Il farmacista che somministra farmaci “off label”, ovvero utilizzati per scopi diversi da quelli consigliati, senza adeguata valutazione clinica e al di fuori dei canoni previsti dalla legge n. 94/1998 (c.d. legge Di Bella) e del Codice deontologico, risponde del reato di lesioni colpose ex art. 590 Cp.
Lo ha stabilito la Quarta sezione penale della Cassazione con la sentenza n. 10658 depositata il 14 marzo 2024.
Nel caso di specie, una donna si era rivolta a un farmacista per una dieta dimagrante. La stessa tuttavia aveva subito gravi effetti collaterali dopo l'assunzione di pillole preparate dal farmacista, assunte senza precedenti valutazioni cliniche, contravvenendo così alla legge n. 94/1998, nota come legge Di Bella, e al Codice deontologico farmaceutico. I sintomi riportati dalla paziente includono perdita dell'appetito, sete incessante, vomito, dissenteria, paralisi degli arti, interruzione del ciclo mestruale e caduta dei capelli, sintomi che hanno notevolmente ridotto la sua qualità di vita.
La sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (confermata dalla Corte d'appello di Napoli), condannava il farmacista a due mesi di reclusione e al pagamento di un risarcimento per i danni subiti dalla donna. La decisione sottolinea la gravità delle azioni del farmacista, stabilendo un preciso collegamento tra la somministrazione non autorizzata dei farmaci e le lesioni subite dalla paziente.
La Corte di Cassazione conferma il giudizio di merito ribadendo altresì che:
Cassazione penale, sez. IV, sentenza 13/02/2024 (dep. 14/03/2024) n. 10658
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 15 marzo 2023 la Corte d'appello di Napoli ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere il 29 novembre 2021 aveva ritenuto Fu.Gu., in qualità di farmacista, responsabile del reato di cui all'art. 590 cod.pen. ai danni di Vu.Da. e lo aveva condannato alla pena di mesi due di reclusione oltre che al risarcimento dei danni patiti dalla parte civile Vu.Da. da liquidarsi in separata sede.
2. I fatti oggetto del procedimento, come ricostruiti dalle sentenze di merito, sono i seguenti:
nel marzo del 2015 Vu.Si. si rivolgeva a Fu.Gu., titolare di una farmacia in P. M., e noto anche per l'esercizio di fatto dell'attività di dietologo, per intraprendere una dieta (benché avesse un peso di Kg. 60 per un'altezza di 1,72 m) il quale le assicurava che le avrebbe dato "un codice bello forte" che le avrebbe consentito un rapido dimagrimento.
In quell'occasione non venne fatta alcuna visita medica, né vennero ordinate analisi di laboratorio né venne stilata la classica dieta con l'indicazione dei pasti e delle relative quantità. Il trattamento dimagrante era costituito unicamente dalla somministrazione di pillole preparate dalla stesso Fu.Gu., la cui confezione costava circa euro 250,00 e che dovevano essere assunte prima dei pasti principali (quattro al mattino, quattro prima di pranzo e quattro prima di cena); tali pillole, a detta del farmacista, avrebbero eliminato le calorie introdotte con il cibo ed avrebbero assicurato il dimagrimento a prescindere da ciò che la paziente mangiava.
Sin da subito la Vu.Si. avvertiva una totale perdita dell'appetito, una continua sete nonché conati di vomito ed un senso di spossatezza che limitava notevolmente la qualità di vita al di là del dimagrimento registrato. Contattato il Fu.Gu. e rappresentatigli i disturbi, lo stesso le diceva di continuare la cura.
Successivamente i sintomi peggioravano in quanto, oltre alla perdita di appetito ed alla sete, erano aumentati dissenteria e vomito che si manifestavano anche alla guida ed era subentrata una paralisi agli arti inferiori che si era poi estesa alle mani e perfino alla testa; inoltre si erano verificati l'interruzione del ciclo mestruale e la perdita dei capelli che costringevano la Vu.Si. a ricorrere ad una parrucca.
Il 7 luglio 2015 la Vu.Si. veniva ricoverata alla Clinica Pineta Grande di C. da dove il giorno dopo, stante la gravità della situazione veniva trasferita all'Ospedale Cardarelli di Napoli dal quale veniva dimessa solo il 22 luglio.
Una volta dimessa, non era ancora in buone condizioni di salute; nel mese di settembre si recava per una consulenza dal Dott. Mo.Pa. il quale, dopo aver visionato la cartella clinica, acquisita il 14 dicembre 2015, esprimeva le sue valutazioni che poi confluivano nella relazione tecnica del 16.9.2016.
