Se la motivazione è di "particolare complessità" la Cassazione può fissare un termine per il deposito della sentenza in misura superiore a giorni trenta, fino a un massimo di giorni novanta.
Lo ha stabilito la Seconda sezione penale della Cassazione con la sentenza n. 3129 depositata il 26 gennaio 2024.
La normativa vigente, specificatamente l'art. 544, comma 3, del codice di procedura penale, chiarisce che, in presenza di un elevato numero di parti ricorrenti e di motivi di ricorso, alcuni dei quali possono essere particolarmente complessi, il termine per il deposito della sentenza può essere esteso fino a sessanta giorni. Questa estensione si rende necessaria anche alla luce delle nuove disposizioni introdotte dall'art. 344-bis, comma 8, del codice di procedura penale, stabilite dalla legge 27 settembre 2021, n. 135, che modificano il calcolo del termine massimo per la definizione dei giudizi di rinvio.
L'art. 617 del codice di procedura penale stabilisce che la motivazione della sentenza, redatta dal presidente o da un consigliere designato, debba essere depositata entro il trentesimo giorno dalla deliberazione. Questo termine, tuttavia, è considerato ordinario e la sua violazione non comporta conseguenze quali la decadenza o la nullità del provvedimento. La giurisprudenza ha consolidato questo principio, evidenziando che un ritardo nel deposito della motivazione non inficia l'utilizzabilità o l'ammissibilità della sentenza, sottolineando l'importanza di evitare un "rischio di oblio" attraverso una tempestiva sintesi e archiviazione.
La "particolare complessità della stesura della motivazione" è il criterio chiave per l'applicazione di un termine esteso per il deposito delle sentenze, sia in primo grado che in Cassazione. Questa complessità può derivare dal numero delle parti coinvolte o dalla gravità delle imputazioni. L'interpretazione dell'art. 544, comma 3, del codice di procedura penale, in relazione all'art. 617, consente quindi di superare il termine ordinario di trenta giorni, ammettendo un'estensione fino a novanta giorni per il deposito delle sentenze della Corte di Cassazione.
Il rinvio alle disposizioni concernenti le decisioni di primo grado, contenuto nell’art. 617, comma 1, cod. proc. pen., rende applicabile la previsione di cui all’art. 544, comma 3, cod. proc. pen. anche alle sentenze della Corte di cassazione, nel caso in cui la motivazione risulti, in ragione del numero delle parti e/o del numero e della gravità delle imputazioni, “di particolare complessità”, sicché è legittimo fissare un termine per il deposito in misura superiore a giorni trenta, fino a un massimo di giorni novanta.
Cassazione penale, sez. II, sentenza 30/11/2023 (dep. 26/01/2024) n. 3129
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Milano, in accoglimento dell'appello proposto dal Pubblico Ministero, ha riformato parzialmente la sentenza resa dal GUP di Milano il 27 settembre 2021; in particolare, per quanto in questa sede rileva:
- ha confermato la condanna di Omessi in ordine al reato di favoreggiamento personale di cui al capo 1 (limitatamente alla autovettura Alfa Romeo Stelvio tg. omissis), riconoscendo anche la sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 416-bis l cod. pen. (che il primo giudice aveva escluso), ed ha per l'effetto aumentato la pena irrogata in primo grado;
- ha confermato la condanna di Omessi e Omessi per il reato di rapina ascritto al capo 13, nonché la condanna dei predetti e di Omessi per il reato di lesioni di cui al capo 17; inoltre, ha condannato Omessi, Omessi e Omessi per i reati contestati ai capi 14, 15 e 16, previa riqualificazione delle condotte loro ascritte nelle predette imputazioni come estorsione consumata (capo 14) e tentata (capi 15 e 16), nel rispetto dell'originaria contestazione, e, ritenuta l'aggravante del metodo mafioso per i reati di cui ai capi 13. 14. 15. 16. 17, ha aumentato le pene a ciascuno irrogate in primo grado;
- ha condannato Omessi per il reato contestato al capo 14, riqualificato come concorso in estorsione consumata, secondo l'originaria imputazione, aggravato ex art. 416-bis. l c.p. (agevolazione mafiosa);
- ha condannato Omessi e Ca.Ca. per il reato di corruzione di cui agli artt. 319 e 321 cod. pen. (capi 2 e 3 della rubrica, come rispettivamente a ciascuno di essi contestato), aggravato ex art. 416-bis. l c.p. (agevolazione mafiosa).
2. Avverso detta sentenza, hanno proposto ricorso i difensori degli imputati. 2.1. CA.CA. con il ricorso ha dedotto i seguenti motivi.
2.1.1. Violazione di legge e vizio di motivazione, poiché la Corte avrebbe riformato in peius la sentenza assolutoria emessa dal GUP, fondando la pronunzia su una valutazione cartolare del materiale probatorio, senza riascoltare il teste oculare Ar.Be. ritenuto decisivo e senza quindi poterne apprezzare la attendibilità. Inoltre, non avrebbe formulato adeguata motivazione rafforzata perché avrebbe contrapposto una diversa valutazione rispetto a quella formulata dal GUP, che aveva ritenuto insufficiente la prova della responsabilità dell'imputato, senza adempiere all'obbligo motivazionale di confutazione specifica che grava sul giudice di appello.
2.1.2. Vizio di motivazione e violazione di legge in ordine alla ritenuta sussistenza del delitto di corruzione, per assenza del presupposto oggettivo dell'atto contrario ai doveri di ufficio da parte del funzionario dell'Anas Omessi, nonché della promessa di denaro ed altre utilità da parte del presunto corruttore, con travisamento della prova, poiché la Corte non avrebbe motivato in ordine alla rilevanza della testimonianza di Ar.Be., la cui omessa rinnovazione non consentiva di pervenire al giudizio di responsabilità, in difetto della prova certa della tipologia dei lavori che avrebbe dovuto eseguire la società Valescavi s.r.l., della quale il Ca.Ca. era amministratore di fatto. La Corte avrebbe omesso di riassumere la deposizione del teste oculare, avendo affermato di essere pervenuta alla riforma della sentenza di primo grado sulla base delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, che non erano state adeguatamente interpretate dal GUP, ma il ricorrente rileva il carattere non univoco della interpretazione delle intercettazioni anche con riferimento al diverso nominativo del funzionario di cui parlano gli interlocutori.
Inoltre, come correttamente evidenziato dal primo giudice, non vi sarebbe alcuna prova in atti di promessa di denaro o altra utilità, poiché dalla conversazione del 17/04/2019 emergerebbe unicamente una promessa non legata all'atto corruttivo, e quindi priva delle caratteristiche previste dalla norma incriminatrice che si assume violata, in quanto l'impegno, per assumere rilevanza penale, deve essere dotato di serietà e non può consistere in qualcosa di assolutamente incerto.
2.1.3. Violazione di legge e vizio dì motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 416-bis. l cod. pen. poiché non sarebbe stata dimostrata la finalità agevolativa dell'associazione di stampo mafioso da parte dell'agente, né il metodo mafioso. La Corte ha osservato che la condotta posta in essere dal Ca.Ca. non può dirsi realizzata per meri fini personali, poiché l'impresa edile sebbene formalmente intestata al figlio era gestita dall'imputato ed il sodalizio di stampo mafioso a cui il predetto aderiva contava sulla sua disponibilità economica; da tali considerazioni ha desunto che l'episodio oggetto di contestazione aveva anche favorito il sodalizio mafioso de quo, perché il completamento dei lavori aveva permesso all'imputato di ottenere un risparmio apprezzabile e di mantenere un controllo sul territorio, stante l'immediato atteggiamento di asservimento del funzionario nei confronti del Ca.Ca. in ragione della notoria vicinanza dell'imputato alla locale di 'ndrangheta.
A sostegno della illogicità di siffatto iter argomentativo, la difesa richiama l'ordinanza n. 21741 del 2021 emessa dalla Corte di cassazione nel giudizio cautelare, che aveva annullato il provvedimento del Tribunale del riesame in ordine al sequestro preventivo della società Vale scavi s.r.l., ritenendo che non era stato provato il rapporto di strumentalità tra la società e il fatto corruttivo per cui si procede.
2.2. Omessi con il ricorso ha dedotto i seguenti motivi.
2.2.1. Violazione di legge in ordine alla qualificazione del fatto contestato al capo 13 come rapina e vizio di motivazione, poiché il detto comportamento avrebbe dovuto essere assorbito nei capi di imputazione 14 e 15, trattandosi di un unico fatto finalizzato ad ottenere il pagamento di quanto dovuto in seguito al rapporto di lavoro instauratosi con il datore Da.Gi., titolare di un'impresa avente sede a M.
2.2.2. Violazione di legge in ordine alla qualificazione giuridica dei fatti contestati ai capi 14 e 15 come estorsione aggravata dal metodo mafioso e tentata estorsione, anziché come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ed insussistenza dell'aggravante contestata, in quanto non sarebbe mai emerso che gli imputati avessero agito avvalendosi del metodo mafioso o per agevolare alcuna associazione. Il fatto contestato riguarda un rapporto di lavoro irregolare per volontà della persona offesa, che non aveva proceduto al pagamento dei compensi spettanti e maturati dagli operai Omessi, Omessi e Omessi; le ragioni del viaggio a M dei fratelli Omessi risiedono unicamente nel mancato pagamento dei loro compensi, mentre il Omessi era ancora a M, poiché avere preferito continuare a lavorare per Da.Gi., sperando di essere retribuito.
2.2.3. Violazione di legge in ordine alla mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, poiché la Corte di appello non aveva risentito il teste persona offesa Da.Gi. le cui dichiarazioni erano state valorizzate per sostenere la configurazione dell'aggravante del metodo mafioso.
2.2.4. Violazione di legge in ordine alla qualificazione giuridica dei fatti contestati al capo 16 come tentata estorsione, in riforma della sentenza di primo grado, che aveva riqualificato la condotta come minaccia aggravata: nel caso in esame, non sarebbe configurabile l'aggravante ad effetto speciale contestata, ma ricorrerebbe una mera minaccia punibile a querela.
2.2.5. Violazione degli articoli 62-bis e 133 cod. pen. in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche, e vizio di motivazione: la Corte non avrebbe considerato l'interrogatorio effettuato nell'immediatezza, nel corso del quale l'imputato aveva cercato di chiarire la propria posizione processuale, nonché il corretto comportamento assunto che avrebbero legittimato il riconoscimento delle attenuanti generiche nonostante la gravità dei fatti.
2.3. Omessi con i ricorsi ha dedotto i seguenti motivi.
2.3.1. Violazione degli artt. 593-bis, comma 1, e 591 cod. proc. pen. poiché la sentenza di condanna ha ribaltato la pronuncia assolutoria sulla scorta dell'appello proposto dal Procuratore della Repubblica che risulta inammissibile per violazione del combinato disposto delle predette disposizioni, in quanto contro le sentenze del GUP il soggetto legittimato ad impugnare sarebbe il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale, mentre, nella nuova cornice normativa di riferimento, il Procuratore generale presso la Corte di appello può appellare solo nei casi di avocazione oppure in via subordinata se il Procuratore presso il Tribunale ha prestato acquiescenza al provvedimento. Nel caso in esame, l'impugnazione era inammissibile poiché l'appello interposto dal sostituto Procuratore della Repubblica si prestava alla declaratoria di inammissibilità.
