Il pubblico ministero può effettuare la contestazione suppletiva di una circostanza aggravante che renda un reato originariamente perseguibile a querela in procedibile d'ufficio, anche se la querela non è stata presentata?
La questione è stata affrontata dalla Quinta Sezione Penale della Cassazione con le sentenza n. 19209 depositata il 15 maggio 2024.
Nel caso di specie:
La Cassazione ha accolto il ricorso, ribadendo che il Pubblico Ministero può validamente effettuare la contestazione suppletiva di una circostanza aggravante che renda il reato procedibile di ufficio.
Con la contestazione suppletiva, infatti, il thema decidendi si estende alla circostanza aggravante e viene eliminato l'ostacolo processuale al prosieguo dell'azione penale.
Il pubblico ministero può validamente effettuare la contestazione suppletiva di una circostanza aggravante che renda il reato procedibile di ufficio, avendone il potere e l'occasione; con la contestazione suppletiva, il thema decidendi si estende alla circostanza aggravante e viene eliminato l'ostacolo processuale al prosieguo dell'azione penale; il giudice non ha ragione di emettere una sentenza di proscioglimento, poiché non si è realizzato alcun effetto preclusivo definitivo che imponga una pronuncia "ora per allora", dato che, nel caso di mancanza della condizione di procedibilità, a differenza dell'ipotesi di estinzione del reato, non si è in presenza di un reato venuto meno nella dimensione sostanziale, che non può rivivere.
Cassazione penale, sez. V, sentenza 11/04/2024 (dep. 15/05/2024) n. 19209
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa il 22 novembre 2023, il Tribunale di Siracusa ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di Lo.En., in relazione al reato di cui agli artt. 624 e 625, n. 2, cod. pen., per mancanza della necessaria querela.
Secondo l'ipotesi accusatoria, l'imputato "al fine di trarne profitto per sé o per altri e in particolare al fine di garantirsi il gratuito approvvigionamento di corrente elettrica presso l'abitazione sita in F, Via (Omissis) con violenza consistita nella manomissione del misuratore di energia elettrica, si impossessava abusivamente dell'energia elettrica, in tal modo sottraendola al legittimo proprietario ...".
Il Tribunale ha osservato che: per effetto di quanto disposto dal D.Lgs. n. 150 del 2022, la fattispecie originariamente contestata rientrava tra quelle divenute perseguibili a querela; alla scadenza del termine previsto dal regime transitorio dettato dall'art. 85 del D.Lgs. citato, non era stata presentata alcuna istanza di punizione da parte della persona offesa; non poteva attribuirsi alcuna valenza processuale alla contestazione suppletiva operata (all'udienza del 22 novembre 2023) dal pubblico ministero, avente a oggetto la circostanza aggravante prevista dall'art. 625, n.7, cod. pen., in quanto tardivamente operata, dopo che era già emersa l'insussistenza sopravvenuta della condizione di procedibilità.
Pur condividendo, in astratto, la configurabilità della predetta circostanza aggravante in relazione al reato de quo, il Tribunale ha ritenuto che il decorso del termine relativo alla proposizione della querela imponesse l'immediata declaratoria dell'improcedibilità dell'azione penale.
2. Avverso la sentenza del Tribunale, il Procuratore generale presso la Corte di appello di Catania ha proposto ricorso per cassazione.
2.1. Con un unico motivo, deduce il vizio di inosservanza di norme processuali, in relazione agli artt. 516 e 517 cod. proc. pen.
Rappresenta che il pubblico ministero, prima della formale dichiarazione di apertura del dibattimento e subito dopo l'accertamento della regolare costituzione delle parti, aveva contestato la circostanza aggravante prevista dall'art. 625, n. 7, cod. pen., che rendeva il reato procedibile d'ufficio.
