Violenza sessuale, approfittamento dello stato di prostrazione, angoscia o diminuita resistenza della vittima, sufficienza

Corte di Cassazione, sez. III Penale, Sentenza n.51552 del 20/09/2023 (dep. 28/12/2023)

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Violenza sessuale, approfittamento dello stato di prostrazione, angoscia o diminuita resistenza della vittima, sufficienza

In tema di reati sessuali, ai fini della configurabilità del delitto di cui all'art. 609-bis c.p. non si richiede che la violenza sia tale da annullare la volontà del soggetto passivo, ma che tale volontà risulti coartata dalla condotta dell'agente; né è necessario che l'uso della violenza o della minaccia sia contestuale al rapporto sessuale per tutto il tempo, dall'inizio sino al congiungimento, essendo sufficiente che il rapporto non voluto sia consumato anche solo approfittando dello stato di prostrazione, angoscia o diminuita resistenza in cui la vittima è ridotta.

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Cassazione penale, sez. III, sentenza 20/09/2023 (dep. 28/12/2023) n. 51552

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria dell'li ottobre 2022 in parziale riforma della decisione del Tribunale di Locri del 7 ottobre 2021, riconosciuta la circostanza attenuante dell'art. 609 bis c.p., comma 3, è stata rideterminata la pena nei confronti di R.B.A. in anni 2 e mesi 10 di reclusione per i reati di cui all'art. 572 c.p., commi 1 e 2, (in danno della moglie P.R. e del figlio minore R.A., commesso fino al 13 novembre 2019), art. 609 bis c.p. e art. 609 ter c.p., comma 1, n. 5 quater (nei confronti della moglie P.R., commesso il (Omissis) - unico episodio ritenuto in sentenza -).

2. L'imputato ha proposto ricorso in cassazione, per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

2.1. Violazione di legge (art. 97 c.p.p. e art. 178 c.p.p., comma 1, lett. C); nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa e vizio della motivazione.

Il Tribunale procedeva alla designazione di un difensore d'ufficio ledendo il diritto dell'imputato alla scelta di un difensore di fiducia. L'eccezione risulta proposta con i motivi di appello. La scelta successiva del difensore di fiducia di utilizzazione degli atti (al cambio del collegio e solo per snellire l'attività processuale) non sana la nullità.

2.2. Violazione di legge (artt. 178,179 c.p.p. e art. 97 c.p.p., comma 4); omessa motivazione sullo specifico motivo di gravame di nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa; illegittimità costituzionale dell'art. 97 c.p.p., comma 4.

Il difensore di fiducia per l'udienza del 26 novembre 2020 per un contrattempo era impossibilitato a raggiungere la sede dell'udienza; tramite il nominato difensore d'ufficio chiedeva il differimento dell'udienza di un'ora. Rigettata questa richiesta) il difensore d'ufficio chiedeva un breve termine per preparare la sua difesa in considerazione della complessità del procedimento. Anche questa istanza è stata rigettata. E' stata violata l'effettività della difesa in quanto non consentita una difesa sostanziale all'imputato. Il differimento del dibattimento per una sola ora non poteva essere considerato un abuso da parte dei difensori, ma un tempo proporzionato all'importanza delle attività da compiere nell'udienza (esame dei testi del P.M.).

Qualora si ritenesse non accoglibile il motivo si prospetta l'illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui l'art. 97 c.p.p., comma 4 non prevede un valido termine a difesa, come per il comma 1 della norma, in violazione degli art. 2 e 24 Cost..

2.3. Violazione di legge (art. 572 c.p., artt. 125,546,192,530 e 533 c.p.p.). Mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in relazione alle valutazioni di attendibilità delle dichiarazioni della parte offesa e ai ritenuti riscontri alle stesse.

Le sentenze di merito fanno derivare la responsabilità del reato di violenza sessuale dalla prova della commissione delle condotte di cui al reato di maltrattamenti. La sentenza di appello evidenzia aspetti o concezioni culturali dell'imputato per ritenere, con certezza, la sua colpevolezza in relazione alle violenze sessuali. La persona offesa si è costituita parte civile, solo per lei e non per i figli, e conseguentemente la sua deposizione andava vagliata in modo più rigoroso; anche in considerazione del vincolo di stretta parentela tra le parti offese. Mancano i riscontri alle dichiarazioni della donna.

Invece la sentenza di appello si è avvalsa di argomentazione di puro stile richiamando le argomentazioni della sentenza di primo grado senza indicare i passaggi motivazionali che potevano confutare le censure proposte, in sede di appello, dall'imputato. I testi della difesa, del resto, hanno escluso la sussistenza di maltrattamenti.

Per il reato di maltrattamenti dovrebbe esserci una abitualità della condotta, non dimostrata nel caso in giudizio. Gli episodi contestati si sarebbero verificati in quindici anni di vita matrimoniale; gli stessi non risultano neanche certi. Manca, comunque, il dolo unitario per la configurabilità del reato di maltrattamenti.