2.3.2. Vizio di motivazione in ordine al ribaltamento della sentenza in assenza di rinnovazione obbligatoria dell'istruttoria dibattimentale: la sentenza di primo grado emessa a seguito del giudizio abbreviato aveva prosciolto l'odierna imputata in ordine ai reati contestati ai capi 14 e 15, previa riqualificazione della condotta ai sensi dell'articolo 393 cod. pen., per mancanza della querela. La sentenza è stata impugnata dal Pubblico ministero e la Corte di merito ha ritenuto di non effettuare la rinnovazione dell'attività istruttoria, sostenendo che l'affermazione di responsabilità non si fondava sulla valutazione di prove dichiarative antitetica a quelle operata dal primo giudice, e che non era stata messa in discussione l'attendibilità dei testi; tuttavia questa affermazione entra in contrasto con quanto affermato in seguito dalla medesima sentenza, in merito all'aggravante ad effetto speciale, là dove afferma che, secondo il GUP, la persona offesa non si era intimorita per la vicinanza degli imputati alla criminalità di stampo mafioso, ed in particolare per la parentela di Omessi con Vi.Ri., padre della compagna e odierna ricorrente. Detto passaggio motivazionale si pone in contrasto con quanto evidenziato in premessa e comporta la violazione dell'articolo 603 cod. proc. pen.
2.3.3. Violazione di legge anche sotto il profilo di motivazione mancante ed apparente e vizio di motivazione in ordine alla riqualificazione giuridica del fatto contestato al capo 14 come estorsione diretta ad ottenere i due bonifici poi effettuati dalla persona offesa: il ragionamento posto a base della sentenza della Corte di appello, che ha ribaltato il giudizio assolutorio formulato dal primo giudice, non sarebbe idoneo a scardinare con motivazione rafforzata quello posto a base della pronunzia assolutoria; la vicenda andrebbe quindi correttamente inquadrata nell'ambito dell'art. 393 cod. pen., in perfetta aderenza alle conclusioni del primo giudice.
2.3.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell'aggravante prevista dall'art. 416-bis.l cod. pen. e motivazione apparente, poiché la sentenza impugnata non supera le argomentazioni poste a base della sentenza di assoluzione emessa in primo grado e non dimostra la sussistenza della ritenuta aggravante dell'agevolazione di un'associazione di tipo mafioso.
2.3.5. Con altro ricorso, sottoscritto dall' avv. Luigina Pingitore, Omessi deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla qualificazione giuridica della condotta ascritta al capo 14 in estorsione aggravata dall'uso del metodo mafioso e non come esercizio arbitrario delle proprie ragioni: l'imputata non avrebbe organizzato la spedizione punitiva, trovandosi casualmente coinvolta nella vicenda perché le era stato richiesto di fare i biglietti e le carte d'imbarco per i fratelli Omessi. Non sussisterebbe l'aggravante contestata, in quanto non sarebbe mai emerso che gli imputati avessero agito avvalendosi del metodo mafioso o per agevolare un'associazione di stampo mafioso, e la persona offesa avrebbe tassativamente escluso di avere mai ricevuto minacce in tal senso e di essere a conoscenza del rapporto di parentela degli operai con il padre di Omessi.
Il fatto oggetto del presente procedimento riguarda esclusivamente un rapporto di lavoro irregolare per volontà della parte offesa che non aveva proceduto al pagamento dei compensi maturati e spettanti dagli operai Omessi, Omessi e Omessi e le ragioni dell'aggressione risiedono unicamente nel mancato pagamento dei loro compensi; le modalità di azione non risulterebbero essere quelle tipiche dell'associazione mafiosa, e ciò emerge proprio dalla intercettazione delle conversazioni riportate nella sentenza oltre che da quelle registrate il 25/01/2020. La presunta brutalità della aggressione era proporzionata alla rabbia di chi agiva, dettata dalla necessità di ottenere la retribuzione e non sarebbe consentito parlare del ripristino dell'onore della famiglia Ri. poiché al momento della aggressione non sarebbe stato fatto alcun riferimento al ruolo della famiglia Ri., e comunque ciò non avrebbe dovuto richiedere la necessità dell'utilizzo della forza fisica.
Il viaggio dei fratelli Omessi a M era deciso da tempo e la Omessi lo aveva appreso casualmente, quando le era stato chiesto di comprare i biglietti on line. La Corte ha affermato che la violenza era caratterizzata dalla necessità di riaffermare il potere del gruppo criminale, ma tale affermazione non troverebbe riscontro nel compendio probatorio, poiché l'unico intendimento era quello di ottenere il pagamento del proprio credito. Inoltre la Corte d'appello, nella sua motivazione, ha aderito ad una giurisprudenza ormai superata che valorizza la particolare veemenza della violenza o minaccia come sintomo del dolo di estorsione, mentre nel caso in esame sussiste una prova diretta costituita dalle registrazioni delle conversazioni da cui emerge che la violenza era finalizzata ad ottenere i propri diritti e ciò non può essere condizionato dalla entità della violenza esercitata.
2.3.6. Violazione di legge in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche con criterio di prevalenza sulla contestata aggravante di cui al secondo comma dell'articolo 629 cod. pen. in quanto, sul punto, la sentenza impugnata non avrebbe reso alcuna motivazione.
2.3.7. Violazione di legge in ordine alla mancata rinnovazione della istruttoria dibattimentale, poiché si prevede che, in caso di impugnazione del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale: detta disposizione opera anche in riferimento al giudizio abbreviato, ma nel caso di specie la Corte di appello non ha risentito la persona offesa.
2.4. Omessi con il ricorso ha dedotto i seguenti motivi.
2.4.1. Violazione degli articoli 546,530,533 e 192 cod. proc. pen. e dell'art. 416-bis. l cod. pen. e vizio di motivazione in ordine al reato di cui capo 13 dell'imputazione, in quanto dalle dichiarazioni dell'imputato e della stessa persona offesa emerge che l'imputato aveva, con la condotta incriminata, l'intenzione di procurarsi non un ingiusto profitto, ma il pagamento di un credito legittimo dovuto alla sua prestazione di lavoro in favore dell'imprenditore Da.Gi.. Dal tenore delle intercettazioni emerge, inoltre, che Omessi sarebbe assolutamente estraneo a qualsiasi rapporto o relazione con tutti i coimputati del presente giudizio o con persone legate alla 'ndrangheta ed al locale di Lo.Po., e che aveva conosciuto Omessi durante l'attività lavorativa di muratore, e non aveva mai incontrato o conosciuto la di lui compagna, Omessi. Poiché la pretesa avanzata nei confronti della p.o. era comunque legittima, la sussistenza di violenza e percosse non comporterebbe la qualificazione della condotta come rapina, ma sempre come esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Inoltre, la giurisprudenza ha precisato che, ai fini della integrazione del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, l'agente deve essere animato dal fine di esercitare un diritto con la coscienza che l'oggetto della pretesa gli possa competere giuridicamente, e non si richiede che si tratti di pretesa fondata ma, piuttosto, non arbitraria o del tutto sfornita di una base legale. Non sussistono quindi gli elementi costitutivi del delitto di rapina, perché manca l'ingiusto profitto e il danno altrui. La sentenza andrebbe cassata anche in ordine alla sussistenza dell'aggravante prevista dall'articolo 416-bis. l cod. pen., in quanto le condotte addebitate al Omessi non fanno mai emergere l'utilizzo di una modalità tipica delle azioni commesse in circuiti mafiosi. Quanto all'agevolazione, è necessaria la sussistenza del dolo specifico di avvantaggiare il sodalizio criminoso, sicché al dolo previsto per il delitto devono accompagnarsi elementi aggiuntivi dimostrativi e rivelatori della particolare strumentalità dell'azione delittuosa: ma la Corte di appello non motiva in ordine ai vantaggi che sarebbero derivati in favore della presunta consorteria mafiosa piuttosto che a favore del singolo soggetto.
2.4.2. Violazione degli articoli 546530,533,192,603 cod. proc. pen., nonché della giurisprudenza della Corte EDU e vizio di motivazione in ordine all'affermazione di responsabilità per i capi 14 e 15, poiché la Corte di appello ha ritenuto sussistente il dolo di estorsione essendo emerso che erano già stati effettuati dei bonifici in favore dei Omessi prima del loro arrivo a M e gli imputati, pur essendone consapevoli, avevano comunque deciso di portare a compimento la violenza ai danni del Da.Gi., reo di avere mancato loro di rispetto, avendo atteso che si mettessero in viaggio per saldare il debito, così costringendoli a spendere anche i soldi dei biglietti aerei. Rileva il ricorrente che egli, a differenza del fratello Omessi, non era mai stato pagato da Da.Gi.: prima di recarsi a M non aveva ricevuto alcun bonifico, mentre l'unico bonifico ricevuto sarebbe stato effettuato il 29/01/2020. Il ricorrente osserva, inoltre, che, mentre Da.Gi. si picchiava con Omessi, i Omessi avevano tentato di dividere i due contendenti. La Corte di appello, con decisione errata, non aveva disposto la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale ed era pervenuta all'affermazione di responsabilità relativamente ai reati di cui ai capi 14 e 15 attraverso una lettura parcellizzata delle fonti di prova.
2.4.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al reato di cui al capo 16 della rubrica, poiché la Corte di appello avrebbe interpretato arbitrariamente una serie di elementi di fatto emersi dalle intercettazioni telefoniche, valorizzando a carico di Omessi conversazioni e frasi riferite esclusivamente al Omessi, che a distanza di tre mesi dal fatto parlava con un terzo interlocutore, vantandosi dell'accaduto; nella prima sentenza, il GUP aveva affermato che il movente era di natura personale e svincolato dalle dinamiche del concorso e va addebitato unicamente a Omessi; inoltre Sa.Ch. non avrebbe mai riferito nulla di quanto sostenuto dalla Corte d'appello ed avrebbe escluso di avere ricevuto minacce o richieste di denaro da parte di Omessi, poiché le uniche minacce erano state rivolte da Omessi, come riferito dalla stessa persona offesa Sa.Ch.. Anche in questo caso il ricorrente rileva l'insussistenza della ritenuta aggravante del metodo mafioso.
2.4.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all'affermazione di responsabilità in ordine al reato contestato al capo 17: dalla documentazione sanitaria in atti emergerebbe che le lesioni avevano riguardato il lato sinistro del corpo e ciò sarebbe incompatibile con la circostanza che il Da.Gi. conducesse regolarmente la propria autovettura con i fratelli Omessi a bordo, anche dopo la discussione intercorsa con costoro. Il ricorrente invoca, inoltre, l'esclusione dell'aggravante contestata e lamenta, infine, la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, in considerazione del comportamento processuale, che escluderebbe ogni rischio di futura recidiva, avendo egli reso interrogatorio e chiarito i fatti contestati, fornendo la documentazione utile a sostegno della propria difesa.
