Per la configurabilità del tentativo rilevano non solo gli atti esecutivi veri e propri, ma anche gli atti preparatori che facciano fondatamente ritenere che l'agente abbia definitivamente approntato il piano criminoso in ogni dettaglio, abbia iniziato ad attuarlo e che il delitto sarà commesso, salvo il verificarsi di eventi non prevedibili indipendenti dalla volontà del reo.
È quanto precisato dalla Seconda Sezione Penale della Cassazione con la sentenza n. 6971 depositata 17 febbraio 2023.
La vicenda in esame riguardava una tentata rapina ai danni di un istituto di credito. Gli imputati erano stati bloccati dalle forze dell'ordine prima di poter commettere il reato.
I giudici di merito avevano ritenuto integrato il tentativo di rapina sulla base del fatto che gli imputati avessero organizzato nel dettaglio l'azione e scelto l'obiettivo, ovvero la banca, che si fossero accordati con l'attribuzione di ruoli e l'utilizzo di appositi strumenti e avessero iniziato seriamente a perseguire il loro concreto progetto, giungendo sul luogo in più autovetture e incontrandosi in un luogo precedentemente conosciuto.
La Cassazione, confermando la decisione di merito, ha escluso altresì l'applicabilità della desistenza, in quanto tale istituto richiede che la mancata consumazione del delitto sia dipendente dalla volontà dell'agente. Nel caso in esame, l'intervento delle forze dell'ordine aveva reso irrealizzabile o troppo rischioso il proseguimento dell'attività.
Per la configurabilità del tentativo, rilevano non solo gli atti esecutivi veri e propri, ma anche quegli atti che, pur classificabili come preparatori, facciano fondatamente ritenere che l'agente, avendo definitivamente approntato il piano criminoso in ogni dettaglio, abbia iniziato ad attuarlo, che l'azione abbia la significativa probabilità di conseguire l'obiettivo programmato e che il delitto sarà commesso, salvo il verificarsi di eventi non prevedibili indipendenti dalla volontà del reo.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, Sentenza n.6971 del 25/11/2022 (dep. 17/02/2023)
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 19 marzo 2021 - per quanto qui rileva - la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza emessa dal G.i.p. del Tribunale di Benevento, confermava la dichiarazione di responsabilità di L.M., P.P. e T.R. per il reato di tentata rapina in concorso in danno di un istituto di credito, contestato al capo I), ma rideterminava le pene, avendo assolti i tre imputati dal reato ex art. 416 c.p. sub A) e dichiarato estinto per prescrizione il furto di un'autovettura ascritto al solo L. al capo H).
2. Hanno proposto ricorso. L.M., P.P. e T.R., a mezzo dei rispettivi difensori, chiedendo l'annullamento della sentenza.
3. Il ricorso presentato nell'interesse di L. denuncia il vizio di mancanza e contraddittorietà della motivazione in ordine alla conferma dell'affermazione di responsabilità per il reato di tentata rapina e al trattamento sanzionatorio.
3.1. Quanto al primo aspetto, la difesa sostiene che i giudici di merito hanno ritenuto L. responsabile di una tentata rapina, in ipotesi realizzata il 30 ottobre 2012, solo perché egli fu controllato quattro giorni prima in località distante dal luogo del contestato delitto.
I riscontri - secondo la Corte di appello - sarebbero costituiti da indizi raccolti nell'ambito delle attività investigative svolte in relazione ad altri delitti per i quali, però, l'imputato è stato assolto o è stata rilevata la prescrizione del reato, come nel caso del furto contestato al capo H).
Invero, non è possibile stabilire la data e l'obiettivo del reato, sempre che fosse confermata l'intenzione di commetterlo.
Nessun contributo è stato apportato dalle dichiarazioni del collaboratore G.L., dai giudici di merito ritenuto credibile per certi episodi e non per altri. La colpevolezza di L. è stata affermata sulla base di supposizioni e congetture prive di qualsiasi riscontro obiettivamente apprezzabile.
3.2. Il ricorrente, poi, ha avuto un ruolo marginale nella vicenda che la Corte territoriale non ha valutato, omettendo così di riconoscere le attenuanti generiche e di contenere l'entità della pena, determinata in misura superiore al minimo e con la minima riduzione prevista per l'ipotesi tentata.
