Integra il delitto di frode nell’esercizio del commercio la commercializzazione come olio “extra-vergine” di oliva di una miscela contenente anche olio “lampante”, non potendo essere qualificato come “extravergine” un olio che non rispetti i requisiti analitici previsti dal Regolamento (CE) 2568/1991 e, in specie, rispetto al quale sia superato anche solo il valore limite di 20 mg/kg previsto per i perossidi dalla normativa comunitaria.
Cassazione penale, sez. III, sentenza 25/10/2023 (dep. 20/12/2023) n. 50753
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 22 settembre 2020, la Corte di Appello di Firenze riformava parzialmente la sentenza del tribunale di Siena del 21 febbraio 2017, e riguardo alla Azienda Olearia Valpesana SPA la assolveva dagli illeciti amministrativi dipendenti da reato contestati ai capi b), richiamante l'art. 416 c.p., e d), richiamante gli artt. 515 e 517 bis c.p., quest'ultimo in relazione ai capi c2 c3, c5, c6, c9, c10., c11, c12,c13, c14, c15, c16, c17, c18, c19, c20, c21, c22 e penultimo alinea della rubrica, confermandola nel resto e rideterminando la sanzione amministrativa in 140 quote corrispondenti ad Euro 42.000,00, oltre a rideterminare la confisca nell'ammontare complessivo pari ai corrispettivi delle vendite indicate ai capi C1, C4, C8 terzultimo e ultimo comma, al netto delle imposte versate.
2. Avverso la suindicata sentenza Azienda Olearia Valpesana SPA (attualmente Verdeolio Mediterraneo srl), a mezzo del suo rappresentante legale e tramite il difensore di fiducia, quale società incolpata per la violazione del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 5, lett. a), art. 24 ter, comma 2 e art. 25 bis, comma 1 in relazione ai reati di cui all'art. 515 c.p., ha proposto ricorso per cassazione, sollevando sei motivi di impugnazione.
3. Deduce con il primo, vizi ex art. 606 c.p.p., lett. b). Si sostiene che la Corte avrebbe errato nei respingere la questione di diritto sollevata dall'ente incolpato e dall'imputato F. e relativa alla interpretazione del regolamento CE n. 2568/1991, con riferimento a quanto riportato nella nota c) in calce all'allegato 1 del regolamento stesso, osservandosi come in ragione di tale nota lo sforamento del valore soglia dei perossidi non comporterebbe automaticamente il declassamento dell'olio extra - vergine in olio lampante, di cui non è consentita la miscelazione.
Da qui anche l'esigenza evidenziata dalle difesa di sollevare quantomeno questione pregiudiziale ai sensi dell'art. 267 TFUE alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, per chiarire la corretta interpretazione delle citate norme comunitarie e precisare se il numero dei perossidi sia un parametro di per sé rilevante.
Si contesta in tale quadro la tesi della corte di appello, secondo cui l'impostazione difensiva sconterebbe un errore di fondo, quale quello di ritenere l'olio lampante categoria diversa da quella dell'olio vergine, e ciò alla luce dell'art. 35 del regolamento CEE n. 136/1966 che annovera l'olio lampante tra gli olii vergini vietandone tuttavia la commercializzazione a fini alimentari; impostazione errata, secondo la difesa, atteso che secondo la ricorrente il predetto articolo riserverebbe la commercializzazione "al dettaglio", quale nozione più ristretta rispetto a quella usata dalla corte di divieto di commercializzazione a fini alimentari, per quanto di interesse, ai soli olii vergine ed extra vergine di oliva; e quindi, vietandosi solo per l'olio lampante la commercializzazione al dettaglio, e non radicalmente quella alimentare, sarebbero inappropriate le conclusioni della corte quando afferma che gli olii con perossidi superiori ai 20 milliequivalenti ossigeno per chilo, siccome classificabili come lampanti, non potendo essere commercializzati a fini alimentari neppure potrebbero essere utilizzati per miscelazioni a fini alimentari. Si aggiunge che sarebbe erronea anche l'ulteriore notazione della corte di appello per cui l'olio con perossidi superiori a 20 sarebbe sicuramente olio lampante ma comunque vergine, osservandosi altresì che il regolamento del 1991 n. 2568 si sarebbe limitato ad aggiornare i parametri di classificazione senza alterare la categorie merceologiche.
Si oppone a ciò che le categorie merceologiche sarebbero quelle di cui all'allegato 1 del predetto regolamento e le caratteristiche conformi a ciascuna categoria (olio extra vergine, olio vergine, olio lampante, olio di oliva raffinato etc) sarebbero quelle di cui al citato allegato 1 del regolamento del 1991 che avrebbe aggiornato i parametri di classificazione. Conseguirebbe che ai sensi dell'art. 35 del già citato Regolamento del 1966, ciò che distinguerebbe un olio vergine ed extravergine dall'olio lampante sarebbe il grado di acidità che per i primi deve essere inferiore al 2%. Un olio con acidità superiore al 2% sarebbe lampante ma potrebbe esserlo anche un olio con acidità inferiore al 2% ma avente " le altre caratteristiche conformi a quelle previste per questa categoria".
Andando quindi ad osservare le caratteristiche previste dal citato allegato 1 per olio lampante si rileverebbero una serie di parametri tra cui non comparirebbero i perossidi.
