Diffamazione a mezzo tv, come individuare la competenza territoriale

Corte di Cassazione, sez. V Penale, n.26919 del 15/03/2024 (dep. 08/07/2024)

In caso di diffamazione commessa durante una trasmissione televisiva, come si determina la competenza territoriale?

Sulla questione interviene la Sezione Quinta penale della Cassazione con la sentenza n. 26919 depositata l’8 luglio 2024.

In particolare il Tribunale di Milano, con rinvio pregiudiziale ex art. 24-bis cod. proc. pen., ha chiesto alla Suprema Corte se la competenza territoriale debba essere individuata nel foro di residenza della persona offesa ex art. 30, comma 5, della legge n. 223 del 1990, anche nel caso in cui gli autori della diffamazione non siano i soggetti indicati nel comma 1 del citato articolo 30, ossia del concessionario privato, della concessionaria pubblica o della persona da loro delegata al controllo della trasmissione.

La soluzione elaborata dalla Cassazione, tenuto conto della sentenza n. 150 del 2021 della Corte costituzionale, è la seguente:

  • in tema di diffamazione commessa attraverso trasmissioni radiotelevisive e consistente nell'attribuzione di un fatto determinato, la competenza territoriale deve essere individuata nel luogo di residenza della persona offesa ex art. 30, comma 5, della legge n. 223 del 1990, chiunque sia il soggetto chiamato a rispondere della diffamazione.

Diffamazione commessa mediante una trasmissione televisiva, attribuzione di un fatto determinato, determinazione della competenza territoriale, applicabilità dell’art. 30, comma 5, seconda parte, legge n. 223 del 1990, sussistenza.

In tema di diffamazione commessa attraverso trasmissioni radiotelevisive e consistente nell'attribuzione di un fatto determinato, anche successivamente alla sentenza n. 150 del 2021 della Corte costituzionale, la competenza territoriale deve essere stabilita applicando l'art. 30, comma 5, seconda parte, legge 6 agosto 1990, n. 223, con riferimento al luogo di residenza della persona offesa, chiunque sia il soggetto chiamato a rispondere della diffamazione.

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Cassazione penale, sez. V, sentenza 15/03/2024 (dep. 08/07/2024) n. 26919

RITENUTO IN FATTO


1. Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di Milano ha rimesso la questione relativa alla competenza territoriale, ai sensi dell'art. 24-bis cod. proc. pen., nel processo a carico di Fe.Ri. e De.Al. per il reato di diffamazione aggravata. Gli imputati, rispettivamente, Fe.Ri., quale autore e De.Al. quale conduttore della trasmissione televisiva (Omissis), sono accusati di aver trasmesso un servizio televisivo, il 24.5.2022, dal titolo "Speciale (Omissis), delitto (Omissis), la verità di St.Al.", in cui si offendeva la reputazione di Ca.St., insinuando un suo coinvolgimento nell'omicidio di Po.Ch.

1.1. Il Tribunale, investito della questione sulla competenza territoriale dalla difesa degli imputati all'udienza del 31.10.2023, con successiva ordinanza del 5.12.2023, rilevando l'esistenza di un contrasto nella giurisprudenza di legittimità, ha rimesso alla Corte di cassazione ex art. 24-bis cod. proc. pen. la soluzione del problema interpretativo che è così sintetizzabile:

"se, in tema di diffamazione commessa con il mezzo della trasmissione televisiva, la competenza territoriale deve essere stabilita, in applicazione dell'art. 30, comma 5, della legge n. 223 dei 1990, nel foro di residenza della persona offesa, chiunque sia il soggetto chiamato a rispondere del reato di diffamazione, ancorché non si tratti dei soggetti indicati nell'art. 30, comma 1, della medesima legge (ossia del concessionario privato, della concessionaria pubblica o della persona da loro delegata al controllo della trasmissione) oppure la speciale regola di competenza dettata dal comma 5 del citato art. 30 valga solo per i soggetti specificamente indicati nel comma primo della medesima disposizione, sicché, quando questi non siano imputati, si applicano, agli autori della diffamazione, le regole generali di competenza territoriale previste in relazione alla diffamazione punita ex art. 595 cod. pen. e segnatamente l'art. 9, comma 1, cod. proc. pen.".

