L'ordinanza di custodia cautelare personale emessa nei confronti di un imputato o indagato alloglotta, ove sia già emerso che questi non conosca la lingua italiana, è affetta, in caso di mancata traduzione, da nullità ai sensi del combinato disposto degli artt. 143 e 292 cod. proc. pen. Ove, invece, non sia già emerso che l'indagato o imputato alloglotta non conosca la lingua italiana, l'ordinanza di custodia cautelare non tradotta emessa nei suoi confronti è valida fino al momento in cui risulti la mancata conoscenza di detta lingua, che comporta l'obbligo di traduzione del provvedimento in un congruo termine; la mancata traduzione determina la nullità dell'intera sequenza di atti processuali compiuti sino a quel momento, in essa compresa l'ordinanza di custodia cautelare.
Cassazione penale, sez. un., sentenza 26/10/2023 (dep. 11/04/2024) n. 15069
RITENUTO IN FATTO
1. L'indagato Ni.To., il 18 luglio 2022, veniva sottoposto a fermo di polizia giudiziaria per il tentato omicidio di Bo.Kr., commesso a R il 17 luglio 2022.
In conseguenza del fermo, il 22 luglio 2022, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, su richiesta del Pubblico ministero, celebrava l'udienza di convalida con l'assistenza di un interprete, nominato sul presupposto, di cui si dava espressamente atto, che l'indagato, di nazionalità polacca, non comprendeva la lingua italiana.
All'esito dell'udienza, con ordinanza del 22 luglio 2022, il giudice convalidava il fermo e applicava la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di Ni.To. L'ordinanza veniva notificata all'interessato e al suo difensore in lingua italiana, senza essere tradotta nella lingua conosciuta dall'indagato.
Successivamente, il difensore dell'indagato, con due istanze, presentate il 21 settembre 2022 e il 24 ottobre 2022, chiedeva al giudice che venisse dichiarata la perdita di efficacia della misura cautelare per la mancata traduzione dell'ordinanza genetica, ex art. 306 cod. proc. pen. Tale omissione, infatti, concretizzava una violazione dell'art. 143, comma 2, cod. proc. pen., su cui doveva pronunciarsi il giudice che aveva adottato il provvedimento censurato, in linea con la giurisprudenza espressamente richiamata (Sez. U, n. 26 del 05/07/1995, Galletto, Rv. 202015 - 01).
Investita delle citate istanze, l'autorità procedente, con provvedimento del 16 novembre 2022, dichiarava il non luogo a provvedere sulla seconda delle due richieste, rilevando che, nelle more, la traduzione dell'ordinanza cautelare in lingua polacca era stata effettuata ed era stata notificata all'indagato l'11 ottobre 2022.
2. Avverso l'ordinanza del 16 novembre 2022 Ni.To., a mezzo dell'avv. Fabrizio Preziosi, proponeva appello, ai sensi dell'art. 310 cod. proc. pen., censurando il ritardo con cui il giudice si era pronuncato sulle istanze presentate ex art. 306 cod. proc. pen. e deducendo che il provvedimento genetico tradotto era stato notificato in carcere all'indagato l'11 ottobre 2022, oltre quello che poteva ritenersi "un termine congruo".
Si deduceva, al contempo, richiamando la notifica dell'ordinanza tradotta, che il provvedimento censurato aveva eluso l'oggetto delle istanze dell'indagato, che non erano finalizzate a sollecitare la traduzione in lingua polacca, ma a ottenere la declaratoria di inefficacia della misura cautelare ex art. 306 cod. proc. pen.
Il Tribunale del riesame di Roma, con ordinanza del 24 gennaio 2023, rigettava l'appello, osservando che la mancata traduzione del provvedimento che dispone una misura cautelare in una lingua conosciuta dall'arrestato alloglotta non ne determinava, ex se, l'invalidità, ma comportava soltanto che i termini per proporre l'impugnazione decorressero dal momento in cui l'indagato o l'imputato straniero avessero ricevuto la traduzione dell'atto, richiamando, in tal senso, una recente pronuncia di legittimità (Sez. 5, n. 22065 del 06/07/2020, Bhiari, Rv. 279447 - 01).
Non si era, pertanto, verificato alcun vizio del provvedimento genetico, atteso che dalla data della notifica della traduzione, avvenuta l'11 ottobre 2022, decorrevano i termini per proporre la richiesta di riesame ex art. 309 cod. proc. pen., che, nel caso di specie, erano ampiamente spirati.
3. Avverso l'ordinanza del 24 gennaio 2023 Ni.To., a mezzo dell'avv. Fabrizio Preziosi, propone ricorso per cassazione, aiticolando quattro motivi.
3.1. Con il primo motivo si contesta il fatto che, secondo il Tribunale del riesame di Roma, nell'appello proposto ai sensi dell'art. 310 cod. proc. pen., l'interessato avrebbe dovuto indicare "in cosa l'omessa traduzione avrebbe menomato i diritti dell'indagato", senza considerare che "tale lesione dei diritti è insita nella stessa previsione normativa della nullità e degli effetti derivanti".
3.2. Con il secondo motivo, già esaminato nell'ordinanza di rimessione, si lamenta l'erronea risposta dell'ordinanza circa la mancata trasmissione al Tribunale del riesame di Roma del provvedimento con cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma aveva disposto la traduzione, e la mancata conoscenza della data di questa e del suo autore; circostanze che avrebbero determinato la violazione degli artt. 143, commi 5 e 6, 144, 146, 147 e 310 comma 2, cod. proc. pen.
3.3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione degli artt, 125 e 306 cod. proc. pen., conseguente al fatto che il Tribunale del riesame di Roma aveva ritenuto non rilevante la mancata risposta del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma alle sollecitazioni, contenute nelle istanze presentate da Ni.To. il 21 settembre 2022 e il 24 ottobre 2022, di disporre la traduzione del provvedimento genetico, essendo comunque,, a fronte delle stesse, di fatto, questa, stata disposta; in realtà, con le richieste in questione non si erano effettuati dei meri solleciti, ma si erano proposte specifiche eccezioni mirate a dedurre l'inefficacia della misura.
3.4. Con il quarto motivo si lamenta la violazione degli artt. 143, comma 2, e 306 cod. proc. pen., conseguente alla mancata risposta del Tribunale del riesame di Roma in ordine alla dedotta inosservanza della congruità del termine previsto per la traduzione, che avrebbe comportato l'inefficacia della misura.
4. Con ordinanza del 4 maggio 2023 la Prima Sezione penale della Corte di cassazione, assegnataria dell'atto di impugnazione secondo le regole tabellari di organizzazione dell'ufficio, ha rimesso il ricorso proposto da Ni.To. alle Sezioni Unite, ai sensi dell'art. 618 cod. proc. pen.
A sostegno della rimessione la Prima Sezione penale ha rappresentato l'esistenza di un contrasto interpretativo, riguardante l'individuazione delle conseguenze processuali derivanti dall'omessa o tardiva traduzione del provvedimento che dispone una misura cautelare personale nei confronti di un soggetto alloglotta che non conosce la lingua italiana.
Secondo il primo orientamento, l'omessa o tardiva traduzione non dà luogo ad una nullità, come desumibile dall'art. 143, comma 1, cod. proc. pen., che fa esclusivo riferimento alla finalità della traduzione degli atti fondamentali, funzionale a consentire l'esercizio del diritto di difesa, senza prevedere alcuna sanzione processuale.
Secondo tale opzione interpretativa, l'omessa o intempestiva traduzione dell'ordinanza di custodia cautelare adottata nei confronti dell'imputato o dell'indagato alloglotta non attiene alla struttura del provvedimento e non ne determina la nullità, non rientrando in alcuna delle ipotesi disciplinate dagli artt. 178 e 179 cod. proc. pen., ma riguarda, piuttosto, la sua efficacia, potendo, al più, incidere sulla validità degli atti processuali derivati (tra le altre, Sez. 5, n. 22065 del 06/07/2020, Bhiari, cit.; Sez. 5, n. .1.0993 del 05/12/2019, dep. 2020, Chanaa, Rv. 278883 - 01; Sez. 6, n. 51951 del 17/10/2017, Minte, Rv. 271655 -01).
Secondo il contrapposto orientamento giurisprudenziale, la mancata o tardiva traduzione del provvedimento che dispone una misura cautelare personale configura un vizio dell'atto, pur essendo differenti gli effetti processuali che ne derivano a seconda del momento in cui l'autorità procedente apprende che l'arrestato non comprende la lingua italiana nella quale è stata redatta l'ordinanza.