2.5. Omessi con il ricorso ha dedotto i seguenti motivi.
2.5.1. Violazione degli articoli 393, 629 e 416-bis. l cod. pen. e vizio di motivazione per erronea qualificazione giuridica del fatto contestato ai capi 14 e 15 come estorsione e tentata estorsione aggravata dall'uso del metodo mafioso.
La Corte di appello ha sostenuto che Omessi, in quanto compagno di Omessi, sarebbe collegato alla cosca di 'ndrangheta operante sul territorio di L di cui Ri. Ri.Vi. è accusato di essere capo locale, ma l'aggravante contestata non sussisterebbe, non essendo emerso che gli imputati avessero agito avvalendosi del metodo mafioso o per agevolare la predetta associazione di stampo mafioso poiché, come riferito dalla persona offesa, il fatto riguardava un rapporto di lavoro irregolare. La Corte ha richiamato una conversazione telefonica intercorsa il 02/03/2020, ovvero diverso tempo dopo lo svolgersi dei fatti contestati, tra Omessi ed un amico (tal Mo.), del cui tenore non emergerebbe, peraltro, null'altro che una mera vanteria.
2.5.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al giudizio di colpevolezza in ordine al reato contestato al capo 16, in quanto il giudice di primo grado aveva qualificato la condotta come minaccia aggravata, ritenendo che la minaccia accertata non fosse finalizzata ad ottenere una disposizione patrimoniale da parte del Sa.Ch., venendo la dazione sollecitata richiesta al predetto soggetto, datore di lavoro inadempiente, a retribuzione dell'opera prestata. Il ricorrente ritiene che non sia configurabile la predetta aggravante, e che, trattandosi di minaccia punibile a querela di parte, in assenza di querela, egli avrebbe dovuto essere prosciolto.
2.5.3. Violazione degli articoli 99,62-bis e 133 cod. pen. e vizio di motivazione, in relazione alla mancata esclusione della contestata recidiva ed alla mancata concessione delle attenuanti generiche. Omessi non ha commesso altri reati e lavora come gessista specializzato; i precedenti penali sono di lieve entità e molto risalenti nel tempo; i reati per cui è stato tratto a giudizio sono riconducibili ad una vicenda di lavoro e l'assenza di collegamenti tra i fatti del passato e quelli inerenti alla vicenda presente avrebbero dovuto indurre la Corte ad escludere la recidiva contestata e a concedere le attenuanti generiche.
2.5.4. Violazione dell'art. 603 comma tre bis cod. pen. per erronea applicazione in ordine alla mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in quanto non è stato risentito la persona offesa Da.Gi. le cui dichiarazioni sono state spesso richiamate per sostenere la sussistenza dell'aggravante del metodo mafioso.
2.6. Omessi con il ricorso ha dedotto i seguenti motivi.
2.6.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui agli articoli 110 e 319 cod. pen. contestato al capo 2 dell'imputazione. L'imputato era stato assolto dal Tribunale in quanto le risultanze istruttorie non erano state ritenute sufficientemente chiare ed univoche sotto il profilo probatorio, ed, in particolare, il contenuto delle intercettazioni aveva fatto emergere circostanze contraddittorie sia in relazione alle sanzioni effettivamente inflitte sia alla identificazione dei funzionari Anas che avrebbero compiuto gli atti, avendo il Ca.Ca. fatto riferimento al collega Pa. non intervenuto nella vicenda.
Ciò premesso, osserva il ricorrente che, secondo la giurisprudenza di legittimità in tema di atti di corruzione, l'accertamento giudiziale deve mettere in luce la relazione che lega la prestazione all'operato del pubblico ufficiale e la commissione da parte del pubblico ufficiale di atti contrari ai doveri di ufficio deve essere specificamente individuata o individuabile. Nella fattispecie oggetto d'imputazione, l'imputato, quale capo cantoniere della società Anas, durante lo svolgimento della sua attività di controllo della tratta stradale a lui assegnata, era intervenuto presso un capannone privato ed aveva verificato l'attività di inizio lavori di rifacimento dell'accesso carrabile all'interno di una proprietà privata dove la Vale scavi s.r.l. di An.Ca. si apprestava ad eseguire dei piccoli interventi di manutenzione riguardanti la proprietà privata; il Omessi, ricevute le dovute spiegazioni, non aveva elevato alcuna contravvenzione, poiché non aveva riscontrato alcuna violazione dell'art. 21 d.lgs. n. 285/1992.
La condotta contestata all'imputato non risulta individuata e individuabile, in quanto non sussisteva a suo carico un obbligo di elevare una qualche contravvenzione; la Corte di appello, nella sua motivazione, ha affermato che assume rilevanza non tanto la tipologia di lavori commissionata dalla Vale scavi s.r.l., quanto la mancanza delle necessarie autorizzazioni per occupare le arterie stradali, nel rispetto dell'articolo 21 del Codice della strada, ed ha valorizzato le intercettazioni in cui Ca.Ca. e il figlio fanno riferimento ai verbali strappati dal Omessi. Peraltro, al fine di configurare il reato di corruzione è fondamentale dimostrare non soltanto l'indebita dazione effettuata dal privato al pubblico ufficiale od all'incaricato di un pubblico servizio, ma anche la finalizzazione di tale erogazione all'impegno di un futuro comportamento contrario ai doveri di ufficio. Il Tribunale aveva ritenuto che il contenuto delle conversazioni intercettate non fosse sufficientemente univoco per ritenere dimostrati gli elementi costitutivi della contestata corruzione, in quanto non era stata accertata la tipologia dei lavori che la Vale scavi s.r.l. aveva in corso e non emergeva la prova che il Omessi avesse effettivamente elevato contravvenzioni ed irrogato sanzioni poi annullate in danno della ditta del An.Ca., strappando successivamente i relativi verbali; per pervenire all'affermazione di responsabilità penale, sarebbe stato, nel caso concreto, necessario accertare la sussistenza del dovere da parte del pubblico ufficiale di compiere una attività che aveva omesso. A corollario di quanto esposto, il GUP aveva anche rimarcato che, stando alle intercettazioni, sul posto era intervenuto anche il personale della Polizia stradale, e non si comprendono le ragioni per le quali, nei suoi confronti non sarebbe stata elevata alcuna contestazione di illecita omissione. A ciò si aggiunga che la difesa aveva prodotto la conversazione intervenuta a mezzo di chat telefonica tra il Omessi ed il dirigente di compartimento, il quale confermava le valutazioni dell'imputato circa la legittimità della condotta del dipendente ed evidenziava che da tale cantiere non si riversava alcun materiale sulla strada. Tutto ciò confermerebbe che il Omessi non aveva compiuto alcun atto contrario al proprio ufficio.
2.6.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi integrativi del reato di corruzione, per la mancanza di un accordo concreto o di una effettiva promessa di regalia. Il Tribunale aveva affermato che la promessa di consegnare un mini escavatore con modalità improbabili e di cui non era emersa traccia ulteriore nel proseguo delle indagini, era incerta e meramente eventuale; diversamente, la Corte di appello aveva ritenuto che la promessa della dazione dell'escavatare sarebbe stata formulata all'esito della vicenda, con finalità remuneratoria rispetto all'atto contrario ai doveri d'ufficio posti in essere dal Omessi, che si era congedato affermando "Va bene, io per me, è tutto a posto".
Tanto premesso, osserva il ricorrente che la frase pronunziata era priva di scopo specifico e di concretezza e che non risultano accordi circa la data di una eventuale consegna; la sentenza impugnata sarebbe incorsa in contraddittorietà e manifesta illogicità sotto il profilo del travisamento della prova poiché le conversazioni intercettate risultano parziali in quanto eseguite solo quando Omessi era salito a bordo del veicolo del Ca.Ca. e dalle stesse non si può desumere alcun accordo di tipo corruttivo.
2.6.3. Violazione di legge e vizio di motivazione ordine all'identificazione del ricorrente quale effettivo interlocutore del coimputato Ca.Ca.: il contenuto delle intercettazioni avrebbe fatto emergere circostanze contraddittorie in ordine all'identificazione dei funzionari A.N.A.S., ed il presente procedimento si basa su conversazioni che il Omessi ha avuto col Ca.Ca. e che non sono state, tuttavia, vagliate con la dovuta attenzione, in quanto in altre conversazioni tra presunti appartenenti al sodalizio di riferimento non si fa mai il nome del Omessi, ma al più di altro dipendente A.N.A.S., tale Pa., tanto che il Tribunale aveva espresso il dubbio che ad elevare le contravvenzioni poi annullate non fosse stato Omessi ma proprio il Pa.
Per contro, non risulta alcuna evidenza che consenta di ritenere dimostrata la redazione di verbali da parte dell'odierno imputato: lo stesso Ca.Ca., raccontando l'accaduto a tale Ma., si vantava che grazie alle sue conoscenze nell'A.N.A.S., citando testualmente il Pa., aveva evitato la sanzione; la Corte ha invece ribaltato il giudizio di assoluzione, individuando arbitrariamente nell'odierno ricorrente l'interlocutore del Ca.Ca.
2.6.4. Violazione di legge ed in particolare dell'obbligo di motivazione rafforzata nel caso di reformatio in peius di sentenza assolutoria di primo grado. Nel caso di specie, l'impugnata sentenza si fonda sulla riproduzione dell'ordinanza applicativa delle misure cautelari e trascura del tutto ed acriticamente le motivazioni della sentenza di primo grado; la riforma della sentenza assolutoria è stata pronunziata in mancanza di elementi sopravvenuti e sulla base di una mera e diversa valutazione del medesimo materiale probatorio già ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, poiché appunto nella motivazione della sentenza di secondo grado non risultano confutate le ragioni della motivazione della prima sentenza per giustificare la riforma del provvedimento.
2.6.5. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alle statuizioni civili poiché l'insussistenza degli elementi di fatto integrativi della fattispecie addebitata all'imputato comportano la carenza di un concreto accordo corruttivo e l'assenza di una effettiva responsabilità del medesimo concorrente anche ai fini delle statuizioni civili.
2.7. Omessi con il ricorso ha dedotto i seguenti motivi.
2.7.1. Violazione del divieto di reformatio in peius imposto dall'articolo 597, comma 3, cod. proc. pen. in relazione al riconoscimento della circostanza aggravante di cui all'art. 416-bis. l cod. pen., con conseguente aumento della pena irrogata dal giudice di primo grado, in assenza di impugnazione del Pubblico ministero, nonché vizio della motivazione in relazione alla sussistenza della penale responsabilità per il reato di favoreggiamento personale aggravato dal secondo comma dell'art. 378 cod. pen. ed in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti. Si addebita all'imputato di avere, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, aiutato il Ca.Ca. ad eludere le investigazioni dell'Autorità giudiziaria bonificando l'autovettura Alfa Romeo Stelvio, con l'aggravante di avere commesso il delitto al fine di agevolare le attività dell'associazione mafiosa. Il Tribunale aveva escluso l'aggravante contestata ed aveva condannato l'imputato alla pena di anno uno e mesi quattro di reclusione; l'appello veniva proposto dal solo imputato Omessi e non anche dal Pubblico ministero; cionondimeno, con la sentenza impugnata la Corte di appello ha rigettato l'appello dell'imputato ed ha aumentato la pena, ritenendo sussistente l'aggravante di cui all'art. 416-bis. l cod. pen., in accoglimento di un appello del pubblico ministero in realtà sul punto mai proposto.