Tanto premesso, contesta la decisione del Tribunale di ritenere priva di rilievo la contestazione suppletiva operata dal pubblico ministero, "in quanto contrastante con la ratio sottesa alle disposizioni di cui agli artt. 516 e ss. cod. proc. pen. e con i principi di diritto oramai pacifici, secondo cui il potere del pubblico ministero di procedere alla modifica dell'imputazione è cogente e immanente nel nostro sistema processuale". Andrebbe "riconosciuto al pubblico ministero il potere di procedere nel dibattimento alla modifica della contestazione, senza specifici limiti temporali".
3. Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di annullare senza rinvio la sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere accolto.
L'unico motivo di ricorso è fondato, atteso che il reato risulta procedibile d'ufficio, a seguito della tempestiva contestazione della circostanza aggravante di avere commesso il fatto su bene destinato a pubblico servizio.
2. Va premesso che, a seguito della modifica dell'art. 624, comma 3, cod. pen., intervenuta per effetto dell'art. 2, comma 1, lett. i), D.Lgs. 10 ottobre 2022 n.150, in vigore dal 30 dicembre 2022, il delitto di furto anche se aggravato o pluriaggravato ai sensi dell'art. 625 cod. pen. (prima procedibile di ufficio) è divenuto punibile a querela della persona offesa, tranne che nei seguenti casi:
- se la persona offesa è incapace, per età o per infermità;
- se ricorre taluna delle circostanze di cui all'art. 625, numero 7, salvo che il fatto sia commesso su cose esposte alla pubblica fede (il reato, quindi, è procedibile di ufficio anche quando il fatto è commesso su cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici, o sottoposte a sequestro o a pignoramento, o destinate a pubblico servizio o a pubblica utilità, difesa o reverenza);
- se ricorre taluna delle circostanze di cui all'art. 625, numero 7-bis.
In relazione ai fatti commessi prima della data di entrata in vigore della suddetta modifica legislativa, l'art. 85 del D.Lgs. n. 150 del 2022 ha stabilito che il termine per la presentazione della querela (pari a tre mesi ex art. 124, primo comma, cod. pen.) decorre dalla predetta data (30 dicembre 2022), se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato.
La novità normativa riguardante il regime di procedibilità, dunque, trova applicazione anche in ordine a fatti commessi prima del 30 dicembre 2022, data di entrata in vigore del D.Lgs. 150 cit.
3. Venendo al caso in esame, va rilevato che: il reato è stato commesso prima dell'entrata in vigore della riforma Cartabia; nel termine previsto dall'art. 85 del D.Lgs. n. 150 del 2022, la persona offesa non ha presentato querela; il pubblico ministero, alla prima udienza utile, subito dopo la costituzione delle parti e prima dell'apertura del dibattimento, ha contestato l'aggravante di avere commesso il fatto su bene destinato a pubblico servizio.
4. La circostanza aggravante in questione è sicuramente connotata da componenti di natura valutativa, poiché impone una verifica di ordine giuridico -sulla natura della res, sulla sua specifica destinazione e sul concetto di "pubblico servizio" - che riposa su considerazioni in diritto che non sono rese palesi dal mero riferimento all'oggetto sottratto.
Tuttavia, come già affermato da questa Corte, accanto alla contestazione formale della aggravante, può ritenersi consentita anche un tipo di contestazione non formale che però deve essere congeniata in maniera tale da rendere manifesto all'imputato che dovrà difendersi dall'accusa di avere sottratto un bene posto al servizio di un interesse dell'intera collettività e diretto a vantaggio della stessa (Sez. 5, n. 14891 del 14/03/2024, Buonario).
Nel caso in esame, però, nell'originaria imputazione, ferma l'assenza di una contestazione formale, non era neppure rinvenibile alcuna locuzione o perifrasi che potesse indurre a ritenere contestata, seppur in maniera non formale, la circostanza aggravante in esame. Nell'imputazione, infatti, vi era il mero riferimento alla sottrazione di energia elettrica e mancava qualsiasi riferimento al fatto che, nel caso specifico, essa fosse destinata al servizio di un interesse della collettività e diretta a vantaggio della stessa.