Se, infatti, tale conoscenza precede l'adozione dell'atto, l'omessa o tardiva traduzione configura un vizio del provvedimento riconducibile all'alveo delle nullità a regime intermedio, ex artt. 178 e 180 cod. proc. pen., in linea con quanto affermato dalle Sezioni Unite in un risalente intervento chiarificatore (Sez. U, n. 5052 del 24/09/2003, dep. 2004, Zalagaitis, Rv. 226717 - 01),
successivamente ribadito da altre pronunce (tra le altre, Sez. 4, n. 33802 del 18/05/2017, Ojeareghan, Rv. 270610 - 01; Sez. 3, n. 14990 del 18/02/2015, Vervaeren, Rv. 263236 - 01; Sez. 3, n. 26846 del 29/04/2004, Ionascu, Rv. 229295 - 01).
Se, invece, l'ignoranza della lingua italiana da parte dell'arrestato non è nota al momento dell'adozione dell'ordinanza di custodia cautelare, l'autorità giudiziaria, non appena emerga tale circostanza, deve disporre la traduzione dell'atto "entro un termine congruo", così come prescritto dall'art. 143, comma 2, cod. proc. pen.
In questo secondo caso, l'eventuale traduzione dell'atto in un termine incongruo concretizza un'ipotesi di invalidità sopravvenuta, che deve essere valutata in modo flessibile, dovendosi tenere conto sia della diffusione della lingua conosciuta dal soggetto alloglotta sia dei tempi occorrenti per il reperimento dell'interprete (tra le altre, Sez. 6, n. 48469 del 04/12/2008, Abdalla, Rv. 242147 - 01; Sez. 6, n. 9041 del 15/02/2006, IEI Khamlichi, Rv. 233916 - 01).
Sulla base di tali considerazioni, la Prima Sezione penale ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, sottolineando la rilevanza della questione di diritto oggetto di contrasto e osservando che, a seconda dell'opzione ermeneutica prescelta, derivano conclusioni differenti in ordine alle modalità con cui è stata eseguita la traduzione dell'ordinanza di custodia cautelare in carcere applicata a Ni.To. il 22 luglio 2022.
5. Con decreto del 1 agosto 2023, la Prima Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite e ne ha disposto la trattazione all'udienza camerale partecipata del 26 ottobre 2023.
6. Il Pubblico ministero, in persona dell'Avvocato generale Pasquale Fimiani, ribadendo il contenuto delle note di udienza presentate il 17 ottobre 2023, ha chiesto il rigetto del ricorso proposto nell'interesse di Ni.To.
A sostegno di queste conclusioni, il Pubblico ministero ha richiamato preliminarmente la disciplina applicabile al caso di specie, derivante dal combinato disposto degli artt. 143 cod. proc. pen., 51-bis disp. att. cod. proc. pen., 3 e 4 della Direttiva 2010/64/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 ottobre 2010 sul diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali.
Da tale, stratificata, disciplina discende che l'ordinanza di custodia cautelare, in relazione alla libertà personale dell'imputato o dell'indagato alloglotta, produce immediatamente i suoi effetti; mentre, in relazione all'esercizio del diritto di
difesa, il provvedimento esplica effetti solo a partire dalla data della sua traduzione nella lingua nota all'arrestato.
Ha, pertanto, dedotto che il ricorso per cassazione risultava proposto da Ni.To. in assenza di interesse a ricorrere, essendo stato il provvedimento cautelare genetico già tradotto in lingua polacca al momento della presentazione dell'appello ex art. 310 cod. proc. pen.
Ha evidenziato, in ogni caso, che il ricorrente non aveva proposto tempestiva istanza di riesame avverso il provvedimento restrittivo tradotto, ai sensi dell'art. 309 cod. proc. pen., i cui termini decorrevano dall'avvenuta notifica dell'atto, intervenuta l'11 ottobre 2022.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La questione di diritto per la quale il ricorso proposto da Ni.To. è stato rimesso alle Sezioni Unite è la seguente: "Se la mancata traduzione entro un termine congruo in una lingua nota all'imputato che non conosca la lingua italiana dell'ordinanza che dispone una misura cautelare personale determini la nullità di detto provvedimento ovvero la perdita di efficacia della misura oppure comporti solo il differimento del termine per proporre impugnazione".
2. Prima di esaminare il contrasto giurisprudenziale che ha reso necessario l'intervento chiarificatore delle Sezioni Unite, occorre passare in rassegna il contesto normativo che ha dato vita alla contrapposizione ermeneutica oggetto di vaglio.
Occorre premettere che il diritto dell'imputato e dell'indagato alloglotti di ottenere la traduzione in una lingua conosciuta dei provvedimenti che dispongono una misura cautelare personale nei loro confronti si ricava da una pluralità di fonti normative.
L'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, al terzo paragrafo, riconosce il diritto di ogni persona accusata di un reato di: "a) essere informato, nel più breve tempo, in una lingua che comprende ed in maniera dettagliata del contenuto dell'accusa contro di lui".
Negli stessi termini si esprime l'art. III Cost., così come novellato dalla legge cost. 23 novembre 1999, n. 2, che, nel suo terzo comma, prevede che la persona accusata di un reato "sia, nel più breve termine possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico", "disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa" e "sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo".
A sua volta la Direttiva 2010/64/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 ottobre 2010, all'art. 2, par. 1, stabilisce: "Gli Stati membri assicurano che gli indagati o gli imputati che non parlano o non comprendono la lingua del procedimento penale in questione sono assistiti senza indugio da un interprete nei procedimenti penali dinanzi alle autorità inquirenti e giudiziarie, inclusi gli interrogatori di polizia, e in tutte le udienze, comprese le necessarie udienze preliminari". Tale disposizione, a sua volta, deve essere correlata con quella dell'art. 3, par. 1, della stessa Direttiva, che prevede: "Gli Stati membri assicurano che gli indagati o gli imputati che non comprendono la lingua del procedimento penale ricevano, entro un periodo di tempo ragionevole, una traduzione scritta di tutti i documenti che sono fondamentali per garantire che siano in grado di esercitare i loro diritti della difesa e per tutelare l'equità del procedimento".
La Direttiva è stata recepita nel nostro ordinamento dal D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 32, intitolato "Attuazione della direttiva 2010/64/UE sul diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali", che ha riformulato l'art. 143 cod. proc. pen., costituente il modello normativo su cui è costruito il diritto del soggetto alloglotta di ottenere la traduzione degli atti fondamentali in una lingua conosciuta.
Il fulcro del novellato art. 143 cod. proc. pen. è costituito dai suoi primi due commi, che occorre esaminare in sequenza. Il primo di essi prevede: "L'imputato che non conosce la lingua italiana ha diritto di farsi assistere gratuitamente, indipendentemente dall'esito del procedimento, da un interprete al fine di poter comprendere l'accusa contro di lui formulate e di seguire il compimento degli atti e lo svolgimento delle udienze cui partecipa. Ha altresì diritto all'assistenza gratuita di un interprete per le comunicazioni con il difensore prima di rendere un interrogatorio, ovvero al fine di presentare una richiesta o una memoria nel corso del procedimento". Il secondo comma della norma in esame stabilisce: "Negli stessi casi l'autorità procedente dispone la traduzione scritta, entro un termine congruo tale da consentire l'esercizio dei diritti e della facoltà della difesa, dell'informazione di garanzia, dell'informazione sul diritto di difesa, dei provvedimenti che dispongono misure cautelari personali, dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, dei decreti che dispongono l'udienza preliminare e la citazione a giudizio, delle sentenze e dei decreti penali di condanna".
Si tratta, invero, di una disciplina particolarmente innovativa, se solo si considera che la vecchia formulazione dell'art. 143 cod. proc. pen., al primo comma, riconosceva il diritto del cittadino straniero "di farsi assistere gratuitamente da un interprete al fine di poter comprendere l'accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti cui partecipa", e, al secondo comma, prevedeva che "l'autorità procedente nomina un interprete quando occorra tradurre uno scritto in lingua straniera".
Su questa piattaforma normativa si è innestato ulteriormente il D.Lgs. 23 giugno 2016, n. 129, intitolato "Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 32, recante attuazione della direttiva 2010/64/UE sul diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali", che ha introdotto nel sistema processuale penale l'art. 51-bis disp. att. cod. proc. pen., il quale, nella materia in esame, ha dato vita ad alcune significative integrazioni dell'art. 143 cod. proc. pen.
L'art. 51-bis disp. att. cod. proc. pen., infatti, prevede un ampliamento del diritto di difesa del soggetto alloglotta che non conosce la lingua italiana, stabilendo, al primo comma, che "l'imputato ha diritto all'assistenza gratuita dell'interprete per un colloquio con il difensore" e che se "l'esercizio del diritto di difesa richiede lo svolgimento di più colloqui in riferimento al compimento di un medesimo atto processuale, l'assistenza gratuita dell'interprete può essere assicurata per più di un colloquio".