4. Con unico motivo il ricorso presentato nell'interesse di P. lamenta mancanza e contraddittorietà della motivazione nonché inosservanza ed erronea applicazione della legge penale (artt. 56 e 628 c.p.) quanto alla conferma dell'affermazione di responsabilità per il reato di tentata rapina.
Nella motivazione il giudice di appello, per confermare la responsabilità di P. ha utilizzato elementi inconferenti relativi a rapine per le quali vi sono state sentenze di assoluzione, una delle quali relativa proprio alla tentata rapina contestata al capo I), emessa nei confronti dei presunti correi giudicati con rito ordinario.
Lo stesso ricorrente è stato assolto per altre due rapine, commesse nel medesimo periodo, dal Tribunale di Benevento, che ha ritenuto G.L. soggetto non credibile, le cui dichiarazioni sono state valutate in modo contraddittorio nella sentenza qui impugnata.
Inoltre, gli elementi valorizzati dalla Corte di appello, consistenti nelle risultanze delle intercettazioni telefoniche, potrebbero tuttalpiù dimostrare la sussistenza di atti preparatori non punibili ma non certo l'univocità e l'idoneità degli atti stessi alla realizzazione di una rapina, specie in assenza di disponibilità di armi e considerato che gli imputati furono notati solo in un bar distante duecento metri dall'istituto di credito e non nei pressi dello stesso.
La Corte territoriale è pervenuta a conclusioni opposte a quelle del Tribunale che ha assolto i coimputati dalla rapina a seguito di una lunga istruttoria dibattimentale e non ha considerato, per valutarlo ai fini del riconoscimento della desistenza, che P., notati gli operanti quando si trovava nel bar, si allontanò per il timore di essere arrestato nuovamente, come successo qualche giorno prima, in quanto sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno.
5. Il ricorso presentato nell'interesse di T. ha contenuto identico a quello di P., fatta eccezione per la circostanza relativa alla specifica posizione del coimputato, quanto al comportamento da questi tenuto nell'immediatezza dei fatti, alla vista dei carabinieri.
6. Disposta la trattazione scritta del procedimento in cassazione, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8, convertito nella L. 18 dicembre 2020, n. 176 (così come modificato per il termine di vigenza dal D.L. 30 dicembre 2021, n. 228, art. 16, convertito nella L. 25 febbraio 2022, n. 15), in mancanza di alcuna richiesta di discussione orale, nei termini ivi previsti, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili perché proposti con motivi generici, non consentiti o manifestamente infondati.
2. Ricorso L..
2.1. Il ricorso si connota per estrema genericità, essendosi confrontato in minima parte con la motivazione della sentenza impugnata.
Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, contenuto essenziale dell'atto di impugnazione è innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta (Sez. U, n. 24591 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027, non mass. sul punto; Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822; Sez. 2, n. 51531 del 19/11/2019, Greco; Sez. 3, n. 12727 del 21/02/2019, Jallow, Rv. 275841; Sez. 5, n. 34504 del 25/5/2018, Cricca, Rv. 273778).
Anche di recente (Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521), questa Corte ha ribadito che sono inammissibili i motivi che riproducono pedissequamente le censure dedotte in appello, al più con l'aggiunta di espressioni che contestino, in termini meramente assertivi e apodittici, la correttezza della sentenza impugnata, laddove difettino di una critica puntuale al provvedimento e non prendano in considerazione, per confutarle in fatto e/o in diritto, le argomentazioni in virtù delle quali i motivi di appello non sono stati accolti.
Per altro verso, pur avendo formalmente espresso censure riconducibili alle categorie del vizio di motivazione, il ricorrente in realtà non ha lamentato una motivazione mancante o contraddittoria, ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata del materiale probatorio, con una prospettazione che contrasta con il diritto vivente, secondo il quale è preclusa alla Corte di cassazione la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova" (così Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; in senso conforme, ex plurimis, v. Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099; da ultimo cfr. Sez. 2, n. 11984 del 27/04/2022, D'Alterio, Rv. 283439, non mass. sul punto).