In ultima analisi sarebbe lampante l'olio con acidità superiore al 2% o inferiore al 2% ma dotato di altre caratteristiche previste per il lampante - ai sensi del combinato disposto dall'art. 35 e allegato 1 prima citati -. Di contro un olio aventi tutti i parametri dell'olio extravergine ma perossidi superiori alla soglia di venti non sarebbe un olio lampante.
Tanto precisato l'olio lavorato dalla ricorrente sarebbe stato pur sempre un olio vergine come tale miscelabile perché qualitativamente comparabile con l'olio extravergine e estraneo all'olio lampante.
4. Con il secondo motivo deduce il vizio di motivazione circa la sussistenza delle cd. frodi storiche a carico della ricorrente di cui ai capi c1, c4 e c8 e terzultimo e ultimo alinea del capo c, osservando come la corte avrebbe respinto le due questioni sollevate sulla interpretazione del diritto comunitario prima illustrata, e sulla non univocità di prove documentali in tema di avvenuta miscelazione di olii ed effettiva commercializzazione delle partite di olio ritenute indebitamente miscelate, con motivazione apodittica, e inadeguata rispetto alle specifiche censure sollevate. Così non emendando il vizio della prima sentenza sulla mancata puntuale ricostruzione degli elementi di prova relativi alle singole operazioni oggetto di contestazione, con riguardo ai tre distinti profili della non corrispondenza della massa olearia alla categoria merceologica imputatale, dell'illegittima miscelazione e della fraudolenta commercializzazione. Quanto al capo ci, la motivazione sarebbe di incerta comprensione non comprendendosi quali siano "le altre partite di olio poi vendute da A.O.V. a vari acquirenti".
Vi sarebbe poi carenza di motivazione quanto alla macroscopica alterazione degli alchilesteri di cui al capo c4, quale valore talmente spropositato da sembrare impossibile, e maggiormente compatibile con un errore del chimico P. piuttosto che con una misurazione veritiera.
Quanto al capo c8, mancherebbe un collegamento analitico tra gli elementi di prova evocati e la singola operazione oggetto di contestazione. E inoltre a seguito della intervenuta declaratoria di inutilizzabilità delle intercettazioni il compendio probatorio risulterebbe monco. Ciò perché sarebbe venuta meno la strategia aziendale che costituiva il "filo rosso" in grado di sostenere gli elementi indiziari a fondamento delle cd. frodi storiche. Si aggiunge che venuta meno l'associazione per delinquere l'impianto motivazionale delle due sentenze risulterebbe carente venendo meno la motivazione sul modus operandi aziendale. E tuttavia la corte non avrebbe operato in tale quadro alcuna verifica di resistenza del rimanente compendio indiziario. Si osserva anche che il difetto di motivazione soprattutto sulla commercializzazione delle partite fraudolentemente miscelate o di provenienza geografica diversa da quelle dichiarate, ove risultasse insuscettibile di emenda in sede di rinvio comporterebbe la riqualificazione dei fatti in tentativo di frode nell'esercizio del commercio con conseguenze in punto di determinazione della sanzione pecuniaria.
Quanto infine al capo c ultima alinea, mancherebbe ne capo di imputazione ogni indicazione sulla data della operazione e consistenza quantitativa della stessa, per cui non sarebbe possibile verificare la tenuta della motivazione di primo grado. Tale difetto non sarebbe stato esaminato né emendato in sede di appello.
5. Con il terzo motivo deduce vizi di violazione di legge per violazione dell'art. 597 c.p.p., comma 3 in ordine alla confisca della L. n. 231 del 2001, ex art. 19, per la prima volta disposta in appello o in alternativa il vizio di motivazione per omessa motivazione sulle ragioni di infondatezza dei motivi di gravame. Pur a fronte di doglianze dirette a sostenere che le operazioni per le quali era stato calcolato il profitto confiscabile non corrispondessero alle vendite degli olii ottenuti con i prodotti indicati nei capi ci e c4, la corte di appello, assolta la ricorrente per l'illecito amministrativo dipendente dal reato associativo e da numerose frodi in commercio, e confermata la condanna per illeciti dipendenti da frodi in commercio di cui ai capi ci, c4 e c8 terz'ultimo e ultimo alinea, non avrebbe risposto alla superiore doglianza. Omettendo di esprimersi sulla prova documentale al riguardo indicata con l'atto di appello. O al più condividendo la censure ma disponendo in tal modo una confisca ex novo per le operazioni oggetto dei capi di imputazione, avendo essa quantificato la confisca per gli illeciti dipendenti dai reati di cui ai capi ci e c4 ritenendola equivalente al prezzo di vendita e per gli illeciti da reati di cui ai capi c8 terz'ultimo e ultimo alinea ritenendo di determinare il profitto sulla base dell'intero importo del corrispettivo.