L'ordinanza del Tribunale, dando atto delle due opzioni presenti nella giurisprudenza della Cassazione, evidenzia anche l'incidenza sulla questione della declaratoria di incostituzionalità dell'art. 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa) e di quella, in via consequenziale - ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) - dell'art. 30, comma 4, della legge 6 agosto 1990, n. 223 (Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato), pronunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 150 del 2021.

Ed invero, si sottolinea come l'art. 30, comma 5, della legge n. 223 del 1990 si ricolleghi, ai fini di individuare la regola per la competenza territoriale, al precedente comma 4, attinto dalla declaratoria di incostituzionalità.

E difatti, la disposizione dell'art. 30, comma 5, citata, rilevante ai fini della competenza, recita: "Per i reati di cui ai commi 1,2 e 4 del presente articolo si applicano le disposizioni di cui all'art. 21 della legge 8 febbraio 1948, n. 47. Per i reati di cui al comma 4 il foro competente è determinato dal luogo di residenza della persona offesa." Il precedente comma 4 dell'art. 30, dichiarato incostituzionale dalla sentenza n. 150 del 2021, stabiliva: "Nel caso di reati di diffamazione commessi attraverso trasmissioni consistenti nell'attribuzione di un fatto determinato, si applicano ai soggetti di cui al comma 1 le sanzioni previste dall'art. 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47". Il giudice rimettente prospetta la sua preferenza per l'orientamento che giunge a ritenere la competenza territoriale, in casi come quello di specie, nel foro della persona offesa, ai sensi dell'art. 30, comma 5, cit., nei casi di diffamazione commessi attraverso trasmissioni radiotelevisive con l'attribuzione di un fatto determinato, nonostante la declaratoria di incostituzionalità della disposizione richiamata dal medesimo comma 5 dell'art. 30 (e cioè il comma 4 della stessa norma), che non determinerebbe l'abrogazione da incostituzionalità della disposizione richiamante (il comma 5, appunto). Secondo il Tribunale, la parte del comma 4 dell'art. 30 colpita da declaratoria di incostituzionalità è solo quella di contenuto sanzionatorio, sicché il comma 5 del medesimo articolo non avrebbe perso senso nel suo richiamo al precedente comma, in quanto riferito ai reati di diffamazione commessi attraverso trasmissioni consistenti nell'attribuzione di un fatto determinato -, tanto più che pacificamente la disposizione del comma 4 aveva natura di circostanza aggravante, sicché continuano ad essere punibili i fatti di diffamazione ivi contemplati con l'unica differenza che essi sono punibili, a seguito della dichiarazione di incostituzionalità, con le pene alternative di cui all'art. 595, comma 3, cod. pen., anziché con pena congiunta di cui all'art. 13 L. n. 47 del 1948. Rimarrebbero ferme, quindi, anche le ragioni sottese all'orientamento preferito, collegate alla necessità di evitare la competenza di due fori diversi, condizionate dall'essere o meno imputati i soggetti di cui al comma 1 dell'art. 30 L. n. 223 del 1990. A tale tesi ha aderito la difesa della parte civile già nel corso del processo, con memoria depositata il 5.12.2023.

Diversamente, la difesa degli imputati ha sostenuto che, a seguito della declaratoria di incostituzionalità, il comma 5 dell'art. 30 citato deve essere considerato "inesistente nell'ordinamento e non potrà più trovare alcuna applicazione", depositando anche memoria al Tribunale, per rafforzare gli argomenti già sollevati iri udienza. Tutti i citati atti sono stati trasmessi alla Corte di cassazione, allegati all'ordinanza ex art. 24-bis cod. proc. pen., unitamente ai verbali di udienza ed alla querela ed al decreto di citazione a giudizio.

2. Il Sostituto Procuratore Generale, aderendo all'opzione preferita anche dal Tribunale, senza far cenno all'incidenza della sentenza n. 150 del 2021 della Corte costituzionale, ha ritenuto praticabile la scelta dell'orientamento ermeneutico che considera il richiamo del comma 5 al comma 4 dell'art. 30 L. n. 223 del 1990 come riferito a tutte le condotte di chi commetta diffamazione tramite trasmissioni radiotelevisive attribuendo un fatto determinato; conseguentemente, ha chiesto che sia dichiarata la competenza territoriale rispetto al luogo di residenza della persona offesa dal reato.