Nel corso dell'istruttoria venivano acquisite le copie delle cartelle cliniche delle due strutture sanitarie presso le quali la Vu.Si. era stata ricoverata.
Venivano altresì assunte le prove testimoniali (persona offesa nonché madre e sorella della medesima) ed acquisite le relazioni del consulente della Vu.Si., Dott. Mo.Pa., con l'incarico di ricostruire la sua vicenda clinica, del Dott. Le.Lu., consulente medico-legale della Procura; del Dott. De., consulente tossicologico della Procura e della dott.ssa Ra., consulente medico -legale della difesa.
Il Dott. Mo.Pa., in particolare, accertava che le pillole vendute dal Fu.Gu. contenevano oltre a diuretici e vitamine, efedrina (sostanza solitamente usata per la cura dell'asma ma che nelle diete agisce aumentando il metabolismo cellulare e stimolando la secrezione di catecolamine) e naxeltrone (che é un antagonista degli oppiacei e che riduce l'attività dei centri cerebrali che controllano la sensazione di piacere collegata all'ingestione del cibo ma che é anche fortemente epatotossico e va dunque somministrato solo in caso di assoluta necessità).
Concludeva che si trattava di farmaci "off label", cioè utilizzati per scopi diversi da quelli consigliati, senza alcuna valutazione del rapporto tra costi e benefici, senza adeguata valutazione clinica, senza ricetta, al di fuori dei canoni previsti dalla legge 94/98 (c.d. legge Di Bella) e del Codice deontologico e peraltro da soggetto che, essendo farmacista, non era neanche abilitato a somministrarli.
3. Il giudice di primo grado, una volta verificato il profilo della procedibilità dell'azione, messo in discussione dalla difesa dell'imputato, ha ritenuto la sussistenza del reato contestato, ritenendo molteplici profili di colpa sia generica che specifica in capo all'odierno imputato.
Del pari ha ravvisato la sussistenza del nesso di causalità tra il trattamento somministrato dal Fu.Gu. e le lesioni patite dalla Vu.Si., come riconosciuto in termini di assoluta certezza da tutti i consulenti (ad eccezione della Ra. in termini tuttavia generici). La ipokalemia, e più in generale il grave squilibrio elettrolitico riscontrato nella Vu.Si., che l'aveva disadratata in modo pericoloso, non poteva che essere derivato dalla somministrazione spregiudicata ed in massicce quantità di molecole quali il bumetamide che, peraltro, sono state associate ad altre molecole che pure presentavano un grado di tossicità non trascurabile e che addirittura interagivano sui centri nervosi.
La persona offesa, giovane ed in buona salute, in soli tre mesi di trattamento, aveva visto compromesse le sue condizioni di salute in maniera così rilevante da dover essere ricoverata con pericolo tutt'altro che lieve per la sua salute.
4. L'impianto motivatorio della sentenza di primo grado veniva integralmente recepito dal giudice d'appello.
5. Avverso detta sentenza l'imputato, a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi.
Con il primo deduce la nullità della sentenza ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale con riferimento alla violazione dell'art. 124 cod.pen. sul termine prescritto per presentare la querela da parte della persona offesa.
Rileva che l'eccezione di tardività della querela è stata evidenziata anche dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere a seguito dell'indagine che conduceva il Pubblico Ministero a chiedere l'archiviazione e successivamente eccepita dall'imputato sia in primo grado che in appello.
Si assume che la sequenza dei fatti dimostra che la persona offesa ebbe conoscenza dei fatti alla data del luglio-settembre 2015 quando l'ospedale napoletano ed i medici, in particolare il dermatologo cui si era rivolta, rappresentavano le probabili ipotesi circa le conseguenze manifestatesi.
Peraltro l'Ospedale Cardarelli di Napoli indicava una polmonite bilaterale che non aveva e non poteva avere alcuna specifica attinenza con l'assunzione di erbe/galenici del farmacista e la cartella clinica, ottenuta dalla Vu.Si. solo in data 15.12.2015, non riferiva nulla della causalità dell'evento e quindi detta cartella non certifica che la dieta fosse la causa di quanto lamentato.
Si assume inoltre che il Fu.Gu. non era un medico e che la somministrazione delle pillole non impediva al paziente di mangiare di talché non può parlarsi di colpa medica ma di mera vendita di prodotti galenici che comporta l'inapplicabilità della disciplina richiamata in tema di tardività della querela.
Con il secondo motivo di ricorso deduce la nullità della sentenza ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e) per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per la mancata verifica/analisi del contenuto delle pasticche.