In particolare si osserva che disponendo per la prima volta in appello la confisca in rapporto al profitto dei reati per cui è intervenuta condanna, mentre il primo giudice avrebbe a tali fini solo recepito le conclusioni della guardia di finanza che avrebbe calcolato il profitto confiscabile con riguardo ad operazioni che nessuno avrebbe contestato né accertato come illecite, si sarebbe violato l'art. 597 c.p.p., comma 3, posto che in assenza di impugnazione da parte del P.M. non si può disporre la confisca non disposta dal primo giudice. Ne' si potrebbe obiettare che la norma non si violerebbe nella misura in cui si rimanda al di sotto dell'importo originario della confisca, mutando solo le componenti che ne determinarono il calcolo dell'ammontare. Ma si oppone che l'importo complessivo della confisca è dato dalla somma delle singole confische disposte per i singoli reati accertati. E quindi se il primo giudice ha applicato, secondo la difesa, la confisca, per operazioni non accertate come illecite attribuendole genericamente al reato associativo e al corrispondente illecito amministrativo, per cui è poi intervenuta assoluzione, in mancanza di impugnazione del P.M., il giudice di appello non avrebbe potuto disporre la confisca per reati o illeciti amministrativi dell'ente per cui la condanna era stata confermata, senza tuttavia che il primo giudice avesse applicato la confisca. Ad ogni modo, si richiama l'indirizzo di legittimità che stabilisce che il divieto di cui all'art. 597 c.p.p., comma 3 attiene anche non solo alla entità complessiva della pena ma anche agli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione.
In subordine si osserva che comunque la corte di appello non si sarebbe confrontata con i motivi di gravame in punto di confisca, Con mancanza di motivazione anche sulla valutazione, invocata, delle prove documentali da cui sarebbe emersa per la difesa la diversità tra le operazioni per cui era stato calcolato il profitto e quelle oggetto di contestazione.
6. Con il quarto motivo deduce la violazione della L. n. 231 del 2001, art. 19, nella parte in cui è stata determinata la confisca per equivalente con riguardo agli illeciti amministrativi dipendenti dai reati di cui ai capi c1 e c4. Con riferimento al prezzo di vendita illecitamente conseguito. Tuttavia i predetti capi riguarderebbero acquisti di olii e non vendite. Acquisti di olii utilizzati indebitamente per comporre olii poi venduti come extravergini, pur non avendone le caratteristiche, laddove le successive vendite non sarebbero state accertate in modo analitico e ritenute sussistenti sulla base di deduzioni che la difesa rappresenta come forse non più attuali, per la intervenuta declaratoria inutilizzabilità delle intercettazioni. Dunque senza analitica ricostruzione delle vendite non si sarebbe potuto determinare il profitto confiscabile quale effettivo vantaggio economico di diretta derivazione dal reato.
7. Con il quinto motivo deduce la violazione della L. n. 231 del 2001, art. 19 con riguardo alla non correttezza dei criteri seguiti per calcolare il profitto. Tali criteri sarebbero stati individuati dalla corte di appello nel prezzo di vendita/corrispettivo dell'olio venduto al netto delle imposte versate, distinguendo tra frodi qualitative inerenti la vendita dell'olio lampante come extravergine e ritenendo l'olio lampante non commercializzabile (erroneamente) e frodi geografiche (riguardo ad oli non italiani venduti come italiani) e per le quali sul presupposto della non individualità delle masse assemblate, la confisca coinciderebbe con il corrispettivo versato (prezzo di vendita). Premesso che tutti gli olii in questione avrebbero un valore commerciale di cui tenere conto per determinare il profitto, e posto che per profitto deve intendersi il vantaggio di immediata derivazione dal reato, si sarebbe dovuto comunque considerare il Profitto in quel solo surplus di prezzo che sarebbe stato ottenuto dalla ricorrente consegnando una cosa diversa dalla pattuita.
8. Con il sesto motivo si contesta in ogni caso la violazione dell'art. 597 c.p.p., comma 3, con riguardo all'utilizzo per la confisca del criterio suindicato del prezzo/corrispettivo di vendita. Essendo criterio deteriore rispetto a quello individuato dalla guardia di Finanza e fatto proprio dal primo giudice e consistente nel risparmio di spesa ottenuto utilizzando, per creare olii extravergine, prodotti non conformi e più economici.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo, riferito dallo stesso difensore in udienza al capo cl, è infondato. La tesi della Corte, di appello in eri ordine alla rippoducibilità dell'olio avente un valore di perossidi superiore a 20 (Ndr: testo originale non comprensibile) alla categoria dell'olio lampante, pur all'interno della categoria degli oli vergini, con conseguente insussistenza dei presupposti per sollevare un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia è corretta. Come già rilevato da questa Corte (Sez. 3, n. 36954 del 09/06/2005 Rv. 232477 - 01) dopo l'originaria disciplina nazionale relativa alla materia della classificazione degli oli di oliva, con L. 13 novembre 1960, n. 1407 (recante Norme per la classificazione e la vendita degli olii di oliva) la quale, agli artt. 1 e 3, distingueva innanzitutto l'"olio di oliva commestibile" dall'"olio di oliva" e, dopo aver indicato le caratteristiche che entrambi dovevano avere, prevedeva che l'"olio di oliva commestibile" si distinguesse a sua volta nelle categorie dell'"olio extra vergine di olive", dell'"olio sopraffino vergine di oliva", derolio fine vergine di oliva" e dell'"olio vergine di oliva", la materia è divenuta di competenza della normativa comunitaria, che più volte al riguardo ha dettato una serie di disposizioni.