5. La questione va, allora, analizzata sotto il profilo prospettato dal ricorrente, che sostiene che la decisione del Tribunale di ritenere priva di "valenza processuale" la contestazione suppletiva sarebbe "contrastante con la ratio sottesa alle disposizioni di cui agli artt. 516 e ss. cod. proc. peri, e con i principi di diritto oramai pacifici, secondo cui il potere del pubblico ministero di procedere alla modifica dell'imputazione è cogente e immanente nel nostro sistema processuale". Andrebbe, infatti, "riconosciuto al pubblico ministero il potere di procedere nel dibattimento alla modifica della contestazione, senza specifici limiti temporali".
La questione, tuttavia, non va limitata ai soli artt. 516 e ss. cod. proc. pen., implicando il necessario coordinamento di tali norme con l'art. 129 cod. proc. pen., che impone al giudice di pronunciare immediatamente il proscioglimento dell'imputato quando manca una condizione di procedibilità, e con l'art. 85 D.Lgs. n. 150 del 2022, che ha posto una disciplina transitoria in ordine alla presentazione della querela per i reati per i quali la riforma Cartabia ha modificato il regime di procedibilità.
Va rilevato che, mentre il ricorrente ha dato rilievo esclusivamente al potere del pubblico ministero di procedere alla modifica dell'imputazione, a lui riconosciuto dagli artt. 516 e ss. cod. proc. pen., il Tribunale, invece, ha dato rilievo solo all'art. 129 cod. proc. pen., valutando la disciplina transitoria posta dal D.Lgs. n. 150 del 2022, esclusivamente nell'ottica della persona offesa.
5.1. Il collegio non condivide l'impostazione del Tribunale, ritenendo, nel solco già delineato da Sez. 5, n. 14891 del 14/03/2024, Buonario, che la questione debba essere risolta attraverso una lettura coordinata degli artt. 129 e 517 cod. proc. pen., che tenga conto anche delle particolarità - soprattutto in relazione all'esercizio dei poteri del pubblico ministero - che si sono venute a delineare a seguito della disciplina transitoria posta dall'art. 85 del D.Lgs. n. 150 del 2022.
5.2. L'analisi letterale e sistematica delle due norme del codice di rito appena richiamate restituisce la conformazione di un sistema che: sul versante dell'art. 129, comma 1, cod. proc. pen. prevede, tra i poteri/doveri del giudice disciplinati in via generale, quello di rilevare la mancanza della condizione di procedibilità "in ogni stato e grado del processo"; sul versante dell'art. 517 cod. proc. pen., riconosce, nel dibattimento - come anche nella udienza preliminare ai sensi dell'art. 423 cod. proc. pen. e nella udienza predibattimentale disciplinata dal novello art. 554-bis cod. proc. pen. - il potere/dovere del pubblico ministero di contestare una circostanza aggravante non menzionata nell'originaria imputazione, senza necessità di autorizzazione del giudice.
Lo scopo della contestazione suppletiva, oggi enunciato nel citato art. 554-bis cod. proc. pen., consiste nel permettere che il capo di imputazione contenga la descrizione non solo del fatto, ma anche delle circostanze in termini corrispondenti a quanto emerge dal fascicolo, così da far garantire, alla fine del giudizio, il rispetto del principio di corrispondenza fra "chiesto" e "pronunciato".
Il nuovo art. 554-bis cod. proc. pen. - introdotto dalla Riforma Cartabia che ha recepito, estendendola, la regola fissata dalla sentenza delle Sezioni Unite Battistella (n. 5307 del 20/12/2007) - fornisce lo spunto per due ulteriori notazioni.
Anzitutto il legislatore, ammettendo contestazioni suppletive in limine litis, ha assegnato forza normativa al principio dettato dalle Sezioni Unite Barbagallo (n. 4 del 28/10/1998), secondo cui la modifica dell'imputazione di cui all'art. 516 cod. proc. pen. e la contestazione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante di cui all'art. 517 cod. proc. pen. possono essere effettuate anche sulla sola base degli atti già acquisiti dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari.
