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Mandato d'arresto europeo, per il rifiuto della consegna basta la cittadinanza italiana

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, Sentenza n.5233 del 02/02/2023 (dep. 06/02/2023)

Per rifiutare il mandato d'arresto europeo per un cittadino italiano è sufficiente il formale possesso della cittadinanza italiana.

È quanto stabilito dalla Sesta Cassazione Penale della Cassazione, con la sentenza n. 5233 depositata il 6 febbraio 2023.

La Suprema Corte ha infatti precisato che, per effetto della decisione quadro 2002/584/GAI, per il cittadino italiano non è necessario accertare il suo effettivo radicamento nel territorio nazionale ai fini della opponibilità del motivo facoltativo di rifiuto della consegna per l’esecuzione in Italia della pena.

La condizione della "legittima" ed "effettiva" residenza o dimora dovrà invece essere accertata per opporre il rifiuto alla consegna in caso di cittadino di altro Paese membro dell'Unione Europea.


Vedi anche:

Mandato d’arresto europeo esecutivo, cittadino italiano, motivo facoltativo di rifiuto della consegna, formale possesso della cittadinanza italiana, sufficienza.

In tema di mandato d’arresto europeo esecutivo, nei confronti del cittadino italiano, non è necessario accertare il suo effettivo radicamento nel territorio nazionale ai fini della opponibilità del motivo facoltativo di rifiuto della consegna per l’esecuzione in Italia della pena, essendo sufficiente il formale possesso della cittadinanza.

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Corte di Cassazione, sez. VI Penale, Sentenza n.5233 del 02/02/2023 (dep. 06/02/2023)

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 25 novembre 2022 la Corte di appello di Lecce ha disposto la consegna di D.S.M. all'Autorità giudiziaria tedesca, per essere stato emesso nei suoi confronti dalla Pretura di Kandel un mandato di arresto Europeo in data 3 agosto 2022, al fine di eseguire la pena di mesi dieci di reclusione, irrogatagli con sentenza irrevocabile del 2 giugno 2022 per i reati di concorso nel furto aggravato dalla violenza sulle cose e di guida in stato di ebbrezza alcoolica.

2. Avverso la su indicata decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia, deducendo, con un primo motivo, la violazione di legge per l'omesso esame delle risultanze probatorie che attestavano l'effettivo radicamento del ricorrente sul territorio nazionale, avendo la Corte distrettuale erroneamente rigettato la sua richiesta di esecuzione della pena in Italia sul rilievo che non sarebbe stato offerto alcun elemento indicativo a sostegno dell'esercizio del potere di rifiutarne la consegna allo Stato richiedente.

Si pone in evidenza, al riguardo: a) che il ricorrente non solo è cittadino italiano, ma ha dichiarato alla Corte d'appello, nell'udienza del 2 novembre 2022, di aver fatto rientro in Italia, dalla Germania, nel 2020, abitando stabilmente nel suo paese d'origine (Carpignano Salentino), ove tuttora risiede ed esercita un'attività lavorativa come imbianchino; b) che da qualche mese si era trasferito provvisoriamente in un'altra località ((Omissis)), per stare vicino ai suoi tre figli ed alla sua ex compagna, ivi residenti, prestando attività lavorativa alle dipendenze di una ditta edile di (Omissis); c) che tali circostanze sono state confermate non solo dall'esecuzione della misura cautelare dell'obbligo di dimora in (Omissis) e, successivamente, in (Omissis), ma anche dai relativi controlli, domiciliari e sul luogo di lavoro, svolti dai Carabinieri lungo l'intero arco temporale interessato, senza che alcuna infrazione al riguardo sia stata comunicata.

2.1. Con un secondo motivo, inoltre, si lamenta analogo vizio per avere la Corte distrettuale omesso di considerare gli aspetti relativi alla personalità del reo e alla funzione rieducativa della pena, la cui specifica finalità di reinserimento potrebbe risultare compromessa ove la persona richiesta in consegna fosse costretta a subire una detezione carceraria in luoghi distanti dal proprio contesto sociale, affettivo e familiare, avuto riguardo alla attestazione - che il ricorrente non ha potuto produrre nel giudizio di merito, perché rilasciata dalla Agenzia regionale per le politiche attive del lavoro (ARPAL) il giorno stesso dell'udienza celebrata dinanzi alla Corte d'appello - della continuatività di esercizio dell'attività lavorativa prestata in Italia sin dal momento del suo rientro nel novembre del 2020.

3. Con requisitoria trasmessa alla Cancelleria di questa Suprema Corte in data 17 gennaio 2023 il Procuratore generale ha illustrato le sue conclusioni, chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

4. Con memoria trasmessa alla Cancelleria di questa Suprema Corte in data 19 gennaio 2023 il difensore del D.S., Avv. Alessandro Caggia, ha illustrato, con il corredo di ulteriore documentazione, una serie di argomenti a sostegno della fondatezza dei motivi di impugnazione già dedotti, rimarcando l'esistenza della condizione di uno stabile radicamento del ricorrente sul territorio italiano ed insistendo, conseguentemente, nell'accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato e va accolto per le ragioni di seguito indicate.