Testo di riferimento è il regolamento n. 136/66/CEE del Consiglio del 22 settembre 1966 (Regolamento del Consiglio relativo all'attuazione di un'organizzazione comune dei mercati nel settore dei grassi), il quale all'art. 35 dispone che "Le denominazioni e le definizioni degli oli d'oliva e degli oli di sansa d'oliva che figurano in allegato sono obbligatorie per la commercializzazione di questi" (comma 1) e che "Per il commercio al minuto possono essere commercializzati soltanto gli oli di cui ai punti 1 a) e b), 3 e 6 dell'allegato".
Tali punti dell'allegato, in particolare, afferiscono rispettivamente:
quanto al punto 1, lett. a), all'olio extra vergine di oliva definito dal predetto regolamento quale quello "la cui acidità libera espressa in acido oleico è al massimo di 1 g per 100 g e avente le altre caratteristiche conformi a quelle previste per questa categoria";
quanto al punto 1, lett. b), all'olio di oliva vergine definito quale quello "la cui acidità libera espressa in acido oleico è al massimo di 2 g per 100 g e avente le altre caratteristiche conformi a quelle previste per questa categoria";
quanto al n. 3 all'olio di oliva definito quale quello "ottenuto da un taglio di olio di oliva raffinato e di oli di oliva vergini diversi dall'olio lampante, la cui acidità libera espressa in acido oleico non può eccedere 1,5 g per 100 g e avente le altre caratteristiche conformi a quelle previste per questa categoria";
quanto al n. 6 dell'allegato all'olio di sansa di oliva definito quale quello "ottenuto da un taglio di olio di sansa di oliva raffinato e di oli di oliva vergini diversi dall'olio lampante, la cui acidità libera espressa in acido oleico non può eccedere 1,5 g per 100 g e avente le altre caratteristiche conformi a quelle previste per questa categoria".
I rimandi alla fine di ogni definizione evidenziano la rilevanza delle caratteristiche specifiche sancite separatamente per ogni tipo di olio.
Più in generale, l'allegato del predetto Regolamento conteneva le descrizioni e le definizioni di oli di oliva e di oli di sansa di oliva di cui all'art. 35, distinguendo sei categorie di oli, fra cui gli oli di oliva vergini (a loro volta suddistinti in diverse sottocategorie), l'olio di oliva raffinato, l'olio di oliva e gli oli di sansa di oliva.
Il predetto allegato ha poi subito una serie di sostituzioni e di modificazioni da parte del regolamento (CEE) n. 1915/87, del regolamento (CEE) n. 2568/91. Quest'ultimo, nel secondo "considerando" ha precisato che "per poter distinguere i vari tipi di olio è opportuno definire le caratteristiche fisico-chimiche di ciascuno di essi, nonché le caratteristiche organolettiche degli oli vergini, per garantire la purezza e la qualità dei prodotti in parola, salve le altre disposizioni vigenti in materia" e all'art. 1 ha statuito quanto segue:
"1. Sono considerati oli di oliva vergini ai sensi del punto 1, lettere a) e b), dell'allegato del regolamento n. 136/66/CEE gli oli le cui caratteristiche sono conformi a quelle indicate rispettivamente nei punti 1 e 2 dell'allegato I del presente regolamento.
2. E' considerato olio di oliva lampante ai sensi del punto 1, lettera c), dell'allegato del regolamento n. 136/66/CEE, l'olio le cui caratteristiche sono conformi a quelle indicate nell'allegato I, punto 3, del presente regolamento.
3. E' considerato olio di oliva raffinato ai sensi del punto 2 dell'allegato del regolamento n. 136/66/CEE, l'olio le cui caratteristiche sono conformi a quelle indicate nell'allegato I, punto 4, del presente regolamento.
4. E' considerato olio di oliva composto di oli di oliva raffinati e di oli di oliva vergini ai sensi del punto 3 dell'allegato del regolamento n. 136/66/CEE, l'olio le cui caratteristiche sono conformi a quelle indicate nell'allegato I, punto 5, del presente regolamento.
5. E' considerato olio di sansa di oliva greggio ai sensi del punto 4 dell'allegato del regolamento n. 136/66/CEE, l'olio le cui caratteristiche sono conformi a quelle indicate nell'allegato I, punto 6, del presente regolamento.
6. E' considerato olio di sansa di oliva raffinato ai sensi del punto 5 dell'allegato del regolamento n. 136/66/CEE, l'olio le cui caratteristiche sono conformi a quelle indicate nell'allegato 1, punto 7, del presente regolamento.
7. E' considerato olio di sansa di oliva ai sensi del punto 6 dell'allegato del regolamento n. 136/66/CEE, l'olio le cui caratteristiche sono conformi a quelle indicate nell'allegato I, punto 8, del presente regolamento".
Il successivo regolamento (CEE) n. 356/92, ha sostituito con l'art. 1, senza modificare le caratteristiche chimico fisiche e di qualità degli oli sancite nell'allegato del predetto regolamento 2568/91, integrandole parzialmente, le sole definizioni degli oli di oliva e di sansa di cui al regolamento n. 136/66/CEE. E analoghe integrazioni alle predette definizioni sono intervenute con regolamento (CE) n. 1638/98, e regolamento (CE) n. 1513/2001, applicabile a decorrere dal 1 novembre 2003 (ad eccezione del punto 4).