Merita di essere segnalata anche la procedura d'urgenza introdotta dall'art. 51-bis, comma 2, disp. att. cod. proc. pen., che stabilisce: "Quando ricorrono particolari ragioni di urgenza e non è possibile avere prontamente una traduzione scritta degli atti di cui all'articolo 143, comma 2, del codice l'autorità giudiziaria dispone, con decreto motivato, se ciò non pregiudica il diritto di difesa dell'imputato, la traduzione orale, anche in forma riassuntiva, redigendo contestualmente verbale".
Dalla sequenza di interventi normativi che si è descritta emerge un ampliamento significativo degli spazi di tutela del diritto di difesa dell'imputato e dell'indagato alloglotti che non conoscono la lingua italiana, che riguarda sia la traduzione scritta degli atti processuali sia l'assistenza dell'interprete ai colloqui difensivi.
Tuttavia, l'ampliamento, pur incontroverso, del diritto di difesa dell'arrestato che non conosce la lingua italiana ha lasciato irrisolte alcune, fondamentali, questioni ermeneutiche, imponendo l'intervento chiarificatore delle Sezioni Unite.
3. Inquadrato il contesto normativo nel quale si inserisce la questione di diritto che rende necessario l'intervento risolutivo delle Sezioni Unite, occorre passare a esaminare il contrasto giurisprudenziale che alimenta la contrapposizione interpretativa segnalata dalla Prima Sezione penale.
Sulla questione di diritto sono riconoscibili due indirizzi giurisprudenziali contrapposti, correttamente richiamati dal Collegio rimettente.
3.1. Per un primo orientamento, al quale si ispira il provvedimento impugnato (tra le altre, Sez. 5, n. 22065 del 06/07/2020, Bhiari, cit.; Sez. 5, n. 10993 del 05/12/2019, dep. 2020, Chanaa, cit.; Sez. 6, n. 51951 del 17/10/2017, Minte, cit.; Sez. 5, n. 18023 del 12/03/2013, F., Rv. 255510 - 01; Sez. 4, n. 6684 del 12/11/2004, dep. 2005, Hachimini, Rv. 233360 - 01), l'omessa o tardiva traduzione di un'ordinanza che dispone una misura cautelare personale nei confronti di un imputato o un indagato alloglotta, che non conosce la lingua italiana, incidendo esclusivamente sull'esercizio del suo diritto di difesa, non determina la nullità dell'atto, ma solo la sua inefficacia.
Per ricostruire l'assunto da cui muove questo orientamento, occorre richiamare Sez. 6, n. 51951 del 17/10/2017, Minte, cit., che ha argomentato "l'ordinanza di aggravamento della misura cautelare nei confronti dell'indagato alloglotta deve essere tradotta nella lingua a quest'ultimo nota, ai sensi dell'art. 143 cod. proc. pen. (come modificato dal D.Lgs. 4 marzo 2014, ri. 32), atteso che la finalità di assicurare il compiuto esercizio del diritto di difesa, cui è preordinata detta traduzione, presuppone la conoscenza sia degli elementi indiziari, valorizzati ai fini dell'adozione della misura, che delle esigenze cautelari e delle loro modifiche per effetto di circostanze di fatto sopravvenute".
In tale prospettiva, la traduzione dell'ordinanza di aggravamento di una misura cautelare in una lingua conosciuta dall'indagato straniero, prescritta dall'art. 143, comma 2, cod. proc. pen., non "integra un elemento costitutivo, bensì, in quanto funzionale alla sua comprensione, configura unicamente un elemento imprescindibile ai fini della decorrenza del termine per l'esercizio della facoltà d'impugnazione da parte dell'avente diritto".
A sostegno di tali conclusioni, viene richiamato l'orientamento consolidatosi in epoca antecedente alla modifica dell'art. 143 cod. proc. pen. da parte del D.Lgs. n. 32 del 2014, secondo cui "la mancata traduzione dell'ordinanza cautelare non incide sulla perfezione e sulla validità dell'atto ma sulla sua efficacia, con la conseguenza che la richiesta di traduzione del titolo custodiale proposta dall'indagato al giudice del riesame e la conseguente trasmissione degli atti al Gip per la traduzione e la notifica, all'indagato, del provvedimento originario e di quello tradotto non comporta l'invalidità del titolo custodiale ma una sorta di restituzione nel termine, con riferimento al momento produttivo degli effetti, per consentire l'eventuale impugnazione sulla base di una piena conoscenza dell'ordinanza cautelare" (Sez. 5, n. 18023 del 12/03/2013, F., cit.).
Nella stessa direzione, Sez. 5, n. 22065 del 06/07/2020, Bhiari, cit. ha affermato che "la mancata traduzione nella lingua nota all'indagato alloglotta, che non conosca la lingua italiana, dell'ordinanza applicativa di una misura cautelare personale non ne determina l'invalidità e comporta soltanto che i termini per l'eventuale impugnazione decorrono dal momento in cui l'indagato abbia avuto effettiva conoscenza del contenuto del provvedimento".
Principio analogo è stato enunciato con riferimento al rigetto della richiesta di riesame da Sez. 5, n. 10993 del 5/12/2019, dep. 2020, Chanaa, cit., secondo cui "la mancanza di traduzione nella lingua nota all'indagato alloglotta, che non conosca la lingua italiana, dell'ordinanza che rigetta la richiesta di riesame del provvedimento applicativo di una misura cautelare personale, non ne determina l'invalidità e comporta soltanto che i termini per l'eventuale ricorso per cassazione decorrono dal momento in cui l'indagato abbia effettiva conoscenza del contenuto dell'ordinanza".
Questa opzione interpretativa trae, dunque, il suo fondamento da un dato esegetico, ossia il riferimento alla finalità processuale della traduzione degli atti fondamentali, contenuto nell'art. 143, comma 1, cod. proc. pen.: l'effettività del diritto di difesa dell'indagato e dell'imputato che non conoscono la lingua italiana.
È poi ulteriormente corroborata dall'art. 143, comma 2, cod. proc. pen., che non prevede alcuna sanzione processuale per le ipotesi di omessa o tardiva traduzione dei provvedimenti che dispongono una misura cautelare personale nei confronti del soggetto alloglotta.
3.2. In base ad un secondo e contrapposto orientamento giurisprudenziale (tra le altre, Sez. 4, n. 33802 del 18/05/2017, Ojeareghan, cit.; Sez. 3, n. 14990 del 18/02/2015, Vervaeren, cit.; Sez. 6, n. 50766 del 12/11/2014, Awoh, Rv. 261537 - 01; Sez. 5, n. 16185 del 6/10/2004, Fusha, Rv. 233642 - 01; Sez. 3, n. 26846 del 29/04/2004, Ionascu, cit.), invece, l'omessa o tardiva traduzione di un'ordinanza che dispone l'applicazione di una misura cautelare personale nei confronti di un soggetto alloglotta concretizza un vizio dell'atto, pur dovendosi differenziare gli effetti che ne derivano a seconda del momento in cui emerge che il cittadino straniero non conosce la lingua italiana.
Alla stregua di questo indirizzo laddove sia applicata una misura cautelare personale nei confronti di un cittadino straniero "che non è in grado di comprendere la lingua italiana, l'omessa traduzione del provvedimento determina la sua nullità (a regime intermedio) solo se la predetta circostanza era già nota al momento dell'emissione del titolo cautelare"; diversamente, deve essere disposta la traduzione del provvedimento restrittivo entro un termine congruo, così come previsto dall'art. 143, comma 2, cod. proc. pen., il mancato rispetto del quale determina "la perdita di efficacia della misura" (Sez. 3, n. 14990 del 18/02/2015, Vervaeren, cit.).
L'obbligo di tradurre l'ordinanza cautelare viene desunto dall'art. 143, comma 2, cod. proc. pen., così come novellato dal D.Lgs. n. 32 del 2014 (Sez. 4, n. 33802 del 18/05/2017, Ojeareghan, cit., e Sez. 3, n. 14990 del 18/02/2015, Vervaeren, cit.).
Tale soluzione si pone in una linea di continuità con Sez. U, n. 5052 del 24/09/2003, dep. 2004, Zalagaitis, cit., che, sia pure in relazione ad un diverso contesto ermeneutico, hanno differenziato le conseguenze dell'omessa o tardiva traduzione del provvedimento applicativo di una misura cautelare personale, a seconda del momento in cui emerge la mancata conoscenza della lingua italiana del soggetto alloglotta. In particolare, hanno stabilito che "qualora sia applicata una misura cautelare personale nei confronti di un cittadino straniero che non è in grado di comprendere la lingua italiana, l'omessa traduzione del provvedimento determina la sua nullità (a regime intermedio) solo se la predetta circostanza era già nota al momento dell'emissione del titolo Cautelare; laddove invece la mancata conoscenza della lingua italiana emerga nel corso dell'interrogatorio di garanzia, tale situazione va equiparata a quella di assoluto impedimento regolata dall'art. 294, secondo comma, cod. proc. pen., sicché il giudice deve disporre la traduzione del provvedimento coercitivo in un termine congruo, ed il termine per l'interrogatorio decorre nuovamente dalla data di deposito della traduzione, con la conseguente perdita di efficacia della misura in caso di omesso interrogatorio entro il termine predetto, ovvero di traduzione disposta o effettuata in un termine "incongruo"".