2.1. La difesa della parte civile, con memoria depositata in vista dell'udienza dinanzi al Collegio, ha evidenziato la propria adesione alla tesi del PG, argomentando anche rispetto alla giurisprudenza costituzionale e di legittimità; ha precisato, altresì, che vi è un refuso nella requisitoria, poiché si è richiesta la trasmissione al Tribunale del luogo ove risiede la persona offesa indicando l'ufficio di Monza, laddove costei risiede a Milano.

2.2. La difesa degli imputati ha depositato memoria con cui evidenzia, mediante richiami giurisprudenziali e allegazioni, tutti gli aspetti argomentativi che determinano la competenza del Tribunale di Monza, individuato ex art. 9, comma 1, cod. proc. pen., applicabile come criterio residuale di competenza alla luce della non estensibilità del diverso criterio previsto dall'art. 30, comma 5, L. n. 223 del 1990 ai soggetti diversi da quelli espressamente indicati nel comma 1 della medesima disposizione, pena la violazione del divieto di analogia in materia penale.

Non sarebbe, quindi, competente il Tribunale individuato mediante il riferimento al luogo di residenza della persona offesa ai sensi dell'art. 30, comma 5, citato, che rinvia al precedente comma 4, dichiarato incostituzionale dalla Consulta con sentenza n. 150 del 2021.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Anzitutto deve rilevarsi che il ricorso è ammissibile, poiché il giudice che ha sollevato il rinvio pregiudiziale ex art. 24-bis cod. proc. pen. ha motivato la propria determinazione, analizzando la questione e compiendo una preliminare delibazione di non manifesta infondatezza della stessa, così da prospettare l'impossibilità di risolverla mediante l'utilizzo degli ordinari strumenti normativi.

Una simile motivazione corrisponde agli orientamenti della giurisprudenza di legittimità recentemente formatasi in tema di rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione per risolvere una questione di competenza territoriale (cfr., ex multis, Sez. 1, n. 46466 del 22/9/2023, GIP Cuneo, Rv. 285513).

2. La questione ex art. 24-bis cod. proc. pen. proposta è la seguente:

"se, in tema di diffamazione commessa con il mezzo della trasmissione televisiva, la competenza territoriale deve essere stabilita, in applicazione dell'art. 30, comma 5, della legge n. 223 del 1990, nel foro di residenza della persona offesa, chiunque sia il soggetto chiamato a rispondere del reato di diffamazione, e dunque ancorché non si tratti dei soggetti indicati nell'art. 30, comma 1, della medesima legge (ossia del concessionario privato, della concessionaria pubblica o della persona da loro delegata al controllo della trasmissione) oppure la speciale regola di competenza dettata dal comma 5 del citato art. 30 valga solo per i soggetti specificamente indicati nel comma primo della medesima disposizione, sicché, quando questi non siano imputati, si applicano, agli autori della diffamazione, le regole generali di competenza territoriale previste in relazione alla diffamazione punita ex art. 595 cod. pen. e segnatamente l'art. 9, comma 1, cod. proc. pen.

Il Collegio ritiene che il quesito debba risolversi nel senso che la competenza territoriale vada determinata dando prevalenza alla disciplina prevista dall'art. 30, comma 5, L. n. 223 del 1990, ed al foro di residenza della persona offesa, sicché spetta, nel caso di specie, al Tribunale di Milano.

3. Sul tema della competenza territoriale per i reati di diffamazione commessi mediante l'attribuzione di un fatto determinato ed a mezzo di trasmissioni radiofoniche o televisive è effettivamente, da tempo, radicato un contrasto nella giurisprudenza di legittimità. Un primo orientamento sostiene che, in tale ipotesi, la competenza territoriale deve essere stabilita applicando la legge 6 agosto 1990, n. 223, art. 30, comma 5, e cioè con riferimento al luogo di residenza della persona offesa, chiunque sia il soggetto chiamato a rispondere della diffamazione, poiché la citata disposizione, nello stabilire tale competenza, menziona i "reati di diffamazione commessi attraverso trasmissioni consistenti nell'attribuzione di un fatto determinato", indipendentemente dalla persona che li abbia commessi (Sez. 5, n. 3135 del 2019, n.m.; Sez. 5, n. 4158 del 18/09/2014, dep. 2015, Perego, Rv. 262168; Sez. 1, n. 269 del 13/1/2000, Sgarbi, Rv. 215382; Sez. 1, n. 6793 del 13/12/1997, dep. 1997, Sindoni, Rv. 206755; Sez. 1, n. 6018 del 13/12/1994, dep. 1995, Costanzo, Rv. 200801).