In secondo luogo, all'art. 544-bis cod. proc. pen., ha fatto seguire il nuovo art. 544-ter che declina, tra l'altro, la regola dell'immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità, in tal modo disegnando due scansioni processuali in rapporto logico e cronologico tra loro: prima si "aggiusta" la contestazione, anche grazie all'intervento del giudice, in modo che l'accusa rappresenti fedelmente il fatto storico principale e le sue connotazioni circostanziali; poi si procede, eventualmente, all'immediata definizione del processo.
Sul fronte dell'art. 129, comma 1, cod. proc. pen., va osservato che la norma stabilisce un criterio di prevalenza di alcune formule proscioglitive (sostanziali o processuali) su qualsiasi attività ulteriore, anche volta ad approfondimenti istruttori in favore dell'imputato.
5.3. Va ricordato che la relazione sistematica fra l'art. 517 e l'art. 129 del codice di rito è stata analizzata dapprima da Sezioni Unite De Rosa (n. 12283 del 25/01/2005), e, successivamente, da Sezioni Unite Domingo (n. 49935 del 28/09/2023), che ha interpretato evolutivamente i precetti antecedentemente enunciati, valorizzando, tra gli altri, quelli della sentenza delle Sezioni Unite Perroni (n. 539 del 30/01/2020).
La prima sentenza - nell'affermare che non è consentito arrivare a una pronuncia ex art. 129 cod. proc. pen. attraverso il rito de plano - ha chiarito che l'art. 129 non attribuisce al giudice un potere ulteriore e autonomo al di fuori di quello già riconosciutogli dalle specifiche norme che regolano l'epilogo proscioglitivo nelle varie fasi e nei diversi gradi del processo (artt. 425, 469, 529, 530 e 531 stesso codice): epilogo che dunque deve avvenire con le precisate cadenze e modalità procedimentali e non in modo disancorato da queste. Ha, inoltre, posto in rilievo che un'eventuale pronuncia estemporanea e anticipata della causa di non punibilità inciderebbe negativamente sulla partecipazione al procedimento del pubblico ministero, al quale verrebbe precluso l'esercizio delle facoltà tese a meglio definire e suffragare l'accusa, e determinerebbe una violazione del diritto di difesa dell'imputato, al quale verrebbe interdetto l'esercizio di facoltà esperibili solo nell'ambito della fase o grado in essere.
Il portato essenziale dell'art. 129 cod. proc. pen. è stato individuato nell'inibizione al giudice, susseguente alla rilevazione della causa di non punibilità, dei poteri istruttori relativi al thema decidendum, con l'effetto che l'ambito della sua cognizione deve rimanere cristallizzato allo stato degli atti - e ciò, in nome della semplificazione del processo e del favor rei -, ma non anche nell'inibizione dell'attività processuale, diversa da quella istruttoria, che deriva dal diritto delle parti all'ascolto nel contraddittorio, avendo esse la potestà di dare "sfogo" alle pretese proprie della fase processuale in essere.
Tra queste, viene espressamente richiamata quella relativa all'esclusiva potestà del pubblico ministero di modificare l'imputazione.
La pronuncia delle Sezioni Unite Domingo, riguardante un caso di contestazione suppletiva a fronte della maturata causa di estinzione (per prescrizione) del reato, ha accolto, espressamente, la suddetta sistematica ma l'ha anche "rivista" in un punto essenziale: ha costruito il rapporto fra la contestazione suppletiva e causa di estinzione precedentemente perfezionatasi in termini di prevalenza della seconda che, per effetto della sentenza, acquisisce forza giuridica "ora per allora" con riferimento non al momento della sua dichiarazione formale ma a quello della sua maturazione.
Ne consegue che l'attività processuale eventualmente svolta dopo tale momento non produce effetti, rimanendo neutralizzata dall'espandersi degli effetti della causa estintiva.
La ratio di tale reimpostazione della questione complessiva appare riconducibile all'apprezzamento, del tutto condivisibile, dei principi costituzionali sottesi alla prevalenza massima accordata alla causa di estinzione del reato per prescrizione (avente natura esclusivamente sostanziale, direttamente dipendente dal decorso di un tempo così lungo da far venire meno l'interesse punitivo dello Stato) e all'accentuazione del suo dover essere dichiarata con "immediatezza".