Questa pronuncia, a sua volta, si collega ad una precedente sentenza delle Sezioni Unite, riguardante la diversa ipotesi dell'omessa traduzione del decreto di citazione a giudizio nei confronti dell'imputato che non conosce la lingua italiana, che ha stabilito il seguente principio di diritto: "La mancata traduzione nella lingua dell'imputato alloglotta del decreto di citazione a giudizio, in presenza delle condizioni richieste dall'art. 143 cod. proc. pen. come interpretato da Corte cost. 12 gennaio 1993 n. 10, integra una nullità generale di tipo intermedio (artt. 178, lett. c) e 180 cod. proc. pen.) la cui deducibilità è soggetta a precisi termini di decadenza e che resta sanata dalla comparizione della parte" (Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216259 - 01).
4. Definiti i termini della questione di diritto su cui il Collegio è chiamato ad intervenire, occorre anzitutto ricostruire il tessuto ermeneutico antecedente alla riforma dell'art. 143 cod. pen. ad opera del D.Lgs. n. 32 del 2014, muovendo dalla sentenza della Corte costituzionale 12 gennaio 1993, n. 10, che costituisce il punto di partenza indispensabile per inquadrare il diritto di difesa dello straniero che non comprende la lingua italiana, che trae il suo fondamento dall'art. 24, secondo comma, Cost.
Occorre premettere che l'intervento della Corte costituzionale verteva sulla legittimità degli artt. 456, comma 2, 458, comma 1, e 555, comma 3, cod. proc. pen., in relazione all'art. 143 cod. proc. pen., rispetto alla quale, nel respingere la questione sottoposta al suo vaglio, il Giudice delle leggi evidenziava che la mancanza di un obbligo espresso di traduzione degli atti fondamentali nella lingua nota all'imputato o all'indagato alloglotta non poteva impedire l'applicazione delle garanzie assicurate dall'art. 143, comma 1, cod. proc. pen., che erano imposte dall'art. 24, secondo comma, Cost. e dalle convenzioni internazionali ratificate nel nostro Paese.
Secondo il Giudice delle leggi, l'art. 143, comma 1, cod. proc. pen. trova il suo fondamento sistematico nell'art. 24, secondo comma, Cost., che assicura la difesa come "diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento", prefigurando un diritto soggettivo perfetto direttamente azionabile dall'imputato o dall'indagato alloglotta. In questa prospettiva, costituzionalmente orientata, occorre assicurare la più ampia tutela dell'obbligo di traduzione degli atti in una lingua nota all'imputato o all'indagato alloglotta, che trae il suo fondamento dall'art. 24, secondo comma, Cost., che impone di assicurare la massima espansione a tale diritto di difesa.
Questo inquadramento del diritto alla traduzione degli atti processuali trae ulteriore fondamento dall'art. 6, par. 3, lett. a), CEDU, secondo cui "ogni accusato ha diritto a essere informato, nel più breve spazio di tempo, nella lingua che egli comprende e in maniera dettagliata, della natura e dei motivi dell'accusa a lui rivolta" (Corte cost., sent. n. 10 del 1993).
Sul piano del diritto internazionale pattizio, peraltro, la disposizione dell'art. 6, par. 3, lett. a), CEDU appare speculare all'art. 14, par. 3, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, sottoscritto a New York il 19 dicembre 1966 e ratificato in Italia dalla legge 25 ottobre 1977, n. 881, che riconosce all'accusato un contenuto minimo di garanzie, indispensabili per consentirgli di esercitare il suo diritto di difesa, tra cui quello, previsto dalla lettera a), di "essere informato sollecitamente e in modo circostanziato, in una lingua a lui comprensibile, della natura e dei motivi dell'accusa a lui rivolta".
Il collegamento dell'art. 143 cod. proc. pen. con gli artt. 24, secondo comma, Cost., e 6, par. 3, lett. a), CEDU, dunque, impone di affermare che la norma codicistica in esame assicura "il diritto dell'imputato ad essere immediatamente e dettagliatamente informato nella lingua da lui conosciuta della natura e dei motivi dell'imputazione contestatagli", dando vita a "un diritto soggettivo perfetto, direttamente azionabile" (Corte cost., sent. n. 10 del 1993, cit.
Il diritto alla traduzione degli atti, essendo espressione del diritto inviolabile alla difesa garantito dall'art. 24, secondo comma, Cost. - che, a sua volta, trae il suo fondamento dalle garanzie costituzionali riconosciute dall'art. 2 Cost. - comporta che "il giudice è sottoposto al vincolo interpretativo di conferire alle norme, che contengono le garanzie dei diritti di difesa in Ordine alla esatta comprensione dell'accusa, un significato espansivo, diretto a render concreto ed effettivo, nei limiti del possibile, il ... diritto dell'imputato" (Cotte cost., sent. n. 10 del 1993, cit.).
La forza cogente dei vincoli normativi richiamati, pertanto, impone di ridefinire l'ambito applicativo dell'art. 143 cod. proc. pen. e la figura processuale dell'interprete, che, laddove si proceda nei confronti di uno straniero che non conosce la lingua italiana, devono reputarsi funzionali alla tutela del diritto di difesa, inducendo a ritenere la traduzione degli atti uno "strumento di reale partecipazione dell'imputato al processo attraverso l'effettiva comprensione dei distinti atti e dei singoli momenti di svolgimento dello stesso ..." (Corte cost., sent. n. 10 del 1993, cit.).
Si superano, in questo modo, i dubbi sulla possibilità che la norma dell'art. 143 cod. proc. pen. fosse riferibile al solo diritto del soggetto alloglotta di essere assistito da un interprete nelle attività di udienza e non anche alla possibilità di usufruire di tale figura per la traduzione degli atti processuali che lo riguardavano.
I passaggi motivazionali della sentenza n. 10 del 1993 che si sono richiamati, espressivi di una consapevole rottura con l'approccio, formalistico e restrittivo, al diritto di traduzione degli atti fino a quel momento prevalente, rendono evidenti le ragioni che impongono di ritenere tale pronuncia fondamentale per la ridefinizione del diritto di difesa dell'imputato e dell'indagato alloglotta che non conoscono la lingua italiana.
Non può, tuttavia, non rilevarsi che i richiami al fondamento costituzionale del diritto di difesa dell'imputato e dell'indagato alloglotta, contenuti nella sentenza n. 10 del 1993, non hanno impedito, negli anni successivi, il riprodursi di forti resistenze ermeneutiche, che hanno dato origine ad interventi giurisprudenziali non sempre rispettosi dei principi affermati nella stessa pronuncia.
5. La necessità di assicurare la più ampia tutela all'obbligo di traduzione degli atti in una lingua nota all'imputato o all'indagato alloglotta, che trae il suo fondamento dal combinato disposto degli artt. 24, secondo comma, Cost., e 6, par. 3, lett. a), CEDU, ai quali la sentenza della Corte costituzionale n. 10 del 1993 si richiama espressamente, induce ad affermare che l'orientamento giurisprudenziale passato in rassegna nel paragrafo 3.2, secondo cui le ipotesi di mancata o tardiva traduzione dei provvedimenti che dispongono una misura cautelare personale nei confronti di un cittadino straniero che non conosce la lingua italiana concretizzano un vizio dell'atto, si fonda su ragioni di ordine sistematico insuperabili.
Per converso, il contrapposto orientamento ermeneutico, esaminato sopra, nel paragrafo 3.1, non appare sostenuto da un'adeguata ricognizione dei fondamenti, costituzionali e convenzionali, del diritto alla traduzione degli atti in una lingua conosciuta dall'imputato o dall'indagato alloglotta.
Occorre, in proposito, considerare che l'ordinanza che dispone una misura cautelare personale, incide sulla libertà personale dell'indagato (o dell'imputato), che l'art. 13 Cost. tutela come bene inviolabile e che, sul piano giurisdizionale, viene garantito dal diritto di difesa riconosciuto dall'art. 24, secondo comma, Cost., che rappresenta un diritto fondamentale dell'individuo rilevante ex art. 2 Cost. (Corte cost., sent. n. 10 del 1993, cit.).
L'incidenza diretta delle misure cautelari sulla libertà personale, da cui traggono origine le garanzie previste dell'art. 24, secondo comma, Cost., e 6, par. 3, lett. a), CEDU, impone di riconoscere la massima forza espansiva al diritto alla traduzione degli atti, assicurando, al contempo, la tempestività di tale attività processuale.