Tale opzione ha basato il proprio convincimento su una lettura congiunta del comma quarto e del comma quinto dell'art. 30 L. n. 223 del 1990, valorizzando il dato che l'inciso "reati di diffamazione commessi attraverso trasmissioni consistenti nell'attribuzione di un fatto determinato" (contenuto nel quarto comma dell'art. 30 cit., oggi dichiarato incostituzionale dalla sentenza n. 150 del 2021 Corte cost., come si dirà di qui a poco) sembra(va) riferirsi a tutti i reati di diffamazione caratterizzati dal particolare strumento di diffusione delle espressioni diffamatorie, rappresentato dalle trasmissioni radiofoniche o televisive, indipendentemente dalla persona che li abbia commessi. L'espressione ulteriore contenuta nel citato comma quarto - e cioè "si applicano ai soggetti di cui al comma primo le sanzioni previste dall'art. 13 della legge 8 febbraio 1948 n. 47" - riguarderebbe il trattamento sanzionatorio, non già il comportamento che costituisce il reato.

Per questo, quando nel comma quinto si menzionano, ai fini della determinazione della competenza con riferimento al luogo di residenza della persona offesa, "i reati di cui al quarto comma", questi comprendono anche la diffamazione consistente nell'attribuzione di un fatto determinato commesso da chiunque (anche da persona non rientrante tra quelle indicate nel comma primo del medesimo art. 30).

Secondo tale tesi, detta interpretazione del regime di competenza peculiare, previsto dalla legge del 1990 - che ha regolamentato l'intero settore delle trasmissioni radiotelevisive nei numerosi aspetti bisognosi di specifica attenzione normativa - non sarebbe neppure da considerarsi rientrante nella categoria dell'interpretazione "estensiva"; piuttosto, si sarebbe dinanzi ad un'esegesi che predilige il carattere generale di una disposizione che, non a caso, testualmente non fa cenno alcuno al suo specifico riferirsi a determinate categorie soggettive, neppure nella rubrica normativa (dedicata genericamente alle "Disposizioni penali").

La lettura interpretativa proposta avrebbe il merito, altresì, di avere natura coerenziatrice di regimi di competenza territoriale, altrimenti divergenti se si ritenesse, viceversa, che i reati commessi dai soggetti nominati nel primo comma dell'art. 30 cit. dovessero seguire un foro differente da quello previsto come criterio generale dall'art. 9, comma 1, cod. proc., pen.

In controluce, tale giurisprudenza distingue le disposizioni in tema di trattamento sanzionatorio, contenute nell'art. 30 cit., non estensibili analogicamente a soggetti diversi da quelli menzionati nella norma, rispetto alla regola sulla competenza, valida invece per tutti i reati di diffamazione a mezzo trasmissioni televisive consistenti nell'attribuzione di un fatto determinato, indipendentemente dall'autore.

3.1. La seconda tesi in gioco, all'opposto, ha ritenuto che le norme speciali di cui all'art. 30 L. n. 223 del 1990, dettate in tema di trattamento sanzionatorio e di competenza territoriale per il reato di diffamazione con attribuzione di fatto determinato commesso attraverso trasmissioni televisive, stante il divieto di applicazione analogica, valgono esclusivamente con riferimento ai soggetti in essa specificamente indicati, i quali si identificano nel concessionario privato, nella concessionaria pubblica ovvero nella persona da loro delegata al controllo della trasmissione, ma non nella persona che concretamente commette la diffamazione, sicché a quest'ultima non si applicano le norme speciali ma esclusivamente l'art. 595 cod. pen. e le regole generali sulla competenza per territorio (Sez. 1, n. 1291 del 27/2/1996, Ferrara, Rv. 205281; Sez. 2, n. 34717 del 23/4/2008, Matacena, Rv. 240687; Sez. 5, n. 50987 del 6/10/2014, Cappato, Rv. 261907).

