Nell'ambito condominiale, in quali casi le molestie e altri comportamenti oppressivi come danneggiamenti, imbrattamenti o minacce, di un vicino costituiscono il reato di stalking ex art. 612-bis del Codice penale?
La questione è stata recentemente esaminata dalla Cassazione penale, sez. V, con la sentenza n. 21006 depositata il 28 maggio 2024, che ha chiarito i confini fra il reato di stalking ex art. 612-bis del codice penale e le molestie ex art. art. 660.
Nel caso di specie, la procura aveva impugnato la decisione del Tribunale di Busto Arsizio, il quale aveva derubricato un caso di presunto stalking a un caso di molestie, condannando l'imputato solo al pagamento di una multa.
La Corte di Cassazione ha ribadito che per configurare il delitto di stalking, secondo l'art. 612-bis del codice penale, è necessaria una condotta abituale che induce un profondo disagio psicologico nella vittima, fino a costringerla a modificare le proprie abitudini di vita. Questo criterio distingue nettamente il reato di stalking dalle molestie, che pur infastidendo, non alterano significativamente la routine quotidiana della vittima.
Nella vicenda in esame, la Cassazione ha accolto il ricorso riconoscendo che le condotte molestatrici erano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia.
Cassazione penale, sez. V, sentenza 04/04/2024 (dep. 28/05/2024) n. 21006
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d'appello di Milano è stata adita con appello del Procuratore della Repubblica di Busto Arsizio avverso la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio in composizione monocratica del 13 maggio 2022 - che, per quanto di interesse in questa sede, riqualificato il delitto di cui agli artt. 81,612-bis cod. pen., parzialmente aggravato dall'odio razziale, nella contravvenzione di cui all'art. 660 cod. pen. - di cui al capo a) dell'imputazione - ha condannato Gi.At. alla pena dell'ammenda. La Corte territoriale, con ordinanza del 19 gennaio 2024, ha trasmesso gli atti alla Corte di Cassazione, rilevando l'inappellabilità della sentenza di condanna a pena dell'ammenda.
2. L'impugnazione - che si è concentrata soltanto sul capo a) dell'imputazione e con esclusivo riferimento ai comportamenti posti in essere in danno delle persone offese del delitto di atti persecutori La.La., Le.Kr. e De.An. - si è affidata ad un solo, composito motivo, che ha lamentato l'errore di diritto commesso dal primo giudice nella derubricazione del delitto di cui all'art. 612-bis cod. pen. nella contravvenzione di cui all'art. 660 cod. pen., anche per erronea e mancata valutazione degli elementi probatori e ha denunciato la relativa contraddittorietà o carenza della motivazione.
2.1. Secondo il Procuratore ricorrente lo stesso Tribunale ha sottolineato che sia emersa prova piena delle condotte persecutorie contestate nell'imputazione, ma ha omesso, quanto all' evento del reato, di considerare la deposizione testimoniale della persona offesa La.La., convalidata da quella del teste "puro" Ma.; ha omesso, ancora, di valutare quanto dichiarato dalle altre persone offese, De.An. e Le.Kr. i cui apporti sono stati riscontrati dalla testimonianza del datore di lavoro del primo, che hanno riferito di aver cambiato casa a seguito delle condotte vessatorie del Gi.At.; ha trascurato la consulenza tecnica dello psichiatra nominato dal pubblico ministero, La., che ha confermato la diagnosi di disturbo di personalità dell'imputato e la sua pericolosità in relazione alla potenziale ricaduta nei comportamenti a lui attribuiti nel processo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
1. In caso di appello proposto dal pubblico ministero avverso sentenza inappellabile e di qualificazione dell'appello come ricorso per cassazione, l'atto d'impugnazione, per essere delibato in sede di legittimità, deve presentare i requisiti prescritti dall'art. 606 cod. proc. pen., che possono essere interpretati ed affrontati, in base al loro contenuto sostanziale e non solo sulla scorta della redazione della rubrica anteposta all'esposizione dei motivi, se conformi alle previsioni della legge processuale in tema di proponibilità del relativo mezzo di impugnazione.
2. Nel caso in esame, l'atto di gravame promosso dal Pubblico Ministero di Busto Arsizio avverso la sentenza del Tribunale monocratico della medesima Città deve essere ritenuto ammissibile, perché, al di là dell'erronea indicazione del nomen juris, rispetta i requisiti richiesti dal codice di rito ai fini di una rituale formalizzazione di un ricorso di legittimità ed esprime la volontà dell'organo requirente di attivare tale rimedio, in linea con le direttrici di Sez. U n. 16 del 26/11/1997, Nexhi, Rv. 209336. Esso deve, pertanto, essere riqualificato in ricorso per cassazione.