2.7.2. Vizio di motivazione in ordine agli specifici motivi di appello con i quali era stata eccepita l'inutilizzabilità delle intercettazioni disposte dalla Procura della Repubblica di Busto Arsizio, poiché la Corte di appello avrebbe fornito in proposito una motivazione apodittica. Dopo avere riportato per esteso il contenuto dell'atto di appello e le motivazioni rese sul punto dalla Corte di appello, il ricorrente osserva che quest'ultima non avrebbe dato risposta alle doglianze difensive poiché, nel momento in cui venivano disposte le intercettazioni, il pubblico ministero avrebbe erroneamente qualificato la condotta come delitto di incendio pur non avendo alcun elemento oggettivo per procedere a tale contestazione. La violazione di legge posta in essere dal pubblico ministero sarebbe palese poiché, qualificando una condotta come più gli aggrada, il pubblico ministero potrebbe disporre intercettazioni nei confronti di chicchessia anche in ordine a reati per i quali non è consentito tale strumento di ricerca della prova. L'intercettazione in oggetto sarebbe stata, pertanto, disposta in violazione di legge.
2.7.3. Vizio di motivazione in ordine al reato di favoreggiamento personale ed alla sussistenza dell'aggravante prevista dal capoverso dell'art. 378 cod. pen. poiché la Corte non avrebbe preso in considerazione le doglianze difensive in argomento formulate con il gravame, limitandosi a ribadire quanto affermato dal giudice di primo grado, e senza considerare che il Omessi, nel corso del suo interrogatorio, aveva spiegato di avere effettuato la bonifica nei confronti del Ca.Ca. per dargli soddisfazione, e non aveva trovato le microspie che effettivamente erano collocate sull'autovettura.
Il ricorrente osserva che, secondo giurisprudenza di legittimità, la condotta del reato di favoreggiamento personale (reato di pericolo) deve comunque consistere nel frapporre un ostacolo, anche se limitato e temporaneo, allo svolgimento delle indagini, e non è necessaria la dimostrazione dell'effettivo vantaggio conseguito dal soggetto favorito, ma occorre la prova della oggettiva idoneità della condotta ad intralciare il corso della giustizia; nel caso in esame, il Omessi non avrebbe offerto alcun contributo alla neutralizzazione dell'attività di intercettazione in ipotesi in atto, limitandosi a svolgere una finta e superficiale ispezione al solo fine di accontentare il Ca.Ca., il quale all'epoca era incensurato e non aveva carichi pendenti.
Il giudice di appello si sarebbe limitato ad una generica valutazione anche in ordine all'aggravante dell'agevolazione mafiosa.
2.7.4. Vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche poiché, nonostante lo specifico motivo di appello della difesa, non è stata fornita sul punto alcuna risposta.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I ricorsi sono fondati nei limiti che verranno esposti.
1. Per una migliore comprensione dei fatti oggetto del processo e delle ragioni a sostegno delle determinazioni assunte nel presente giudizio di legittimità, le posizioni dei coimputati relativi alle medesime vicende verranno trattate di seguito, e non secondo l'ordine di iscrizione nel Registro generale.
2. RICORSO CA.CA.
Ca.Ca. è stato condannato per il delitto di cui all'art. 321 cod. pen. aggravato dall'art. 416-bis. l cod. pen. (capo 3) per avere, nella veste di amministratore di fatto della Vale scavi s.r.l., promesso la dazione di un mini escavatore al funzionario dell'A.N.A.S. Omessi, come remunerazione per avere omesso atti del proprio ufficio e posto in essere atti contrari ad esso, provvedendo ad annullare alcuni verbali di contravvenzione elevati nei confronti della società.
2.1 II primo motivo del ricorso Ca.Ca. è manifestamente infondato.
2.1.1. Il ricorrente ha richiamato consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui è affetta da vizio di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., per mancato rispetto del canone di giudizio "al di là di ogni ragionevole dubbio", di cui all'art. 533, comma 1, cod. proc. pen., la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilità dell'imputato, in riforma di una sentenza assolutoria, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, delle quali non sia stata disposta la rinnovazione a norma dell'art. 603, comma 3, cod. proc. pen.; ne deriva che, al di fuori dei casi di inammissibilità del ricorso, qualora il ricorrente abbia impugnato la sentenza di appello censurando la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, pur senza fare specifico riferimento al principio contenuto nell'art. 6, par. 3, lett. d), della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, la Corte di cassazione deve annullare con rinvio la sentenza 1 impugnata. (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267492 - 01)
2.1.2. Il predetto orientamento non è, peraltro, applicabile alla fattispecie in esame, attenendo al quadro normativo previgente.
2.1.3. Alla stregua dell'art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., vigente alla data della decisine impugnata, ai fini della rinnovazione dell'istruttoria in appello per "motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa" devono intendersi tali non solo quelli concernenti la questione dell'attendibilità dei dichiaranti, ma tutti quelli che implicano una "diversa interpretazione" delle risultanze delle prove dichiarative, posto che un "fatto" non sempre presenta una consistenza oggettiva di natura astratta e asettica, ma è talvolta mediato attraverso l'interpretazione che ne dà il dichiarante, con la conseguenza che la risultanza probatoria risente di tale mediazione che incide sull'approccio valutativo del giudice, anch'esso pertanto mediato. (Sez. 3, n. 16444 del 04/02/2020, Rv. 279425 - 01).
2.1.4. Nel caso in esame, il Tribunale è pervenuto all'assoluzione degli imputati Omessi e Ca.Ca. dai reati di corruzione, rispettivamente loro contestati ai capi 2 e 3 della rubrica, perché ha ritenuto che il contenuto delle conversazioni intercettate non fosse sufficientemente chiaro ed univoco per ritenere dimostrati gli elementi costitutivi dei delitti contestati e che residuassero dubbi in ordine all'identificazione del pubblico ufficiale coinvolto nella vicenda corruttiva e interlocutore del Ca.Ca. Diversamente la Corte di appello, a fondamento della contraria decisione di condanna, emessa in accoglimento dell'appello del Pubblico ministero, ha valorizzato le acquisite intercettazioni: premesso che risultava dimostrata in modo inequivoco l'identità degli interlocutori, ha, in particolare motivatamente ritenuto che esse (non correttamente considerate in primo grado) dimostravano, altresì, l'effettiva sussistenza del contestato accordo corruttivo; ha conseguentemente ritenuto che non sussisteva alcun obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa (la difesa ha, in proposito, fatto riferimento esclusivamente all'audizione del teste Ar.Be.), in quanto l'intervenuta riforma dell'originario verdetto assolutorio non si fondava sulla diversa valutazione di alcuna prova dichiarativa e, peraltro, ai fini dell'affermazione di responsabilità non risultava dirimente l'accertamento della tipologia dei lavori commissionata alla Vale scavi s.r.l., società di cui era rappresentante legale il figlio del Ca.Ca. Ciò in quanto, in realtà, il fulcro della vicenda corruttiva si incentrava sull'accertata mancanza delle necessarie autorizzazioni da parte della predetta società per eseguire opere o depositi anche temporanei sulle arterie stradali, conformemente a quanto previsto dall'art. 21 del Codice della strada, come emerge in più passaggi delle conversazioni intercettate e riportate nella sentenza del GUP. 2.2. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
A fondamento della contestata statuizione, la Corte di appello ha correttamente osservato che sia il Ca.Ca. che il figlio, nel corso di diversi dialoghi registrati e riportati nelle due sentenze di merito, avevano fatto riferimento a "verbali strappati" dal Omessi, il quale aveva evitato di elevare le dovute contravvenzioni nei confronti della società riconducibile ai predetti imputati, che aveva iniziato i lavori in oggetto in assenza delle dovute autorizzazioni; dall'intercettazione del 13/04/2019 emergeva, in particolare che lo stesso Omessi aveva suggerito al Ca.Ca. le possibili giustificazioni da fornire qualora qualcuno dei suoi colleghi avesse effettuato un ulteriore sopralluogo. Il Omessi si era impegnato ad essere presente alla chiusura del cantiere, il mercoledì successivo, all'evidente scopo di evitare possibili interferenze.
Quanto poi all'oggetto dell'accordo illecito, la Corte di appello ha correttamente valorizzato l'esplicita promessa del Ca.Ca. di donare al padre del Omessi un mini escavatore, non appena ne fosse venuto in possesso, con evidente finalità remuneratoria rispetto all'atto contrario ai propri doveri posto in essere dal pubblico ufficiale; e deve convenirsi con la Corte di appello che l'assenza di prova in ordine a successivi incontri tra gli imputati non assume rilevanza dirimente ai fini del giudizio di colpevolezza in ordine alle odierne imputazioni, considerato che per la consumazione del reato è sufficiente la mera accettazione della promessa di utilità in favore del pubblico ufficiale.
In sostanza il ricorrente, pur deducendo vizi della motivazione ed addirittura travisamento della prova, invoca una diversa valutazione del compendio probatorio che nel caso in esame è stato invece ricostruito nel rispetto dei criteri di logica e delle regole di valutazione dettate dal codice e precisate dalla giurisprudenza, e senza documentati travisamenti.
In ordine all'identificazione del Omessi il ricorso non si confronta con la motivazione della Corte di appello, che ha valorizzato il tenore delle intercettazioni e gli esiti del servizio di osservazione, da cui emerge con assoluta certezza l'identità degli interlocutori la cui conversazione fu registrata a bordo dell'autovettura del Ca.Ca.; non va poi trascurato che, nel corso della conversazione intercettata il 13/04/2019, ampi stralci della quale sono riportati nella sentenza di primo grado, è lo stesso pubblico ufficiale presente nella vettura che dichiara in due occasioni di essere Omessi (v. pagg. 32 s. della sentenza di primo grado).
2.3. Il terzo motivo è fondato.
La Corte di appello ha ritenuto sussistente l'aggravante di cui all'art. 416-bis. l cod. pen. sotto il profilo della finalità di avvantaggiare il sodalizio mafioso di riferimento, poiché il ruolo del Ca.Ca. nell'ambito del sodalizio mafioso e della società Vale scavi s.r.l. (di cui è formalmente titolare il figlio) induce a ritenere che, oltre al vantaggio personale per l'azienda, l'imputato intendesse conseguire anche un vantaggio per l'associazione mafiosa, che contava sulla sua disponibilità economica.
Si tratta di affermazione eccessivamente generica e congetturale, che si fonda su un iter logico indimostrato e discutibile secondo cui il vantaggio dell'azienda del Ca.Ca. si risolverebbe automaticamente in vantaggio per il sodalizio mafioso; non può, infatti, automaticamente desumersi che l'attività imprenditoriale del Ca.Ca. fosse svolta allo scopo di avvantaggiare il sodalizio, occorrendo esplicitare gli elementi di fatto da cui desumere che la società Vale scavi s.r.l. fosse gestita con la finalità di avvantaggiare le attività del sodalizio mafioso ed allo scopo di rafforzare il controllo sul territorio della detta associazione.
