In tema di patteggiamento, è ammissibile il ricorso per cassazione proposto per violazione di legge con riferimento alle pene accessorie che non hanno formato oggetto dell'accordo tra le parti?
La Cassazione, sez. V, con la sentenza n. 22985 depositata il 6 giugno 2024, risponde affermativamente.
La Suprema Corte ribadisce:
a) che è ammissibile il ricorso per cassazione proposto per violazione di legge con riferimento alle pene accessorie che non hanno formato oggetto dell'accordo tra le parti, non operando in questo caso la disposizione dell'art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen.;
b) che costituisce onere del giudice quello di motivare specificamente sul punto;
c) che la statuizione è impugnabile, anche dopo l'introduzione dell'art.448, comma 2-bis, cod. proc. pen., con ricorso per cassazione per vizio di motivazione, riguardando un aspetto della decisione estraneo all'accordo sull'applicazione della pena.
Nel caso di specie il GIP presso il Tribunale di Udine ha condannato l'imputato per reati fallimentari e tributari con applicazione delle pene principali e accessorie. L'imputata ha presentato ricorso in Cassazione lamentando violazione di legge e vizio di motivazione, per avere il giudice procedente, pur in assenza di un accordo sul punto delle pari, applicato all'imputato le pene accessorie previste dall'ultimo comma dell'art. 216, L.Fall., e dal primo comma dell'art. 12,D.Lgs. n. 74 del 2000, fissandone la durata senza alcuna motivazione al riguardo.
I giudici di legittimità ricordano in tema di pene accessorie in cui la durata di queste sia determinata in misura superiore alla media edittale, è necessaria una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi elencati dall'art. 133, c.p., valutati e apprezzati tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena.
Il giudice di primo grado, invece, a fronte di una pena principale di anni due mesi uno di reclusione, applicata all'imputato per entrambi i reati in addebito, unificati sotto il vincolo della continuazione, ha applicato nei confronti dell'imputato:
Queste pene accessorie risultano del tutto estranee all'intervenuto accordo sulla pena, senza alcuna motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi elencati dall'art. 133, c.p., che ne giustificasse la durata.
Pertanto, la Cassazione annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla sola determinazione della durata delle pene accessorie ndicate, con rinvio per nuovo giudizio al tribunale di Udine, che provvederà a colmare l'evidenziata lacuna motivazionale.
Cassazione penale, sez. V, sentenza 23/02/2024 (dep. 06/06/2024) n. 22985
IN FATTO E IN DIRITTO
1. Con la sentenza di cui in epigrafe, il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Udine, decidendo in sede di udienza preliminare, applicava a Ko.Mi., ai sensi degli artt. 444 e ss., c.p.p., in relazione ai reati fallimentari e tributari allo stesso ascritti nei capi n. 1) e n. 2) dell'imputazione, le pene, principale e accessorie, ritenute di giustizia.
2. Avverso tale sentenza, di cui chiede l'annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per Cassazione l'imputata, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione, per avere il giudice procedente, pur in assenza di un accordo sul punto delle pari, applicato all'imputato le pene accessorie previste dall'ultimo comma dell'art. 216, L.Fall., e dal primo comma dell'art. 12,D.Lgs. n. 74 del 2000, fissandone la durata senza alcuna motivazione al riguardo.
3. Con requisitoria scritta dell'8.1.2024, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, dott. Aldo Cenniccola, chiede che il ricorso venga accolto, limitatamente alle pene accessorie fallimentari.
Con conclusioni scritte del 15.2.2024, pervenute a mezzo di posta elettronica certificata, il difensore di fiducia dell'imputato insiste per l'accoglimento del ricorso.
4. Il ricorso è fondato e va accolto nei seguenti termini.
Preliminarmente si osserva che il ricorso deve ritenersi legittimamente proposto.
Come affermato, infatti dalla giurisprudenza di legittimità, in un condivisibile arresto, in tema di patteggiamento, è ammissibile il ricorso per cassazione proposto per violazione di legge con riferimento alle pene accessorie (nella specie, quelle previste dagli artt. 29 cod. pen. e 216, u. co., L.Fall.) che non hanno formato oggetto dell'accordo tra le parti, non operando in questo caso la disposizione dell'art. 448, comma 2-bis, c.p.p. (cfr. Sez. 5, n. 49477 del 13/11/2019, Rv. 277552).