A queste conclusioni, come detto, la Corte costituzionale era giunta un trentennio addietro, affermando che l'art. 143, comma 1, cod. proc. pen. imponeva che si procedesse alla nomina dell'interprete immediatamente, non appena fosse emersa l'ignoranza della lingua italiana "della persona nei cui confronti si procede, tanto se tale circostanza sia evidenziata dallo stesso interessato, quanto se, in difetto di ciò, sia accertata dall'autorità procedente ..." (Corte cost., sent. n. 10 del 1993, cit.).
La necessità di una traduzione dell'ordinanza cautelare chiara, completa e celere, dunque, trae il suo solido fondamento sistematico, che appare insuperabile, dal combinato disposto degli artt. 24, secondo comma, Cost., e 6, par. 3, lett. a), CEDU. Il provvedimento che dispone una misura cautelare personale, infatti, fin da subito, produce i suoi effetti tipici, incidendo direttamente sulla libertà personale dello straniero che non conosce la lingua italiana.
Non è, del resto, indifferente per l'arrestato ottenere in tempi rapidi la traduzione dell'ordinanza cautelare che lo riguarda piuttosto che disporne a notevole distanza di tempo dalla sua esecuzione, essendo evidente che, nel secondo caso, si verifica una, inevitabile, compressione delle sue prerogative difensive.
Queste considerazioni impongono di ribadire che l'opzione ermeneutica, minoritaria, passata in rassegna nel paragrafo 3.1, che esclude la ricorrenza di un vizio del provvedimento coercitivo, nelle ipotesi di mancata o tardiva traduzione dell'atto processuale, non tiene in debita considerazione il quadro di riferimento, costituzionale e convenzionale, del diritto di difesa del soggetto alloglotta.
L'elusione dei principi costituzionali che sorreggono il diritto di difesa del soggetto alloglotta da parte dell'orientamento in questione appare ancora più evidente nei casi in cui la mancata conoscenza della lingua italiana da parte del cittadino straniero sia emersa prima dell'emissione dell'ordinanza di custodia cautelare da parte dell'autorità procedente.
In questo contesto ermeneutico, l'andamento della vicenda cautelare di Ni.To. rappresenta in modo esemplare la violazione dei canoni processuali di cui al combinato disposto degli artt. 24, secondo comma, Cost., e 6, par. 3, lett. a), CEDU, atteso che, nonostante il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma fosse consapevole del fatto che l'arrestato non conoscesse la lingua italiana, la traduzione del provvedimento coercitivo veniva depositata il 6 ottobre 2022 e notificata all'indagato l'11 ottobre 2022, a distanza di oltre due mesi dalla celebrazione dell'udienza di convalida del fermo di polizia giudiziaria, svoltasi il 22 luglio 2022.
6. Deve, al contempo, anticiparsi che l'individuazione del fondamento sistematico delle prerogative difensive del soggetto alloglotta che non conosce la lingua italiana nel combinato disposto degli artt. 24, secondo comma, e 6, par. 3, lett. a), CEDU impone di distinguere le ipotesi in cui la mancata conoscenza della lingua italiana sia emersa prima dell'emissione dell'ordinanza di custodia cautelare dalle ipotesi in cui, al momento dell'adozione del provvedimento restrittivo, tale circostanza non sia ancora emersa e, dunque, non sia conosciuta dall'autorità procedente.
Occorre precisarsi che l'obbligo di tradurre l'atto processuale non insorge per il solo fatto che l'imputato non sia un cittadino italiano, ma necessita della prova che lo stesso non conosca la lingua italiana, come, da tempo, affermato anche da Sez. U, n. 5052 del 24/09/2003, dep. 2004, Zalagaitis, cit.
Non è infatti possibile equiparare, come oltre si dirà, i casi in cui le eventuali compressioni delle prerogative difensive del soggetto alloglotta sono causate dall'inerzia dell'autorità giudiziaria a quelli in cui le limitazioni sono dovute
all'emersione di tale circostanza in un momento successivo all'adozione del provvedimento restrittivo. E differenti sono, sul piano formale, anche le conseguenze derivanti da tali situazioni, pur giungendo entrambe le ipotesi a coinvolgere, in modi diversi, la validità del provvedimento, affetto da una nullità a regime intermedio.
6.1. Tanto premesso, occorre prendere le mosse dalle ipotesi in cui la mancata conoscenza della lingua italiana da parte del cittadino straniero emerga già prima dell'emissione del provvedimento che disponga una misura cautelare personale. In questo caso, la misura cautelare deve ritenersi adottata, ove la traduzione non sia eseguita in termini congrui, così come previsto dall'art. 143, comma 2, cod. proc. pen., in assenza di uno dei suoi elementi costitutivi, rappresentato dalla comprensione da parte del cittadino straniero delle ragioni che giustificano la privazione della sua libertà.
Costituisce, invero, una condizione preliminare all'esercizio delle prerogative difensive del soggetto alloglotta la comprensione dei motivi per i quali è intervenuta la privazione della libertà personale, che presuppone la conoscenza linguistica, diretta o mediata da un interprete, delle accuse che gli vengono rivolte, che trae il suo fondamento dall'art. 24, secondo comma, Cost. Solo in tal modo è possibile assicurare "una garanzia essenziale al godimento di un diritto fondamentale di difesa ..." (Corte cost., sent. n. 10 del 1993, cit.).
A ben vedere, è l'art. 292, comma 2, cod. proc. pen. a fare ritenere imprescindibile la comprensione linguistica delle accuse rivolte all'arrestato, laddove prescrive, nella lettera b), che l'ordinanza applicativa di una misura cautelare deve contenere "la descrizione sommaria del fatto con l'indicazione delle norme di legge che si assumono violate". Tale atto, inoltre, come prescritto dalla lettera c) della stessa norma, deve contenere "l'esposizione e l'autonoma valutazione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l'indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza, tenuto conto anche del tempo trascorso dalla commissione del reato".
L'art. 292, comma 2, cod. proc. pen. mira ad assicurare le condizioni necessarie per l'esercizio del diritto di difesa da parte del soggetto sottoposto a una misura cautelare, che possono essere garantite anche con un'esposizione sintetica delle accuse, purché queste presentino "un minimo di specificità quanto alle concrete modalità di realizzazione della condotta rispetto alla norma violata e al suo tempo di commissione, così da porre l'interessato in condizione di difendersi" (Sez. 3, n. 23978 del 15/05/2014, Alleva, Rv. 259671 - 01).
Il rispetto delle prescrizioni dell'art. 292 cod. proc. pen. è, dunque, indispensabile per assicurare al soggetto privato della libertà personale l'esercizio delle prerogative difensive; prerogative, che, evidentemente, presuppongono appunto la comprensione delle accuse elevate, in una lingua conosciuta dalla persona accusata.
Per queste ragioni, nel caso in cui il destinatario della misura restrittiva sia un cittadino straniero che non conosce la lingua italiana, l'art. 292 cod. proc. pen. deve essere letto in correlazione sistematica con l'art. 143 cod. proc. pen., che disciplina le modalità con cui deve essere eseguita la traduzione degli atti fondamentali. Dal combinato disposto delle due norme deriva un obbligo di traduzione del provvedimento restrittivo della libertà personale emesso nei confronti dei soggetti che ignorano la lingua italiana, la cui violazione determina una nullità a regime intermedio, in linea con l'opzione ermeneutica risalente che ritiene tale inquadramento corroborato dal fatto che il citato art. 143 non prevede alcuna sanzione processuale per le ipotesi in esame (tra le altre, Sez. 4, n. 27347 del 13/06/2001, Sharp, Rv. 220040 - 01; Sez. 3, n. 882 del 12/12/1998, Daraij, Rv. 213068 - 01; Sez. 1, ri. 2228 del 10/04/1995, Polisi, Rv. 201461 - 01; Sez. 1, n. 4179 del 02/10/1994, Kourami, Rv. 199465 - 01).
Ci si era già espressi in questi termini in Sez. U, n. 5052 del 24/09/2003, dep. 2004, Zalagaitis, cit., in cui - pur richiamandosi la previsione dell'art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. e non quella dell'art. 292 cod. proc. pen. - si evidenziava che la patologia processuale in esame doveva annoverarsi tra le nullità a regime intermedio, in "difetto di una specifica previsione della norma dell'art. 143 cod. proc. pen. ...".
Occorre, pertanto, ribadire la necessità di ricondurre le ipotesi in cui la mancata conoscenza della lingua italiana da parte dell'indagato o dell'imputato alloglotta emerga prima dell'emissione del provvedimento cautelare alla categoria processuale delle nullità a regime intermedio, derivante, nel caso di specie, dal combinato disposto degli artt. 143 e 292 cod. proc. pen.