2.4. Violazione di legge (art. 530 c.p.p., comma 2, e art. 609 bis c.p.); manifesta illogicità della motivazione sulla ritenuta responsabilità per il reato di violenza sessuale. La Corte di appello ha confermato l'attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, senza un vaglio critico dei motivi di impugnazione. La sentenza esclude l'aggravante dell'art. 609 ter c.p., comma 1, n. 5 ma conferma la sussistenza del reato di violenza sessuale tra coniugi. La ritenuta attendibilità delle dichiarazioni della donna risulta in contrasto con le dichiarazioni del medico curante e del ginecologo.

Ha chiesto pertanto l'annullamento della sentenza impugnata.

2.5. La Procura generale della Corte di Cassazione, sostituto procuratore generale, Dott. Seccia Domenico A. R., ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.

2.6. L'imputato ha presentato note di replica nelle quali ha ribadito la fondatezza del ricorso in cassazione e ne ha richiesto l'accoglimento.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è manifestamente infondato, in quanto i motivi sono generici e ripetitivi dell'appello, senza critiche specifiche di legittimità alle motivazioni della sentenza impugnata. Inoltre, il ricorso, articolato in fatto, valutato nel suo complesso, richiede alla Corte di Cassazione una rivalutazione, non consentita in sede di legittimità.

4. I primi due motivi di ricorso riguardano la violazione del diritto di difesa per mancata concessione del termine (di un'ora) per il difensore nominato ex art. 97 c.p.p., comma 4, in considerazione dell'assenza del difensore di fiducia (che aveva ritardato). La Corte di appello ha evidenziato come l'eccezione risulta, comunque, tardiva (anche se ci fosse nullità) non avendo il difensore d'ufficio e quello di fiducia (intervenuto successivamente nella stessa udienza) formulato nessuna eccezione (nullità a regime intermedio, Sez. 5, Sentenza n. 38381 del 10/02/2017 Ud. (dep. 01/08/2017) Rv. 271116 - 0). La questione è stata, infatti, posta solo con l'appello.

Inoltre, deve rilevarsi che al difensore nominato ex art. 97 c.p.p., comma 4, non spetta il termine a difesa: "Il difensore nominato come sostituto del titolare non comparso ai sensi dell'art. 97 c.p.p., comma 4, non ha diritto alla concessione di un termine a difesa, che, invece, spetta a quello nominato a causa della cessazione definitiva dall'ufficio del precedente difensore per rinuncia, revoca, incompatibilità o abbandono del mandato" (Sez. 2 -, Sentenza n. 46047 del 23/11/2021 Ud. (dep. 16/12/2021) Rv. 282324 - 01).

4.1. La questione di costituzionalità dell'art. 97 c.p.p., comma 4, è manifestamente infondata e, peraltro, non rilevante nel giudizio in quanto è mancata la tempestiva eccezione di nullità, per mancata concessione del termine a difesa.

Del resto, la Corte costituzionale ha già dichiarato manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell'art. 97 c.p.p., comma 4, con ordinanza n. 17 del 2006 (ud. 14 dicembre 2005), ritenendo giustificata la diversa disposizione dell'art. 97 c.p.p., comma 1 in considerazione della sostituzione della difesa per cessazione o altra causa.

5. Relativamente al terzo e al quarto motivo del ricorso in cassazione (sull'attendibilità delle dichiarazioni della parte offesa sia per i reati di maltrattamenti e sia per la violenza sessuale) si deve rilevare che il ricorso è generico, in fatto e reiterativo, richiede alla Corte di legittimità una rivalutazione del fatto non consentita.

La decisione della Corte di appello (e la sentenza di primo grado, in doppia conforme) contiene ampia e adeguata motivazione, senza contraddizioni e senza manifeste illogicità, sulla responsabilità del ricorrente, e sulla piena attendibilità della moglie, parte offesa dei reati di violenza sessuale e del reato di maltrattamenti - unitamente al figlio minore -, peraltro con numerosi riscontri alle sue dichiarazioni.

In tema di giudizio di Cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 - dep. 27/11/2015, Musso, Rv. 265482).

In tema di motivi di ricorso per Cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento. (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 - dep. 31/03/2015, O., Rv. 262965). In tema di impugnazioni, il vizio di motivazione non può essere utilmente dedotto in Cassazione solo perché il giudice abbia trascurato o disatteso degli elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero dovuto o potuto dar luogo ad una diversa decisione, poiché ciò si tradurrebbe in una rivalutazione del fatto preclusa in sede di legittimità. (Sez. 1, n. 3385 del 09/03/1995 - dep. 28/03/1995, Pischedda ed altri, Rv. 200705).