Più di recente sono intervenuti in maniera analoga altri Regolamenti, e tra questi il Regolamento n. 1234/2007 del 22 ottobre 2007 recante organizzazione comune dei mercati agricoli e disposizioni specifiche per taluni prodotti agricoli, (regolamento unico OCM) nonché il Regolamento n. 1308/2013 recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli e che abroga i regolamenti (CEE) n. 922/72, (CEE) n. 234/79, (CE) n. 1037/2001 e (CE) n. 1234/2007 del Consiglio, il quale nella parte VIII dell'allegato VII ha fissato Le "designazioni e definizioni degli oli di oliva e degli oli di sansa di oliva" ribadendo che solo gli oli indicati al punto 1, lett. a) e b), e ai punti 3 e 6 possono essere commercializzati al dettaglio.
In tale quadro, a fronte di aggiornate definizioni dei tipi di olio sopra citati, deve dirsi, come condivide la stessa ricorrente, che le caratteristiche di conformità di ciascuna definizione di olio sopra citata sono dettate dal sopra richiamato allegato 1 del Regolamento del 1991 n. 2568 come integrato dal Regolamento (ue) n. 61/2011 della commissione del 24 gennaio 2011 che modifica il Regolamento (CEE) n. 2568/91 relativo alle caratteristiche degli olì d'oliva e degli oli di sansa d'oliva nonché ai metodi di analisi ad essi attinenti.
Sulla base di tali ultime definizioni e della nota c in calce all'allegato I del Regolamento n. 2568/91 deve condividersi la ricostruzione della Corte di appello. Emerge infatti dal predetto allegato che quanto al requisito del numero di perossidi, esso è stabilito in misura massima nella soglia di 20 (Ndr: testo originale non comprensibile) per gli oli vergine di oliva ed extra vergine, e nella misura massima di 5 per l'olio raffinato, di 15 per l'olio di oliva composto di oli di oliva raffinati e di oli di oliva vergini di 5 per l'olio di sansa di oliva raffinato e di 15 per l'olio di sansa di oliva.
Riguardo a tale indice, alla luce della nota c del predetto allegato I deve ritenersi che il mancato rispetto e quindi per quanto qui di interesse il superamento dei valori soglia dei perossidi per gli oli di oliva vergini immediatamente sopra indicati, comporta il cambiamento di categoria del campione analizzato e quindi della partita di riferimento, pur rimanendo classificato in una delle sotto-categorie proprie degli oli di oliva vergini ("per gli oli di oliva vergini, l'inosservanza di almeno uno di questi valori limite comporta il cambiamento di categoria, pur rimanendo classificati in una delle categorie degli oli di oliva vergini").
Ebbene secondo il citato regolamento del 1966, come integrato e modificato, e in particolare secondo il relativo allegato, intitolato "denominazioni e definizioni degli oli di oliva e degli oli di sansa di oliva di cui all'art. 35" sono oli di oliva vergini, ossia rientranti nella macro- categoria degli oli di oliva vergini: "Oli ottenuti dal frutto dell'olivo soltanto mediante processi meccanici o altri processi fisici, in condizioni, in particolare termiche, che non causano alterazioni dell'olio, e che non hanno subito alcun trattamento diverso dal lavaggio, dalla decantazione, dalla centrifugazione e dalla filtrazione, esclusi gli oli ottenuti mediante solvente o con processi di riesterificazione e qualsiasi miscela con oli di altra natura.
Detti oli di oliva sono oggetto della classificazione e delle denominazioni seguenti: (...) olio extra vergine di oliva; (...) b) olio di oliva vergine (...) c) olio di oliva vergine corrente (...) d) olio di oliva vergine lampante: olio di oliva vergine la cui acidità libera espressa in acido oleico è superiore a 3,3 g per 100 g e/o avente le altre caratteristiche conformi a quelle previste per questa categoria".
In altri termini, è descritta una macro categoria degli oli di oliva vergini, al cui interno sono l'olio extra vergine di oliva, l'olio di oliva vergine, l'olio di oliva vergine corrente, l'olio di oliva vergine lampante.
Ancora, con il regolamento 1234/2007 applicabile anche esso all'epoca dei fatti per quanto qui di interesse, come i regolamenti che lo hanno preceduto e non discosti dalla suesposta classificazione, le sottocategorie degli olii vergini come illustrate nel relativo allegato XVI (pag. 276) risultano ristrette all'olio di oliva vergine, extra vergine e lampante secondo una impostazione che trova riscontro anche nel regolamento del 2013 sopra già citato e, ancor prima, nel Regolamento Ce 865/2004 con riguardo all'allegato I intitolato "denominazioni e definizioni degli oli di oliva e degli oli di sansa di oliva di cuì all'art. 4".
Medesime considerazioni si evincono del resto dalla analisi di regolamenti operanti anche essi rispetto ai fatti, come effettuata già dal primo giudice e con riguardo tra gli altri ai Regolamenti CE successivi a quello 796/02, tra cui anche quello immediatamente sopra indicato n. 865/2004 del 29 aprile 2004 relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore dell'olio di oliva e delle olive da tavola e recante modifica del Regolamento (CEE) n. 827/6, laddove riconduce anche esso, come già osservato, l'olio di oliva lampante nel più ampio genus degli oli vergini.