2.3.1. Si impone, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla ritenuta aggravante di cui all'art. 416-bis. l cod. pen., con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano, che dovrà colmare l'evidenziata lacuna motivazionale.
2.3.2. Va conseguentemente rinviata all'esito del giudizio di rinvio la statuizione inerente alla richiesta di liquidazione delle spese sostenute dalla parte civile A.N.A.S. s.p.a. nel presente grado di giudizio.
3. RICORSO Omessi
Omessi è stato condannato per il delitto di cui all'art. 319 cod. pen. (capo 2) quale pubblico ufficiale che ha accettato la promessa da parte del Ca.Ca. di un vantaggio per omettere un atto del proprio ufficio.
Il ricorso non può trovare accoglimento, in quanto le censure invocano una diversa valutazione del compendio probatorio, che è stato oggetto di corretta interpretazione da parte del collegio di secondo grado.
3.1. Il primo motivo di ricorso è infondato per le ragioni già evidenziate in relazione alla posizione del coimputato Ca.Ca., in quanto non assume rilevanza dirimente, ai fini del giudizio di colpevolezza, la determinazione del tipo di lavori che la società Vale scavi s.r.l. stava effettuando, quanto piuttosto la sicura necessità, emergente dall'inequivocabile tenore delle conversazioni intercettate, che la società stessa fosse munita di autorizzazione da parte dell'A.N.A.S. prima dell'inizio dei lavori.
I lavori erano, invece, iniziati, e si sarebbero conclusi, in evidente assenza della prescritta autorizzazione, sulla base di un illecito accordo intercorso tra Ca.Ca. e Omessi, che si impegnava ad essere presente in occasione della chiusura del cantiere e dava indicazioni al suo interlocutore su come comportarsi con i suoi colleghi che avessero effettuato eventuali controlli in cantiere nei giorni successivi.
3.2. Anche il secondo motivo è infondato poiché, dal tenore delle conversazioni intercettate, emerge con evidenza l'accordo corruttivo intercorso tra Ca.Ca. e Omessi, il quale di buon grado aveva accettato la promessa da parte del suo interlocutore di un futuro vantaggio personale con evidente finalità remuneratoria dell'atto contrario ai doveri d'ufficio posto in essere.
Come già evidenziato in relazione alla posizione del Ca.Ca., non assume alcuna rilevanza la mancata prova dell'esecuzione dell'accordo corruttivo e del vantaggio concreto ottenuto dal pubblico ufficiale, posto che per integrare il reato contestato è sufficiente la mera promessa di un vantaggio personale.
3.3. La terza censura, riguardante l'identificazione del Omessi, non è consentita poiché si pone in logica contraddizione con l'assunto difensivo posto a sostegno dei primi due motivi di ricorso, con i quali si rassegna che l'imputato Omessi, pur essendo presente nel cantiere della Vale scavi s.r.l., non aveva elevato contravvenzioni poiché non aveva riscontrato alcuna attività irregolare, così implicitamente ammettendo di essere intervenuto nell'esercizio dei suoi poteri.
La censura sarebbe, comunque, manifestamente infondata poiché in almeno due passaggi della conversazione registrata il 13/04/2019, da cui emerge l'accordo corruttivo, uno dei due interlocutori dichiara di essere il ragioniere Omessi; la circostanza che, in altre conversazioni, il Ca.Ca. indichi nel Pa. il funzionario dell'A.N.A.S. presente in cantiere quel giorno costituisce un evidente errore materiale, che si spiega con i pregressi rapporti intercorsi con costui, di cui lo stesso Ca.Ca. parla nel corso del dialogo con Omessi.
3.4. La quarta censura è manifestamente infondata ed è frutto di un'erronea interpretazione della legge, in quanto il giudice di secondo grado può modificare la valutazione del medesimo compendio probatorio, anche pervenendo a conclusioni diverse da quelle del primo giudice, ed ha l'onere di rinnovare l'istruttoria dibattimentale soltanto nei casi in cui la diversa conclusione si fondi su una diversa valutazione di attendibilità della prova dichiarativa.
Residua unicamente l'onere di fornire idonea motivazione c.d. "rafforzata" del ribaltamento dell'originario verdetto, esplicitando gli errori da cui è affetta l'argomentazione del primo giudice; ma, a tal proposito, a pagina 31 della sentenza impugnata la Corte di appello osserva che il GUP non aveva adeguatamente interpretato il contenuto delle intercettazioni telefoniche e ambientali, ed evidenzia incensurabilmente, di seguito, gli elementi del ragionamento probatorio formulato dal primo giudicante che non potevano essere condivisi, così assolvendo al proprio onere motivazionale.
3.5. La quinta censura è generica poiché invoca a suo sostegno la carenza di prova in ordine agli elementi integrativi del reato di corruzione, che, invece, per le ragioni sin qui esposte, deve ritenersi sussistente ed impone, di conseguenza, l'affermazione di responsabilità civile dell'imputato per il pregiudizio cagionato con la sua condotta all'azienda Anas.
3.6. Il rigetto del ricorso impone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, nel rispetto del principio di soccombenza, la condanna alla rifusione delle spese di rappresentanza e difese sostenute nel presente giudizio dalla parte civile costituita A.N.A.S. s.p.a., che si ritiene congruo liquidare come da dispositivo.
4. RICORSI Omessi, Omessi e Omessi.
Gli imputati Omessi, Omessi e Omessi rispondono (ad eccezione del delitto di rapina, contestato al capo 13 ai soli fratelli Omessi) dei medesimi reati, riguardanti l'aggressione in danno di Da.Gi. consumata a M nel gennaio 2019, e formulano per lo più censure analoghe, sicché sembra opportuno per ragioni di economia processuale trattare congiuntamente i tre ricorsi. Come anticipato, il GUP aveva ritenuto accertata la condotta contestata ai capi 14 e 15 dell'epigrafe, ma aveva derubricato il fatto in esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone (art. 393 cod. pen.) ed aveva, di conseguenza, dichiarato non doversi procedere nei confronti dei tre ricorrenti oltre che, come verrà esposto in seguito, di Omessi, per mancanza della necessaria querela; aveva, inoltre, affermato la responsabilità di Omessi e Omessi in ordine al reato di rapina (loro contestato al capo 13), e di costoro e di Omessi per i reati di lesioni (contestato al capo 17) e di minaccia grave (contestato al capo 16), così diversamente qualificata la condotta originariamente qualificata come tentata estorsione. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello ha riqualificato le condotte ascritte agli imputati ai capi 14, 15 e 16 in estorsione (la prima) e tentata estorsione (le residue), come da imputazione originaria, ed ha ritenuto la sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 416-bis. l cod. pen. in ordine a tutti i reati ascritti agli imputati, nel suo duplice profilo del metodo mafioso e dell'agevolazione del sodalizio mafioso di riferimento.
4.1. Per ragioni sistematiche, è opportuno affrontare preliminarmente l'eccezione processuale formulata con il terzo motivo del ricorso di Omessi ed il quarto motivo del ricorso di Omessi.
4.1.1. L'eccezione di nullità per la mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale è manifestamente infondata poiché non sussisteva a carico della Corte di appello alcun obbligo al riguardo, in quanto essa non è pervenuta ad un ribaltamento della sentenza assolutoria di primo grado, ma si è limitata a ritenere che la condotta, pacificamente accertata anche in primo grado, dovesse rientrare nell'ambito della originaria contestazione di estorsione e tentata estorsione; ne consegue che rientrava nel potere discrezionale del collegio valutare la necessità di riascoltare la persona offesa Da.Gi., al fine di approfondire alcuni aspetti della vicenda, e la Corte ha motivatamente ritenuto non necessario rinnovare la sua audizione poiché le diverse conclusioni cui è pervenuta non si fondavano su un diverso giudizio di attendibilità di questa fonte, ma su una diversa valutazione giuridica della condotta come accertata.
4.1.2. In tal modo, la Corte di appello si è correttamente conformata al dominante orientamento di questa Corte, a parere del quale il giudice d'appello che procede alla reformatio in peius della sentenza assolutoria di primo grado, ai sensi dell'art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. non è tenuto alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale nel caso in cui si limiti a una diversa valutazione in termini giuridici di circostanze di fatto non controverse, senza porre in discussione le premesse fattuali della decisione riformata (Sez. 4, n. 31541 del 22/06/2023, Omessi, Rv. 284860 - 01; Sez. 4, n. 48523 del 25/10/2023, Servetti, non mass.; nei medesimi termini, prima dell'entrata in vigore dell'art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., argomenta da Sez. 5, n. 33272 del 28/03/2017, Carosella, Rv. 270471 - 01; Sez. 6, n. 12397 del 27/02/2018, Gagliano, Rv. 272545 - 01; Sez. 6, n. 5769 del 27/11/2019, dep. 2020, Giorgi, Rv. 278210 - 01).
4.2. Passando al merito delle impugnazioni, va osservato che il primo motivo del ricorso di Omessi e il secondo motivo dei ricorsi dei fratelli Omessi risultano fondati. Ed invero, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e quello di estorsione si differenziano tra loro in relazione all'elemento psicologico, da accertarsi secondo le ordinarie regole probatorie (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027 - 02): "Deve, quindi, concludersi che i delitti di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alla persona e di estorsione, pur caratterizzati da una materialità non esattamente sovrapponibile, si distinguono essenzialmente in relazione all'elemento psicologico: nel primo, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione non meramente astratta ed arbitraria, ma ragionevole, anche se in concreto infondata, di esercitare un suo diritto, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria; nel secondo, invece, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella piena consapevolezza della sua ingiustizia".
In conclusione, per aversi esercizio arbitrario delle proprie ragioni è necessario che l'agente abbia posto in essere la condotta per la realizzazione di una pretesa giuridica esattamente tutelabile senza travalicarne il contenuto, a tutela di un diritto azionabile in sede giudiziaria, altrimenti vertendosi nella più grave fattispecie di cui all'art. 629 cod. pen.
4.2.1. Nel caso in esame, è stato pacificamente accertato che i tre uomini avevano aggredito il loro datore di lavoro per ottenere il pagamento di debiti maturati nell'ambito del rapporto lavorativo (capo 14) ed il rimborso dei biglietti aerei acquistati per recarsi a M e rientrare in I (capo 15).
La Corte di appello, per ricondurre la condotta accertata nell'ambito della fattispecie di cui all'art. 629 cod. pen., ha valorizzato la peculiare violenza fisica esercitata sulla persona offesa, evidenziando altresì il carattere arbitrario della pretesa in denaro avanzata dai tre imputati, perché derivante dalla unilaterale determinazione del compenso da parte del lavoratore, in quanto l'asserito debito residuo era stato calcolato dagli imputati mediante un criterio arbitrario di retribuzione oraria, e perché il credito vantato dal Omessi non era ancora esigibile, in quanto questi si era licenziato il giorno dell'aggressione; ha poi rilevato che il Da.Gi. aveva effettuato un bonifico satisfattivo delle pretese economiche dei Omessi poco prima che costoro partissero per M, il che dimostrerebbe che la spedizione era stata dettata dalla volontà di dare una lezione al Da.Gi., il quale aveva già in parte pagato i suoi debiti, ed era tesa a riaffermare con arroganza l'onore della famiglia mafiosa cui i predetti erano vicini.