2.2. Dati inconferenti sono stati richiamati non nella sentenza impugnata bensì nel ricorso in esame, quali quelli inerenti al furto dell'autovettura contestata al capo H) (reato dichiarato estinto per prescrizione, previo accertamento della sussistenza del fatto storico) e delle dichiarazioni del collaboratore G.L., che non hanno riguardato il tentativo di rapina di cui si tratta (peraltro la Corte ha ritenuto il collaboratore del tutto credibile, essendo pervenuta all'assoluzione dell'imputato per altra rapina solo in mancanza di riscontri esterni individualizzanti).
La Corte, invece, ha richiamato il contenuto di numerose conversazioni telefoniche intercettate dal 26 ottobre 2012 (pagg. 16-19), ritenute chiaramente indicative del progetto di rapinare una banca nella giornata del 30 ottobre 2012.
Il tenore delle telefonate, in varie delle quali conversava proprio L., risulta estremamente chiaro, per come riportato nella sentenza impugnata, neppure specificamente censurata sul punto.
Peraltro, va ricordato che l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, non può essere sindacata dalla Corte di cassazione se non nei limiti della manifesta illogicità e irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite. In questa sede, dunque, è possibile prospettare una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il contenuto sia stato indicato in modo difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva e incontestabile (Sez. U, n. 22471 del 26/2/2015, Sebbar, Rv. 263715; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, D'Andrea, Rv. 268389; Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, Folino, Rv. 267650; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Corso, Rv. 258164; da ultimo v. Sez. 2, n. 31920 del 04/06/2021, Alampi, Rv. 281811, non mass. sul punto).
L'obiettivo della rapina programmata (l'agenzia del Monte dei Paschi di Siena di (Omissis)) fu poi accertato, secondo la conforme ricostruzione dei giudici di merito, sulla base del controllo effettuato dai carabinieri il 30 ottobre 2012, in un bar poco distante dalla banca, nel quale erano entrati tutti insieme i tre ricorrenti e altre quattro persone (gli originari coimputati, separatamente giudicati): nell'autovettura nella disponibilità di L. furono rinvenuti rotoli di nastro adesivo, calze di nylon da donna, guanti e una bomba carta e si accertò poi che alcuni soggetti erano giunti dalla Puglia quel mattino stesso.
I giudici di merito hanno altresì rimarcato che L. e altro originario coimputato si erano recati a (Omissis) per quello che è stato logicamente interpretato come un sopralluogo, alla luce anche delle indicazioni date dai due sul tragitto effettuato, contraddittorie fra loro e contrastanti altresì con gli accertamenti effettuati con la verifica dei pedaggi autostradali.
Del tutto generica è la deduzione circa il mancato superamento della "soglia di punibilità prevista dalla legge per poter irrogare una sanzione penale". La questione, comunque, è stata posta in modo specifico dalle altre difese e verrà quindi affrontata nell'esame degli altri ricorsi.
2.3. E' manifestamente infondato il motivo in tema di trattamento sanzionatorio.
La Corte di appello ha motivato il diniego delle attenuanti generiche con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo (valutazione legittima; cfr., ad es., Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, De Crescenzo, Rv. 281590; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, Papini, Rv. 260610) e sulla base dei precedenti penali, che anche da soli possono essere valorizzati per escludere il riconoscimento delle attenuanti (cfr., ad es., Sez. 3, n. 34947 del 03/11/2020, S., Rv. 280444; Sez. 6, n. 57565 del 15/11/2018, Giallombardo, Rv. 274783; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269).
Diversamente da quanto asserito nel ricorso, la pena non è stata diminuita nel minimo di un terzo per l'ipotesi tentata, avendo la sentenza seguito il metodo diretto o sintetico, ossia senza operare la diminuzione sulla pena fissata per la corrispondente ipotesi di delitto consumato (sulla legittimità di tale metodo la giurisprudenza è costante: cfr., ad es., Sez. 5, n. 40020 del 18/06/2019, Halilovic, Rv. 277528; Sez. 3, n. 12155 del 10/11/2016, dep. 2017, Di Figlia, Rv. 270353; Sez. 5, n. 3526 del 15/10/2013, dep. 2014, Birra, Rv. 258461; Sez. 5, n. 39475 del 19/6/2013, Brescia, Rv. 256711; Sez. 1, n. 35013 del 06/06/2013, Colombo, Rv. 257210).