4. La Corte di appello (e il Giudice di primo grado), come visto, ha con esauriente motivazione, immune da vizi di manifesta illogicità o contraddizioni, dato conto del suo ragionamento che ha portato alla valutazione di attendibilità della parte offesa.

Infatti, in tema di reati sessuali, poiché la testimonianza della persona offesa è spesso unica fonte del convincimento del giudice, è essenziale la valutazione circa l'attendibilità del teste; tale giudizio, essendo di tipo fattuale, ossia di merito, in quanto attiene il modo di essere della persona escussa, può essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria. (Sez. 3, n. 41282 del 05/10/2006 - dep. 18/12/2006, Agnelli e altro, Rv. 235578).

Le dichiarazioni della persona offesa possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell'affermazione di responsabilità penale dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. A tal fine è necessario che il giudice indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del suo convincimento, consentendo così l'individuazione dell'iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata; mentre non ha rilievo, al riguardo, il silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame qualora si tratti di deduzione disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, non essendo necessaria l'esplicita confutazione delle specifiche tesi difensive disattese ed essendo, invece, sufficiente una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione senza lasciare spazio ad una valida alternativa. (Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014 - dep. 14/01/2015, Pirajno e altro, Rv. 261730); le regole dettate dall'art. 192 c.p.p., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012 - dep. 24/10/2012, Bell'Arte ed altri, Rv. 253214).

4.1. Nel caso in giudizio le analisi delle due decisioni (conformi) sono precise, puntuali e rigorose nell'affrontare l'attendibilità della donna, rilevando come i fatti sono emersi dalle sue dichiarazioni lineari (della querela e nelle sommarie informazioni testimoniali dell'11 e del 13 settembre 2021) per entrambi i reati in contestazione. Le condotte aggressive e umilianti nei confronti della donna, anche in presenza dei figli minori, si sono concretate anche nella pretesa di rapporti sessuali non voluti. La Corte di appello evidenzia i numerosi riscontri alle dichiarazioni della donna, prima tra tutti le dichiarazioni del figlio A., tutti i testi escussi in dibattimento e i certificati medici.

Per i reati di maltrattamento (peraltro neanche contestati in fatto nel ricorso in cassazione) la sentenza rileva l'attendibilità delle dichiarazioni della donna sui numerosi e gravi episodi di violenza (l'ultimo, l'11 gennaio 2020, quando l'imputato passava dalla finestra per entrare in casa, trascinando la donna fuori (incurante del pianto dei bambini e dell'opposizione del figlio A.) sia nei suoi confronti che riguardo al minore (percosse, ingiurie ed umiliazioni).

Il rapporto sessuale (del (Omissis)) si è consumato nonostante le opposizioni decise della donna che era in cura per una cisti ovarica. La persona offesa ha ricostruito il rapporto nei minimi particolari, come evidenziato dalla due decisioni di merito, in doppia conforme.

4.2. Del resto, deve confermarsi sul punto la costante giurisprudenza di questa Corte che ritiene sussistente la violenza sessuale quando il rapporto sessuale è consumato anche solo approfittando dello stato di prostrazione, angoscia o diminuita resistenza in cui la vittima è ridotta: "In tema di reati sessuali, ai fini della configurabilità del delitto di cui all'art. 609-bis c.p. non si richiede che la violenza sia tale da annullare la volontà del soggetto passivo, ma che tale volontà risulti coartata dalla condotta dell'agente; né è necessario che l'uso della violenza o della minaccia sia contestuale al rapporto sessuale per tutto il tempo, dall'inizio sino al congiungimento, essendo sufficiente che il rapporto non voluto sia consumato anche solo approfittando dello stato di prostrazione, angoscia o diminuita resistenza in cui la vittima è ridotta. (Fattispecie in cui la persona offesa, pur piangendo e manifestando il proprio dissenso, non aveva frapposto alcuna opposizione fisica al rapporto sessuale impostole dal proprio convivente, nel timore derivante da un violento colpo infertole dall'imputato assieme all'intimazione a seguirlo in camera da letto, e nella preoccupazione di non svegliare con le proprie urla il figlio che dormiva nella stanza attigua)" (Sez. 3, Sentenza n. 16609 del 24/01/2017 Ud. (dep. 04/04/2017) Rv. 269631 - 01; vedi anche Sez. 3, Sentenza n. 33049 del 10/05/2017 Ud. (dep. 07/07/2017) Rv. 270643 - 0).

Su questi aspetti il ricorso, articolato in fatto e in maniera del tutto generica, reitera le motivazioni dell'atto di appello senza confrontarsi con la sentenza impugnata. Sostanzialmente non contiene motivi di legittimità nei confronti delle motivazioni della sentenza impugnata. Ripropone acriticamente dubbi soggettivi, adeguatamente risolti dalle decisioni di merito.

5. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati significativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 20 settembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2023.

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