4.2.2. Si tratta di motivazioni che non risultano corrette poiché si pongono in contrasto con i principi affermati in tema dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, per aversi esercizio arbitrario delle proprie ragioni non si richiede che la pretesa azionata sia fondata in tutti i suoi estremi, ovvero che il diritto oggetto dell'illegittima tutela privata sia realmente esistente e coincidente con la pretesa azionata, ma che la richiesta non risulti del tutto arbitraria, ovvero sfornita di una possibile base legale (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, cit.): il soggetto attivo deve agire nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa, ovvero ad autotutela di un suo diritto in ipotesi suscettibile di costituire oggetto di una contestazione giudiziale avente, in astratto, apprezzabili possibilità di successo (Sez. 2, n. 24478 del 08/05/2017, Salute, Rv. 269967).
Difetta, inoltre, la necessaria motivazione "rafforzata", poiché la Corte di appello non si è specificamente confrontata con quanto in punto di fatto sostenuto dalla sentenza di primo grado, a parere della quale le acquisite intercettazioni avrebbero dimostrato che:
- la retribuzione richiesta dagli imputati si riferiva a corrispettivi già maturati che il Da.Gi. non aveva pagato;
- il bonifico effettuato in ultimo dal Da.Gi. in favore del Omessi copriva solo in parte il credito maturato da quest'ultimo;
- anche il Omessi, che si era licenziato lo stesso giorno dell'aggressione, reclamava competenze che non gli erano ancora state versate da mesi, adducendo problemi di solvibilità dell'azienda;
- non poteva ritenersi arbitrario il conteggio delle competenze dovute e la pretesa del pagamento dei biglietti aerei per recarsi a M, avanzata dai tre imputati, in quanto la relativa richiesta si basava sugli accordi pregressi intercorsi con il Da.Gi.
Ne consegue che non appare corretto valorizzare la particolare intensità della violenza esercitata o il carattere unilaterale della determinazione del corrispettivo maturato, se gli imputati hanno agito nella ragionevole convinzione di azionare un diritto effettivamente esistente ed ingiustamente non riconosciuto loro dal debitore.
4.2.3. In virtù di queste considerazioni, s'impone l'annullamento dell'affermazione di responsabilità dei tre imputati in ordine ai reati di cui ai capi 14 e 15, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello, che valuterà, conformandosi ai principi di diritto in precedenza ribaditi, il compendio probatorio raccolto, confrontandosi con le argomentazioni formulate dal GUP, onde decidere se ricorrano nella condotta contestata gli estremi del reato di estorsione o di quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone.
4.3. Per le medesime considerazioni, anche il primo motivo del ricorso dei fratelli Omessi, riguardante il fatto loro contestato al capo 13, è in parte fondato.
4.3.1. Si addebita ai soli imputati Omessi e Omessi di essersi impossessati della somma di 200 Euro e delle chiavi dell'autovettura, sottraendo il marsupio di Da.Gi.
Peraltro, come esposto dai ricorrenti, se la condotta complessiva degli imputati deve essere qualificata come esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona, in quanto diretta ad ottenere il compenso che non era stato loro corrisposto, anche l'impossessamento con violenza del denaro nella disponibilità della persona offesa potrebbe rientrare in questa fattispecie, considerato che lo stesso Omessi aveva riferito di essersi appropriato del denaro come acconto su quanto dovutogli dal Da.Gi.
A diverse conclusioni potrebbe, eventualmente, pervenirsi in ordine alla sottrazione delle chiavi dell'autovettura del Da.Gi., in quanto, essendo state portate via dopo l'aggressione, esse non avevano una funzione strumentale rispetto al soddisfacimento del diritto di credito vantato dagli imputati, ma piuttosto costituivano espressione di una gratuita condotta ritorsiva in danno della persona offesa, da qualificarsi come rapina, anche alla stregua della più recente giurisprudenza delle Sezioni unite, secondo la quale, nel delitto di furto (che concorre ex art. 84 cod. pen. ad integrare la rapina) il fine di profitto che integra il dolo specifico del reato va inteso come qualunque vantaggio anche di natura non patrimoniale perseguito dall'autore (Sez. U, n. 41570 del 25/05/2023, Rv. 285145 - 01 )
La Corte di appello al riguardo non rende adeguata motivazione e non opera alcuna distinzione tra i diversi beni oggetto di apprensione, sicché la condanna va annullata con rinvio perché si verifichi, nel rispetto dei principi suesposti, se la condotta appropriativa accertata rientra in tutto od in parte nella previsione di cui all'art. 393 cod. pen.
4.3.2. Il giudice di rinvio dovrà altresì verificare la sussistenza della ritenuta aggravante di cui all'art. 416-bis. l cod. pen., esclusa dal GUP e che la Corte di appello (pag. 41 della sentenza impugnata) ha riconosciuto sotto entrambi i profili dell'originaria contestazione, senza fornire al riguardo adeguata motivazione rafforzata, limitandosi ad osservare che l'aggressione aveva avuto luogo con le forme tipiche dell'agire delle associazioni mafiose, al fine di ripristinare il prestigio della famiglia Ri., offeso dalla condotta del Da.Gi., senza tuttavia considerare che quest'ultimo aveva sostenuto di ignorare del tutto che i suoi aggressori, da lui assunti come operai, fossero vicini ad una consorteria mafiosa, e non ha esposto gli elementi da cui desumere la effettiva volontà degli imputati di agevolare il sodalizio mafioso individuato nella locale facente capo a Ri.
Al riguardo la motivazione resa dalla Corte si rivela carente e generica e non rispetta l'onere probatorio rafforzato che si pone a carico del giudice d'appello che ritenga sussistente un'aggravante esclusa dal primo giudice.
4.4. La censura relativa al giudizio di colpevolezza in ordine al reato di tentata estorsione contestato al capo 16 è infondata.
4.4.1. Si addebita ai fratelli Omessi ed a Omessi di avere rivolto, subito dopo avere violentemente percosso il Da.Gi., cagionandogli le lesioni refertate, una precisa richiesta, con tono intimidatorio, nei confronti di Sa.Ch., soggetto estraneo al rapporto di lavoro, che era intervenuto a difesa del Da.Gi. e che aveva svolto il ruolo di intermediario in occasione della loro assunzione, nell'evidente tentativo di costringere Da.Gi. ad adempiere l'obbligazione contratta. Ricostruita in questi termini la condotta contestata, che non viene fatta oggetto di censure, non residuano dubbi circa la qualificazione come tentata estorsione poiché né Omessi, né i Omessi potevano vantare alcun diritto nei confronti del Sa.Ch. e l'intimidazione era finalizzata ad indurre Da.Gi. a pagare il dovuto. Certamente non può dubitarsi che in questo caso il Omessi mirasse consapevolmente ad ottenere un ingiusto profitto, poiché sapeva di non potere pretendere dal teste Sa.Ch. il soddisfacimento del suo credito, e cionondimeno aveva posto in essere atti idonei a coartare la sua libertà morale e quella del suo debitore, affermando che qualora il Da.Gi. non avesse pagato quanto dovuto, si sarebbe rivolto a Sa.Ch., formulando implicite ma non meno efficaci minacce e osservando che altrimenti i suoi interlocutori avrebbero compreso chi erano "i mafiosi", così adottando espressioni idonee ad evocare la forza intimidatrice del sodalizio.
I ricorrenti valorizzano il tenore delle dichiarazioni testimoniali del Sa.Ch., sostenendo che questi avrebbe escluso la correttezza della prospettazione accusatoria, ma la prova della colpevolezza si fonda sul tenore inequivoco di un'intercettazione avente indiscussa valenza confessoria, nel corso della quale Omessi racconta nei dettagli l'accaduto. I ricorrenti non hanno censurato le ragioni del concorso di persone nel reato e la Corte di appello ha comunque osservato che i due Omessi rispondono del reato in quanto erano al momento presenti ed avevano accompagnato il Da.Gi. dal coimputato Omessi, per consentire a quest'ultimo di aggredirlo e di sfogare la sua rabbia, trattenendosi sul posto durante l'aggressione, così fornendo innegabile supporto materiale e morale alla condotta violenta e intimidatoria del coimputato, che dopo essersi indirizzata contro il debitore, aveva in una prevedibile progressione criminosa coinvolto anche il Sa.Ch., terzo estraneo.
4.4.2. Si impone, pertanto, il rigetto del motivo di ricorso, con conseguente conferma sul punto della pronunzia di appello.
4.5. La censura relativa all'affermazione di responsabilità in ordine alle lesioni contestate al capo 17, dedotta da Omessi, è in parte fondata.
4.5.1. La condotta è contestata in forma concorsuale, ed i ricorrenti hanno certamente offerto un contributo all'esecuzione del delitto di lesioni, trasportando il Da.Gi. al cospetto del coimputato Omessi, che lo aveva percosso con sfrenata violenza. Correttamente la Corte di appello ha ribadito il giudizio di colpevolezza dei tre imputati nella consumazione di questo delitto con argomentazioni esaustive, con cui il ricorrente non si confronta, incorrendo nel vizio di genericità; e tuttavia non altrettanto adeguata motivazione la Corte rende in merito alla sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 416-bis. 1 cod. pen. già esclusa in primo grado per il rilievo che il Da.Gi. aveva riferito di non avere percepito alcun segnale dell'eventuale mafiosità dei suoi aggressori, nonostante la brutalità delle percosse.
Al riguardo la Corte, onerata di fornire motivazione rafforzata, si è limitata a richiamare le argomentazioni già formulate a sostegno della sussistenza della predetta aggravante in relazione al delitto di tentata estorsione in danno di Sa.Ch. (pag. 46 della sentenza impugnata), senza considerare la diversa natura della condotta contestata e le diverse modalità in cui doveva di conseguenza manifestarsi l'aggravante nel suo profilo obiettivo; dopo avere riportato alcuni passaggi della conversazione intercettata il 02/03/2020 tra Omessi ed un conoscente, nel corso della quale il primo racconta all'altro l'aggressione consumata alcuni mesi prima, la Corte osserva che dal tenore delle frasi intercettate emergeva la volontà dei coimputati di ripristinare il prestigio della cosca ed il rispetto del locale di 'ndrangheta.
Tuttavia, dal tenore della conversazione riportata si desume, di contro, che era stato il Da.Gi. a sostenere di essere mafioso, cagionando la reazione di Omessi: "Gli dissi che .. paura di te non mi fai.. né di te né di quanti altri calabresi stanno dietro di te .. mi deve dare tutti i soldi.. perché tu stai già sbagliando che stai facendo il nome delle persone che non ci sono, sono in galera e non le stai neanche rispettando .. Sa. hai sentito cosa ha detto? Che è mafioso... Giusto che sei mafioso, paghi gli operai perché se lo sanno gli altri mafiosi ti ammazzano".