2. La decisione impugnata si fonda sull'erroneo presupposto che per il cittadino italiano valga la regola del necessario "radicamento" per poterne rifiutare la consegna e disporre l'esecuzione della pena in Italia.

Al riguardo, invero, la decisione quadro 2002/584/GAI disciplina uno specifico motivo di non esecuzione facoltativa del mandato di arresto Europeo nell'ipotesi in cui (art. 4, punto 6) il mandato d'arresto Europeo sia stato rilasciato ai fini dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privativa della libertà e la persona ricercata dimori nello Stato membro di esecuzione, ne sia cittadino o vi risieda, se tale Stato si impegni a eseguire esso stesso tale pena o misura di sicurezza conformemente al suo diritto interno.

Ne consegue, secondo il dato testuale offerto dal richiamato atto normativo di diritto derivato, la possibilità, per lo Stato membro richiesto, di opporre il rifiuto facoltativo per il soggetto dimorante, cittadino o residente, senza alcun riferimento alla condizione del "radicamento".

Nella sua prima versione la disposizione di cui alla L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 18, comma 1, lett. r), prevedeva un rifiuto obbligatorio solo per il cittadino italiano, senza necessità di accertarne il "radicamento", quand'anche fosse residente all'estero, contemplando la condizione ostativa nei termini di seguito indicati: "se il mandato d'arresto Europeo è stato emesso ai fini della esecuzione di una pena qualora la persona ricercata sia cittadino italiano, sempre che la corte di appello disponga che tale pena...sia eseguita in Italia....".

Con la sentenza n. 227 del 2010 la Corte costituzionale è successivamente intervenuta sul testo della richiamata disposizione, "integrandola" con riferimento alla posizione del cittadino di un altro Stato membro UE, là dove ne ha affermato l'illegittimità costituzionale "...nella parte in cui non prevede il rifiuto di consegna anche del cittadino di un altro Paese membro dell'Unione Europea, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano, ai fini dell'esecuzione della pena detentiva in Italia conformemente al diritto interno".

L'endiadi "legittimamente ed effettivamente" si traduce in una formula lessicale impiegata dalla Corte costituzionale per il solo cittadino di un altro Paese membro dell'Unione Europea, richiedendone il "radicamento", qualora abbia residenza o dimora nel territorio italiano, ai fini dell'esecuzione della pena detentiva conformemente al diritto interno.

La successiva versione del disposto normativo, introdotta con il novellato art. 18-bis a seguito della riformulazione operata dall'art. 6, comma 5, lett. b), della Legge di Delegazione Europea 4 ottobre 2019, n. 117, si è posta in linea con il tenore letterale del testo della decisione quadro, inserendo la previsione del "rifiuto facoltativo" secondo quanto stabilito dal legislatore Europeo, in tal guisa adeguandosi alla decisione della Corte costituzionale.

La richiamata disposizione, infatti, introduce il motivo di rifiuto facoltativo nell'ipotesi in cui il mandato d'arresto Europeo sia stato emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale, "...qualora la persona ricercata sia cittadino italiano o cittadino di altro Stato membro dell'Unione Europea, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano, sempre che la corte di appello disponga che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno".

Tale disposizione, dunque, ha aggiunto al cittadino italiano la posizione del "cittadino UE che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano, ai fini dell'esecuzione della pena detentiva in Italia conformemente al diritto interno", utilizzando la medesima espressione impiegata dalla Corte costituzionale nella richiamata sentenza additiva.

La condizione della "legittima" ed "effettiva" residenza o dimora è riferita, pertanto, al solo cittadino di altro Paese membro dell'Unione Europea, non al cittadino italiano.

L'ultima versione del testo, nella vigente formulazione dell'art. 18-bis, comma 2, per come sostituita dal D.Lgs. 2 febbraio 2021, n. 10, art. 15, comma 1, conferma la direzione finalistica impressa alla norma dalla sua progressiva evoluzione storica, stabilendo che, in caso di mandato di arresto Europeo "esecutivo", la corte di appello "...può rifiutare la consegna della persona ricercata che sia cittadino italiano o cittadino di altro Stato membro dell'Unione Europea legittimamente ed effettivamente residente o dimorante nel territorio italiano da almeno cinque anni, sempre che la corte di appello disponga che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno".

Ne consegue che la facoltatività del rifiuto opponibile per il cittadino italiano, diversamente da quanto previsto per il cittadino di altro Stato membro dell'Unione Europea, non è collegata alla condizione di un positivo accertamento di fatto in ordine all'esistenza del suo eventuale "radicamento", in ragione della legittima ed effettiva residenza o dimora nel territorio italiano.