La più recente sentenza massimata in tal senso - vale a dire Sez. 5, n. 27823 del 19/04/2017, Izzo, Rv. 270557 - in realtà, in motivazione, ha evocato il principio di diritto nella sua massimazione complessiva, ma ha inteso chiaramente riferirlo alla parte rilevante per la questione decisa, vale a dire quella del divieto di estensione analogica della disciplina sanzionatoria speciale, prevista dall'art. 30 L. n. 223 del 1990 per il "delegato al controllo" ai sensi del comma 1 della citata disposizione, al direttore responsabile di un telegiornale privo di delega formale. La lettura della motivazione - come ha messo in risalto anche Sez. 5, n. 3135 del 2019 - consente agevolmente di rilevare che il problema della competenza non è affrontato, né è presa in considerazione o smentita la giurisprudenza di legittimità riferibile al primo orientamento. Viceversa, una recente sentenza - ancorché in un obiter dictum, poiché ha dichiarato inammissibile il rinvio pregiudiziale ex art. 24-bis cod. proc. pen. - ha collegato la pronuncia n. 27823 del 2017 alla seconda delle due tesi contrapposte in esame e, su tali basi, ha aderito esplicitamente al principio che esporta il divieto di analogia anche in tema di competenza territoriale (così Sez. 5, n. 41165 del 2023 n.m.).

3.2. Per giungere alla soluzione della questione controversa, è necessario oggi confrontarsi anche con la sentenza n. 150 del 2021 della Corte costituzionale, con cui il giudice delle leggi ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa) e, in via consequenziale - ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 - dell'art. 30, comma 4, della legge 6 agosto 1990, n. 223.

Ed è questo dato inedito, mai prima esaminato dalle tesi che si confrontano sul tema, a dover essere valutato in particolare, perché destinato ad incidere significativamente sulle scelte interpretative.

Come noto, la norma censurata della legge sulla stampa - Lex specialis rispetto alle due aggravanti stabilite dall'art. 595 cod. pen., secondo e terzo comma - prevedeva una circostanza aggravante per il delitto di diffamazione, integrata nel caso in cui la condotta fosse commessa col mezzo della stampa e consistesse nell'attribuzione di un fatto determinato; in tal caso, la pena prevista era quella della reclusione da uno a sei anni e della multa non inferiore ad Euro 258, da applicare in via cumulativa, a meno che non sussistessero, nel caso concreto, circostanze attenuanti giudicate prevalenti o, almeno, equivalenti all'aggravante in esame.

Proprio l'indefettibilità dell'applicazione della pena detentiva, escluse le ipotesi indicate, secondo la Consulta, rendeva la disposizione incompatibile con il diritto a manifestare il proprio pensiero. La necessaria irrogazione della sanzione detentiva è stata ritenuta, infatti, ormai in contrasto con l'esigenza di non dissuadere, per effetto del timore della sanzione privativa della libertà personale, la generalità dei giornalisti dall'esercitare la propria cruciale funzione di controllo sull'operato dei pubblici poteri, anche in considerazione del diritto vivente, che condiziona l'operatività della causa di giustificazione del diritto di cronaca nella sua forma putativa (art. 59, quarto comma, cod. pen.) al requisito dell'assenza di colpa nel controllo delle fonti, ammettendo conseguentemente la responsabilità del giornalista anche nell'ipotesi in cui egli abbia confidato, seppur per un errore evitabile, nella verità del fatto attribuito alla persona offesa.

La Corte costituzionale ha chiarito, altresì, che la dichiarazione di illegittimità costituzionale non crea alcun vuoto di tutela al diritto alla reputazione individuale contro le offese arrecate a mezzo della stampa, diritto che continua a essere protetto dal combinato disposto del secondo e del terzo comma dello stesso art. 595 cod. pen., il cui alveo applicativo si riespanderà in seguito alla pronuncia di incostituzionalità. Ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la Corte costituzionale ha dichiarato, altresì, in via consequenziale, l'illegittimità costituzionale dell'art. 30, comma 4, della legge 6 agosto 1990, n. 223, che faceva esplicito riferimento al fatto che si applicano "ai soggetti di cui al comma 1 le sanzioni previste dall'art. 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47", dichiarato costituzionalmente illegittimo.