La Corte di appello non ha fornito una interpretazione critica di questo passaggio della conversazione, limitandosi a estrapolarlo dal contesto ed a riportarlo in sentenza, rendendo una motivazione apodittica ed apparente che valorizza il riferimento ai mafiosi, senza soffermarsi sul significato complessivo delle frasi pronunziate dal Omessi e senza spiegare validamente per quale ragione da questo stralcio di intercettazione dovrebbero evincersi il metodo mafioso e la finalità agevolativa.
In realtà, con riferimento allo specifico reato di lesioni in contestazione non viene spiegato dalla pronunzia impugnata in che cosa sia consistito il metodo mafioso, né viene approfondita in modo adeguato la sussistenza di emergenze probatorie che palesino detta aggravante sotto il concorrente profilo agevolativo, perché ci si limita a riportare il passaggio della conversazione suindicata.
4.5.2. S'impone, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata anche nella parte in cui riconosce la sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 416-bis. l cod. pen. in relazione al delitto di lesioni contestato al capo 17, affinché, facendo corretta applicazione dei criteri suindicati e valutando criticamente le emergenze probatorie, se ne verifichi la sussistenza.
4.5.3. Per l'effetto estensivo dell'impugnazione, l'annullamento riguardante la predetta aggravante, fondato su ragioni obiettive, opera anche in favore dei coimputati Omessi e Omessi che non hanno proposto alcuna censura al riguardo.
4.6. L'accoglimento dei motivi relativi all'affermazione di responsabilità in ordine ai reati contestati ai capi 13, 14, 15 e 16 ed all'aggravante di cui all'art. 416-bis. l cod. pen. contestata in ordine al reato di cui al capo 17 comporta l'assorbimento delle censure relative al trattamento sanzionatolo, al diniego delle attenuanti generiche ed all'esclusione della recidiva, formulate dai ricorrenti con gli altri motivi di ricorso.
5. Ricorso Omessi
Omessi, già prosciolta dal concorso nel reato di cui al capo 14, riqualificato dal primo giudice come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, per mancanza di querela, è stata condannata in appello per concorso nel medesimo reato, riqualificato - in ossequio all'originaria imputazione - come estorsione.
5.1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato: l'appello è stato proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale, che è soggetto legittimato ad impugnare le sentenze di primo grado.
5.2. Anche la seconda censura è manifestamente infondata per le ragioni già evidenziate nel paragrafo relativo al ricorso del coimputato Omessi, poiché non sussisteva alcun obbligo di rinnovazione in caso di diversa qualificazione giuridica della condotta ascritta all'imputata.
5.3. Il terzo motivo è fondato per le ragioni già esposte in relazione alla posizione dei coimputati Omessi e Omessi.
5.3.1. La Corte di appello ha configurato il concorso morale dell'imputata valorizzando conversazioni telefoniche nel corso delle quali ella, dopo avere appreso che il compagno Omessi si era licenziato e che i fratelli Omessi stavano andando a M per farsi pagare dal Da.Gi., aveva sollecitato il Omessi a farsi consegnare quanto gli era dovuto prima di ritornare in I, per evitare di essere costretto a rientrare poi a M per ottenere il pagamento dei crediti di lavoro maturati nei confronti del Da.Gi., già moroso nei confronti dello zio; ha inoltre osservato che l'aver acquistato i biglietti per consentire ai fratelli Omessi di recarsi a M, nella consapevolezza del loro intento, integrava un contributo materiale consapevole alla condotta estorsiva dei predetti imputati, essendo prevedibile che la spedizione a M esitasse nella violenta aggressione in danno del debitore per costringerlo a pagare.
5.3.2. Occorre, tuttavia, verificare, anche con riferimento alla posizione dell'imputata, come già ritenuto per i concorrenti, la corretta qualificazione giuridica della condotta contestata al capo 14, alla stregua dei criteri già esposti, considerato in particolare che l'imputata aveva sollecitato il suo compagno a farsi consegnare il compenso che riteneva fosse suo diritto ottenere come corrispettivo dell'attività lavorativa svolta.
5.4. Anche il quarto motivo è fondato.
5.4.1. Va, infatti, osservato che la Corte di appello avrebbe dovuto esplicitare gli elementi di fatto da cui desumere che la Omessi fosse consapevole che la cosiddetta spedizione punitiva oggetto di contestazione era rivolta ad avvantaggiare il sodalizio criminoso di riferimento, o comunque che detta aggressione sarebbe stata attuata con metodo mafioso, mentre non ha valorizzato argomenti tali da consentire di superare le considerazioni del primo giudice, il quale aveva escluso detta aggravante.
Al riguardo, non va trascurato che, come evidenziato dalla sentenza di primo grado, la Omessi risulta aver raccomandato al compagno Omessi di evitare inutili riferimenti a soggetti detenuti, che avrebbero potuto pagare le conseguenze del suo dire.
5.4.2. S'impone, pertanto, l'annullamento dell'affermazione di responsabilità dell'imputata nei confronti del delitto di estorsione aggravata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello, che procederà a nuovo giudizio facendo corretta applicazione dei principi suindicati.
6. Ricorso Omessi
6.1 Solo il primo motivo di ricorso proposto da Omessi è fondato. Invero, dall'esposizione dei motivi di appello proposti dal pubblico ministero non emerge alcun riferimento al reato contestato al capo 1 della sentenza; né la Corte di appello poteva ex officio ritenere sussistente l'aggravante dell'agevolazione mafiosa, che il GUP aveva escluso, e rideterminare la pena in peius nei confronti del ricorrente. Per completezza di esposizione, va osservato che il riferimento contenuto nell'appello del pubblico ministero in ordine alla detta aggravante risulta del tutto aspecifico e non consente di ritenere che si sia verificato l'effetto devolutivo in relazione allo specifico episodio contestato al Omessi.
6.2. Il secondo motivo, che lamenta vizio di motivazione in riferimento all'inutilizzabilità delle intercettazioni lamentata con l'atto di gravame, non è consentito: trattandosi di questione di diritto, ciò che assume rilievo è unicamente la sua soluzione in conformità alla legge, o meno, non il modo in cui la statuizione conclusiva venga argomentata (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027 - 05: "In tema di ricorso per cassazione, i vizi di motivazione indicati dall'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. non sono mai denunciabili con riferimento alle questioni di diritto, non solo quando la soluzione adottata dal giudice sia giuridicamente corretta, ma anche nel caso contrario, essendo, in tale ipotesi, necessario dedurre come motivo di ricorso l'intervenuta violazione di legge").
Nel caso in esame, la soluzione accolta dalla Corte di appello nel senso della utilizzabilità delle intercettazioni de quibus era certamente corretta, sia in virtù dell'ipotizzata contestazione dell'aggravante di cui all'art. 416-bis. l cod. pen., sia perché la successiva riqualificazione avente ad oggetto l'ipotesi di reato in origine ritenuta non rendeva le intercettazioni inutilizzabili.
6.2.1. Sotto il primo profilo, questa Corte (Sez. U, n. 26889 del 28/04/2016, Scurato, Rv. 266906 - 01) ha già ritenuto che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, ai fini dell'applicazione della disciplina derogatoria delle norme codicistiche prevista dall'art. 13 del D.L. n. 152 del 1991, convertito dalla legge n. 203 del 1991, per procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata devono intendersi quelli elencati nell'art. 51, commi 3-bis e 3-quater, cod. proc. pen., tra i quali rientrano, per espressa previsione di legge, quelli aggravati ex art. 416-bis. l cod. pen. Merita di essere ricordato l'ulteriore orientamento, pure condiviso e ribadito dal collegio, secondo il quale, sempre in tema di intercettazioni telefoniche, ha natura di norma interpretativa, come tale applicabile retroattivamente, la previsione dell'art. 1 d.l. 10 agosto 2023, n. 105, convertito dalla legge 9 ottobre 2023, n. 137, che ha definito l'ambito applicativo della disciplina "speciale" di cui all'art. 13 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, riguardante i presupposti e le modalità esecutive delle operazioni di captazione nei procedimenti per delitti di criminalità organizzata, tra i quali quelli, consumati o tentati, commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis cod. pen. o al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso contemplate (Sez. 2, n. 47643 del 28/09/2023, Rv. 285524 - 01).
6.2.2. Quanto al secondo profilo, questa Corte (Sez. 6, n. 23148 del 20/01/2021, Bozzini, Rv. 281501 - 01) ha già chiarito che il principio secondo cui l'utilizzabilità delle intercettazione per un reato diverso, connesso con quello per il quale l'autorizzazione sia stata concessa, è subordinata alla condizione che il nuovo reato rientri nei limiti di ammissibilità previsti dall'art. 266 cod. proc. pen., non si applica ai casi in cui lo stesso fatto - reato per il quale l'autorizzazione è stata concessa sia diversamente qualificato in seguito alle risultanze delle captazioni: in tale evenienza, non vi è elusione del divieto di cui all'art. 270 cod. proc. pen., attese l'intervenuta legittima autorizzazione dell'intercettazione e la modifica dell'addebito solo per sopravvenuti fisiologici motivi, legati alla naturale evoluzione del procedimento).
6.2.3. Peraltro, la doglianza sarebbe comunque generica e manifestamente infondata, poiché è stata respinta dalla Corte di appello facendo corretta applicazione della giurisprudenza consolidata sul punto; d'altro canto, la contestazione del reato di cui all'art. 423 cod. pen. non risulta eccentrica rispetto all'episodio da cui è scaturita l'indagine, ed il ricorrente non espone elementi specifici a sostegno della sua doglianza, in concreto meramente assertiva.
6.3 II terzo motivo non è consentito.
Dalla lettura dei motivi di appello, e dalla stessa sentenza impugnata, risulta che le doglianze formulate con il gravame si riferivano esclusivamente all'elemento soggettivo del reato, mentre con il ricorso ci si duole della carenza di prova in ordine all'elemento oggettivo del reato di favoreggiamento, inteso come idoneità della condotta a costituire ostacolo per le indagini, sicché la censura non è ammissibile perché non è stata formulata con il gravame.
6.3.1. La censura sarebbe comunque manifestamente infondata. La condotta del delitto di favoreggiamento personale, che è reato di pericolo, deve consistere in un'attività che abbia frapposto un ostacolo, anche se limitato o temporaneo, allo svolgimento delle indagini, provocando quindi una negativa alterazione del contesto fattuale all'interno del quale le investigazioni e le ricerche erano in corso o si sarebbero comunque potute svolgere (Sez. 6, n. 13143 del 01/03/2022, Rv. 283109 - 01).
Tuttavia, nel caso in esame la ricerca con un metaldetector di possibili cimici installate sull'auto del Ca.Ca. alla di lui presenza costituisce condotta idonea a rilevare la presenza di microspie e quindi ad ostacolare le indagini in corso, a nulla rilevando che le stesse non siano state in concreto rinvenute. 6.4. Il quarto motivo è infondato.