Da questo inquadramento, infine, discende che il vizio derivante dalla mancata traduzione dell'ordinanza cautelare, laddove la circostanza che l'arrestato non conosce la lingua italiana emerga prima dell'adozione del provvedimento, non può essere dedotto per la prima volta in sede di legittimità, riguardando un'ipotesi di nullità che, in quanto, appunto, generale a regime intermedio, deve "essere eccepita con l'impugnazione dell'ordinanza applicativa dinanzi al tribunale del riesame, restando altrimenti preclusa la sua deducibilità e la sua rilevabilità" (Sez. 1, n. 1262 del 20/12/2018, dep. 2019, Urso, Rv. 276482 - 01; in senso conforme, si vedano Sez. 3, n. 41786 del 26/10/2021, Gabbianelli, Rv. 282460 - 01; Sez. 1, n. 1072 del 20/11/2019, dep. 2020, Luca, Rv. 278069 - 01).
6.2. Più complessa, invece, appare l'ulteriore e speculare ipotesi, che si verifica quando la mancata conoscenza della lingua italiana emerga in un momento successivo all'adozione del provvedimento che disponga una misura di custodia cautelare personale e che, legittimamente, non sia stato accompagnato da traduzione (essendo dunque non possibile in tal caso il ricorso, come nella ipotesi dianzi esaminata, al combinato disposto degli artt. 143 e 292 cod. proc. pen.).
Ingiustificato appare anzitutto un trattamento di questa ipotesi in senso "deteriore" rispetto alla prima già esaminata, fondato, come argomentato da alcune delle pronunce passate sopra in rassegna, sul mero fatto temporale della solo successiva emersione della non conoscenza della lingua italiana: resta, infatti, comunque indubitabile che, proprio in forza di quanto emerso successivamente, l'interessato non avrebbe potuto comprendere, sin dall'inizio, l'ordinanza pur formalmente legittima.
Né, soprattutto, può esservi dubbio circa il fatto che anche in tale ipotesi debba garantirsi l'esplicazione quale diritto "soggettivo perfetto direttamente azionabile", come tale affermato a chiare lettere della Corte costituzionale (Corte cost., sent. n. 10 del 1993, cit.), della necessaria comprensione da parte del destinatario di un provvedimento incidente sulla stessa libertà personale del medesimo; una diversa conclusione che si limitasse riduttivamente a prendere atto della mancanza, all'interno della previsione dell'art. 143 cod. proc. pen. e, in questo caso, dell'impossibilità di fare ricorso all'art. 292 cod. proc. pen., di una espressa sanzione riguardante l'omessa traduzione in una lingua conosciuta dall'imputato alloglotta, finirebbe, inevitabilmente, per rendere tale affermazione (tanto più autorevole in quanto effettuata dal Giudice delle eggi) una mera declamazione vuota di effetti, e per suscitare più che serie perplessità in ordine alle stessa "tenuta costituzionale" di un tale approdo, nonché alla sua conformità rispetto al principio del "giusto processo" tutelato anche in sede sovranazionale.
Tale, del resto, è, evidentemente, la ragione che ha indotto l'orientamento giurisprudenziale, dapprima esaminato nel paragrafo 3.1, ad individuare nella "inefficacia" la risposta dell'ordinamento alla mancata traduzione una volta che sia emersa la mancata conoscenza della lingua italiana.
In questo modo, tuttavia, si è fatto riferimento ad una categoria, ovvero appunto quella della inefficacia, che l'ordinamento processual-penalistico contempla per ipotesi di segno diverso (stando, in particolare, al contenuto degli artt. 284 e ss., 300 e 306 cod. proc. pen.), senza considerare la possibilità, che già può rinvenirsi nel "sistema" delle nullità, di fare invece riferimento, in termini sicuramente più fisiologici rispetto alla dimensione del "primario" diritto di difesa coinvolto, nella specie, alla previsione dell'art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc.
pen., dedicata alla necessità che, a pena appunto di nullità, siano osservate le disposizioni concernenti "l'intervento, l'assistenza e la rappresentanza" dell'imputato.
In tale ipotesi, infatti, come già detto, è la stessa emersione, successiva all'adozione dell'ordinanza di custodia cautelare, ad imporre al giudice di procedere alla traduzione in un termine congruo del provvedimento, sì che la omissione di un tale adempimento finisce, incidendo sul parametro di cui all'art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., per "contaminare" la sequenza procedimentale sino a quel momento compiuta (si pensi anche all'interrogatorio di "garanzia" nel frattempo posto in essere), pregiudicando anche la validità, da ritenere sempre, per quanto esposto inizialmente, "provvisoriamente" fondata sulla mancata prova della non conoscenza della lingua italiana, dell'ordinanza custodiale.
Sicché, in definitiva, è lo stesso "sfondo" sistematico contrassegnato dalla primaria rilevanza del diritto di difesa, cui, del resto, si erano già rapportate Sez. U, n. 5052 del 24/09/2003, dep. 2004, Zalagaitis, cit. nella ricordata decisione, pur anteriore alle modifiche normative nazionali e sovranazionali esaminate nel paragrafo 2, a dovere oggi condurre ad individuare, anche nella ipotesi che si è esaminata, nella nullità a regime intermedio, la sanzione cui dovere fare formalmente riferimento.
D'altra parte, l'intervento dell'indagato o dell'imputato nel procedimento in cui è sottoposto a una misura cautelare, rilevante ex art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., implica una "partecipazione attiva e cosciente", che presuppone la garanzia effettiva delle prerogative difensive del soggetto processuale, come affermato, anche in tempi recenti, da questa Corte (Sez. !5, n. 20885 del 28/04/2021, H., 281152 - 01).
Né potrebbe essere diversamente, atteso che, come stabilito da questa Corte in una risalente pronuncia, la nozione di intervento dell'imputato di cui all'art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. peri, "non può essere ... intesa nel senso di mera presenza fisica dell'imputato nel procedimento ...", comportando "la partecipazione attiva e cosciente del reale protagonista della vicenda processuale, al quale deve garantirsi l'effettivo esercizio dei diritti e delle facoltà di cui lo stesso è titolare ..." (Sez. 1, n. 4242 del 20/06/1997, Masone, Rv. 208597 - 01).
6.2.1. Ciò non toglie, peraltro, che, nelle more della traduzione dell'ordinanza cautelare, l'autorità giudiziaria, a garanzia del diritto di difesa dell'imputato o dell'indagato alloglotta, possa fare applicazione degli strumenti giurisdizionali previsti dall'art. 51 -bis disp. att. cod. proc. pen.
L'attivazione dei meccanismi processuali di cui all'art. 51-fc"/'s disp. att. cod. proc. pen. è finalizzata, come stabilito dal suo primo comma, a garantire al cittadino straniero che non conosce la lingua italiana l'assistenza gratuita dell'interprete per i colloqui indispensabili a consentirgli "l'esercizio del diritto di difesa ...".
E soprattutto, l'autorità procedente, come previsto dal secondo comma dell'art. 51-bis disp. att. cod. proc. pen., laddove "ricorrono particolari ragioni di urgenza e non è possibile avere prontamente una traduzione scritta degli atti ...", può disporre con decreto motivato, sempre che non si pregiudichi il diritto di difesa del soggetto alloglotta, la "traduzione orale, anche in forma riassuntiva, redigendo contestualmente verbale".
6.2.2. Esaurita la procedura prevista dall'art. 51-bis disp. att. cod. proc. pen. e prima che sia depositata la traduzione dell'ordinanza di custodia cautelare, all'imputato o all'indagato alloglotta si prospetta, poi, una pluralità di alternative giurisdizionali, che dipendono dalle strategie difensive che, di volta in volta, si intendono perseguire.
Resta fermo, naturalmente, che l'arrestato può rinunciare alla traduzione in forma scritta del provvedimento restrittivo, come previsto dall'art. 51 -bis, comma 3, disp. att. cod. proc. pen. La rinuncia alla traduzione, però, deve essere consapevole, in linea con quanto affermato dall'art. 3, par. 8, della Direttiva 2010/64/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 ottobre 2010, che riconosce una tale facoltà a condizione che "gli indagati o gli imputati abbiano beneficiato di una previa consulenza legale o siano venuti in altro modo pienamente a conoscenza delle conseguenze di tale rinuncia e che la stessa sia inequivocabile e volontaria".
7. La riconducibilità di entrambe le ipotesi di omessa traduzione alle nullità a regime intermedio impone di affrontare un'ulteriore questione, relativa all'individuazione dell'interesse che deve sorreggere l'impugnazione del soggetto alloglotta.