6. Con particolare riferimento all'improcedibilità per difetto di querela, il collegio, nel caso in esame, connotato da normativa processuale specifica e sopravvenuta, ritiene di percorrere una strada diversa, per gli effetti distorsivi che deriverebbero dal riconoscimento della prevalenza massima accordata al venire meno della condizione di procedibilità.
6.1. I temi in questione sono: quello dell'incidenza della peculiare regolamentazione derivante dalla c.d. riforma Cartabia, che ha coinvolto, nel mutamento delle regole sulla nuova procedibilità a querela, con apposito regime transitorio, anche reati sub iudice originariamente contestati secondo il rito della procedibilità di ufficio; quello, correlato, delle ricadute del principio di diritto enunciato dalla sentenza delle Sezioni Unite Domingo, ove applicato in modo automatico al caso processuale in esame; quello della possibilità o meno di una valutazione scissa delle plurime ipotesi di non punibilità all'interno dell'art. 129 cod. proc. pen.
Per tale ragione, la presente decisione, pur non ponendosi in linea col precedente rappresentato da Sez. 5, n. 3741 del 2024, Mascali, Rv. 285878, non appare ancora tale da radicare un contrasto interpretativo vero e proprio, dal momento che si propone di rappresentare anche profili di analisi ulteriori e correlati alla peculiarità del regime transitorio della riforma Cartabia in tema di nuova procedibilità a querela.
6.2. L'analisi della prima questione fa emergere la peculiarità della situazione venutasi a creare, in tema di furto aggravato, con la riforma Cartabia.
Il reato è passato dalla procedibilità di ufficio alla procedibilità a querela, salva l'ipotesi - per quanto qui di interesse - dell'art. 625, n. 7, cod. pen. (con ulteriore eccezione riferita all'aggravante della esposizione alla pubblica fede).
In relazione ai numerosi reati di tal genere, contestati con aggravanti ex art. 625 diverse da quella indicata e portati a giudizio (nel caso di specie con un atto di citazione risalente addirittura al 26 ottobre 2021) secondo le regole della procedibilità di ufficio poi superata, la normativa in questione ha riconosciuto alla persona offesa il potere di riportare il reato sui "binari" della procedibilità, presentando querela entro il 30 marzo 2023 (tre mesi dall'entrata in vigore della riforma).
Va sottolineato che nessun accorgimento occorreva accordare all'organo di accusa, al quale il sistema processuale già apprestava uno speculare e ordinario mezzo per il ripristino della procedibilità d'ufficio, attraverso lo strumento della contestazione suppletiva della circostanza aggravante utile (art. 517 cod. proc. pen.).
Tale strumento, però, non è risultato concretamente utilizzabile nei processi in cui, nel periodo di tempo fissato dall'art. 85 D.Lgs. n. 150 del 2022 (cioè dall'entrata in vigore della riforma al 30 marzo 2023), non è stata celebrata alcuna udienza.
Ebbene, un'interpretazione che neghi gli effetti di tale legittimo atto propulsivo del pubblico ministero, in ragione dell'operatività della causa di improcedibilità "ora per allora", nei casi in cui il pubblico ministero - a causa della scansione che lo specifico processo ha avuto nel tempo - non ha avuto alcuna possibilità di assumere l'iniziativa necessaria per adeguare il processo alle nuove regole, si pone in contrasto, ad opinione di questo collegio, con l'art. 517 cod. proc. pen. e con i valori tutelati dagli artt. 3 e 112 Cost.
Al riguardo, va evidenziato che l'esercizio del potere di contestazione suppletiva dell'aggravante, come riconosciuto dall'art. 517 cod. proc. pen., non prevede decadenze o limitazioni, neppure nel caso in cui l'elemento di fatto aggravatore sia emerso già prima dell'esercizio della azione penale.