Consegue che, avuto riguardo alle predette tre sottocategorie di oli vergini, e allo specifico tema proposto in ricorso della rilevanza del superamento della soglia dei perossidi per gli oli vergini al fine di ricondurre il campione nella sottocategoria dell'olio lampante (anche esso rientrante nella macrocategoria degli oli di oliva vergini), il superamento dell'indice di 20 dei perossidi, previsto come soglia limite per l'olio extra vergine e per l'olio di oliva vergine, imponendo, secondo la espressa dizione della citata "nota c" "il cambiamento di categoria, pur rimanendo classificati in una delle categorie, degli oli di oliva vergini", determina l'inevitabile riconduzione del campione di olio che presenti tale superamento in un altro olio vergine:, il quale ultimo, in presenza di tre sole sottocategorie di oli vergine (ossia, lo si ripete, l'olio di oliva vergine, extra vergine e lampante) rimane solo ed esclusivamente l'olio lampante, in assenza di ogni altro olio vergine per il quale non sia imposto - come appunto accade esclusivamente per l'olio lampante - il limite massimo di 20 dei perossidi. Tale ricostruzione, invero, appare in linea con le argomentazioni tecnico - giuridiche svolte dai giudici di merito e in particolare nella prima sentenza del Tribunale di Siena.
Quanto alla ulteriore considerazione critica circa della non commerciabilità al dettaglio dell'olio lampante (diversamente dagli oli vergini. di oliva ed extravergine) preliminarmente occorre rilevarne la portata secondaria se non irrilevante in sé rispetto alla contestazione, posto che la inclusione nel prodotto finale, per miscelazione, di olio lampante poi commercializzato come extravergine, come contestato in sentenza, già di per sé fonda la ritenuta fattispecie di cui all'art. 515 c.p..
In particolare occorre ricordare che già nella prima sentenza e come si desume dai capi di imputazione di riferimento, si precisa che agli imputati sono contestate varie condotte frodatorie, poste in essere nelle rispettive qualifiche rivestite, consistenti, in particolare, nella commercializzazione di partite di olio con caratteristiche diverse rispetto a quelle pattuite e/o dichiarate, sia per quanto attiene all'origine del prodotto, che alle sue caratteristiche analitiche ed organolettiche. Tali condotte frodatorie sono ripartite, secondo la prospettazione accusatoria, in "frodi storiche" (Capo C) sottocapi 1, 4, 7, 8, terzultimo e ultimo alinea) ed in "frodi all'attualità" (Capo C) sottocapi 2, 3, 5, 6, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23 e penultimo alinea), trattandosi, le prime, di frodi cronologicamente anteriori rispetto all'attività di indagine e le seconde accertate parallelamente allo sviluppo della stessa.
All'interno di tale bipartizione, come sopra accennato, occorre distinguere le frodi aventi ad oggetto l'origine dell'olio commercializzato da quelle afferenti, per quanto in questo motivo di diretto interesse, alle sue caratteristiche qualitative. con la specificazione, per queste ultime, che la tecnica frodatoria contestata si è estrinsecata mediante miscelazioni di varie partite di olio in modo tale da farle risultare fittiziamente ed apparentemente conformi ai parametri previsti dalla normativa comunitaria per consentire che un olio possa essere classificato come extravergine di oliva, attraverso il sistema della c.d. "media ponderata" dei vari valori analitici.
In altri termini, si vuole dire che la accertata ipotesi frodatoria relativa al profilo qualitativo degli oli commercializzati poggia sulla tesi della impossibilità di qualificare come "extra-vergine" - come invece avveniva fraudolentemente - un olio che contenga nelle sue componenti olio lampante che, per quanto sopra osservato, pur rimanendo nella macro - categoria degli oli vergine, si distingue nettamente dall'olio di oliva e di oliva extra vergine. Ed in questo va ribadito il fondamento primario del giudizio di responsabilità, anche specificando per tale parte la motivazione della Corte di appello, ai sensi dell'art. 619 c.p.p., trattandosi di profilo eminentemente giuridico, laddove il riferimento in sentenza alla "vendita di bene privo di qualità edibile formalmente promessa" (pag. 72) non può che riferirsi innanzitutto alla prospettazione di una qualità edibile, quale quella dell'olio extra - vergine di oliva formalmente venduto, non corrispondente a quella reale, per la presenza di oli di qualità ben diversa e in particolare che olio lampante.