Tale questione ermeneutica, infatti, è stata prospettata, con argomenti diversi, sia nell'ordinanza impugnata sia nella requisitoria presentata dall'Avvocato generale presso la Corte di cassazione.
Occorre, in proposito, osservare, anticipando sin d'ora quanto più oltre assumerà rilievo con riferimento ai motivi di ricorso, che il soggetto alloglotta che lamenta la violazione delle sue prerogative difensive, per effetto della mancata traduzione del provvedimento restrittivo adottato nei suoi confronti, non può semplicemente limitarsi a dolersi dell'omissione, ma, in coerenza con la natura generale a regime intermedio delle nullità, che, nella specie, vengono in rilievo, ha l'onere di indicare l'esistenza di un interesse a ricorrere, concreto, attuale e verificabile, non rilevando, in tal senso, la mera allegazione di un pregiudizio astratto o potenziale (tra le altre, Sez. 2, n. 33455 del 20/04/2023, Mortellaro, Rv. 285186 - 01; Sez. 4, n. 4789 del 19/02/1992, Sità, Rv. 189947-01).
L'interesse a dedurre una tale patologia processuale, infatti, sussiste soltanto se ed in quanto il soggetto alloglotta abbia allegato di avere subito, in conseguenza dell'ordinanza non tradotta, un pregiudizio illegittimo. Sul punto, è opportuno richiamare Sez. 1, n. 13291 del 19/11/1998, Senneca, Rv. 211870 -01, secondo cui non si può prefigurare alcuna nullità dell'atto, laddove "sia solo l'imputato a dolersene, senza indicare un suo concreto e attuale interesse al riguardo, non avendo alcun valore la semplice allegazione di un pregiudizio del tutto astratto".
Si tratta, a ben vedere, di una conclusione imposta dalla giurisprudenza consolidata in tema di interesse a impugnare, risalente a Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep. 2012, Marinaj, Rv. 251693 - 01, secondo cui tale nozione deve essere ricostruita "in una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalità negativa, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un'utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo".
8. Residua, a questo punto, un'ultima questione ermeneutica, la cui risoluzione si impone alla luce del quesito posto alle Sezioni Unite, riguardante l'inquadramento della nozione di congruità del termine entro cui, ai sensi dell'art. 143, comma 2, cod. proc. pen., deve essere tradotto il provvedimento che dispone una misura cautelare personale nei confronti di un cittadino straniero che non conosce la lingua italiana.
Su tale profilo residuale, invero, non sussistono contrasti giurisprudenziali, essendo pacifico che la verifica della congruità del termine di cui all'art. 143, comma 2, cod. proc. pen., pur non essendo agevole, costituisce una questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito, che si sottrae al sindacato di legittimità, laddove motivata, in conformità dei criteri della logica e delle massime di esperienza, nel rispetto delle emergenze processuali.
Non può, in proposito, non richiamarsi il seguente principio di diritto: "L'accertamento relativo alla conoscenza da parte dell'imputato della lingua italiana spetta al giudice di merito, costituendo un'indagine di mero fatto non censurabile in sede di legittimità se motivato in termini corretti ed esaustivi"
(Sez. 6, n. 28697 del 17/04/2012, Wu, Rv. 253250 - 01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 2, n. 46139 del 28/10/2015, Reznikov, Rv. 265213 - 01; Sez. 1, n. 2263 del 14/05/2014, Tahiri, Rv. 261998 - 01; Sez. 5, n. 33775 del 27/02/2014, Ilie, Rv. 261640 - 01; Sez. 2, n. 40807 del 06/10/2005, Sokolovych, Rv. 232593 - 01).
Il giudice di merito, pertanto, è tenuto a compiere una valutazione rigorosa dei profili fattuali relativi alle modalità con cui la traduzione dell'atto è stata eseguita, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, che, già in passato, aveva precisato come le conseguenze sul piano della validità della misura cautelare si producono nelle ipotesi di traduzioni effettuate in un termine incongruo, nel valutare il quale occorre, tra l'altro, tenere "conto dei tempi tecnici richiesti per il reperimento dell'interprete e l'effettuazione della traduzione, con la conseguenza che nessuna nullità sussiste quando tali tempi siano contenuti nell'arco di pochi giorni" (Sez. 6, n. 48469 del 04/12/2008, Abdalla, Rv. 242147 - 01; in senso conforme, si veda anche Sez. 6, n. 9041 del 15/02/2006, El Kamlichi, Rv. 233916 - 01).
Quest'ultimo richiamo giurisprudenziale è opportuno per comprendere che i profili fattuali in questione possono assumere un rilievo estremamente variegato, potendo i tempi tecnici della traduzione di un atto processuale dipendere da una molteplicità di fattori, tra loro eterogenei, quali, ad esempio, la complessità del provvedimento che deve essere tradotto; l'elevato numero dei soggetti coinvolti nelle operazioni di traduzione; la difficoltà di reperire un traduttore che comprenda la lingua del soggetto alloglotta, per la rarità dell'idioma parlato dallo straniero.
In tale variegato contesto, può svolgere un'importante funzione di contemperamento delle contrapposte esigenze delle parti - il Pubblico ministero e l'indagato o l'imputato alloglotta - lo strumento previsto dall'art. 51-bis disp. att. cod. proc. pen., su cui ci si è già soffermati nel paragrafo 6.2.1, che può essere utilizzato dal giudice di merito per ammortizzare i tempi della traduzione dell'atto nella lingua conosciuta dal cittadino straniero, soprattutto quando tale adempimento processuale, per le ragioni sopra richiamate, sia reso complicato dalla fattispecie concreta.
8.1. Ferme restando tali considerazioni, va anche sottolineato, d'altra parte, che deve evitarsi di attribuire alla nozione di congruità del termine richiamata dall'art. 143, comma 2, cod. proc. pen., connotazioni talmente generiche da dar luogo a interpretazioni elusive dei canoni processuali di cui al combinato disposto degli artt. 24, secondo comma, e, 6, par. 3, lett. a), CEDU, posti a presidio del diritto di difesa dell'indagato o dell'imputato alloglotta.
Per evitare questi rischi, occorre richiamare l'art. 6, par. 3, lett. a), CEDU, che chiarisce, in modo non equivocabile, che la traduzione di un atto processuale deve avvenire, ovviamente compatibilmente con quanto già sottolineato sopra, "nel più breve tempo possibile", con la conseguenza che, acquisita la conoscenza dell'ignoranza della lingua italiana da parte della persona nei cui confronti si procede, l'autorità giudiziaria deve individuare senza ritardo un interprete che conosca la lingua dell'imputato o dell'indagato alloglotta, per consentirgli di esercitare il suo diritto di difesa; connotazioni garantistiche, queste, su cui la Corte EDU, in più occasioni, si è soffermata (tra le altre, Corte EDU, Bhiarki c. Islanda, 15/03/2022, n. 30965/17, par. 49; Corte EDU, 08/03/2002, Tonkov c. Belgio, n. 41115/14, par. 38; Corte EDU, 18/12/2018, Murtazaliyeva c. Russia, n. 36658/05, par. 117; Corte EDU, 09/11/2018, Beuze c. Belgio, n. 71409/10, par. 119; Corte EDU, 27/11/2011, Stojkovic c. Francia e Belgio, n. 25303/08, par. 55).
D'altra parte, che il riferimento alla locuzione "nel più breve tempo possibile", contenuto nell'art. 6, par. 3, lett. a), CEDU, comporti l'attivazione immantinente dei poteri dell'autorità procedente finalizzati alla nomina di un interprete è ulteriormente confermato dalla Direttiva 2010/64/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 ottobre 2010 sul diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali, già esaminata nel paragrafo 2. Esemplare rappresentazione di quanto si sta affermando si rinviene nel primo periodo del punto 18 delle premesse della Direttiva, in cui si stabilisce che la "interpretazione a beneficio degli indagati c degli imputati dovrebbe essere fornita senza indugio ...", facendosi uso di una locuzione, "senza indugio", sinonimica della locuzione "nel più breve tempo possibile" utilizzata dal citato 6, par. 3, lett. a).
Si muove, del resto, nella stessa direzione ermeneutica anche la disposizione dell'art. 14, par. 3, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, sottoscritto a New York il 19 dicembre 1966, anch'esso esaminato nel paragrafo 2, che costituisce una norma speculare all'art. 6, par. 3, lett. a), CEDU. Il citato art. 14, infatti, riconosce all'accusato un nucleo irrinunciabile di garanzie, tra cui quella di essere "informato sollecitamente", in una lingua da lui compresa, della natura e dei motivi delle accuse che gli vengono contestate in un procedimento penale.