Tale potere deve trovare uno spazio per il suo esercizio anche nei processi i cui, per effetto della novella e del suo regime transitorio, disegnato per l'iniziativa anche fuori udienza della persona offesa, l'eventuale inattività processuale nel periodo 30 dicembre 2022 - 30 marzo 2023 abbia impedito di fatto al pubblico ministero di reagire in tempo e di prevenire il rischio della declaratoria di improcedibilità del reato. Tale spazio deve essere individuato nella prima udienza utile fissata dopo il 30 marzo 2023, primo segmento processuale in cui il pubblico ministero può, nel contraddittorio tra le parti, esercitare il potere di contestazione suppletiva.
Il riconoscimento della prevalenza massima al venire meno della condizione di procedibilità, anche nei casi in cui il concreto esercizio del potere di contestazione suppletiva sia dovuto esclusivamente all'inattività processuale durante il periodo indicato all'art. 85 D.Lgs. n. 150 del 2022, infatti, porterebbe a un eccessivo e ingiustificato sacrificio dei poteri del pubblico ministero e al principio di obbligatorietà dell'azione penale.
Una lettura coordinata degli artt. 517 cod. proc. pen. e 85 D.Lgs. n. 150 del 2022, che tenga conto del potere di contestazione suppletiva, come riconosciuto dal codice di rito, senza decadenze o limitazioni, induce a ritenere consentito l'esercizio di tale potere, nella prima udienza utile fissata dopo il 30 marzo 2023.
In tal modo si perviene a un'adeguata valorizzazione del principio costituzionale dell'obbligatorietà della azione penale, come tracciato dalla giurisprudenza maggioritaria, al di fuori dell'ipotesi analizzata dalla sentenza delle Sezioni Unite Domingo, che non ha inteso prendere le distanze dalla sentenza delle Sezioni Unite De Rosa nel suo impianto generale.
6.3. Resta infine da esaminare la compatibilità dell'opzione interpretativa qui sostenuta con la struttura dell'art. 129 cod. proc. pen.: se, cioè, le diverse situazioni processuali evocate nell'articolo citato esigano un trattamento unitario oppure siano assoggettabili anche a valutazioni talvolta non omogenee.
Tale seconda opzione appare consentita, soprattutto quando è funzionale a una lettura compatibile costituzionalmente con il fenomeno processuale in rilievo.
Al riguardo, va rilevato che una prima deroga al trattamento unitario delle diverse situazioni processuali evocate nell'art. 129 cod. proc. pen. si può cogliere nel secondo comma dello stesso articolo, dove la declaratoria di non doversi procedere per mancanza di condizione di procedibilità non è menzionata assieme alle cause di estinzione del reato che sono assoggettate alla regola della prevalenza del proscioglimento nel merito.
Va, poi, menzionata la giurisprudenza a Sezioni Unite (Sez. U, n. 24246 del 2004, Rv 227681, Chiasserini) che, in tema di rapporto tra giudicato sostanziale (da ricorso inammissibile) e causa estinzione del reato per remissione di querela, ha già dato prova di effettuare una distinzione rispetto alle altre cause di estinzione del reato elencate nell'art. 129 cod. proc. pen., in ragione della peculiare struttura processuale degli effetti della remissione, ritenendola, a differenza delle altre cause estintive, capace di prevalere sull'inammissibilità del ricorso.
Più in generale, va rilevato che la regola di cui all'art. 129 cod. proc. pen. non può non declinarsi in relazione ai caratteri specifici e alla correlativa modalità operativa delle cause di non punibilità di cui si occupa.
Sotto tale profilo, è fin troppo evidente che l'estinzione del reato per prescrizione costituisce una vicenda irreversibile: il reato, in un determinato momento, si estingue definitivamente per effetto del decorso del termine previsto dalla legge.
La condizione di procedibilità, invece, subisce vicende alterne: quando il procedimento viene iniziato, potrebbe anche mancare; può essere poi presentata querela a discrezione della persona offesa; infine, la querela può essere rimessa.
Risulta evidente che, nel caso della condizione di procedibilità, non è consentito far riferimento a un momento determinato in cui essa manca: questa all'inizio potrebbe mancare, ma non per questo si arriva a una sentenza di proscioglimento, "ora per allora".