2.1. L'atto di ricorso deduce, per un verso, il vizio di violazione di legge in relazione alla qualificazione giuridica dei fatti, operata con la decisione impugnata, e, per altro verso e nella sostanza, un vizio di omessa, contraddittoria e manifesta illogicità della motivazione della sentenza del Tribunale, consistente, quest'ultima, nell'evidenza di una frattura logica tra le premesse formulate e le conseguenze che se ne siano tratte (ex multis, sez. 1, n. 9539 del 12/05/1999, Commisso ed altri, Rv. 215132).
3. E' consolidato principio di diritto che nel delitto previsto dall'art. 612-bis cod. pen., che ha natura abituale, l'evento deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso e la reiterazione degli atti considerati tipici costituisce elemento unificante ed essenziale della fattispecie, facendo assumere a tali atti un'autonoma ed unitaria offensività, in quanto è proprio dalla loro reiterazione che deriva nella vittima un progressivo accumulo di disagio che infine degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dalla norma incriminatrice (sez. 5, n. 54920 del 08/06/2016, G., Rv. 269081; sez. 5, n. 7899 del 14/01/2019, P., Rv. 275381; sez. 5, n. 51718 del 05/11/2014, T., Rv. 262636).
4. Ebbene, la decisione oggetto del ricorso afferma espressamente che "tutte le dettagliate azioni che sarebbero state poste in essere dal Gi.At. hanno trovato prova in dibattimento soprattutto per quanto riguarda la mole di cartelli redatti su carta A4 aventi ad oggetto sempre questioni e controversie di carattere condominiale e lamentele che il prevenuto avanzava continuamente avverso la condotta a suo dire incivile e poco rispettosa tenuta dagli altri.
E' inoltre stata raggiunta la prova dei disturbi posti in essere dal Gi.At. con utensili come martelli o frese anche in piena notte al precipuo scopo di disturbare il vicinato e la affissione in modo talora indelebile di cartelli riportanti ingiurie di ogni tipo soprattutto dirette ai conduttori extracomunitari con invettive attinenti alla razza. E' stato infine riferito di come Gi.At. avesse apposto un lucchetto sul cancello prima della elettrificazione dello stesso, ritardando a consegnare la chiave agli interessati o ancora come lo stesso pretendesse - quasi egli fosse l'amministratore - di avere l'ultima parola sulla dicitura apposta sulla citofoniera (come riferito dalla teste La.La.) ... Qualche parte offesa ha riferito della paura di tornare a casa per il timore di trovare il Gi.At. dietro la porta (cfr. dichiarazioni teste La.La.) ... ". A riguardo, in particolare, dell'idoneità delle plurime condotte contestate - la cui materialità è stata dunque riconosciuta come dimostrata dalla sentenza impugnata - a cagionare un grave stato di ansia e di paura o un'alterazione delle abitudini di vita delle persone offese, è necessario osservare che il ricorso della parte pubblica si duole di un travisamento della prova dichiarativa - che ha testualmente riportato nell'esposizione - per omissione (in relazione alla mancata considerazione di prove decisive) o per falsificazione (in relazione alla distorsione del patrimonio conoscitivo acquisito nel processo) e la ragione di censura coglie nel segno, perché ne investe correttamente il tessuto narrativo nel suo "significante", ne illustra la pregnanza oggettiva e non opinabile ed è idonea ad evidenziare una palese ed incontrovertibile difformità tra il senso intrinseco della dichiarazione e quello che il giudice ne abbia tratto (sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, Maggio, Rv. 255087; sez. 5, n. 8188 del 4/12/17, Grancini, Rv. 272406; Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Dos Santos, Rv. 283370-01; Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, Stojanovic, Rv. 234167; Sez. 5, n. 36764 del 24/05/2006, Bevilacqua, Rv. 234605). Ed invero, a fronte dei passaggi salienti della parte motiva della sentenza di primo grado - che affermano che "nessuna modifica delle proprie abitudini è stata dimostrata, tale non potendosi certo ritenere il cambio della abitazione legato come già osservato, da motivazioni di carattere diverso e precipuamente economico" e che "nel caso concreto non vi è prova di alcuna destabilizzazione personale e familiare in alcuna delle parti offese escusse, molte delle quali hanno dichiarato di voler rimettere la querela anche nelle ipotesi aggravate dall'odio razziale" -l'atto d'impugnazione ha compiutamente illustrato e dato conto che, in realtà e contrariamente al