Avuto riguardo ai limiti edittali vigenti all'epoca del fatto, la pena base per il reato di tentata rapina aggravata, quanto a quella detentiva, oscillava da un anno e sei mesi di reclusione (minimo edittale con massima diminuzione per il tentativo) a tredici anni e quattro mesi (massimo edittale con minima diminuzione).
La Corte di appello ha determinato la pena base, prima dell'aumento per la recidiva, in quattro anni e sei mesi di reclusione, dunque in misura largamente inferiore al medio edittale (sette anni e cinque mesi), dandone adeguata motivazione con riferimento alla gravità del fatto e alla personalità dell'imputato.
3. Ricorsi P. e T. (possono essere trattati congiuntamente perché - come detto - il loro contenuto è sovrapponibile).
3.1. Premesso che anche per questi ricorsi risultano pertinenti le considerazioni svolte in precedenza al p. 2.2., risulta inconferente il richiamo a due sentenze definitive con le quali L., P. e T. sono stati assolti dai reati di rapina consumata, commessi il (Omissis), riguardanti evidentemente fatti diversi.
Con fondamento, invece, la sentenza impugnata ha osservato che la sentenza con la quale i quattro originari coimputati, giudicati con rito ordinario, sono stati assolti dalla tentata rapina di cui si tratta, non ha considerato elementi decisivi.
Infatti la sentenza del Tribunale di Benevento emessa in data 8 maggio 2015, allegata al ricorso di P., ha dato atto che "gli imputati erano all'interno di un bar a distanza di circa 200 metri dall'istituto bancario", che "le autovetture in loro uso erano parcheggiate innanzi al locale in direzione della Banca, che "all'interno di una di esse vennero rinvenuti oggetti compatibili per la consumazione di una rapina", ma ha poi sommariamente concluso per la equivocità di detti atti, "tenuto conto soprattutto della distanza tra il luogo in cui si trovava l'istituto bancario e quello in cui si trovavano i prevenuti" (pag. 6).
A prescindere dalla valutazione circa la distanza (duecento metri) fra il bar e la sede della banca (colmabile, in auto, in pochi secondi), l'evidentissimo vuoto motivazionale rimarcato dalla Corte di appello è costituito dalla omessa valutazione delle chiare risultanze delle conversazioni telefoniche intercettate nei giorni precedenti, corroborate dal sopralluogo effettuato il 26 ottobre 2012, che - come si è visto - rappresentano la chiave decisiva per interpretare l'univocità della condotta posta in essere dai ricorrenti prima di essere controllati e fermati dalle forze dell'ordine.
3.2. I giudici di merito, ritenendo univoci gli atti, hanno fatto corretta applicazione del principio, affermato dalla giurisprudenza di legittimità di gran lunga prevalente, secondo la quale, per la configurabilità del tentativo, rilevano non solo gli atti esecutivi veri e propri, ma anche quegli atti che, pur classificabili come preparatori, facciano fondatamente ritenere che l'agente, avendo definitivamente approntato il piano criminoso in ogni dettaglio, abbia iniziato ad attuarlo, che l'azione abbia la significativa probabilità di conseguire l'obiettivo programmato e che il delitto sarà commesso, salvo il verificarsi di eventi non prevedibili indipendenti dalla volontà del reo (cfr., ad es., Sez. 2, n. 24302 del 04/05/2017, Gentile, Rv. 269963; Sez. 5, n. 18981 del 22/02/2017, Macori, Rv. 269931; Sez. 2, n. 11855 del 08/02/2017, Fincato, Rv. 269930; Sez. 2, n. 52189 del 14/09/2016, Gravina, Rv. 268644; Sez. 2, n. 25264 del 10/03/2016, Colombo, Rv. 267006; Sez. 2, n. 40912 del 24/09/2015, Amatista, Rv. 264589; Sez. 2, n. 46776 del 20/11/2012, D'Angelo, Rv. 254106; Sez. 2, n. 41649 del 05/11/2010, Vingiani, Rv. 248829; di recente v. anche Sez. 1, n. 29101 del 18/06/2019, Musicò, non mass. sul punto nonché, da ultimo, Sez. 5, n. 42326 del 04/10/2022, Scibilia, non mass.).