2. Quanto al secondo motivo, nella parte in cui afferisce al vizio di motivazione circa la sussistenza delle cd. frodi storiche a carico della ricorrente, di cui ai capi c1, c4 e c8 e terzultimo e ultimo alinea del capo c, con riguardo in particolare alla sussistenza di prove quanto alla intervenuta miscelazione di olii e alla loro commercializzazione, si deve premettere che nella prima sentenza si è formulata una premessa quanto alla tecnica redazionale utilizzata, con particolare riguardo al ricorso alla motivazione per relationem di cui si precisa l'utilizzo "specialmente (ma non solo) in quelle (parti della sentenza ndr) in cui si illustrano fatti circostanze o si affrontano questioni pacifiche e non contestate dalle difese, con riferimento agli atti di indagine compiuti oltre che alla requisitoria depositata dal P.M. ed alle memorie difensive pure depositate". In questo quadro, sul punto in esame il primo giudice, dopo avere evidenziato quella che le stesse difese avevano definito la mission della azienda ricorrente, quale quella di "acquistare e miscelare oli diversi per soddisfare la grande distribuzione, e dunque, il consumatore medio; ha proceduto alla disamina dei singoli punti del capo c) di imputazione (pag. 49). Con riguardo ai fatti di cui al capo ci, ha analiticamente richiamato dichiarazioni testimoniali riferite a specifici contratti di acquisto della Azienda ricorrente, rientranti nella relativa contestazione (anche talvolta richiamando lo specifico allegato e foglio di riferimento di cui alle indagini, a partire dal contratto n. (Omissis) del 2011), con correlate annotazioni inerenti quantità e valori di perossidi o altri indici (es. acidità), idonee più in generale a rivelare il carattere degli olii acquistati come olio lampante. Ha quindi citato l'contenuti di "distinte base" e di documentazioni di analisi, descritti come idonei a rivelare l'avvenuta miscelazione e quindi la assegnazione a vari utenti per la messa in commercio per il consumo. In particolare, ha citato i dati così emergenti a titolo di esempio in un caso, e quindi, evidenziando la ripetizione di tali meccanismi attraverso la lettura di analoghi altri documenti ha rimandato ad altre attività di miscelazione e vendita rinviando espressamente a specifiche annotazione di cui a "fogli (Omissis)".
Riguardo al capo c4, il primo giudice ha seguito una analoga tecnica illustrativa citando i contenuti di contratti, distinte di base comprensive di indicazione di acquirenti finali, schede, dichiarazioni di un testimone, rinviando ad allegati e fogli, concludendo per la appurata vendita delle masse miscelate e falsamente qualificate come olio extravergine. Considerazioni analoghe devono formularsi riguardo alla illustrazione dei fatti contestati al capo c8, circa la vendita di olio di origine non italiana, fondata ampiamente su dati documentali citati.
Riguardo alla frode storica contestata al terz'ultimo alinea del capo c) quale quella inerente la creazione di una massa olearia commercializzata come extravergine italiano alla Certified Origins s.r.l., sebbene composto da masse greche e spagnole, egualmente la motivazione circa le prove dimostrative di tale vicenda poggia sulla valorizzazione delle dichiarazioni di un teste e dei contenuti di documenti analoghi a quelli già citati sopra, con aggiunta di altri, quali talune significative mai.
Riguardo alla frode storica contestata all'ultimo alinea del capo c), relativa alla commercializzazione alla cooperativa Montalbano e alla società Oleificio R.M. s.p.a. di olio come greco e in realtà ottenuto da fornitori spagnoli e tunisini, la motivazione si sviluppa secondo coordinate illustrative analoghe a quelle sopra già esposte.
Con la logica, quanto coerente, conclusione per cui, in base alla documentazione rinvenuta, tanto ufficiale, della A.O.V., che extracontabile - parallela, risulta provata la vendita da parte della ricorrente a terzi di olii con caratteristiche analitiche o di provenienza geografica diversa rispetto a quella pattuita o comunque rispetto a quella effettiva.
In particolare, riguardo al profilo della avvenuta vendita finale, il primo giudice, evidenziato come la difesa avesse in maniera alquanto generica opposto la tesi della assenza di prova circa il fatto che gli assemblaggi di olii dalle caratteristiche diverse da quelle illustrate fossero poi stati messi in vendita, ha ribadito l'avvenuta vendita degli olii aventi le caratteristiche di cui sopra alla luce del dato - invero più che ragionevole - della assenza di documentazione successiva a quella sequestrata e sopra valorizzata, in grado di dimostrare che l'olio poi in concreto compravenduto avesse caratteristiche diverse da quelle emergenti dalle predette fonti documentali. Specificando, ancor più eloquentemente, che se l'olio venduto fosse stato diverso da quello evincibile dalle distinte basi si sarebbe dovuta rinvenire documentazione (invece non trovata) attestante tale diversità, "considerata anche la necessità di un preciso passaggio di consegne tra i vari settori aziendali (laboratorio, magazzino, amministrazione)". E ribadendo alfine come in tal modo (Ndr: testo originale non comprensibile) la circostanza per cui la Azienda ricorrente avrebbe alienato olio con caratteristiche analitiche e/o geografiche "conformi a quanto risultante dalle "distinte dei tagli" e difformi a quanto dichiarato".
Rispetto a tale motivazione e alle corrispondenti censure proposte in appello e richiamate nel motivo in esame e sopra citate, con riguardo al profilo della prova dei fatti contestati, la Corte di appello, nel respingerle, ha sintetizzato il procedimento logico-motivazionale seguito dal Tribunale di Siena e sopra riassunto, ed ha quindi spiegato la ragionevolezza delle elaborazioni argomentative così formulate dal primo giudice, osservando l'inverosimiglianza della tesi difensiva per cui le annotazioni rinvenute sui contratti di vendita e valorizzate per la dimostrazione di quanto contestato fossero state apposte dagli acquirenti (invero, sotto tale profilo ammessi come esistenti dalla difesa) e non dalla venditrice, trattandosi di atti definitivi e non di mere proposte, per giunta rinvenuti nascosti in laboratorio e non in amministrazione; respingendo la prospettazione per cui le annotazioni a mano sulle distinte basi e sui campioni sarebbero segni descrittivi di mere ipotesi di miscelazione, sul rilievo per cui se così fosse stato non si spiegherebbe la loro conservazione ed occultamento.