contenuto di tali proposizioni, la persona offesa La.La. - confortata dal contributo del teste Ma., che ha rilasciato dichiarazioni di analogo tenore - ha riferito di "vivere con il timore" di trovarsi davanti l'imputato al momento di accedere in casa, di aver paura di uscire di casa, di "vivere male" tali stati d'animo; la testimonianza delle persone offese De.An. e Le.Kr., corroborata dalle dichiarazioni del teste Cerini (testualmente citate in "nota 8" di pag. 7 dell'appello), ha concordemente raccontato della scelta di trasferirsi altrove, anche e soprattutto a causa del "disturbo" arrecato dall'imputato; i due coniugi - la cui remissione di querela possiede valenza neutra poiché il reato in loro danno è perseguibile di ufficio, ai sensi degli artt. 604-ter cod. pen. e 6 comma 1 D.L. n. 122 del 1993 - hanno riferito di aver vissuto "in ansia e paura" a cagione delle reiterate molestie notturne provocate dal Gi.At., tra le quali finanche l'allarmante "forzatura" della porta d'ingresso dell'abitazione. Infine, la valutazione psichiatrica del consulente tecnico del pubblico ministero ha riscontrato nell'imputato una significativa patologia, collegata alla "costante esposizione al rapporto con il vicinato", tale da renderlo socialmente pericoloso.
Ritiene in definitiva il collegio che la valutazione delle versioni offerte dalle singole testimonianze e le conclusioni rassegnate dal consulente tecnico del pubblico ministero, nella loro asettica "fotografia" probatoria, siano state nel complesso trascurate dalla motivazione e siano tali, in quanto dotate di potenziale valenza decisiva, da pregiudicarne intimamente la struttura logica.
5. Ma la tenuta delle argomentazioni del provvedimento oggetto di censura presenta ulteriori e decisivi profili di debolezza e complessiva incongruenza anche a riguardo dell'operata riqualificazione giuridica dell'originario addebito di atti persecutori nel paradigma di cui all'art. 660 cod. pen., dal momento che - per un verso - per costante orientamento di questa Corte, sia in tema di elemento obiettivo che a proposito dell'evento del delitto di atti persecutori, il discrimen fra il delitto di cui all'articolo 612-bis e il reato di molestie è costituito dal diverso atteggiarsi delle conseguenze della condotta, configurandosi il delitto di cui all'art. 612-bis cod. pen. qualora le condotte molestatrici siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia ovvero l'alterazione delle proprie abitudini di vita, mentre sussiste il reato di cui all'art. 660 cod. pen. ove le molestie si limitino ad infastidire la vittima del reato (Sez. 6 n. 23375 del 10/07/2020, Rv. 279601; conf. Sez. 5, n. 15625 del 09/02/2021, Rv. 281029); e che, come ravvisato nella fattispecie in scrutinio, alle "molestie" si sono affiancati altri comportamenti oppressivi, come i danneggiamenti, gli imbrattamenti e le minacce, tipicamente espressivi del delitto di cui all'art. 612-bis cod. pen.; per altro verso, la contravvenzione di molestia o disturbo alle persone reca quale elemento costitutivo del reato, indicativo della sua riconducibilità alla tutela del bene giuridico dell'ordine pubblico e della tranquillità pubblica, la commissione del fatto "in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero col mezzo del telefono", circostanze che appaiono insussistenti nel caso di specie - ove il contegno invasivo e prevaricatore pare riservato ai rapporti interpersonali nel contesto di un privato condominio -e che, in ogni caso, la sentenza impugnata ha omesso di descrivere con la necessaria puntualità.
6.La sentenza impugnata deve essere dunque annullata in parte qua, ai sensi dell'art. 623 lett. d) cod. proc. pen., con rinvio per nuovo giudizio al medesimo Tribunale monocratico di Busto Arsizio, in diversa persona fisica (sez. U n. 38810 del 13/06/2022, PG c. Banadin Abdul Rahman).
7.La natura dei reati, non estranea a profili di disturbo di ordine psichico, impone, in caso di diffusione della presente sentenza, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi, che si dispone d'ufficio.
P.Q.M.
Riqualificato l'appello come ricorso, annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo A) in danno di La.La. De.An. e Le.Kr., con rinvio al Tribunale di Busto Arsizio, per il giudizio.
In caso di diffusione del presente provvedimento, si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 del D.Lgs. n. 196 del 2003.
Così deciso in Roma, il 4 aprile 2024.
Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2024.