Ciò, peraltro, non esclude che la Corte di appello, tenuto conto di tutte le circostanze oggettive e soggettive del caso oggetto della sua cognizione, debba valutare di volta in volta la possibilità di opporre, o meno, la condizione ostativa legata al possesso della cittadinanza italiana della persona richiesta in consegna, prendendo in considerazione i molteplici profili legati alla gravità del fatto di reato e delle sue conseguenze sul piano sanzionatorio, alla sua rilevanza e concreta incidenza nell'ambito dei rapporti inter-giurisdizionali di cooperazione a livello Europeo, all'eventuale connotazione di transnazionalità della condotta e al coinvolgimento di vittime, alla natura e alla consistenza delle relazioni affettive, familiari, di lavoro o di altro tipo che ne caratterizzano la richiesta di esecuzione della pena in Italia, o comunque ad altri elementi suscettibili di apprezzamento, sì da giustificare la valorizzazione della garanzia di un effettivo reinserimento sociale della persona condannata all'estero, nella prospettiva legata all'applicazione territoriale del principio costituzionale della finalità rieducativa della pena.

L'interesse correlato al perseguimento della finalità rieducativa della pena, che sottende la formulazione della sua richiesta di esecuzione in Italia, deve essere infatti concretamente bilanciato con l'interesse punitivo dello Stato sul cui territorio if reato è stato commesso.

Entro i limiti fissati da tale prospettiva ermeneutica, dunque, non può essere condivisa la diversa affermazione secondo cui, relativamente alla opponibilità del motivo facoltativo di rifiuto della consegna per l'esecuzione della pena in Italia, previsto anche per il cittadino italiano dalla novellata disposizione di cui alla L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 18-bis, comma 2, occorre l'allegazione di circostanze specifiche e non pretestuose da cui possa evincersi l'effettività del radicamento nel territorio della persona richiesta in consegna (Sez. 6, n. 26021 del 04/07/2022, Sambito, Rv. 283459).

L'allegazione di dati e circostanze specifiche ai fini della verifica in ordine alla sussistenza della condizione dell'effettivo radicamento nel territorio costituisce, come si è visto, un presupposto necessario di valutazione solo per il cittadino di altro Stato membro dell'Unione Europea, non anche per il cittadino italiano.

3. Del su esposto quadro di principi la decisione impugnata non ha fatto buon governo anche sotto un altro, ma connesso profilo di impostazione ricostruttiva del caso di specie, ove si consideri che il ricorrente, pur non avendo prodotto, dinanzi alla Corte distrettuale, la documentazione attestante l'esistenza degli allegati rapporti lavorativi continuativamente instaurati con varie ditte nel biennio antecedente il suo rientro in Italia (documentazione della quale ha solo in seguito ottenuto la disponibilità), aveva comunque offerto durante l'udienza di convalida utili elementi di conoscenza al fine qui considerato, spiegando le ragioni giustificative della sua richiesta di esecuzione della pena detentiva nel territorio dello Stato italiano, con riferimento non solo al possesso del fondamentale requisito della cittadinanza italiana, ma anche alle complessive esigenze di tutela degli interessi affettivi legati alla sua attuale residenza e alla specificità della propria condizione familiare (la documentata residenza con la madre, la nonna e la sorella e la paternità di tre figli conviventi con la sua ex compagna).

Elementi, questi, la cui significativa pregnanza non è stata contraddetta dalle verifiche effettuate dai militari operanti all'atto del controllo durante l'esecuzione della misura cautelare dell'obbligo di dimora, e la cui puntuale, e non pretestuosa, allegazione da parte della persona richiesta in consegna avrebbe dovuto indurre la Corte territoriale a svolgere un'opportuna attività di integrazione del quadro informativo disponibile, ai fini dell'accertamento della ricorrenza della dedotta causa ostativa alla consegna prevista dall'art. 18-bis, comma 2, legge cit., sulla base della prospettata meritevolezza di tutela del proprio interesse all'esecuzione della pena in Italia, a fronte del mero dato di fatto relativo ad una pregressa dimora nel territorio dello Stato emittente, di per sé non sufficiente, in quanto tale, a giustificare la ritenuta esclusione dell'esercizio del potere di opporre un valido motivo di rifiuto alla consegna, con l'adozione della conseguenziali statuizioni decisorie del caso.

4. Sulla base delle su esposte considerazioni, conclusivamente, s'impone l'annullamento con rinvio della decisione impugnata, affinché la Corte distrettuale in dispositivo indicata elimini i vizi rilevati, uniformandosi ai principi in questa Sede stabiliti.

La Cancelleria curerà l'espletamento degli incombenti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Lecce.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.

Così deciso in Roma, il 2 febbraio 2023.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2023.

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