Nondimeno, la Corte costituzionale ha ribadito, anche per tale seconda statuizione di incostituzionalità, dichiarata "a cascata", che resterà comunque applicabile la disciplina prevista dall'art. 595, terzo comma, cod. pen. (nonché del secondo comma della stessa disposizione, che prevede l'aggravante dell'attribuzione di un fatto diffamatorio determinato), senza generare vuoti di tutela, anche in questo caso. La dichiarazione di incostituzionalità, dunque, proprio per le precisazioni appena evocate e compiute dalla stessa Consulta, lascia propendere per la possibilità di intendere il comma quinto dell'art. 30 L. n. 223 del 1990 come tuttora vivente nel suo contenuto di competenza territoriale "speciale" - il foro della persona offesa - perché da ritenersi richiamante non più il comma 4, ma l'art. 595 cod. pen.

Se, dunque, è legittimo dedurre, da un'esegesi della sentenza della Corte costituzionale n. 150 del 2021, la perdurante vigenza della disposizione di cui all'art. 30, comma 5, cod. pen., che si pone come norma dal contenuto di rinvio "mobile", quanto alle indicazioni riferite alla competenza territoriale, per i reati di diffamazione commessi tramite l'attribuzione di un fatto determinato ed a mezzo di strumenti radiofonici o televisivi - rinvio che la stessa declaratoria di incostituzionalità legittima, visto l'esplicito rimando della sentenza di incostituzionalità alla continuità punitiva tra art. 30, comma 4, L. n. 223 del 1990 e art. 595 cod. pen. - permane la possibilità di interpretare la speciale competenza del foro della persona offesa come vigente e riferita a tutti coloro i quali commettano una condotta diffamatoria mediante tali strumenti e l'attribuzione di un fatto determinato. E non soltanto ai soggetti previsti dal comma 1 del citato art. 30. Data tale possibilità, il Collegio ritiene che questa sia anche l'opzione interpretativa preferibile.

E difatti, ancor più una volta che la stessa Corte costituzionale ha indicato nell'art. 595 cod. pen. la disposizione generale che sopperisce, d'ora innanzi, tramite le fattispecie aggravate, all'area di punibilità coperta precedentemente dalla norma speciale dichiarata incostituzionale (l'art. 30, comma 4, L. n. 223 del 1990), emerge la potenzialità applicativa del foro peculiare previsto dal comma 5 dell'art. 30 L. n. 223 del 1990, da intendersi riferito alle ipotesi di diffamazione commesse da chiunque, con l'attribuzione di un fatto determinato e mediante gli strumenti radiofonici e televisivi (seguendo l'art. 595, commi secondo e terzo, del codice penale).