Si tratta di una motivazione che, con coerenza ed efficacia logica, fa propria la motivazione, per vero articolata e puntuale, del primo giudice, e che come tale risulta rispondere più che adeguatamente alle censure dedotte in appello così che non pare fondato il rilievo critico della mancanza di motivazione sulla illustrazione degli elementi di prova relativi alle singole operazioni oggetto di contestazione Tale valutazione delle risposte dei giudici, che sul punto inerente i capi in questione integrano una motivazione da "doppia conforme" siccome riscontrata in entrambe le sentenze, oltre a fondarsi su una motivazione del collegio di appello già di per sé adeguata e autosufficiente, risponde invero al principio per cui, in presenza di tale ultima circostanza "le sentenze di primo e di secondo grado si saldano tra loro e formano un unico complesso motivazionale, qualora i giudici di appello abbiano esaminato le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata" (cfr. Sez.3, n. 13926 del 01/12/2011 Rv.252615 Valeri; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013 Argentieri).
Deve altresì aggiungersi che "in tema di integrazione delle motivazioni tra le conformi sentenze di primo e di secondo grado, se l'appellante si limita alla riproposizione di questioni di fatto o di diritto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure prospetta critiche generiche, superflue o palesemente infondate, il giudice dell'impugnazione ben può motivare per relationem; quando invece sono formulate censure o contestazioni specifiche, introduttive di rilievi non sviluppati nel giudizio anteriore o contenenti argomenti che pongano in discussione le valutazioni in esso compiute, è affetta da vizio di motivazione la decisione di appello che si limita a respingere con formule di stile o in base ad assunti meramente assertivi o distonici dalle risultanze istruttorie le deduzioni proposte (cfr. Sez.6, n. 28411 del 13/11/2012 Rv. 256435 Santapaola e altri).
Di rilievo, in tema di valutazione delle censure proposte in presenza di una cd. "doppia conforme", è anche il principio per cui "in tema di ricorso in cassazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), la denunzia di minime incongruenze argomentative o l'omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, non possono dar luogo all'annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto - come pure talvolta prospetta con il motivo in esame la difesa, perdendo di vista la portata complessiva della "unitaria" motivazione -, ma è solo l'esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell'impianto argomentativo della motivazione. (cfr. Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013 Rv. 254988 Reggio.; Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017 Rv. 271227 M e altri).
A tale ultimo proposito, con riferimento alla ritenuta rilevanza, ai fini della carenza della motivazione di appello, della intervenuta dichiarazione di inutilizzabilità delle intercettazioni, deve osservarsi che trattasi di un rilievo del tutto infondato e che non tiene conto di come i richiami formulati dal primo giudice alle successive intercettazioni appaiono, rispetto ai capi di imputazione suddetti, estremamente sfumati e irrilevanti nonché secondari, ed al più confermativi di dati documentali.
Quanto alla censura finale relativa al capo c, ultima alinea, per cui mancherebbe nel capo di imputazione ogni indicazione sulla data della operazione e consistenza quantitativa della stessa, per cui non sarebbe possibile verificare la tenuta della motivazione di primo grado, oltre a doversi ribadire la validità della risposta della Corte di appello alla luce delle notazioni di cui sopra, è utile rilevare che si tratta al più di un censura in termini di insufficienza del capo di imputazione che certamente non può essere recuperata sub specie del vizio di motivazione del fatto accertato.
3. Il terzo motivo riguarda vizi di violazione di legge per violazione dell'art. 597 c.p.p., comma 3, in ordine alla confisca della L. n. 231 del 2001, ex art. 19, per la prima volta disposta in appello o in alternativa il vizio di motivazione per omessa motivazione sulle ragioni di infondatezza al riguardo dei motivi di gravame sul punto.
In particolare emerge come con l'atto di appello la resistente abbia dedotto innanzitutto la circostanza per cui la sentenza di primo grado "non poteva condannare la Verdeolio Mediterraneo s.r.l. alla confisca per equivalente per importi che riguardano frodi in commercio che non sono state contestate nel capo di imputazione di cui alla lettera C" rilevando come "l'importo individuato dalla Guardia di Finanza e contestato dal Pubblico ministero come profitto dell'associazione per delinquere, riguarda in realtà operazioni di vendita poste in essere dalla Società Verdeolio, ritenute integrare delle frodi in commercio che (ad eccezione di una) NON sono state però contestate dal Pubblico ministero nel capo di imputazione di cui alla lettera C (e quindi alla lettera D, capo di imputazione che riguarda l'ente e la violazione dell'art. 25-bisl e richiama interamente la descrizione contenuta nel capo C)".
Rispetto a tale deduzione non è dato rinvenire in sentenza alcuna risposta, avendo la Corte solo richiamato rispetto ai distinti capi di imputazione criteri di determinazione del profitto da confiscare senza neppure determinare alfine l'ammontare complessivo confiscato.
Consegue la fondatezza della censura proposta in ordine alla mancata risposta sul punto dedotto e sopra citato, con assorbimento di tutte le altre ulteriori critiche proposte con il presente ricorso.
4. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene quindi di annullare la sentenza impugnata limitatamente all'ammontare della disposta confisca, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Firenze. Con rigetto nel resto del ricorso.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente all'ammontare della disposta confisca, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Firenze. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2023.
Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2023.
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