Lo stesso consulente del PM, Dott. De., ha chiaramente ammesso di non aver effettuato alcun esame sul contenuto delle pasticche essendosi rifatto alle sostanze riportate sul flacone.
Si assume che non è dimostrato che la Vu.Si. abbia assunto efedrina, natrexone e bumetanide anche perché il farmacista dimostrava al contrario che quelle sostanze non venivano utilizzate dalla farmacia.
Inoltre entrambi i giudici di merito hanno valorizzato solo alcuni aspetti della vicenda trascurandone altri, quali il fatto che l'Ospedale Cardarelli attestò che la Vu.Si. era affetta da polmonite bilaterale e che la ipokalemia era dovuta alla mancata assunzione di cibo da parte della paziente che aveva scelto di non alimentarsi.
Con il terzo motivo deduce la nullità della sentenza ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale con riferimento alla violazione degli articoli in tema di prescrizione del reato.
Rileva l'intervenuta e maturata prescrizione del reato prima della sentenza d'appello atteso che il delitto in esame si é consumato tra il marzo ed il luglio del 2015.
Con il quarto motivo deduce la nullità della sentenza ai sensi dell'art. 606 comma 1, lett. e) per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per aver posto a base della decisione unicamente le dichiarazioni interessate e strumentali della persona offesa.
La Corte d'appello avrebbe posto a base della propria decisione il racconto della persona offesa che avrebbe attribuito all'odierno imputato ogni conseguenza del suo stato di salute.
6. Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è nel suo complesso inammissibile per le ragioni che si andranno di seguito ad analizzare.
1.1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. La Corte di appello indica, con motivazione congrua e non manifestamente illogica, il giorno 14.12.2015 (data nella quale fu consegnata alla persona offesa la cartella clinica) come quello nel quale la persona offesa ebbe ad acquisire consapevolezza della riconducibilità del fatto lesivo alla imperizia dell'imputato e ciò in quanto solo allora la donna ebbe la possibilità di porre in relazione le lesioni patite con l'operato del professionista.
Ebbene, tale conclusione risulta assolutamente coerente con il consolidato principio per cui il termine per proporre la querela per il reato di lesioni colpose determinate da colpa medica inizia a decorrere non già dal momento in cui la persona offesa ha avuto consapevolezza della patologia contratta, bensì da quello, eventualmente successivo, in cui la stessa sia venuta a conoscenza della possibilità che sulla menzionata patologia abbiano influito errori diagnostici o terapeutici dei sanitari che l'hanno curata (Sez. 4, n. 35424 del 11/11/2020, Di Mario, Rv. 280076; Conf. N. 17592 del 2010 Rv. 247096, N. 13938 del 2008 Rv. 239255 , N. 21527 del 2015 Rv. 263855).
Pertanto, come ritenuto dalla Corte di appello, la querela proposta in data 14.3.2016 risultava tempestiva.
2. Il secondo motivo è del pari manifestamente infondato.
La mancata corrispondenza tra il contenuto delle pasticche somministrate e quanto riportato sul flacone è una circostanza meramente ipotizzata e priva di ogni riscontro probatorio; peraltro nel caso che ci occupa i farmaci somministrati alla Vu.Si. erano direttamente preparati e confezionati dall'odierno imputato, risultando del tutto congetturale e peraltro priva di giustificazione logica l'ipotesi della mancata corrispondenza tra la composizione delle pasticche e quanto indicato sul contenitore.
3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Nel reato di lesioni personali colpose riconducibili a responsabilità medica, la prescrizione inizia a decorrere dal momento dell'insorgenza della malattia "in fieri", anche se non ancora stabilizzata in termini di irreversibilità o di impedimento permanente. (Sez. 4, n. 18347 del 29/04/2021).
Ebbene, nella specie tale momento può ricondursi all'acquisizione della cartella clinica avvenuta in data 14.12.2015 di talché la prescrizione, pari ad sette anni e sei mesi, risulta maturata in epoca successiva a quella della decisione qui impugnata.
4. Il quarto motivo è del pari inammissibile.
A prescindere dalla genericità, la censura si traduce nella critica alla valutazione della prova consistita nell'esame della persona offesa da parte del giudice di merito, non consentita in sede di legittimità. Peraltro, contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, il giudizio di penale responsabilità nei riguardi dell'odierno imputato si é fondato sulle prove dichiarative ma ancor più sui dati oggettivi introdotti dalle consulenze tecniche disposte nel corso del giudizio.
5. In conclusione il ricorso è inammissibile.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 13 febbraio 2024.
Depositata in Cancelleria il 14 marzo 2024.