Nel caso dell'estinzione per prescrizione, invece, vi è un momento determinato in cui il reato si estingue e un'eventuale prosecuzione del processo potrebbe derivare esclusivamente dall'omessa pronuncia della doverosa sentenza liberatoria da parte del giudice. L'omissione di quest'ultimo, che, alla scadenza del termine di prescrizione, avrebbe dovuto pronunciare il proscioglimento dell'imputato, tuttavia, non può creare un pregiudizio a quest'ultimo, mediante il meccanismo della contestazione suppletiva che faccia rivivere il reato estinto.
Come evidenziato da Sezioni Unite Domingo "diversamente opinando, si rimetterebbe illogicamente alla diligenza del giudice di primo grado la sorte del processo, in presenza di identiche situazioni: un imputato beneficerebbe o meno della sentenza favorevole in base al tempestivo rilievo (o meno) della causa di estinzione del reato da parte del giudice stesso ...".
La situazione che si è determinata a seguito della scadenza del termine fissato dall'art. 85, nei processi in cui non era stata fissata udienza tra l'entrata in vigore della riforma e il 30 marzo 2023 è ben diversa: non vi è stata alcuna omissione da parte del giudice e tantomeno del pubblico ministero, che si è trovato nell'impossibilità di esercitare il suo potere di contestazione suppletiva. Seguendo l'interpretazione qui sostenuta, la sorte del processo non finisce per dipendere dalla diligenza del giudice o del pubblico ministero e l'imputato non riceve alcun pregiudizio per condotte omissive del giudice o della parte pubblica, ma si deve solo confrontare con un regime transitorio della nuova disciplina della procedibilità, come determinato dalla lettura coordinata degli art. 85 e 517 cod. proc. pen.
Non aderendo all'interpretazione di questo collegio, invece, si rimetterebbe, illogicamente, la sorte dei processi al calendario delle udienze e, in presenza di identiche situazioni, un imputato beneficerebbe o meno della sentenza favorevole in base al fatto che il giudice di quel processo abbia o meno fissato udienza nel periodo tra l'entrata in vigore della riforma Cartabia e il 30 marzo 2023.
Questo collegio, in definitiva, ritiene che: il pubblico ministero può validamente effettuare la contestazione suppletiva di una circostanza aggravante che renda il reato procedibile di ufficio, avendone il potere e l'occasione (la prima udienza dopo il 30 marzo 2023); con la contestazione suppletiva, il thema decidendi si estende alla circostanza aggravante e viene eliminato l'ostacolo processuale al prosieguo dell'azione penale; il giudice non ha ragione di emettere una sentenza di proscioglimento, poiché non si è realizzato alcun effetto preclusivo definitivo che imponga una pronuncia "ora per allora", dato che, nel caso di mancanza della condizione di procedibilità, a differenza dell'ipotesi di estinzione del reato, non si è in presenza di un reato venuto meno nella dimensione sostanziale, che non può rivivere.
Il complesso del rapporto cosi ricostruito fra contestazione suppletiva e mancanza della condizione di procedibilità porta a concludere nel senso che deve essere riconosciuta piena efficacia giuridica e operativa alla contestazione suppletiva effettuata in udienza dal pubblico ministero, quantomeno in relazione alle coordinate temporali sopra evidenziate e alla novità rappresentata dalla riforma Cartabia sul tema.
7. Nel caso in esame, il pubblico ministero, alla prima udienza utile, subito dopo la costituzione delle parti e prima dell'apertura del dibattimento, ha contestato l'aggravante di avere commesso il fatto su bene destinato a pubblico servizio. Per le ragioni esposte, la contestazione suppletiva ha reso il reato procedibile di ufficio e, conseguentemente, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio, ai sensi dell'art. 569, comma 4, cod. proc. pen., alla Corte di appello di Catania per il relativo giudizio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per il giudizio alla Corte di appello di Catania.
Così deciso in Roma, l'11 aprile 2024.
Depositato in Cancelleria il 15 maggio 2024.