Si è più di recente evidenziato che in tema di patteggiamento allargato, il giudice che applica una pena accessoria non concordata ha l'onere di motivare specificamente sul punto e la statuizione è impugnabile, anche dopo l'introduzione dell'art. 448, comma 2-bis, c.p.p., con ricorso per cassazione per vizio di motivazione, riguardando un aspetto della decisione estraneo all'accordo sull'applicazione della pena (cfr. Sez. 6, n. 16508 del 27/05/2020, Rv. 278962).
Principi ribaditi in altra decisione, in cui si è precisato che la sentenza di patteggiamento che abbia applicato le pene accessorie previste dall'art. 216, ultimo comma, legge fall, è ricorribile per cassazione per vizio di motivazione ai sensi della disciplina generale di cui all'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., nel caso in cui la pena accessoria non sia stata oggetto dell'accordo tra le parti, in quanto, diversamente, è ricorribile nei soli limiti di cui all'art. 448, comma 2-bis, c.p.p. (cfr. Sez. 5, n. 24874 del 21/04/2023, Rv. 284818).
Trattandosi nel caso in esame di applicazione di pene accessorie non rientranti nell'accordo tra le parti, ed avendo il ricorrente eccepito, sia la violazione di legge, che il difetto di motivazione, non vi sono dubbi sull'ammissibilità della proposta impugnazione.
Tanto premesso, il ricorso appare fondato.
Al riguardo appare sufficiente richiamare i principi affermati dalla Suprema Corte, nella sua espressione più autorevole, secondo cui la durata delle pene accessorie per le quali la legge stabilisce, in misura non fissa, un limite di durata minimo ed uno massimo, ovvero uno soltanto di essi, deve essere determinata in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all'art. 133, c.p., e non rapportata, invece, alla durata della pena principale inflitta ex art. 37, c.p. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza che aveva irrogato agli imputati le pene accessorie conseguenti al reato di bancarotta fraudolenta per il periodo fisso di dieci anni richiamando la sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 2018: cfr. Sez. U, n. 28910 del 28/02/2019, Rv. 276286).
Nel solco interpretativo tracciato dalle Sezioni Unite sì collocano una serie di condivisibili arresti della giurisprudenza di legittimità, che hanno dato vita all'orientamento ormai prevalente, secondo cui, in tema di pene accessorie, e, in particolare, nel caso di quelle previste dall'art. 219, ultimo comma, legge fall., in cui la durata di queste sia determinata in misura superiore alla media edittale, è necessaria una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi elencati dall'art. 133, c.p., valutati e apprezzati tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena, (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 11329 del 09/12/2019, Rv. 278788; Sez. 5, n. 1947 del 03/11/2020, Rv. 280668).
Orientamento ribadito anche con riferimento alle pene accessorie di cui all'art. 12 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, da Cass., Sez. 3, n. 41061 del 20/06/2019, Rv. 277972, secondo cui la durata delle pene accessorie per le quali è previsto un limite minimo e massimo, deve essere determinata in concreto, con adeguata motivazione, sulla base dei criteri stabiliti dall'art. 133, c.p., dovendo escludersi la necessaria correlazione con quella della pena principale.
Orbene appare evidente che il giudice di primo grado non abbia fatto buon governo di tali principi, in quanto, a fronte di una pena principale di anni due mesi uno di reclusione, applicata all'imputato per entrambi i reati in addebito, unificati sotto il vincolo della continuazione, lo stesso giudice ha applicato nei confronti del Ko.Mi. le pene accessorie di cui all'art. 219, ultimo comma, L.Fall., nella durata massima di dieci anni, nonché le ulteriori pene accessorie dell'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione per la durata di anni due e dell'interdizione dalle funzioni di assistenza e rappresentanza in materia tributaria per la durata di anni due, di cui all'art. 12, co. 1, lett. b) e c), D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, tutte estranee all'intervenuto accordo sulla pena, senza alcuna motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi elencati dall'art. 133, c.p., che ne giustificasse la durata.
Sul punto, pertanto, la sentenza impugnata va annullata, limitatamente alla sola determinazione della durata delle pene accessorie in precedenza, indicate, con rinvio per nuovo giudizio al tribunale di Udine, che provvederà a colmare l'evidenziata lacuna motivazionale.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle pene accessorie Fallimentari e tributarie con rinvio per nuovo giudizio al tribunale di Udine.
Così deciso in Roma il 23 febbraio 2024.
Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2024.