Con condivisibile valutazione, il Procuratore generale, nelle conclusioni scritte, ha osservato che nel caso di specie "l'accertamento desumibile dalla sentenza impugnata consente di ritenere che gli imputati avessero organizzato nel dettaglio l'azione e scelto l'obiettivo (banca in (Omissis)), che si fossero accordati con l'attribuzione di ruoli e l'utilizzo di appositi strumenti e avessero iniziato seriamente a perseguire il loro concreto progetto, giungendo sul luogo dalla Puglia in più autovetture e incontrandosi in un luogo precedentemente conosciuto, venendo tuttavia bloccati anzitempo dalle Forze dell'ordine".
Anche in ordine alla presunta inidoneità della condotta, la deduzione difensiva è priva di fondamento.
L'idoneità degli atti va valutata ex ante in relazione alla condotta originaria dell'agente e non con riferimento alle circostanze impreviste che abbiano impedito il verificarsi dell'evento o il compimento dell'azione: essa è criterio di determinazione dell'adeguatezza causale, intesa come attitudine a creare una situazione di pericolo attuale e concreto, di lesione del bene protetto dalla norma incriminatrice.
Pertanto, l'inidoneità dell'azione che rende impossibile l'evento dannoso o pericoloso esige che l'incapacità di produrre l'evento sia assoluta, intrinseca e originaria secondo una valutazione oggettiva da compiersi ex ante, risalendo al momento iniziale del suo compimento, e ciò indipendentemente da ogni cautela predisposta dalla persona offesa ovvero intervento successivo che abbia impedito la realizzazione di tale evento (Sez. 1, n. 870 del 17/10/2019, dep. 2020, Mazzarella, Rv. 278085; Sez. 2, n. 36311 del 12/07/2019, Raicevic, Rv. 277032; Sez. 6, n. 17988 del 06/02/2018, Mileto, Rv. 272810; Sez. 1, n. 36726 del 02/07/2015, L.M., Rv. 264567; Sez. 5, n. 9254 del 15/10/2014, dep. 2015, Semeraro, Rv. 263058; da ultimo v. Sez. 4, n. 34956 del 15/06/2022, Poropat, non mass.).
I giudici di merito hanno correttamente applicato detti principi, risultando priva di fondamento l'apodittica affermazione secondo la quale la disponibilità di una bomba carta, oltre che dei capi utili per il travisamento, non sarebbe stata idonea allo scopo.
3.3. Non coglie nel segno neppure l'ultima deduzione in tema di desistenza. L'applicabilità dell'istituto della desistenza (art. 56 c.p., comma 3) richiede che la mancata consumazione del delitto sia dipendente dalla volontà dell'agente. Se per un verso è vero che non è necessario che la rinuncia all'azione criminosa sia spontanea o espressione di un autentico ravvedimento, per altro verso è però essenziale che la scelta sia volontaria, vale a dire non imposta da circostanze esterne (quali, ad esempio, la resistenza della vittima, ovvero, come nel caso di specie, l'intervento delle forze dell'ordine) che rendano irrealizzabile o troppo rischioso il proseguimento dell'attività (cfr. Sez. 3, n. 17518 del 28/11/2018, dep. 2019, T., Rv. 275647; Sez. 4, n. 12240 del 13/02/2018, Ferdico, Rv. 272535; Sez. 2, n. 7036 del 29/01/2014, Canade', Rv. 258791conf. Sez. 2, n. 18385 del 5/4/2013, Pesce, Rv. 255919; Sez. 6, n. 203 del 20/12/2011 dep. 2012, Del Giudice, Rv. 251571; da ultimo v. Sez. 5, n. 40888 del 28/09/2022, Laezza, non mass.).
4. Alla inammissibilità delle impugnazioni proposte segue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 25 novembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2023.