Nessun richiamo testuale, inoltre, collega la disposizione relativa al foro speciale, prevista dal citato comma 5, unicamente alla categoria di soggetti indicata al comma 1 (peraltro pensata nella diversa ottica di sanzionare particolari ipotesi di reato commesse dai concessionari radiotelevisivi e loro delegati, e cioè quelle in cui si dia luogo a trasmissioni oscene), per effetto della declaratoria di illegittimità costituzionale che ha eliminato dal mondo giuridico il comma 4 dell'art. 30 nella parte sanzionatoria, l'unica effettivamente ed esplicitamente contenente il rimando ai "soggetti di cui al comma 1". D'altra parte, a supportare la possibilità di desumere dall'attuale sistema normativo, come risultante dalla declaratoria di illegittimità costituzionale, i punti di un percorso interpretativo che si uniscono sino a disegnare la tesi qui preferita, vale anche un'ulteriore considerazione: la regola speciale di competenza territoriale prevista dalla legge del 1990 nasce anche per l'esigenza di offrire alla persona offesa maggior tutela rispetto a "poteri forti" quali sono, in proiezione, quelli che fanno capo a detentori (concessionari radiotelevisivi o loro delegati) di media ad elevata potenzialità diffusiva, a prescindere dal fatto che essi siano o meno direttamente imputati nei processo. Del resto, anche una risalente sentenza della Corte costituzionale (la n. 42 del 1996), sebbene non occupandosi direttamente della questione controversa e dell'applicazione generalizzata della regola di competenza prevista dal comma 5 dell'art. 30 L. n. 223 del 1990, sembra darla quasi per scontata e dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale, posta nei riguardi della citata norma e di quella del comma 4 della stessa disposizione, sul presupposto della non irragionevolezza della scelta operata dal legislatore di introdurre una disciplina di favore per le persone colpite dal reato di diffamazione aggravata, quando lo stesso risulti commesso attraverso l'impiego del mezzo radiotelevisivo. Si segnala, infatti, che la giustificazione della regola peculiare di competenza, tra l'altro, "può trovare fondamento proprio nella particolare natura... nella particolare forza e diffusività del mezzo impiegato, suscettibile di manifestare, anche in relazione all'ampiezza della platea dei destinatari del messaggio, una potenzialità lesiva nei confronti della persona e della sua reputazione di gran lunga superiore a quella di qualsivoglia altro strumento di comunicazione di massa". Da qui l'esigenza di attenuare l'evidente squilibrio delle posizioni.

Tali considerazioni, e la soluzione prescelta di dare un'operatività generale al criterio del foro della persona offesa, in caso di reati di diffamazione commessi con l'attribuzione di un fatto determinato e mediante strumenti radiofonici o televisivi, si pongono in dialogo coerente, peraltro, con gli orientamenti della giurisprudenza civile di legittimità che, da tempo, ha chiarito come la competenza per territorio, per tutte le domande di risarcimento dei danni derivanti da pregiudizi di diritti della personalità, recati da mezzi di comunicazione di massa, deve essere sempre del giudice del luogo in cui è domiciliato il danneggiato (o della sede della persona giuridica) o, in caso sia diverso, anche del giudice della residenza.

In particolare, le Sezioni Unite civili, con ordinanza Sez. U, n. 21661 del 13/10/2009, Rv. 609467, hanno stabilito che, nel giudizio promosso per il risarcimento dei danni conseguenti al contenuto diffamatorio di una trasmissione televisiva e, più in generale, di quelli derivanti dal pregiudizio dei diritti della personalità recati da mezzi di comunicazione di massa, la competenza per territorio si radica, in riferimento al "forum commissi delicti" di cui all'art. 20 cod. proc. civ., nel luogo del domicilio (o della sede della persona giuridica) o, in caso di diversità, anche della residenza del soggetto danneggiato. Tale individuazione - che corrisponde al luogo in cui si realizzano le ricadute negative della lesione della reputazione - consente, da un lato, di evitare un criterio "ambulatorio" della competenza, potenzialmente lesivo del principio costituzionale della precostituzione del giudice, e, dall'altro, si presenta aderente alla concezione del danno risarcibile, inteso non come danno-evento, bensì come danno-conseguenza, permettendo, infine, di individuare il giudice competente in modo da favorire il danneggiato che, in simili controversie, è solitamente il soggetto più debole.

4. Alla luce di tali premesse, il Collegio, rileva che:

- in tema di diffamazione commessa attraverso trasmissioni radiotelevisive e consistente nell'attribuzione di un fatto determinato, anche successivamente alla sentenza n. 150 del 2021 della Corte costituzionale, la competenza territoriale deve essere stabilita applicando l'art. 30, comma 5, seconda parte, legge 6 agosto 1990, n. 223, con riferimento al luogo di residenza della persona offesa, chiunque sia il soggetto chiamato a rispondere della diffamazione;

- deve essere dichiarata, ai sensi dell'art. 24-bis cod. proc. pen., la competenza territoriale del Tribunale di Milano, foro della persona offesa del reato nel presente processo.

P.Q.M.

Visto l'art. 24-bis cod. proc. pen. dichiara la competenza territoriale del Tribunale di Milano.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui al comma 4 del citato art. 24-bis cod. proc. pen.

Così deciso in Roma il 15 marzo 2024.

Depositato in cancelleria l'8 luglio 2024.

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