9. Alla luce delle argomentazioni fin qui esposte, la questione ermeneutica oggetto di rimessione deve essere risolta affermando il seguente principio di diritto: "L'ordinanza di custodia cautelare personale emessa nei confronti di un imputato o indagato alloglotta, ove sia già emerso che questi non conosca la lingua italiana, è affetta, in caso di mancata traduzione, da nullità ai sensi del combinato disposto degli artt. 143 e 292 cod. proc. pen. Ove, invece, non sia già emerso che l'indagato o imputato alloglotta non conosca la lingua italiana, l'ordinanza di custodia cautelare non tradotta emessa nei suoi confronti è valida fino al momento in cui risulti la mancata conoscenza di detta lingua, che comporta l'obbligo di traduzione del provvedimento in un congruo termine; la mancata traduzione determina la nullità dell'intera sequenza di atti processuali compiuti sino a quel momento, in essa compresa l'ordinanza di custodia cautelare".
10. Alla stregua delle regulae iuris delineate nel paragrafo precedente, è possibile quindi passare alle doglianze proposte nell'interesse di Ni.To.
Occorre, innanzitutto, soffermarsi sul secondo motivo con cui si lamenta la violazione degli artt. 143, commi 5 e 6, 144, 146, 147 e 310 comma 2, cod. proc. pen., conseguente all'erronea risposta dell'ordinanza sulla mancata trasmissione al Tribunale del riesame di Roma del provvedimento con cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma aveva disposto la traduzione, e la mancata conoscenza della data di questa e del suo autore.
Tali doglianze, come detto, sono già state esaminate dalla Sezione rimettente, ma, sulle stesse, occorre soffermarsi nuovamente, nel rispetto della giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui il ricorso va devoluto alle Sezioni Unite e deve essere esaminato da queste nella sua interezza, non essendo possibile una decisione limitata soltanto ad alcune delle questioni dedotte con l'impugnazione (tra le altre, Sez. U, n. 28 del 25/10/2000, Morici, Rv. 217297 - 01; Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216660 - 01).
Tanto premesso, quanto alla doglianza relativa alla mancata trasmissione dell'ordinanza con cui era stata disposta ha traduzione del provvedimento cautelare genetico, deve rilevarsi, in linea con quanto già evidenziato nell'ordinanza di rimessione, che, nell'ipotesi dell'appello cautelare, i termini previsti dall'art. 310, comma 2, cod. proc. pen. hanno natura ordinatoria, non prevedendo alcuna sanzione in caso di inosservanza del termine entro cui l'autorità procedente deve trasmettere al tribunale del riesame l'ordinanza appellata e gli atti su cui si fonda, con la conseguenza che tale inosservanza non è causa di nullità né di inefficacia del provvedimento adottato (tra le altre, Sez. 6, n. 16802 del 24/03/2021, Grassetti, Rv. 281303 - 01; Sez. 5, n. 6221 del 08/01/2020, Granato, Rv. 278308 - 01; Sez. 5, n. 14966 del 12/10/2004, dep. 2005, Vettori, Rv. 231622 - 01).
Quanto, invece, alla correlata censura, secondo la quale il ricorrente non aveva avuto conoscenza della data del provvedimento con cui veniva disposta la traduzione dell'ordinanza cautelare genetica e del soggetto al quale era stato conferito l'incarico, deve rilevarsi, che, come già evidenziato nell'ordinanza di rimessione, non è stata fornita alcuna prova che il difensore del ricorrente avesse "chiesto di poter accedere a tali atti con espressa istanza al Giudice della cautela, sicché le odierne doglianze devono ritenersi, sul punto, del tutto generiche".
Il ricorrente, dunque, non poteva limitarsi a censurare genericamente l'omessa ostensione del procedimento di nomina del traduttore, ma avrebbe dovuto dimostrare di avere presentato al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma specifiche richieste, relative allo svolgimento delle operazioni di traduzione, rimaste inevase.
Tali considerazioni impongono di ribadire l'inammissibilità del secondo motivo di ricorso.
11. Parimenti inammissibili devono ritenersi le residue doglianze, prospettate quali primo, terzo e quarto motivo, di cui si impone una trattazione congiunta, afferendo le stesse, direttamente o indirettamente, ai medesimi profili censori, riguardanti l'intempestiva traduzione dell'ordinanza di custodia cautelare genetica e la tipologia di vizio dell'atto che dalla tardività di tale adempimento processuale deriva.
Si consideri, infatti, che con il primo motivo si censura l'interpretazione del Tribunale del riesame di Roma, secondo cui il ricorrente non aveva indicato il pregiudizio subito dall'omessa traduzione del provvedimento cautelare genetico; con il terzo motivo si contesta che il Tribunale aveva ritenuto irrilevante l'omessa risposta del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma alle eccezioni di inefficacia della misura, ritenute erroneamente sollecitazioni a disporre la traduzione; con il quarto motivo si censura la mancata risposta del Tribunale alla lamentata inosservanza della congruità del termine previsto per la traduzione, che avrebbe comportato l'inefficacia della misura.
In questo contesto censorio, deve osservarsi che l'ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti del ricorrente dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma il 22 luglio 2022, alla stregua del principio di diritto affermato nel paragrafo 9, deve ritenersi affetta da una nullità generale a regime intermedio, rilevante ai sensi del combinato disposto degli artt. 143 e 292 cod. proc. pen., essendo l'ignoranza della lingua italiana dell'indagato stata già conosciuta dall'autorità procedente al momento dell'adozione del provvedimento restrittivo.
Tale dato processuale è incontroverso, atteso che l'udienza di convalida del fermo veniva celebrata con l'assistenza di un interprete di lingua polacca, nominato sul presupposto che Ni.To. non conosceva la lingua italiana. Tale dato, inoltre, è ribadito nel provvedimento di rigetto dell'istanza presentata dall'indagato ex art. 310 cod. proc. pen., deliberato dal Tribunale del riesame di Roma il 24 gennaio 2023, oggetto d'impugnazione.
Va in ogni caso aggiunto che, una volta inquadrata la patologia processuale derivante dalla mancata traduzione ab origine come nullità generale a regime intermedio - tanto più confermando quanto su questa specifica ipotesi di nullità avevano già detto Sez. U, n. 5052 del 24/09/2003, dep. 2004, Zalagaitis, cit., sia pure facendo leva sull'art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. e non sull'art. 292 cod. proc. pen. - è evidente che, nel caso in esame, non ci si trova di fronte a un'ipotesi di inefficacia dell'ordinanza di custodia cautelare genetica, come il ricorrente ha seguitato ad affermare.
Appare, infine, in ogni caso risolutivo quanto sostenuto dal Tribunale a proposito della mancata deduzione di un pregiudizio concreto derivante dalle modalità di traduzione del provvedimento restrittivo genetico, in applicazione del principio giurisprudenziale, espressamente richiamato (Sez. 6, n. 25276 del 06/04/2017, Money, Rv. 270491 - 01), secondo cui "può configurarsi una lesione del diritto di difesa, correlata all'attivazione personale dell'impugnazione da parte dell'imputato, solo qualora quest'ultimo evidenzi il concreto e reale pregiudizio alle sue prerogative derivante dalla mancata traduzione".
Si tenga infatti, in proposito, presente che Ni.To. proponeva appello cautelare il 24 ottobre 2022, dopo la traduzione del provvedimento cautelare genetico emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, depositata il 6 ottobre 2022 e notificata all'indagato l'11 ottobre 2022, dato processuale, questo, incontroverso e non contestato dal ricorrente.
Ne discende che questi, avendo già avuto conoscenza della traduzione del provvedimento restrittivo al momento della proposizione dell'appello cautelare, in conformità all'orientamento ermeneutico correttamente richiamato dal Tribunale e già ricordato sopra al paragrafo 7, secondo cui, per censurare una nullità generale a regime intermedio di un atto processuale, è necessario dedurre un pregiudizio concreto e attuale -, avrebbe dovuto dimostrare in che modo, rispetto al contenuto motivazionale dell'ordinanza, la mancata tempestiva conoscenza dello stesso avrebbe influito sulle proprie strategie difensive; dimostrazione che Ni.To. non ha fornito, limitandosi a contestare genericamente la tardività della traduzione.
Tale mancata deduzione appare pregiudizialmente produttiva di inammissibilità rispetto a tutte le doglianze sollevate.
12. Le considerazioni esposte impongono conclusivamente di dichiarare inammissibile il ricorso proposto da Ni.To., con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Alla declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione, frutto della opzione esegetica affermata da questa Corte per decidere la questione controversa per la cui risoluzione si è invocato l'intervento delle Sezioni Unite, non può conseguire la condanna del ricorrente al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen. (tra le altre, Sez. U, n. 43055 del 30/09/2010, Della Serra, Rv. 248380 - 01; Sez. U, n. 33542 del 27/06/2001, Cavalera, Rv. 219532 - 01).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 26 ottobre 2023.
Depositato in Cancelleria l'11 aprile 2024.