della psiche del soggetto e non presenta, al momento attuale, quegli aspetti di danno, che l'esperienza ha dimostrato essere alla base dei comportamenti devianti cui, nell'ambito della discrezionalità legislativa, la modifica normativa sopra indicata ha inteso porre un rimedio", pervenendosi al rilievo conclusivo che "in definitiva, l'estensione dei livelli di assistenza alle persone affette da ludopatia non ne ha comportato l'assimilazione alla tossicodipendenza, né consente, per la differenza che si riscontra tra le situazioni di base, il ricorso all'analogia" (Sez. 1, n. 866 del 20/04/2017, dep. 2018, Fiore, n. m.).
1.3. Va ancora sottolineato che il ricorrente mostra di confondere il concetto di movente, o collante, attribuito alla ludopatia come situazione predisponente alla commissione di reati con quello, differente, di medesimezza del disegno criminoso, tratto caratterizzante la continuazione nel reato e che indica la genetica ed unitaria programmazione delittuosa, tale da rivelare minor disvalore complessivo dell'agente e giustificare il trattamento sanzionatorio mitigato che ne deriva.
2. Per le considerazioni che precedono, il ricorso risulta inammissibile, da ciò conseguendo la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché di una congrua somma indicata in dispositivo in favore della Cassa delle Ammende, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., non risultando cause di esonero da responsabilità a tenore della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 2000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 28 aprile 2023.
Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2023.