La Corte di appello (pag. 49 della sentenza impugnata) ha respinto il motivo d'impugnazione relativo al diniego delle attenuanti generiche correttamente osservando che la condizione di incensurato non è sufficiente ai fini del riconoscimento del beneficio, e che le parziali ammissioni della condotta materiale da parte del Omessi sono intervenute quando già ne era emersa prova incontrovertibile dalle intercettazioni ambientali, sicché non ricorrono elementi significativi nella sua condotta che possano indurre ad un giudizio di maggiore indulgenza.
6.5. S'impone di conseguenza l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti dell'imputato limitatamente alla circostanza aggravante di cui all'art. 416-bis. l cod. pen., con conseguente eliminazione dell'aumento sanzionatorio disposto dalla Corte sulla pena già inflitta dal GUP.
La pena deve, pertanto, essere rideterminata in anni uno e mesi quattro di reclusione, come già ritenuto con la sentenza di primo grado.
7. Ai sensi dell'art. 544, comma 3, cod. proc. pen., tenuto conto del numero delle parti ricorrenti (e del conseguente numero dei motivi dì ricorso, taluni dei quali di significativa complessità), il termine per il deposito della sentenza va fissato in giorni sessanta.
7.1. La disciplina prevista in tema d'improcedibilità del giudizio di rinvio per superamento del termine di durata massima dal nuovo art. 344-bis, comma 8, cod. proc. pen. (introdotto dalla legge 27 settembre 2021, n. 135, ed a norma del quale "il termine di durata massima del processo decorre dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine previsto dall'articolo 617") impone, ai fini del computo del termine entro il quale, a pena d'improcedibilità, nei casi di annullamento con rinvio, deve essere definito il giudizio di rinvio, di determinare i termini di deposito delle sentenze della Corte di cassazione, ed, in particolare, di valutare se il termine base di giorni trenta, previsto dall'art. 617, comma 2, c.p.p., sia prorogabile ai sensi degli artt. 544, comma 3, c.p.p. e 154, comma 4-bis, disp. att. cod. proc. pen.
7.2. L'art. 617 cod. proc. pen., con riferimento alle decisioni emesse all'esito della pubblica udienza, stabilisce che, conclusa la deliberazione, il presidente o il consigliere da lui designato redige la motivazione, richiamando altresì "le disposizioni concernenti la sentenza nel giudizio di primo grado, in quanto applicabili" (comma 1); la sentenza, sottoscritta dal presidente e dall'estensore, è depositata in cancelleria non oltre il trentesimo giorno dalla deliberazione (comma 2): trattasi di termine pacificamente ordinatorio, alla violazione del quale non consegue alcuna decadenza o nullità.
7.2.1. Tradizionalmente, secondo la giurisprudenza (Sez. 5, n. 15660 del 12/02/2020, Salamina, Rv. 279155 - 01 e Sez. 3, n. 33386 del 18/03/2015, D., Rv. 264507), "La violazione da parte del giudice del termine per il deposito della sentenza, stabilito dall'art. 544 c.p.p., può avere conseguenze di altro genere, ma non determina la nullità del provvedimento, né tanto meno la sua inutilizzabilità o inammissibilità"; si precisa che il diritto dello Stato all'amministrazione della giustizia ed alla repressione dei reati verrebbe vanificato se si prevedesse la nullità dei provvedimenti per i casi di ritardato deposito - ossia per comportamenti addebitabili a singoli magistrati, comunque perseguibili in sede disciplinare -, e che, in caso di eccessivo ritardo nella redazione della motivazione, non sarebbe configurabile un "rischio di oblio" della discussione orale, in realtà "agevolmente evitabile attraverso una tempestiva attività di sintesi ed archiviazione per iscritto".
7.2.2. Dalla lettura combinata dei primi commi della disposizione, potrebbe desumersi che il premesso, generale, rinvio alle disposizioni concernenti la sentenza emessa all'esito del giudizio di primo grado, in quanto applicabili, non operi anche con riguardo all'art. 544 cod. proc. pen., disposizione che, nei primi tre commi, disciplina i termini di deposito della sentenza nel giudizio di primo grado, poiché, in riferimento al deposito delle sentenze della Corte di cassazione, l'art. 617, comma 2 - quale lex specialis - individua il predetto termine nel trentesimo giorno dalla deliberazione.
7.2.3. Questa possibile interpretazione non sembra, peraltro, condivisibile.
Il presupposto in virtù del quale è consentita, per il deposito delle sentenze di primo grado (e di quelle di appello, in forza del rinvio disposto dall'art. 598 cod. proc. pen. alle "disposizioni relative al giudizio di primo grado", in quanto applicabili - e quella de qua lo è certamente -, ed in difetto di diversa disciplina speciale, nel silenzio, sul punto, dell'art. 605 cod. proc. pen.), la fissazione di un termine fino a giorni novanta, risiede, a norma dell'art. 544, comma 3, cod. proc. pen., nella "particolare complessità della stesura della motivazione", che va apprezzata, ai sensi della medesima disposizione, in relazione:
- al numero delle parti;
- al numero ed alla gravità delle imputazioni.
Analoghe condizioni ben possono ricorrere in relazione alla stesura della motivazione di una sentenza della Corte di cassazione; sarebbe, pertanto, irragionevole, e quindi in palese contrasto con l'art. 3 della Costituzione, voler negare la possibilità di applicare alle sentenze della Corte di cassazione la disciplina dettata dall'art. 544, comma 3, cod. proc. pen.
In realtà, il comma 2 dell'art. 617 si limita a determinare il termine ordinario di deposito delle sentenze della Corte di cassazione, mentre il comma 1, tra le disposizioni concernenti la sentenza nel giudizio di primo grado, in quanto applicabili, richiama, in riferimento ad ogni altra evenienza non specificamente disciplinata (e, quindi, ai casi di "particolare complessità della stesura della motivazione") anche l'art. 544, comma 3, cod. proc. pen.
7.2.4. All'indomani dell'entrata in vigore del codice di rito, la dottrina, unanimemente, aveva risolto in senso affermativo il problema dell'applicabilità alle sentenze della Corte di cassazione della disciplina dettata dall'art. 544, comma 3, cod. proc. pen., proprio valorizzando il rinvio contenuto nell'art. 617 cod. proc. pen. alle disposizioni concernenti le decisioni di primo grado; nonostante il fatto che il comma 2 dell'art. 617 non contempla la facoltà di redazione contestuale della motivazione, parte della dottrina, ritenendo implicitamente che il rinvio alle disposizioni concernenti le decisioni di primo grado renda applicabile alle sentenze della Corte di cassazione l'intera disciplina dettata dall'art. 544 cod. proc. pen., ha addirittura ritenuto che anche la Corte di cassazione possa procedere alla redazione immediata dei motivi in camera di consiglio, ai sensi dell'art. 544, comma 1.
7.2.5. Questi rilievi confermano che, a complemento della disciplina speciale dettata dal comma 2, il comma 1 dell'art. 617 cod. proc. pen. richiama, in quanto evidentemente applicabile, anche, nella sua interezza, l'art. 544 cod. proc. pen.: ne consegue che, per le sentenze della Corte di cassazione, quando la stesura della motivazione risulti, in considerazione del numero delle parti e/o del numero e della gravità delle imputazioni, "di particolare complessità", è legittimo fissare un termine per il deposito in misura superiore a giorni trenta, fino ad un massimo di giorni novanta.
7.2.6. Può, pertanto, concludersi che la disposizione di cui all'art. 544, comma 3, cod. proc. pen. opera anche in riferimento alle sentenze della Corte di cassazione.
7.2.7. Occorre, per esigenze di completezza, valutare se possa intendersi richiamata dall'art. 617, comma 1, e risulti compatibile con le sentenze della Corte di cassazione, anche la disciplina dettata dall'art. 154 disp. att. cod. proc. pen. (a norma del cui comma 4-bis, "il Presidente della Corte di appello può prorogare, su richiesta motivata del giudice che deve procedere alla redazione della motivazione, i termini previsti dall'art. 544, comma 3, del codice, per una sola volta e per un periodo massimo di novanta giorni, esonerando, se necessario, il giudice estensore da altri incarichi. Per i giudizi di primo grado provvede il presidente del tribunale. In ogni caso del provvedimento è data comunicazione al Consiglio superiore della magistratura").
La giurisprudenza (Sez. 2, n. 12809 del 19/02/2020, Cirillo, Rv. 278683 - 01), sia pur ad altri fini, ha già evidenziato che "l'art. 154, comma 4-bis, disp. att. cod. proc. pen., è norma sistematicamente correlata all'art. 544, comma 3, codice di rito, di cui costituisce necessario corollario".
Questo condivisibile e non contestato rilievo evidenzia che il rinvio dell'art. 617, comma 1, cod. proc. pen. alle disposizioni concernenti la sentenza emessa all'esito del giudizio di primo grado, nel ricomprendere l'art. 544, comma 3, cod. proc. pen., ricomprende anche l'art. 154, comma 4-bis, disp. att. cod. proc. pen., proprio in quanto costituente disposizione sistematicamente correlata all'art. 544, comma 3, del quale costituisce necessario corollario. D'altro canto, l'applicabilità del subprocedimento previsto dal comma 4-bis dell'art. 154 disp. att. cod. proc. pen. per la proroga straordinaria del termine di deposito della motivazione della sentenza per un periodo massimo di ulteriori novanta giorni alle sentenze della Corte di cassazione non sembra incontrare, in termini di compatibilità, alcun insuperabile ostacolo: la speciale competenza che l'art. 154, comma 4-bis assegna (per le sentenze della Corte di appello) al Presidente della Corte di appello e (per le sentenze del Tribunale) al Presidente del Tribunale, spetterà (per le sentenze della Cassazione) al Primo Presidente della Corte di cassazione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Omessi limitatamente alla circostanza aggravante di cui all'art. 416-bis. l cod. pen. che elimina, rideterminando la pena da irrogare in anni uno e mesi quattro di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso.
Annulla la sentenza impugnata:
- nei confronti di Ca.Ca.limitatamente alla circostanza aggravante di cui all'art. 416-bis.l cod. pen.;
- nei confronti di Omessi e Omessi limitatamente ai reati di cui ai capi 13, 14 e 15;
- nei confronti di Omessi limitatamente ai reati di cui ai capi 14 e 15;
- nei confronti di Omessi nonché, per l'effetto estensivo, nei confronti di Omessi e Omessi limitatamente al reato di cui al capo 17, relativamente alla circostanza aggravante di cui all'art. 416-bis. l cod. pen.;
- nei confronti di Omessi;
per tutti con rinvio per nuovo giudizio sui predetti capi e punti ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Rigetta nel resto i ricorsi dei predetti imputati.
Rigetta il ricorso di Omessi che condanna al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato Omessi alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Anas S.P.A. in persona del legale rappresentante p.t., che liquida in complessivi Euro 1.750/00, oltre accessori di legge. Spese di parte civile al definitivo per quanto riguarda l'imputato Ca.Ca..
Motivi entro giorni sessanta ex art. 544, comma 3, cod. proc. pen.
Così deciso in Roma il 30 novembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2024.